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Introduzione
Analizzando le molteplici alleanze orizzontali che stanno nascendo nel mercato
globale, molti vedono questo fenomeno come una risposta alla crisi economica
mondiale, usufruendo delle economie di scala che ne derivano. Certamente questa
può essere una chiave di lettura interessante dei motivi che spingono verso
determinate scelte, come insegna la teoria dei costi di transazione (Tce) di
Williamson:
1
l‟obiettivo è quello di minimizzare tali costi, somma dei costi di
produzione e dei costi di governo della collaborazione, rispetto alla opzione di
produzione interna.
Questa interpretazione resta riduttiva per definire un fenomeno che sta cambiando
il modello competitivo, rovesciando quelle che sono state finora le teorie
gestionali che hanno guidato le scelte dei manager. Per questo motivo gli studiosi
del fenomeno hanno messo a punto ulteriori teorie che focalizzano il loro studio
sulle risorse in possesso delle imprese più che sui vantaggi di costo, da questa
consapevolezza nascono le teorie evolutive dell‟impresa, che si sviluppano in
modo sequenziale secondo la logica evolutiva che ha accompagnato i
cambiamenti avvenuti nel mondo del business.
Così come per comprendere quello che accade oggi nel mondo bisogna analizzare
gli avvenimenti precedenti, queste teorie, nate negli anni novanta, sono la base da
cui partire per comprendere la coopetition che sarà il tema centrale del lavoro;
infatti, si può affermare che la conoscenza delle teorie sviluppate in passato ci
aiutino a comprendere come si arrivi a una tale rivoluzione del mondo degli affari,
che porta due o più aziende concorrenti ad unirsi per investire in un'unica attività.
Negli anni novanta, dopo il boom economico che ha caratterizzato il decennio
precedente con una corsa verso l‟integrazione verticale di tutte le imprese, si è
ritornati a disinvestire, affidando all‟esterno le attività che non fanno parte del
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Cantone L., Outsorcing e creazione del valore. Ridisegnare i modelli di business per conseguire il
vantaggio competitivo, Il Sole 24 Ore Milano 2003 p. 9-19
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core business e mantenendo il controllo su quelle che ne fanno parte.
2
Tale
tendenza ha portato alla nascita del fenomeno dell‟outsourcing operativo, che da
semplice fornitura di un servizio, si è evoluto fino a creare legami sempre più
stretti tra le imprese diventando un outsourcing strategico.
3
Per arrivare a questa definizione si passa attraverso varie categorie che nascono
dalla classificazione dei processi aziendali in critici e non critici, ovvero attività
operative, di direzione e di sviluppo da un lato ed attività di supporto dall‟altro,
nello specifico possiamo parlare di attività operative per indicare tutte quelle
attività che iniziano con la produzione fisica del bene ma che poi ricomprendono
anche la distribuzione e la consegna al consumatore finale. Poi possiamo parlare
di attività di direzione e sviluppo per indicare quelle che sono finalizzate
all‟acquisizione e alla gestione di nuove conoscenze utili allo sviluppo
dell‟impresa. Infine ci sono le attività di supporto necessarie per il corretto
svolgimento del processo produttivo ma che non creano valore, di solito sono le
prime ad essere esternalizzate.
4
Analizzando le attività secondo il loro impatto sulla creazione di valore possiamo
affermare che alcune hanno un basso impatto, in quanto relativi a processi
aziendali non critici nella creazione del valore, quindi la loro esternalizzazione
comporta pochi rischi per l‟impresa stessa; mentre altre determinano un grosso
apporto alla creazione del valore poiché relativi a processi critici. Tuttavia anche
queste ultime attività possono essere oggetto di esternalizzazione se le risorse e le
competenze necessarie non sono distintive, si dice che hanno un rischio strategico
basso, dato che esse possono essere facilmente reperibili. Al contrario se l‟impatto
sul valore è alto in virtù del rischio di una strategia del genere si tende a produrre
all‟interno questi processi, in aiuto a questo problema sono nate le teorie evolutive
dell‟impresa.
2
Grant R., L‟analisi strategica per le decisioni aziendali – Concetti, tecniche, applicazioni,
Tradotto da Alvisi A. e Lorenzoni G., Il mulino Bologna 1998 p.513
3
Cantone L., op. cit., Il Sole 24 Ore, Milano 2001 p.39-47
4
Stampacchia P., Il governo dei processi d‟impresa, Mc Graw Hill Milano 2007 P. 44-49
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Le teorie evolutive dell‟impresa pongono l‟accento sulle risorse in possesso e
quelle necessarie per competere nei mercati ipercompetitivi, esse si sviluppano in
modo sequenziale, tutto ha inizio con la formulazione della Resource-based
theory of firm (Rbt)
5
. Essa spiega il moltiplicarsi delle relazioni tra le imprese
come la necessità di accedere a risorse capaci di creare e mantenere il vantaggio
competitivo. Allorquando tali risorse risultano essere: durevoli, non trasferibili né
riproducibili, nonché scarse, imperfettamente imitabili, non sostituibili ma allo
stesso tempo critiche per l‟attività che si svolge, in quel momento bisogna creare
una relazione con chi le possiede.
Col tempo si è passati dall‟analisi delle risorse a quella delle competenze
distintive dell‟impresa, poiché esse sono diventate fonte di un vantaggio
competitivo durevole, così è nata la Competence-based competition theory
(Cbct)
6
. Tali competenze essendo distintive, quindi impresse nel dna dell‟azienda,
non sono imitabili; mentre da un lato questa consapevolezza ha invogliato le
stesse ad investire sulle proprie competenze cercando di migliorarle quanto più
possibile, dall‟altro lato le ha spinte verso l‟esterno alla ricerca di quelle
competenze che non possono essere imitate, ma che risultano essenziali per la
sopravvivenza dell‟impresa stessa.
Dalle competenze, termine che è molto ampio si passa ad analizzare le risorse di
conoscenze essenziali per la creazione d‟innovazioni e il mantenimento del
vantaggio sui concorrenti, esse possono essere individuali, se possedute da singoli
soggetti appartenenti all‟organizzazione o collettive se sono insite nel tessuto
sociale dell‟azienda. Di solito si tende a tramutare le conoscenze tacite, quelle
individuali, in conoscenze esplicite o collettive in modo da non perderle con la
cessione del rapporto di lavoro. Anche le conoscenze possono risiedere al di fuori
dell‟azienda stessa, la quale cerca di accedervi attraverso la creazione di reti di
conoscenze, da qui ha origine la Knowledge-based theory (Kbt)
7
.
5
Cantone L., op. cit., Il Sole 24 Ore, Milano 2001, p. 20; Grant R., op. cit., Il Mulino Bologna
1998, p.514
6
Cantone L., op. cit., Il Sole 24 Ore, Milano 2001, p. 21
7
Cantone L., op. cit., Il Sole 24 Ore, Milano 2001, p. 22
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L‟ultima teoria evolutiva, la Dynamic capabity theory (Dct)
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prende in
considerazione tutte e tre gli oggetti delle teorie precedenti (risorse, capacità e
conoscenze), sottolineando la dinamicità dell‟ambiente in cui si opera che le rende
spesso obsolete in poco tempo. Per questo c‟è bisogno di un continuo adattamento
e rinnovamento che segua, se non addirittura anticipi, i concorrenti; se nei casi
precedenti una semplice fornitura o al massimo una decisione di esternalizzare
determinate attività poteva essere sufficiente per perseguire lo scopo, in questo
caso c‟è bisogno di creare una vera e propria sinergia col partner.
All‟interno delle alleanze quelle più interessanti da studiare per motivi che
discuteremo all‟inizio del primo capitolo sono senza dubbio le alleanze tra aziende
che operano nello stesso settore, queste hanno spinto gli studiosi di economia
aziendale a coniare un neologismo, co-opetition, che in italiano può essere
tradotto come una parola composta dall‟intersezione tra cooperazione e
competizione, due parole con significato opposto, ma che spiegano perfettamente
il fenomeno che abbiamo di fronte, in quanto opposto è l‟approccio che queste
imprese hanno verso il mercato e verso l‟ambiente economico in generale, diverso
se non addirittura opposte devono essere anche le tecniche gestionali utilizzate per
studiare questi casi.
Il motivo che mi ha spinto a fare questa ricerca da cui è nato il presente elaborato,
è proprio la diversità con il passato che, tuttavia, pur determinando una novità,
riprende le teorie manageriali consolidate riadattandole al nuovo contesto,
confermando la materia gestionale come una delle più flessibili ed attende ciò che
avviene al di fuori del mondo accademico cercando di analizzare il contesto
utilizzando tecniche già conosciute, ampliandole, modificandole o addirittura
mettendole in discussione.
Credo fortemente che nulla possa essere dato per scontato, ma ogni analisi deve
valutare i molteplici aspetti e guardare la situazione da tutte le angolazioni per
avere un quadro completo, niente è solo bianco o solo nero nella vita, così anche
8
Cantone L., op. cit., Il Sole 24 Ore, Milano 2001, p. 22-24
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nell‟economia dove finora le aziende hanno ingaggiato una serie di “guerre” con
gli stakeholders, i fornitori in primis per spuntare un prezzo favorevole (sia di
materie, di lavoro o di capitale), per poi passare ai clienti con i quali si attuavano
politiche product oriented ma col tempo si sono trasformate in politiche market
oriented, senza dimenticare altri soggetti in alcune realtà, infatti, si tende a
coinvolgere nella gestione dell‟impresa.
A sostegno di questo forte cambiamento che sta avvenendo nel mercato esistono
due esempi di come ciò si stia verificando: il primo si presenta nel vecchio
continente, precisamente in Germania dove i dipendenti delle grosse imprese
eleggono dei loro rappresentanti nel consiglio di amministrazione, il secondo in
Asia dove le aziende automobilistiche giapponesi esternalizzano gran parte delle
attività a partner specializzati, a conferma dell‟entità che hanno assunto le teorie
evolutive nella gestione delle imprese, le quali creano delle associazioni dei
fornitori che sono veri e propri organi supplementari che si affiancano al consiglio
di amministrazione delle aziende outsource
9
.
Anche se il fenomeno non ha assunto dimensioni globali è significativo come in
alcune realtà importanti, come i paesi di cui abbiamo accennato sopra, si è andato
oltre il semplice rapporto con i propri fornitori, questo è un segnale forte dei
cambiamenti avvenuti del management. Tuttavia può risultare semplice avviare
alleanze con i propri fornitori (e quindi con i clienti, se guardiamo dalla
prospettiva del provider) poiché essi sono mossi da interessi contrapposti che sono
alla base dell‟equilibrio del mercato e proprio per questo viene a ridursi o
addirittura ad annullarsi il rischio di comportamenti opportunistici.
Ampliando lo sguardo verso il mercato ci accorgiamo che i soggetti verso i quali
finora non è stato cambiato l‟atteggiamento sono proprio i concorrenti, il motivo
di questa lacuna risiede nell‟assenza di obbiettivi contrapposti che possano
determinare l‟incontro tra domanda ed offerta come accade nei casi precedenti,
ma i loro obiettivi sono simili, quindi risulta rischioso costruire un‟alleanza, dato i
9
Zattoni A., Assetti Proprietari e Corporate Governance, Egea Milano 2006. p.113-114
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rischi di comportamenti opportunistici; tuttavia il fenomeno sta diffondendosi e
non solo per usufruire delle economie di scala, ma soprattutto per motivazioni
legate alle risorse.
E l‟ultima delle teorie evolutive esposte in precedenza, la Dct, sembra essere la
chiave di lettura della coopetition, escludendo a priori le alleanze basate sulla
teoria dei costi di transazione, poiché poco interessanti ai fini della nostra ricerca,
essendo definibili anche come una scelta di make or buy un po‟ più complessa, ma
pur sempre legata alle solite logiche di minimizzazione dei costi, analizzeremo
alleanze basate sulle teorie delle risorse. La Dct oltre a riunire le tre teorie
precedenti, prevede anche la possibilità che il patrimonio di risorse capacità e
competenze possano ampliarsi, sembra definire alcuni anni prima ciò che oggi è la
coopetition.
Fin qui la questione gestionale, fulcro del lavoro, ma esiste una questione di
economia generale sullo sfondo del lavoro che ci aiuta a spiegare il passaggio da
un mercato competitivo a uno cooperativo, in un mercato competitivo la curva di
offerta del settore è rappresentata da una retta che parte dall‟origine ed ha
un‟inclinazione positiva che mette in relazione il prezzo di mercato con le quantità
vendute. Tale retta diminuirà la sua inclinazione man mano che entreranno nuove
imprese nel mercato fino ad avere ricavi che coprono solo i costi senza creare
reddito, è la situazione di un mercato saturo dove nessuna impresa investirà
poiché la domanda limitata determinerebbe delle perdite per tutte le aziende del
settore.
10
Questa visione cambia se si valutano le possibili relazioni che una delle imprese
presenti sul mercato può intraprendere con la nuova entrante, anche questa
situazione è stata studiata attraverso la teoria dei giochi, che parte dal presupposto
che il risultato delle scelte effettuate dipende dalle scelte degli altri operatori. Uno
dei presupposti della teoria dei giochi è che entrambi i giocatori sono a
10
Varian H., Microeconomia, Cofoscarina IV edizione 1998 , p. 367-370
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conoscenza di tutte le informazioni disponibili
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, di conseguenza ognuno sa con
certezza quale sarà la scelta dell‟altro giocatore e può modellare la propria
strategia sulla scelta dell‟altro giocatore, questo risulta molto importante perché,
come dimostreremo in seguito, uno dei fattori di fallimento delle alleanze è
proprio l‟asimmetria informativa.
Ma anche quando le imprese sono a conoscenza di tutte le informazioni esistenti
possono nascere dei problemi legati al rischio di comportamenti opportunistici,
tali comportamenti sono penalizzati attraverso il risarcimento dei danni recati nel
caso in cui l‟accordo sia stato siglato con un contratto, molte volte invece non
esiste un accordo formale tra le parti che impone il risarcimento dei danni
aumentando così il rischio di comportamenti opportunistici.
Tuttavia i motivi del fallimento di molte alleanze non sono i comportamenti
opportunistici, bensì è il timore che l‟altra parte possa mettere in atto tali
comportamenti che spinge le imprese a non impegnarsi a fondo nel progetto. Per
evitare il fallimento dell‟alleanza, le aziende devono pensare ed agire in modo
completamente diverso rispetto a come pensano e agiscono nel proprio settore.
L‟obiettivo che si prefigge di raggiungere questo elaborato è quello di descrivere i
comportamenti che devono essere intrapresi e quelli che devono essere evitati, per
arrivare a descrivere una ricetta che possa essere attuata in tutte queste
circostanze. Questo scopo verrà raggiunto attraverso lo studio di due casi
aziendali che chiuderanno il secondo ed il terzo capitolo.
Ma andiamo per ordine: il primo capitolo spiegherà il fenomeno della coopetition,
definendo tutti i caratteri che contraddistinguono questa politica aziendale rispetto
alla competizione, nel corso del capitolo, infatti, verranno inseriti dei riferimenti
alle teorie aziendali consolidate per cercare di comprendere se tali teorie, nate per
ambienti competitivi, possono essere utilizzate anche per situazioni cooperative, e
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Aversa V., Metodi Quantitativi delle Decisioni, Versione 01, Liguori, 2000, p. 86
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quali accorgimenti sono necessari per far sì che esse siano adattate al contesto in
discussione.
Il secondo ed il terzo capitolo saranno speculari l‟uno all‟altro, infatti metteranno
in luce le motivazioni del fallimento (secondo capitolo) e del successo (Terzo
capitolo) delle alleanze, entrambi si apriranno con la definizione della teoria dei
giochi, evidenziando i risultati della non cooperazione nel primo caso
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ed i
risultati di una piena cooperazione
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; i capitoli proseguiranno approfondendo le
scelte manageriali che portano al fallimento dell‟alleanza e quelle che invece la
guidano verso il successo.
Entrambi i capitoli, come detto in precedenza, si chiuderanno con lo studio di casi
aziendali, tutti e due tratti dal settore automobilistico, settore che risulta essere
molto importante per tutte le economie industrializzate e proprio questa
strategicità del settore lo porta ad essere uno dei più attivi sulla politica delle
alleanze.
Nello specifico tratteremo dell‟alleanza fallita tra FIAT e GM analizzando a fondo
i motivi del fallimento cercando di trarre delle utili indicazioni sui motivi che
portano al fallimento delle alleanze orizzontali, consapevoli che non si può
generalizzare utilizzando un caso singolo, ma si possono trarre indicazioni
affinché non si ripetano gli stessi errori.
Il secondo caso è quello della Changan Ford Mazda Engine Company Ltd una
joint venture nata dall‟alleanza tra una azienda automobilistica cinese, e due
grandi player mondiali, l‟alleanza nata con un semplice accordo per favore
l‟entrata nel mercato cinese delle due imprese straniere, è diventata una alleanza
strategica suggellata dalla costituzione di una Joint Venture Capital; si
analizzeranno i fattori del successo, sottolineando come il processo che ha portato
alla costituzione della joint venture attraverso un primo accordo di tipo non equity
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Si farà riferimento alle teorie di Nash
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Si farà riferimento alle teorie di Von Neumann e Morgenstern
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e poi con lo scambio di azioni tra Ford e Mazda possa essere sia il risultato di
un‟alleanza che ha visto concretizzarsi le aspettative dei partner.
Infine nella parte conclusiva si partirà dal confronto tra i due casi per arrivare ad
una soluzione gestionale che possa essere utilizzata in tutte le alleanze orizzontali
per evitare grossi fallimenti. Si ribadiranno gli atteggiamenti da modificare e
quelli da evitare assolutamente per la riuscita dell‟investimento, nel tentativo di
formulare un modello manageriale di gestione delle alleanze che possa essere
utilizzato in tutti i settori.