2
fra la tecnologia e i diversi campi dell’azione e dell’esperienza umana, i cambiamenti che
intervengono nella struttura economica e nella logica organizzativa delle attività produttive
non possono essere interpretati senza la comprensione degli strumenti tecnologici sottostanti.
Per questo motivo l’analisi dei modelli di innovazione tecnologica emergenti nell’attuale
contesto socio-economico sarà condotta secondo una prospettiva storica. Seguendo
un’impostazione che risente dell’approccio schumpeteriano allo studio dell’economia e della
società, si cercherà di mettere a fuoco il fenomeno del cambiamento che plasma
incessantemente le nostre strutture economiche e sociali.
Il primo capitolo si propone di descrivere il ruolo del progresso tecnologico nei fondamentali
processi di transizione economica che hanno caratterizzato la storia dell’evoluzione della
civiltà umana. I fenomeni di crescita economica non possono essere spiegati esclusivamente
in chiave tecnologica; il perfezionamento degli utensili e degli strumenti tecnici di produzione
rappresenta tuttavia il principale meccanismo attraverso cui l’uomo è riuscito a sfruttare la
propria creatività per superare i vincoli imposti dall’ambiente naturale e raggiungere livelli di
esistenza ed efficienza economica superiori. La storia del processo di trasformazione
industriale che ha caratterizzato il progresso materiale delle società occidentali negli ultimi
due secoli fornirà inoltre utili indicazioni per comprendere come agiscano i principali processi
di innovazione. Quello che interessa qui analizzare non è una storia interna della tecnologia,
ma l’ampio schema di interazione che lega le principali innovazioni tecniche ai mutamenti di
carattere strutturale nell’organizzazione della produzione, nella distribuzione della forza
lavoro e nella competitività economica di nazioni e settori produttivi. Infine, si cercherà di
individuare i principali fattori sociali e istituzionali che hanno favorito l’avvento della
Rivoluzione Industriale nelle società europee prima che in altre aree.
Nel secondo capitolo saranno presi in esame alcuni dei principali temi trattati dall’ampia
letteratura economica sull’innovazione. Particolare attenzione verrà dedicata all’analisi dei
contributi di Schumpeter che, allontanandosi dall’impostazione statica della teoria neoclassica
dell’equilibrio, ha individuato nell’innovazione il principale meccanismo di dinamismo e
sviluppo economico. L’analisi schumpeteriana dei cicli economici e dell’evoluzione del
sistema capitalistico richiameranno l’attenzione sul ruolo degli aspetti istituzionali nel
condizionare le attività economiche e le loro dinamiche spaziali e temporali. Successivamente
si procederà all’esame dei contributi riguardanti i meccanismi che guidano il cambiamento
tecnologico. Verrà inoltre presentata l’analisi del cambiamento tecnologico proposta dalla
teoria evolutiva che, evidenziando i limiti dell’approccio neoclassico, ha assunto un preciso
modello dinamico regolato da meccanismi di mutamento e selezione simile a quello
3
dell’evoluzione biologica. La definizione delle caratteristiche dell’impresa innovativa in
termini di conoscenze e competenze specifiche permetterà di ricollegare tale prospettiva
all’approccio strategico basato sulle risorse e sulle capacità dinamiche. Si dimostrerà come il
cambiamento tecnico sia caratterizzato da fasi alterne di trasformazione che, secondo il grado
d’intensità del mutamento, determinano la nascita di un nuovo paradigma oppure un
movimento all’interno di una traiettoria tecnologica consolidata. Le determinanti e le
caratteristiche delle attività innovative all’interno dei settori economici saranno spiegate
attraverso il concetto di regime tecnologico, mentre le interdipendenze settoriali dai flussi di
tecnologia.
Il terzo capitolo si focalizzerà sull’impatto che il contesto sociale e istituzionale esercita sulle
caratteristiche dei processi di innovazione. L’approccio sistemico allo studio dell’innovazione
si è sviluppato recentemente riunendo in una struttura concettuale quei contributi che,
seguendo un’impostazione di tipo evolutivo, valutano l’influenza dell’ambiente istituzionale
sui processi di apprendimento tramite cui una società accumula, conserva e trasferisce le
conoscenze possedute alle generazioni successive. Particolare attenzione sarà pertanto
dedicata all’analisi di quegli insiemi di elementi economici e sociali tra loro interrelati che,
nell’ambito di un settore e soprattutto di un paese, contribuiscono a determinare il
comportamento innovativo delle imprese. Le interazioni principali che saranno analizzate
sono quelle che coinvolgono: gli accordi, di tipo orizzontale o verticale, tra le imprese; il
sistema di istruzione superiore e di ricerca scientifica; l’organizzazione delle istituzioni
finanziarie; il ruolo della politica tecnologica del Governo.
Il quarto capitolo proporrà un’interpretazione dell’approccio alla gestione dei processi
innovativi che sembra corrispondere alle caratteristiche dell’attuale evoluzione economica e
sociale. L’evoluzione del paradigma tecnologico sviluppatasi nell’ultimo quarto del secolo
scorso grazie alla diffusione della rivoluzione informatica in tutti i settori produttivi,
rispondendo alle esigenze di controllo sociale emerse a seguito della predente trasformazione
industriale, è al centro di un più ampio processo di ristrutturazione del sistema capitalistico.
La maggiore dinamicità del mercato del lavoro e soprattutto di quello dei capitali, integrato
globalmente mediante un’infrastruttura di telecomunicazioni avanzata, sono alcuni dei fattori
che hanno generato un radicale mutamento delle condizioni ambientali e rendono meno
competitivo il tradizionale modello di ricerca e sviluppo delle grandi imprese integrate.
Mentre tale modello rispondeva ad una logica chiusa che si adattava alle caratteristiche del
quadro scientifico ed economico del secolo scorso, le trasformazioni organizzative, sociali e
culturali che caratterizzano la new economy mettono fortemente in discussione tale
4
impostazione. Si cercherà pertanto di verificare come l’impatto delle odierne tecnologie di
elaborazione e comunicazione delle informazioni, dei cambiamenti nell’organizzazione delle
imprese e della diffusione dei movimenti culturali libertari degli anni Sessanta possano
stimolare l’adozione di un modello innovativo alternativo. Al tradizionale approccio di
mantenimento del controllo esclusivo su tutte le scoperte generate e sulle fasi del processo
innovativo, si contrapporrà una logica aperta favorevole all’utilizzo di idee e canali di mercato
sia interni che esterni. Questa analisi arriverà in tal modo ad accertare quanto la capacità
dell’impresa di collegarsi a reti globali di know-how tecnologico rappresenti una fonte critica
di competitività e innovatività.
5
CAPITOLO PRIMO
INNOVAZIONE TECNOLOGICA E CAMBIAMENTO ECONOMICO:
LA PROSPETTIVA STORICA
1.1 Premessa
Un passaggio di cruciale importanza per cercare di comprendere le caratteristiche del
processo di innovazione tecnologica odierna consiste nell’indagare la crescita economica del
passato, che ha avuto un ruolo decisivo nel determinare gli aspetti materiali della nostra
esistenza. Il progresso tecnico-scientifico è stato una delle forze più potenti nella storia umana
poiché ha fornito alla società la possibilità di ottenere incrementi della produzione superiori
all’aumento degli sforzi o dei costi necessari ad ottenerli. Tuttavia, la tecnologia rappresenta
soltanto uno dei fattori alla base della crescita economica. L’aumento della produttività del
lavoro dipende dall’incremento degli investimenti, ossia della quantità e qualità dello stock di
impianti e strumenti di produzione. Infatti, quando il capitale si accumula più rapidamente
rispetto all’ampliamento della forza lavoro, si verifica una crescita economica, siccome
ciascun lavoratore ha a disposizione quantità maggiori di capitale con cui lavorare, in altre
parole aumenta il prodotto pro-capite. Questo fenomeno di crescita, pertanto, non può essere
ricondotto unicamente ai cambiamenti negli strumenti di produzione, ma anche alle
precedenti scelte di risparmio. Inoltre, l’aumento degli scambi commerciali costituisce un
altrettanto efficace meccanismo di crescita che, come rilevato da Adam Smith, si basa
sull’incremento di produttività derivante dalla maggiore divisione e specializzazione del
lavoro. L’espansione commerciale ha origine grazie alla diminuzione dei costi di transazione
e dai miglioramenti nel trasferimento e nella tutela dei diritti di proprietà, che si associano in
parte al perfezionamento delle tecnologie di trasporto e comunicazione, ma soprattutto al
fenomeno della liberalizzazione del commercio. Anche un aumento della popolazione,
almeno entro un certo stadio, può condurre alla crescita della potenzialità produttiva pro-
6
capite dell’economia grazie al semplice sfruttamento ottimale di quei beni con costi fissi e
indivisibili (quali strade, scuole, ecc.) che possono essere sviluppati solo in popolazioni
relativamente numerose. Numerosi studi econometrici condotti sulle economie dei paesi
sviluppati nel secondo dopoguerra hanno però riconosciuto l’esistenza di un “residuo”, che
Moses Abramovitz descrive come “misura della nostra ignoranza”
1
, ossia di una parte della
crescita economica che non può essere spiegata dall’incremento del capitale o dal maggiore
impiego del fattore lavoro
2
; il fattore più idoneo a spiegare questo residuo sembra perciò
essere il cambiamento tecnologico, che può essere concepito come l’applicazione delle nuove
conoscenze ai processi produttivi che hanno comportato l’incremento dell’efficienza
nell’utilizzo delle risorse o la produzione di nuovi o migliori prodotti.
La storia della tecnologia è indissolubilmente legata alla storia del processo di civilizzazione,
poiché si occupa degli sforzi compiuti dall’uomo per aumentare la produttività del suo lavoro
nelle differenti condizioni ambientali in cui si trova. La tecnologia, fungendo da tramite fra
l’uomo e il mondo esterno, permette di agire sulla natura per soddisfare sia i bisogni
elementari di sussistenza che quelli di auto-realizzazione e si colloca, dunque, al centro di
quelle attività che sono specificamente umane. “Operando mediante tale moto sulla natura
fuori di sé e cambiandola, egli cambia allo stesso tempo la natura sua propria.” (Marx, 1967)
3
Questo approccio, che riprende chiaramente una delle più feconde formulazioni dell’apparato
teorico di Karl Marx, non deve condurci ad una visione di puro determinismo tecnologico del
tipo espresso da Leslie White per il quale un sistema sociale è “funzione di un sistema
tecnologico”
4
. In realtà, attraverso l’analisi degli strumenti del lavoro umano è possibile
inferire molte informazioni sulla natura di una società, sulle sue conoscenze intellettuali, sulla
sua organizzazione e sui rapporti sociali in essa dominanti
5
. Per questo motivo la
comprensione del processo di innovazione tecnologica deve necessariamente passare
attraverso l’analisi storica dei suoi complessi rapporti con i paralleli cambiamenti economici,
sociali e culturali.
La tecnologia emerge come dimensione fondamentale del cambiamento sociale ed
economico: il tipo di tecnologia che si sviluppa e si diffonde in una società, infatti, ne plasma
1
Abramovitz M. (1956), “Resource and Output trends in the U.S. since 1870”, in American Economic Review,
46, pp. 5-23
2
Solow R. (1957), “Technical Change and the Aggregate Production Function”, in Review of Economics and
Statistics, agosto
3
Marx K. (1967), Das Kapital. Kritic der politischen Oekonomic, Hamburg, Verlag von Otto Meissner, trad. it.
Il Capitale, Roma, Editori Riuniti, 1914, p.211, citato in Rosenberg N. (1991), Dentro la scatola nera:
tecnologia ed economia, Bologna, Il Mulino
4
White L. (1971), The Science of Culture, New York citato in Rosenberg (1991), op.cit., p.62
5
Rosenberg N. (1991), op. cit.
7
in maniera decisiva la struttura produttiva. L’introduzione di innovazioni tecnologiche di
processo o di prodotto si susseguono secondo ritmi e direzioni di sviluppo propri alternando
momenti di forte discontinuità a periodi di avanzamenti graduali e cumulativi. I loro effetti
non sono visibili soltanto nel miglioramento generale delle condizioni di vita ma diventano
determinanti nel decidere la nascita o l’esaurimento di interi settori produttivi e la supremazia
o dipendenza tecnologica ed economica di una nazione. Nelle economie moderne gli obiettivi
di sopravvivenza e crescita che incentivano l’azione delle imprese si intrecciano sempre più
con quelli di un insieme di attori istituzionali il cui contributo diventa decisivo per garantire il
successo delle innovazioni. Il particolare ruolo svolto dalle istituzioni conduce a una
concezione sistemica dell’innovazione in cui il cambiamento tecnologico è il risultato di una
serie di relazioni e interazioni tra attori differenti che contribuiscono in varia misura con
diverse capacità e specializzazioni.
Nel tentativo di proporre una spiegazione efficace dell’eccezionale capacità di generare
progresso tecnologico da parte dei paesi europei nelle fasi iniziali della rivoluzione industriale
occorre rivolgersi ad un insieme di fattori che vanno al di là delle condizioni strettamente
economiche che si rifanno alle dotazioni di input e al livello della domanda. Benché sia
difficile stabilire specifiche relazioni di causa ed effetto, l’opinione condivisa da diversi
storici dell’economia attribuisce la maggior creatività tecnologica europea al particolare
ambiente culturale e istituzionale che avrebbe incentivato la produzione di invenzioni e
innovazioni
6
. Risulta a questo punto evidente che per affrontare lo studio del processo di
innovazione occorre soffermarsi in primo luogo sulle dinamiche socioeconomiche che si sono
sviluppate nella storia della società europea, in cui il cambiamento tecnologico è stato parte
integrante del suo generale evolversi.
6
Landes D. (1993), Prometeo liberato, Torino, Einaudi; Mokyr J. (1997), Leggere la Rivoluzione Industriale,
Bologna, Il Mulino
8
1.2 Progresso tecnico, crescita economica e cambiamento strutturale: le due Rivoluzioni
Sin dalle origini, l’uomo ha cercato di comprendere e di controllare le forze della natura; per
assicurare la propria sopravvivenza ha dovuto usare l’intelligenza, osservare l’ambiente che lo
circondava, ricordare i fatti percepiti e cercare di utilizzarli in modo da accrescere sicurezza e
benessere. Al fine di imporsi al proprio ambiente naturale e soddisfare il complesso dei suoi
bisogni, l’uomo necessita di energia, cioè capacità di compiere lavoro. Nonostante sia dotato
di una costituzione fisica più fragile e vulnerabile rispetto a numerose altre specie viventi,
l’Homo sapiens è però anche Homo faber, ossia costruttore di utensili, artefice, trasformatore
della realtà circostante per adeguarla alle sue necessità
7
. Proprio grazie a questa sua capacità,
l’uomo è stato in grado di impiegare l’energia che produceva per dominare e utilizzare altre
forme di energia, giungendo così a conseguire fini diversi da quelli strettamente inerenti alla
pura sussistenza. In un’analisi condotta secondo una prospettiva di lunghissimo periodo,
Carlo Cipolla ha sottolineato come la necessità di fronteggiare i limiti della disponibilità di
energia sia stata uno dei fili conduttori fondamentali che hanno guidato gli sforzi indirizzati
all’avanzamento delle tecniche produttive
8
.
Fino alla fine dell’era paleolitica, l’uomo ha vissuto in modo estremamente primitivo, alla
stregua di un animale da preda, sostenendosi grazie alla caccia, alla pesca, alla raccolta di
frutti e al cannibalismo. Nel corso del tempo, tramite particolari tecniche come la lavorazione
della pietra, la fabbricazione di armi e rudimentali mezzi di trasporto, l’uomo ha saputo
aumentare la propria efficienza nell’uso dei due principali gruppi di convertitori biologici di
energia, le piante e gli animali, ma rimanendo sempre nell’ambito di un’economia di tipo
predatorio. In tal modo, l’economia avrebbe potuto espandersi senza pregiudicare la sua
futura prosperità finché il ritmo della distruzione annua di piante e animali operato dall’uomo
non avesse superato quello con cui piante e animali erano in grado di autoriprodursi. Qualsiasi
tentativo di crescita che avesse ecceduto questo limite avrebbe provocato una successiva
contrazione economica se l’uomo non fosse riuscito a trovare il modo di incrementare la
quantità disponibile di piante e animali, o scoprire nuove fonti di energia.
Soltanto in epoca neolitica il progresso tecnico raggiunto dall’umanità consentì di superare
questo vincolo e vivere la prima grande rivoluzione economica: la scoperta dell’agricoltura e
7
Forbes R.J. (1960), L’uomo fa il mondo, Torino, Einaudi
8
Cipolla C. (1990), Uomini, tecniche, economie, Milano, Feltrinelli
9
dell’allevamento. Benché ne restino ancora sconosciute le modalità, la coltivazione e
l’addomesticamento degli animali si svilupparono nel Vicino Oriente intorno al 9000 a.C. e
da lì si diffusero verso ovest, in Africa e in Europa, e verso est in Asia orientale mentre in
America lo sviluppo della civiltà agricola avvenne indipendentemente e in ritardo rispetto a
quello asiatico. La Rivoluzione Agricola fu caratterizzata dal processo mediante il quale
l’uomo pervenne ad aumentare e regolare la disponibilità dei due gruppi di convertitori
biologici di energia; ciò significò innanzitutto la possibilità di disporre di una più vasta e
articolata provvista di cibo
9
. Lo straordinario aumento della quantità di energia disponibile fu
all’origine di un’ampia serie di trasformazioni interdipendenti di ordine economico e sociale.
Le popolazioni aumentarono oltre ogni livello conosciuto precedentemente, nacquero villaggi,
apparve una vita comunitaria e fu possibile accumulare quella “eccedenza sociale” che
permise ad alcuni gruppi sociali di liberarsi dalla preoccupazione di una continua ricerca del
cibo, facendo così emergere la classe dei sacerdoti, dei guerrieri e, in seguito, quella degli
artigiani. La differenziazione e la specializzazione dei compiti diffusero strutture istituzionali
più articolate che contribuirono a facilitare ulteriormente il flusso di energia. Col tempo,
infatti, le società umane hanno continuato ad aumentare la quantità e la qualità di energia che
fluisce attraverso la vita individuale e comunitaria. Questo ha imposto il ricorso ad
attrezzature e organizzazioni istituzionali più complesse per governare e gestire tale processo;
in particolare, in questa fase si sono affermate strutture sociali caratterizzate da un maggior
livello di gerarchizzazione e da un elevato grado di centralizzazione del potere
10
.
Durante il periodo millenario che separa la nascita della civiltà agricola dal sorgere della
moderna civiltà industriale numerose furono le scoperte e le innovazioni che consentirono agli
uomini di aumentare il controllo delle fonti di energia. Importanti furono i progressi che
conobbe l’agricoltura, diverse furono le nuove piante che vennero messe a coltura o che
furono diffuse e adattate a diverse condizioni climatiche. Parallelamente furono ideate nuove
tecniche di coltivazione, di irrigazione e di concimazione. L’introduzione di nuovi attrezzi, in
particolare gli aratri in ferro, consentirono di aprire i cosiddetti “terreni duri” alla coltivazione.
Decisivi progressi vennero compiuti anche nell’allevamento degli animali addomesticati, di
cui aumentò rapidamente il numero e il cui sfruttamento come bestie da tiro migliorò
decisamente grazie alle scoperte della ruota, delle briglie e del ferro di cavallo. L’epoca
medievale fu testimone della comparsa e della diffusione di tutta una serie di rilevanti
innovazioni in attività non agricole. Di cruciale importanza per il continente europeo furono la
9
Cipolla C. (1990), op. cit.
10
Rifkin J. (2002), Economia all’idrogeno, Milano, Mondadori
10
diffusione del mulino ad acqua tra il VI e VII secolo e l’importazione dalla Persia del mulino
a vento verso la fine del XI secolo. Sebbene fino all’epoca preindustriale le fonti di energia
più utilizzate rimasero quelle di origine biologica, l’applicazione dei mulini alle più diverse
produzioni rappresentò una decisa svolta dell’economia europea verso lo sviluppo della
manifattura. La storia del progresso tecnologico intrapreso dalla civiltà agricola fu quello di
una lenta ma inarrestabile accumulazione di conoscenze, che si arricchiva progressivamente
mediante l’esperienza e l’osservazione che venivano trasmesse di generazione in generazione
e da un’area all’altra.
Nel corso del tempo la crescita demografica generatasi grazie ai miglioramenti delle
condizioni di vita costrinse l’umanità a fronteggiare il nuovo e stringente vincolo energetico
che la messa a coltura di nuove terre non poteva risolvere a causa di rendimenti marginali
progressivamente decrescenti. Intorno alla fine del diciottesimo secolo, quando quasi tutto il
genere umano aveva ormai da tempo abbandonato lo stadio dell’economia predatoria, la
società europea fu per prima pronta a sviluppare la seconda grande rivoluzione economica: la
Rivoluzione Industriale. Possiamo considerare la Rivoluzione Industriale come quel processo
che permise di intraprendere lo sfruttamento su vasta scala di nuove fonti di energia per
mezzo di convertitori inanimati, consentendo così di superare i vincoli che subordinavano
rigidamente il benessere economico al rapporto tra popolazione e terra. Dopo il suo avvio
iniziale in Inghilterra, essa penetrò nel volgere di un secolo nell’Europa continentale e negli
Stati Uniti e poco più tardi in Italia, Svezia, Russia e Giappone. Dopo la seconda Guerra
Mondiale la Rivoluzione Industriale aveva raggiunto il Sudamerica, la Cina, l’India e alcuni
paesi africani determinando ovunque una serie di mutamenti nella struttura sociale che fecero
dell’industria, in luogo dell’agricoltura, il settore produttivo predominante. Il nuovo corso si
aprì grazie all’invenzione della macchina a vapore (1769) che fu impiegata nell’industria
metallurgica, nell’industria tessile, nelle miniere di carbone e nei trasporti terrestri. Anche in
questo caso un processo di reazione a catena si mise ben presto in movimento, la maggior
disponibilità di energia intensificò lo sviluppo economico, che a sua volta stimolò lo sviluppo
della cultura e della ricerca scientifica portando nel volgere dei due secoli successivi alla
scoperta di nuove forme di energia come l’elettricità, l’energia solare, quella delle maree, dei
geiser, dell’atmosfera e quella che si può ottenere dagli atomi tramite procedimenti di fusione
e fissione. Nel lungo periodo fu superiore all’aumento della popolazione cosicché la quantità
media mondiale di energia disponibile pro capite aumentò, anche se ciò non avvenne in modo
proporzionale alla distribuzione della popolazione. La maggior quantità di energia pro-capite
significò soprattutto una maggior quantità di energia disponibile per scopi produttivi che
11
consentì una più alta produttività del lavoro umano e nel lungo periodo un migliore tenore di
vita. Come era accaduto ai cacciatori paleolitici in seguito alla scoperta dell’agricoltura, così
durante la Rivoluzione Industriale la proporzione degli agricoltori sulla popolazione totale
iniziò una rapida contrazione mentre aumentò progressivamente la quota degli individui
impiegati nell’industria. Ancora una volta, la trasformazione strutturale provocata dal
processo di industrializzazione pose le basi per gli sviluppi successivi; l’accresciuta
specializzazione del lavoro imposta dai nuovi regimi tecnologici e dalla produzione di massa
resero necessari un più vasto apparato distributivo, una più capace struttura creditizia, un
migliore sistema scolastico, un governo in grado di assolvere a nuove funzioni. Si assistette
così alla nascita e alla crescita di quel complesso settore costituito dalle attività di servizi alle
imprese e alle amministrazioni pubbliche che avrebbe caratterizzato il boom economico del
secondo dopoguerra, denominato settore terziario. Tale mutamento è sintetizzato nella tabella
1.1, la quale illustra come sia variata durante la Rivoluzione Industriale l’incidenza dei tre
settori produttivi sul totale della popolazione lavorativa dei principali paesi sviluppati.
Tabella 1.1 – Incidenza percentuale dei settori agricoltura, industria e servizi sulla composizione
dell’occupazione, 1820-1992
USA GB Germania Francia Italia Giappone
Agricoltura
1820 70,0 37,6 - - - -
1870 50,0 22,7 49,5 49,2 61,8 70,1
1913 27,5 11,7 34,6 41,1 59,1 60,1
1950 12,9 5,1 22,2 28,3 44,3 48,3
1992 2,8 2,2 3,1 5,1 6,0 6,4
Industria (mineraria, manifatturiera, costruzioni, servizi pubblici)
1820 15,0 32,9 - - - -
1870 24,4 42,3 28,7 27,8 20,5 -
1913 29,7 44,1 41,1 32,3 23,6 17,5
1950 33,6 44,9 43,0 34,9 31,0 22,6
1992 23,3 26,2 37,8 28,1 33,0 34,6
Servizi e pubblica amministrazione
1820 15,0 29,5 - - - -
1870 25,6 35,0 21,8 23,0 17,7 -
1913 42,8 44,2 24,3 26,6 17,3 22,4
1950 53,5 50,0 34,8 36,8 24,7 29,1
1992 74,0 71,6 59,1 66,8 61,0 59,0
Fonte: Maddison (2000) citato in Battilossi S. (2002), Le Rivoluzioni Industriali, Roma, Carocci
Lo sfruttamento sempre più massiccio dei giacimenti di combustibili fossili, unito all’impiego
più efficiente dei fattori produttivi, ha consentito di elevare il reddito reale pro-capite a livelli
mai conosciuti in una società agricola. Accanto alle profonde trasformazioni delle strutture
produttive realizzatesi dal lato dell’offerta, il progresso tecnologico determinò l’avvio di una
12
parallela rivoluzione dei consumi. Non fu solo possibile migliorare la condizione alimentare
della gran parte della popolazione, ma poterono essere soddisfatti anche nuovi e più elevati
bisogni quali trasporti, assistenza medica, istruzione, svaghi.
Quanto finora esposto, descrivendo sinteticamente alcune delle principali fasi della storia
della conquista della natura da parte dell’uomo, ci è utile per porre in evidenza alcuni
importanti aspetti concernenti le caratteristiche del mutamento economico indotto dal
progresso tecnico. In precedenza si è evidenziato come l’introduzione e la diffusione di
innovazioni tecnologiche abbia storicamente svolto il ruolo di motore della crescita
economica, intesa come aumento della produzione di beni e servizi a disposizione della
popolazione di un determinato paese. I progressi di ordine tecnico hanno infatti contribuito a
migliorare l’efficienza con la quale i fattori di produzione (terra e risorse naturali, lavoro,
capitale) sono combinati fra loro nel processo produttivo, consentendo il superamento di
quelle strozzature derivanti dalla limitata disponibilità di energia che creavano i presupposti
per le crisi di sussistenza. Nell’epoca pre-industriale la risposta alla crescita demografica
mediante il ricorso ad un utilizzo più massiccio di piante e animali risultava soggetta al
vincolo dell’auto-riproduzione naturale e dei rendimenti marginali decrescenti. L’eccezionale
aumento della produttività dei fattori conseguente ai miglioramenti tecnici e organizzativi
della grande trasformazione industriale ha così permesso alle società occidentali di superare
definitivamente le tradizionali fluttuazioni economiche e demografiche di tipo maltusiano
11
.
L’effetto del progresso tecnologico non si esaurisce nella dinamica registrata dalla crescita
economica. In parallelo ai mutamenti di ordine quantitativo nei livelli di produzione e
consumo si sono infatti generati cambiamenti di carattere strutturale nell’organizzazione della
produzione e nella distribuzione della forza lavoro. Come è stato rilevato in precedenza, la
scoperta delle tecniche di coltivazione delle piante e di addomesticamento degli animali
hanno permesso all’umanità di abbandonare la condizione predatoria favorendo lo sviluppo di
un’economia dominata dell’agricoltura e dell’allevamento, mentre il processo di
industrializzazione, in particolare nelle economie occidentali, ha comportato il progressivo
declino dell’incidenza del settore agricolo e il contemporaneo aumento dei settore secondario
e terziario (tabella 1.1). Ciò giustifica l’interesse degli economisti per lo studio della relazione
che lega il cambiamento tecnico alla crescita e alla dinamica delle strutture economiche.
11
Battilossi S. (2002), Le Rivoluzioni Industriali, Roma, Carocci
13
1.3 La dinamica dell’innovazione nello sviluppo economico moderno
Le due “Rivoluzioni” che sono state qui prese in esame hanno creato delle profonde fratture
nella continuità del processo storico avviando una storia completamente e drammaticamente
diversa da quella precedente. Questo non significa che i mutamenti realizzatisi in questi
periodi hanno costituito eventi improvvisi ed accidentali completamente indipendenti dalle
situazioni precedenti: la natura del mutamento economico è infatti fondamentalmente
evolutiva e di lungo periodo. “Ogni rivoluzione ebbe le sue radici nel passato, ma ogni
rivoluzione creò anche una profonda frattura con quello stesso passato.” (Cipolla, 1990)
12
Da
questo punto di vista, l’uso del termine “rivoluzione” rappresenta una convenzione
storiografica, utile a segnalare un punto di svolta fondamentale. Il passo successivo di questa
analisi storica consiste nel cercare di capire quali siano state le modalità attraverso cui il
processo d’innovazione tecnologica è intervenuto nel cambiamento generale della società.
Quali sono state le caratteristiche del progresso tecnologico? In che modo esso è riuscito ad
avviare il processo di mutamento strutturale dell’economia? La descrizione dello sviluppo
della tecnologia nell’ambito della generale trasformazione sociale ed economica avviata dalla
Rivoluzione Industriale è importante per comprendere le caratteristiche comuni, ma
soprattutto le differenze, dei meccanismi e delle logiche che guidano il cambiamento “tecno-
economico” odierno.
Lo sviluppo economico moderno, espressione coniata da Simon Kuznetz
13
per qualificare
l’esperienza che i paesi occidentali hanno fatto negli ultimi due secoli del processo di
industrializzazione, rappresenta il punto di partenza di quel complesso di mutamenti
interdipendenti di ordine tecnico, economico e sociale i cui effetti sono giunti sino a noi. La
storia del cambiamento tecnologico che ne è stata all’origine è quella di uno sviluppo
discontinuo, caratterizzato da accelerazioni e interruzioni, ma anche cumulativo e auto-
propulsivo, le cui ripercussioni si sono riflesse in tutti gli aspetti della vita economica e
sociale. Gli storici dell’economia, infatti, hanno individuato i concetti di prima, seconda e
terza rivoluzione industriale in base all’affermazione in ciascuna di esse di un “grappolo” di
innovazioni tecniche specifiche e di un gruppo di settori trainanti. Ogni innovazione possiede
un proprio ciclo vitale che comprende periodi di incerta giovinezza, di vigorosa maturità e di
12
Cipolla C. (1990), op.cit., pp. 27-28
13
Kuznets S. (1990), Popolazione, tecnologia, sviluppo, Bologna, Il Mulino
14
declino senile; nel tempo, il suo potenziale tecnologico viene sfruttato e così decrescono i
rendimenti marginali e avanzano tecniche nuove e più efficienti. Gli stessi settori produttivi
che si sviluppano da queste tecniche seguono una propria curva di crescita che tende ad una
sorta di asintoto
14
. A distinguere le tre epoche tra loro e a rendere ciascuna peculiare e
omogenea, comunque, hanno contribuito anche altri fattori non aventi natura tecnologica ma
che riguardano l’organizzazione della produzione, la leadership internazionale e le
conseguenze sociali del mutamento economico.
1.3.1 La prima rivoluzione industriale
La prima rivoluzione industriale ebbe inizio intorno al 1770 in Gran Bretagna e venne
identificata come l’epoca del cotone, del ferro, del vapore e delle ferrovie, dell’affermazione
del sistema di fabbrica, del capitalismo personale basato sull’imprenditore individuale e della
disgregazione delle istituzioni preindustriali. La macro-invenzione fondamentale di questa
fase fu la macchina a vapore che, convertendo calore in lavoro, mise a disposizione dell’uomo
una nuova e quasi illimitata provvista di energia. La sua conseguente applicazione nei
trasporti e nella produzione industriale non derivò da nuove scoperte scientifiche, ma fu il
frutto delle intuizioni e delle abilità empiriche di tecnici brillanti che, sebbene fossero privi di
una formazione scientifica vera e propria, erano permeati da una mentalità scientifica basata
sull’interpretazione meccanicistica dei fenomeni naturali, sulla misurazione sperimentale e
sull’analisi e soluzione dei problemi tecnici. La macchina a vapore di James Watt costituì il
primo esempio storico di “tecnologia di portata generale”; utilizzata inizialmente per il
pompaggio dell’acqua dalle miniere di carbone, si diffuse successivamente ad altri settori, in
particolare nella manifattura tessile e nell’industria del ferro. Fu nell’industria del cotone che
per la prima volta fu possibile introdurre la meccanizzazione e con essa la concentrazione
della produzione nelle fabbriche. Il processo di introduzione delle maggiori innovazioni seguì
una sequenza che Landes chiama a “botta e risposta”, in cui l’accelerazione di una fase del
processo di fabbricazione sottoponeva a un grosso sforzo i fattori di una o più altre fasi,
suscitando in tal modo innovazioni per correggere lo squilibrio. Fu così che la difficoltà di
reperire filo da parte dei tessitori, la cui produttività era enormemente aumentata grazie alla
famosa “navetta volante” di Kay (1733), fu risolta grazie all’introduzione di vari tipi di filatoi
meccanici, perfezionati da Heargraves, Arkwright e Crompton tra il 1765 e il 1780.
14
Landes D. (1993), op. cit.
15
Anche la siderurgia visse una sequenza di sviluppi simile a quella dell’industria tessile: con il
diffondersi della fusione a coke si posero nuovi problemi per l’affinazione che vennero
notevolmente ridimensionati grazie alla combinazione delle tecniche di puddellaggio e
laminatura di Cort (1774)
15
. I miglioramenti di produttività dei nuovi grandi laminatoi e la
conseguente drastica diminuzione dei prezzi del ferro uniti alla considerevole quantità di
energia resa disponibile dal vapore aprirono straordinarie opportunità per l’industria dei
trasporti. Verso la metà del XIX secolo il sistema dei trasporti fluviali sia dell’Inghilterra che
dei paesi continentali dotati di estesi sistemi di canali era stato rivoluzionato dalla diffusione
dei battelli a vapore. Mentre l’affermazione della propulsione a vapore fu estremamente lenta
nella navigazione a lunga distanza, essa ebbe un impatto decisivo per la diffusione del
trasporto ferroviario, il quale fu attivamente promosso attraverso investimenti e sovvenzioni
pubbliche. Le strade ferrate e la locomotiva a vapore perfezionata da Stephenson diventarono
il simbolo della rivoluzione industriale dell’Ottocento non soltanto per l’enorme aumento di
efficienza assicurato ai trasporti terrestri, ma anche per la profonda trasformazione dello
spazio e del tempo.
Uno dei più profondi apporti delle innovazioni tecnologiche sopra descritte riguardò infatti il
radicale mutamento dell’organizzazione della produzione, ossia la concentrazione dei
lavoratori e dei macchinari in uno stesso luogo, per compiervi il loro lavoro sotto sorveglianza
e secondo una certa disciplina. L’affermazione del sistema di fabbrica sui sistemi
organizzativi preindustriali dell’artigianato urbano e dell’industria rurale a domicilio trova
spiegazione principalmente sulla base di tre fattori: vincoli tecnologici, incrementi di
efficienza e strategie di controllo sui lavoratori. Il fattore tecnologico fu importante
soprattutto nel settore tessile e in quello metallurgico dove la necessità di disporre di un’unica
fonte di energia termica o idraulica promosse lo sviluppo di unità produttive di grosse
dimensioni. Inoltre, un sistema di produzione centralizzato consentiva agli imprenditori di
realizzare quei sostanziali guadagni di efficienza necessari a rispondere alla rapida espansione
dei mercati e di migliorare il coordinamento tra le varie fasi di produzione. Non meno
importante fu il contributo che il nuovo sistema fornì agli imprenditori nel controllare e
disciplinare più efficacemente i lavoratori, sia riducendo le appropriazioni di materie prime
tipiche delle industrie a domicilio, sia sorvegliando da vicino l’intensità e la regolarità del
lavoro prestato e la qualità degli articoli prodotti
16
. La diffusione del nuovo sistema non
implicò naturalmente l’esclusione di quello precedente, ma furono proprio le esigenze del
15
Landes D. (1993), op. cit.
16
Battilossi S. (2002), op. cit.