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INTRODUZIONE
Un prodotto od una tecnologia possono essere imitati, la marca no. L’alchimia della
marca come fenomenologia di moltiplicatore del valore è una risorsa immateriale preziosa,
è un sistema di simboli e significati intrinseci ed inscindibili del prodotto.
L’uomo da sempre ha desiderato misurare il valore delle cose proprie e tale desiderio si è
esteso anche ai marchi.
Il valore della marca non può essere visto né tanto meno interpretato come elemento
unico, poiché rappresentando il potenziale generativo della marca – cioè la sua capacità di
accrescere il patrimonio aziendale intangibile, generare valore economico, rafforzare le
relazioni tra l’impresa e le differenti categorie di stakeholder, agevolare la produzione di
un contesto coerente con le finalità di sviluppo che l'impresa si è data -è da intendersi
come linfa vitale del sistema d’impresa determinato dall’ effetto sinergico di diversi beni
tangibili ed intangibili e dalla loro gestione.
E’ un concetto-soggetto molteplice e dinamico che si definisce e trasforma costantemente
nel corso del tempo.
La brand equity, è quindi l’espressione sintetica ed unitaria del valore dell’ offerta agli
occhi del consumatore, il quale considera tutte le variabili percepibili del prodotto (da
quando il bene viene realizzato a quando viene consumato) e contemporaneamente, dal
punto di vista dell’impresa, rappresenta il valore economico dei risultati delle politiche di
marketing da essa stessa poste in essere ed orientate al mercato.
E’ la traduzione in termini di valore della somma dei processi interattivi che coinvolgono
sia l’impresa che il consumatore, è il frutto di una costante ricerca di buona reputazione
intesa come rappresentazione collettiva delle azioni passate e delle prospettive future di
un’impresa che, utilizzando le proprie risorse critiche, tenta di raggiungere come obiettivo
quello di soddisfare le aspettative dei propri clienti.
Gli indicatori della brand equty sono molteplici come i fattori economico-finanziari, la
qualità percepita multidimensionale, il livello di customer satisfaction e retention (acquisti
ripetuti), un certo premium price (cioè la possibilità di vendere con margini premianti
rispetto ai concorrenti), la diffusione delle reti distributive, la qualità del managment , la
capacità di essere sostenuta dagli influenzatori di settore che seguono una strada che avrà
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come direzione lo sviluppo del valore della marca e come traguardo l’ individuazione di
associazioni che siano in grado di aggiungere valore al prodotto.
La scelta delle associazioni (create da un qualunque riferimento tangibile-intangibile del
prodotto stesso) comporta il posizionamento e solitamente la conseguente segmentazione a
cui è associato il bene preso in esame.
Individuate le associazioni da sviluppare, si procede con la creazione delle stesse, come si
vedrà nella parte terza di questo elaborato.
La misurazione della brand equity pur derivando da azioni coerenti di Marketing
Relazionale o misurazioni effettuate sia presso il largo pubblico che i propri pubblici di
riferimento, partendo dai collaboratori interni, passando per partners esterni (come i
rivenditori ed i fornitori), sino ad arrivare ai portatori d’interessi ed influenzatori
(stakeolder), percorre dei sentieri multidimensionali, nel senso che è ben accetto l’utilizzo
di criteri relativi e non sempre “matematici”.
Di fondamentale importanza nella misurazione del valore della marca è il fatto che questa
deve permettere di quantificare sia lo stato delle sue componenti cognitive – o in via
diretta mediante la rilevazione della brand awarness, della brand image e della brand
identity, o in via indiretta ricorrendo all’utilizzo di un sistema di indicatori di potere della
marca sul piano competitivo- che di stimare le variazioni del valore economico della
marca stessa che concorrono alla progressiva attivazione dei potenziali di differenziazione,
di diffusività e di apprendimento.
Per quantificare il valore della marca, si dovrà avere una profonda e viscerale
comprensione di ciò che significa il marchio per il consumatore: la sua familiarità, la
conoscenza (definendo i tratti del filo conduttore che guiderà le scelte aziendali nella
conoscenza del marchio tra i consumatori) e si dovranno analizzare tutti i punti di
equivalenza e di sperequazione rispetto ai concorrenti, poiché la forza del marchio risiede
nella mente del consumatore stesso.
Infatti nell’epoca di espansione economica di cui siamo protagonisti e spettatori, si passa
da un mercato incentrato sulle merci standardizzate, ad uno in cui la marca diventa
protagonista indiscussa, in quanto strumento di differenziazione e segno distintivo di un
prodotto.
Quindi mentre la tradizione della teoria economica vede il valore della merce direttamente
proporzionale alla sua rarità, il valore della marca aumenta all’ aumentare della sua
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diffusione, ed è particolarmente elevato in quei prodotti che riescono a rassicurare il
cliente e permettono un premium price. Per sostenere e far crescere tale valore, si necessita
sia d’investimenti d’immagine e comunicazione sia di una continua coerenza tra qualità e
performance promesse implicitamente rispetto a quelle realizzate effettivamente.
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CAPITOLO I . EVOLUZIONE DEL CONTESTO CMPETITIVO DELLE IMPRESE E
RUOLO DELLA MARCA IN UNA PROSPETTIVA CUSTOMER-BASED
1.1 Una definizione di marca
La firma? Un richiamo irresistibile, come le merci che identifica. Perché rassicura ed evoca uno
stile di vita, facendoci sognare.
“Al giorno d’oggi sarebbe semplicemente impensabile lanciare sul mercato un prodotto senza
nome e soprattutto senza personalità. Esso sarebbe un prodotto trasparente, per così dire
invisibile, in ragione tanto della debolezza della sua voce, che della voce dei suoi concorrenti
“
1
.
Per marca s’intende un insieme di elementi immateriali e materiali che mirano ad identificare il
bene od il servizio offerto da un venditore con lo scopo di differenziarli rispetto ai concorrenti.
Le imprese, infatti, contrassegnando i propri prodotti, forniscono agli acquirenti uno strumento
utile per riconoscere e per specificare ciò che i clienti stessi desiderano riacquistare o
raccomandare agli altri. Quindi la marca (che si distingue in brand mark, parte riconoscibile ma
non pronunciabile e brand name, parte vocabolizzata e per tanto esprimibile a parole) permette
di evitare che il prodotto in questione diventi un bene generico, acquistato semplicemente sulla
base di forze di mercato operanti in un determinato momento.
Proprio per questo motivo, l’uso delle marca da parte delle aziende si è esteso
considerevolmente nel corso del tempo e basti pensare che già dall’epoca pre-industriale gli
artigiani, col fine di evidenziare il legame tra prodotto e produttore, utilizzavano un marchio, un
segno distintivo che li legasse a loro ed anche nel medioevo (soprattutto in Europa con il
proliferare delle corporazioni) si solevano usare dei marchi che identificassero i beni sia per
garantire ai consumatori l’origine del prodotto, che per proteggere legalmente i produttori
stessi, fino ad arrivare alla rivoluzione industriale durante la quale si assistette alla “scomparsa”
della maggior parte degli artigiani o comunque alla loro inglobazione nelle moderne fabbriche,
che grazie ad una produzione centralizzata ed all’ ausilio delle macchine, svilupparono un
processo produttivo standardizzato che rendeva tutte le merci simili agli occhi dei consumatori
e proprio per questo motivo, fu avvertita ancora di più l’esigenza di creare un nuovo legame tra
1
Semprini , 1993
11
produttore e cliente… il vecchio simbolo distintivo dell’artigiano assumeva le sembianze della
moderna marca, tanto che nell’epoca dell’espansione economica della seconda metà del
novecento, si passa da un mercato incentrato sulle merci standardizzate, ad uno in cui la marca
si trasforma nel perno principale diventando lo strumento di differenziazione e segno distintivo
del prodotto.
Tutto ciò ha portato alla nascita di una vera e propria “attività di creazione delle marche” che
prende il nome di branding basata sulla ricerca e mantenimento del mix di valori sia tangibili
che non, di rilievo per i consumatori e che permettono una distinzione significativa della marca
di un ‘ impresa rispetto a quella di un’altra.
Questo perché la marca possiede la capacità di aggiungere valore ad un prodotto ed in
particolare, se solidamente affermata, ha un “capitale d’ immagine”
2
che si traduce in un elevato
grado di fiducia e di fedeltà da parte del consumatore.
La marca riveste un ruolo di particolare prestigio nei mercati al consumo essendo un elemento
di fondamentale importanza nei meccanismi di comunicazione tra domanda ed offerta, ed è
perciò il presupposto per lo sviluppo di un contatto diretto con il consumatore.
Rappresenta la premessa per poter comunicare ai consumatori l’esistenza di nuovi prodotti ed
informarli sulle loro caratteristiche distintive e la sua diffusione ha determinato lo sviluppo
della tecnica del libero servizio infatti, grazie alla marca, non è più indispensabile che i
distributori forniscano particolari informazioni circa i prodotti, poiché è la stessa a
“prevendere” il bene o servizio. Infatti la marca gioca un ruolo fondamentale nel segnalare
determinate caratteristiche del bene ai consumatori, tanto che esistono tre processi di
assegnazione di attributi e benefici ai prodotti
3
:
- benefici ed attributi rilevabili attraverso la ricerca, verranno ricavati dalla diretta analisi
di colore, peso e stile ;
- benefici ed attributi derivanti dall’esperienza, come la qualità del servizio, la durata ,la
facilità di utilizzo di un prodotto… avere un’esperienza con questo ;
- benefici ed attributi a cui bisogna credere, sono difficilmente comprensibili in un
prodotto, come per esempio la copertura assicurativa.
2
Kotler Scott, 1998
3
Nelson Philip,”Information and Consumer-Brands Relationships”, 1966
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E’ una delle più significative risorse di fiducia che alimenta e rende duratura l’interazione tra i
soggetti interessati e l’azienda. Ma la possibilità di relazione della marca verso gli altri soggetti
deriva dalla capacità di riuscire ad aggregare intorno ad essa un complesso di associazioni,
percezioni ed opinioni che attribuiscano un valore ad un prodotto che superi quello legato alla
performance tecnica funzionale.
Un ben riuscito effetto logo-valori sembra trasformare qualsiasi merce in oro, riuscendo ad
influenzare la clientela molto di più di quanto si possa immaginare od ammettere: “un prodotto
od una tecnologia possono essere imitati, la marca no”
4
, infatti chiunque potrebbe produrre –
per esempio – un orologio, ma l’importante è far si che questa cosa sia di più di un oggetto per
conoscere l’orario… oggi il consumatore ha già tutto quello che serve, quindi il suo impulso per
comprare deve scaturire dal valore simbolico più che dall’utilità del bene stesso, ciò che compra
deve essere qualcosa legato alla sua personalità od al proprio stile di vita.
“Non si tratta solo di sfoggiare un costoso status symbol griffato, con un prodotto di marca ci si
può sentire creativi, sportivi, alla moda, avventurosi, ecologisti… dipende dal pacchetto di
valori e significati legato alla marca, che le aziende creano e diffondono”
5
.
Le componenti fondamentali della marca sono tre:
- gli elementi che devono farla riconoscere (nome, logo, motivo musicale, colore, slogan
pubblicitario… ) ;
- l’immaginario legato alla marca, cioè le associazioni mentali ed emotive cha la
percezione di questi elementi suscita ;
- la garanzia di un certo livello di qualità se vuole durare nel tempo e generare fiducia nei
clienti (soprattutto se il prodotto in questione è particolarmente costoso).
La marca e la sua etichetta di valori e di significati ha poi il suo bersaglio, ed in una società
sempre più segmentata non si punta tanto a categorie generali (come “i giovani”) ma a chi è
accomunato da gusti, stili di vita, cultura, sensibilità.
Quest’ultima, intesa come fattore d’ importanza nelle scelte di acquisto, dipende da diverse
componenti che variano dalla cultura all’età, senza dimenticare che segue anche la moda
dell’epoca (come per esempio negli anni ottanta il fenomeno dei “paninari”).
4
Busacca Bruno, 2007
5
Busacca Bruno, 2007
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Il brand deve individuare le caratteristiche del suo consumatore, utilizzare il suo linguaggio e
scegliere il canale migliore per poterlo raggiungere. Proprio per questi motivi si utilizzano
sempre più frequentemente strategie di coinvolgimento dei consumatori, per esempio creando
community, offrendo confezioni personalizzate, raccogliendo e dando informazioni… ciò
perché non per tutti e non per tutto la marca conta allo stesso modo ed in particolare, per i
prodotti su cui non si effettua alcun investimento emotivo, la marca assume un valore
marginale, contando di meno e portando il consumatore a scegliere sulla sola e semplice base
del prezzo.
Con l’avvento della marca le dinamiche competitive delle imprese moderne hanno assunto
nuove peculiarità.
1.2 Evoluzione del contesto competitivo
Col passare del tempo, dell’avanzamento tecnologico e dei processi e col progressivo
mutamento dei bisogni da soddisfare, assistiamo ad un naturale cambiamento del contesto
competitivo. Di seguito, sono illustrate tre tappe ritenute fondamentali.
1.2.1 La globalizzazione
Consiste nell’integrazione di economie nazionali nell’economia internazionale attraverso gli
scambi commerciali, gli investimenti diretti esteri, i flussi di capitale a breve termine, i flussi
internazionali di lavoratori e di persone in genere, e i flussi di tecnologia.
La “moda” della globalizzazione è emersa dopo la fine della Guerra Fredda. Nei primi tempi è
stata collegata a un’ideologia centrata sull’inevitabile avvento di un nuovo ordine mondiale
basato sul sistema occidentale. Da questa idea originaria sono partite anche le forme più
accese di contestazione della stessa. I no-global hanno criticato gli aspetti commerciali,
finanziari, culturali, sociali, ambientali del fenomeno, in modo unilaterale ed estremista.
Non hanno distinto tra la globalizzazione del commercio, che ha conseguenze positive
per tutti gli attori in gioco, e quella della finanza, realizzata con la liberalizzazione forzata dei
flussi di capitale, che invece non è positiva. La globalizzazione non è sempre un toccasana
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contro la povertà: lo è se favorisce gli scambi commerciali e la crescita economica, ma
funziona quando le economie sono aperte e non iperspecializzate. L’Estremo Oriente ha
ridotto la povertà e aumentato l’occupazione seguendo coerenti politiche di
apertura commerciale, l’India invece, non è riuscita a decollare fino a che è rimasta legata ad
un sistema autarchico. Un’eccessiva specializzazione settoriale delle esportazioni può, però,
tradursi in una crescita immediata seguita da un impoverimento di medio termine,
perché esportando quantità enormi di beni, si rischia d’intasare il mercato, far crollare il
prezzo, far perdere valore aggiunto e impoverire l’economia.
Il paradosso della crescita che provoca aumento di povertà è uno degli argomenti che
inducono a ritenere migliori le politiche che cercano di guidare lo sviluppo a un ritmo
equilibrato senza accelerare troppo. Le conseguenze della globalizzazione, tuttavia, non sono
sempre così paradossali. I fatti dimostrano che in molti casi contribuisce a raggiungere risultati
significativi su alcuni temi importanti: la riduzione del lavoro minorile, il miglioramento della
condizione delle donne, la qualità della vita democratica, la tenuta della cultura tradizionale, lo
sviluppo degli standard di lavoro, la salvaguardia dell’ambiente.
Se è vero che lo sviluppo provoca rischi in certe fasi, in generale ha effetti positivi, perché nel
medio termine conduce alla maturazione di esigenze più sofisticate anche dal punto di vista dei
diritti sociali e della qualità ambientale.
1.2.2 L’ipercompetizione
E' iniziata per l'economia una nuova fase di cambiamento, un nuovo cammino che spinge
l'impresa a transitare dall'era della competizione all'era dell'immaginazione.
In questa nuova era sopravviveranno le imprese che avranno dimostrato di saper anticipare le
conseguenze dei cambiamenti economici in atto e che avranno appreso l'arte della
“coevoluzione”. L’ipercompetizione è un ambiente caratterizzato da azioni competitive intense
e veloci, in cui i concorrenti devono muoversi rapidamente per costruire i propri vantaggi e per
intaccare quelli degli avversari. Questa situazione accelera le interazioni strategiche dinamiche
tra i concorrenti
6
”. Il presupposto dell’ipercompetizione è, infatti, quello per cui l’impresa
preferisca “autoannullare” il proprio vantaggio competitivo piuttosto che lasciare spazio ai
6
D’Aveni Richard, 1994
15
rivali. Tale fenomeno si concretizza nel lancio continuo di nuovi prodotti, nello sviluppo di
nuove proposte commerciali, nell’ampliamento continuo dell’offerta dell’impresa… il tutto
derivante dalla ristrutturazione e riconversione di molte imprese, dalla privatizzazione di molti
settori un tempo riservati alle organizzazioni pubbliche ed allo Stato, alla deregulation, alla
competizione globale, al progresso tecnologico costante ed alla domanda, che in molti settori
emerge e svanisce rapidamente. Le immediate conseguenze di tutto ciò sono che:
- il ciclo di vita del prodotto si riduce inevitabilmente, incidendo soprattutto sulla fase di
maturità dello stesso, generatrice di flussi di cassa positivi
7
;
Tabella 1. Ciclo di vita del prodotto.
- si crea un certo livello di turbolenza ambientale con fenomeni difficilmente prevedibili,
di rapida manifestazione e di rara intensità ;
7
Schema di A.Bubbio, 2000
INTRODUZIONE SVILUPPO MATURITÀ DECLINO
tempo
ricavi di
vendita imprese
/consumi
16
- le imprese saranno caratterizzate da maggiori pressioni competitive dovute al
modificarsi di una o più delle cinque forze competitive
8
.
Tabella 2. Schema delle cinque forze competitive.
Quindi i rischi dell’ipercompetizione sono legati alla redditività, perché gli investimenti in
sviluppo non sono compensati da ritorni solitamente generati durante la fase di maturità del
ciclo di vita del prodotto; all’offerta dell’impresa, che si allontana progressivamente dal
mercato diventando troppo complessa e non facilmente intelligibile al consumatore/cliente
medio ed infine, diventando una logica d’impresa, potrebbe inquinarne i valori ed auto
generarsi nei comportamenti, anche quando non sia necessario.
Proprio per sfuggire ai rischi dell’ipercompetizione, della riduzione dei margini e delle minori
prospettive di crescita, alcune imprese ricercano business contigui o contendibili, così facendo
diventano promotrici di fenomeni di convergenza (non necessariamente basati sulla ricerca di
uniformità tecnologiche) ed il successo sarà maggiormente ascrivibile al possesso di qualità a-
settoriali. Ciò che quindi un’impresa deve attuare per essere vincente in un ambiente
ipercompetitivo sono le “Sette S
9
”:
8
Schema di A.Bubbio, 2000
9
A.Bubbio, 2000
clienti
nuovi entranti
fornitori
imprese che offrono
prodotti sostitutivi
concorrenti
M ME ER RC CA AT TI I