strutturale nell’identità aziendale, che sintetizza lo schema valoriale alla base dell’attività
d’impresa. Il tipo di identità che la società costruisce e trasmette, si riflette in una
costruzione di natura socio-cognitiva data dal “valore percepito” dell’impresa da parte dei
suoi stakeholder, non necessariamente corrispondente al “valore reale”. L’attivazione di
processi di comunicazione efficaci ed efficienti che valorizzino la componente emozionale
può infatti creare un sostanziale divario tra questi due elementi, incrementando la
percezione qualitativa dell’impresa senza che vi sia una veritiera corrispondenza con la
capacità dell’organizzazione di creare valore reputazionale sulla base delle sue
componenti. Per questa ragione, dopo aver chiarito le motivazioni che spingono ad una
trattazione separata della reputazione aziendale nelle banche, ovvero per l’importanza della
componente fiduciaria, si presenta la reputazione come risultanza di una serie di variabili
tra cui la solvibilità.
1
Si nota quindi la difficoltà di valutazione della solvibilità bancaria in
un contesto di asimmetria informativa da cui è ragionevole richiamare l’importanza della
trasparenza e della veridicità delle informazioni. In questo ambito, si anticipano i problemi
relativi a conflitti d’interessi e comportamenti opportunistici del tipico rapporto di agenzia,
con l’intenzione di approfondirli, per la generalità delle imprese, nel corso della
trattazione, poiché si associano al tema della corporate governance. È proprio l’eventualità
di carenze informative presso i datori di fondi, l’elemento che può spiegare il
coinvolgimento di banche solvibili nelle crisi. Ciò motiva l’importanza della liquidità e
dell’intervento delle Autorità di Vigilanza fra gli elementi costituitivi della reputazione.
Per quanto attiene il rischio reputazionale, si evidenzia la mancanza di una definizione
univoca e la necessità di adottare un criterio di definizione che contestualizzi il rischio
reputazionale attraverso una sufficiente delimitazione dei suoi confini rispetto al rischio
generico d’impresa, al rischio strategico nonché al rischio operativo, legale e di
compliance. Si illustra quindi in quale misura la gestione del rischio reputazionale possa
considerarsi un fattore di una adeguata strategia organizzativa e gestionale, pur
differenziandosi per una natura specifica, per determinati fattori causali nonché, di
conseguenza, per gli effetti prodotti e la tipologia di gestione, evidenziandone le peculiarità
rispetto ai rischi finanziari.
La caratterizzazione dei rischio reputazionale si completa con l’individuazione dei
fattori di rischio originati, dati dal rischio operativo, da quello legale e da quello strategico.
Questo risultato è avvalorato dalle proposte del Comitato di Basilea il quale, nella
1
Adattamento da Schena C., p. 21.
4
definizione del rischio operativo, esclude sia il rischio strategico che di reputazione. Il
Comitato precisa inoltre che il rischio reputazionale deriva da eventi di perdita operativa e
di mancata compliance, sia rispetto alla regolamentazione obbligatoria, sia di altre fonti.
Partendo da questa considerazione, il presente lavoro si propone di dimostrare che per la
vastità del tema, nonché per la trasversalità degli effetti reputazionali, il rischio
reputazionale possa inquadrarsi in una dimensione più ampia, comprensibile alla luce del
confronto tra compliance risk e operational risk del Comitato di Basilea. Si delineano
dunque gli elementi comuni ai due rischi e il loro legame con quello reputazionale:
riprendendo l’enucleazione dei fattori originari di rischio reputazionale, lo si colloca come
un rischio di “secondo impatto” del rischio operativo, il quale, in ultima istanza, origina da
un’insufficiente compliance.
In questo percorso d’analisi, una trattazione sintetica è dedicata al rischio reputazionale
nell’ottica ambientale; il rischio reputazionale viene assunto come uno dei tre tipi di rischio
ambientale e, per questa ragione, si passano brevemente in rassegna i principali strumenti
di comunicazione della gestione (eco-audit, eco-label, bilancio ambientale..).
Si riprende quindi la trattazione dall’analisi delle variabili reputazionali, ritenute
fondamentali affinché il rischio originario possa trasformarsi in reputazionale.
2
La validità
delle variabili reputazionali date dall’ambiente pubblico, dai processi di comunicazione e
dalla visibilità del marchio è però limitata, a nostro avviso, alle sole dinamiche relazionali
di breve periodo tra l’impresa e gli stakeholder. Alla luce di questa interpretazione, si
approfondisce l’analisi focalizzandosi sull’individuazione dei driver di rischio
reputazionale. Dal momento che essi sono strettamente riferibili all’ottimizzazione delle
componenti della reputazione, rappresentano gli elementi su cui concentrare lo sforzo
gestionale di tipo strategico - organizzativo, allo scopo di incrementare la reputazione. Si
individuano quindi i driver nella performance finanziaria e negli investimenti di lungo
termine, nella bontà della corporate governance, nella CSR nonché nella gestione della
compliance e dei rapporti con i clienti. In questo approccio, è di immediata comprensione
ritrovare il filo conduttore relativo alla corretta gestione del rischio di compliance e i fattori
che influenzano quello reputazionale. Infine, si illustrano gli effetti del rischio
reputazionale, precisando che da esso non derivano solo possibile perdite, ma anche
opportunità di profitto, se correttamente gestito.
2
Adattamento da Gabbi G. (2004), p. 8.
5
Nel secondo capitolo si riprendono brevemente i contributi della letteratura economica
sulla teoria delle scelte reputazionali. In particolare ci si concentra sull’applicazione dei
modelli della teoria dei giochi allo scopo di offrire una spiegazione dei meccanismi logici e
della dinamica che presiede alle scelte economiche degli agenti anche se, tuttavia, questo
aspetto dell’analisi non supporta il processo di misurazione.
Per questa ragione, nel terzo capitolo ci si focalizza sui criteri seguiti nel processo di
misurazione, sia in ordine alla valutazione della reputazione aziendale, sia in ordine alla
possibilità di stimare gli effetti del rischio reputazionale. L’analisi dei tentativi di
misurazione finora proposti si pone l’obiettivo di ottimizzare l’allocazione efficiente delle
risorse e consente di accettare meno acriticamente l’esclusione del rischio reputazionale
dall’ottica di adeguatezza patrimoniale di Basilea 2.
Fra i criteri di valutazione della reputazione ci si sofferma sulla procedura di
quantificazione del Reputation Quotient e del Reputation Index. Entrambi determinano la
reputazione dalla valutazione interna di fattori non quantitativi; la loro descrizione è
motivata dalla capacità di questi indici di cogliere il valore della reputazione nella qualità
dell’interazione con i portatori di interessi. Il loro utilizzo si inserisce in un’ottica
preventiva che li qualifica come strumenti di misurazione a supporto della minimizzazione
delle cause di rischio reputazionale. Con questo stesso scopo, si suggerisce quindi l’uso di
modelli analitici di performance aziendali che integrano misure finanziarie e non; in
particolare, si enfatizza l’utilità della balanced scorecard nel confrontare la pianificazione
strategica ed i risultati, sulla base delle attese degli stakeholder. La validità dello strumento
è rafforzata dalla possibilità di integrare l’ulteriore prospettiva relativa alla responsabilità
sociale ed ambientale.
Per quanto attiene alla valutazione degli effetti del rischio reputazionale, l’analisi si
focalizza sul processo di misurazione della perdita reputazionale, esaminando la reazione
della quotazione azionaria all’annuncio di perdita operativa; si stima quindi la perdita
attesa come risultato della probabilità di manifestazione dell’evento originario, della
probabilità della variabile reputazionale e della percentuale attesa di perdita nel caso di
danno reputazionale, giungendo, al termine di questo percorso, al calcolo del VaR
reputazionale.
Questi studi si propongono di dimostrare che le perdite operative producono notevoli
conseguenze reputazionali e indicano che la diversità nelle strutture di governance sia
6
correlata alla natura del danno e alla dimensione delle conseguenze reputazionali. Tuttavia,
tali metodi di misurazione non risultano privi di limiti a causa dell’assenza di serie storiche
affidabili e della difficile traduzione numerica della percezione di rischio. A queste lacune
statistiche si aggiunga che, per la trasversalità della sua natura, appare poco coerente dal
punto di vista logico procedere alla misurazione del VaR reputazionale. Per queste ragioni,
si concorda con quanti trovano eccessivo il calcolo del VaR reputazionale, preferendo
tecniche gestionali.
Nel capitolo conclusivo si riconducono ad una trattazione unitaria le implicazioni delle
diverse problematiche emerse nel corso del lavoro. Esso si compone di due parti distinte:
nella prima sezione si indaga il processo di gestione della crisi, sottolineando la centralità
della comunicazione verso gli stakeholder e il bisogno di una pianificazione strategica
della risposta. Nel secondo paragrafo si propone uno schema di gestione integrata del
rischio reputazionale. Ci si sposta in un contesto di transizione, dall’ottica regolamentare di
adeguatezza patrimoniale, prevista dal Comitato di Basilea 2 per gli altri rischi, a un
approccio di tipo strategico- organizzativo.
La gestione del rischio reputazionale trova il suo punto di partenza nell’identificazione
degli stakeholder cruciali e, in particolare, nella verifica dello scollamento fra il livello di
rischio assunto dalla società e le istanze dei portatori di interessi.
3
Ciò consente di
perfezionare l’impostazione strategica e migliorare la comunicazione, motivando la
costruzione di una governance ampia, capace di garantire la molteplicità delle istanze che
convergono nell’impresa. In questo contesto, il lavoro affronta brevemente i due modelli
più diffusi in merito alla tutela degli interessi: l’approccio “shareholder value” e quello
“stakeholder value”. Si indagano i problemi dai quali ha origine la corporate governance,
ovvero la risoluzione del rapporto proprietà- controllo che sintetizza la natura del conflitto
tra manager e azionisti e tra azionisti di maggioranza e minoranza. Una trattazione separata
è riservata ad illustrare le caratteristiche di governance per le banche, la peculiarità della
quale è giustificata dalla fornitura di un’attività multiservizio e dai possibili conflitti di
interesse.
Queste osservazioni avvalorano la scelta di perseguire un approccio di gestione del
rischio reputazionale dal punto di vista organizzativo ed in particolare a mettere in luce la
recente evoluzione dei processi di risk management verso l’ERM (Enterprise Risk
3
Rayner J. (2003), Managing Reputational Risk. Curbing Threats, Leveraging Opportunities, New York,
Wiley & Sons, p. 12.
7
Management), la cui utilità nella gestione del rischio è rafforzata dall’esigenza di
coordinarvi un adeguato assetto di governance che combini economicità ed etica nelle
scelte aziendali. In questo ambito, la gestione del rischio reputazionale trova un ulteriore
contributo in un’efficace ed efficiente programma di compliance che, superando il rispetto
delle prescrizioni regolamentari, si connoti per un continuo self-assessment teso a
verificare il livello di coerenza tra business practices e principi di governance.
Nell’accezione proposta, la compliance, che rappresenta una componente integrante di una
buona cultura aziendale, si connota per un’ulteriore evoluzione verso la scelta del rispetto
dei fondamenti etici, quale base fondamentale del processo di decision-making quotidiano.
Un programma strutturato di aderenza alle normative esterne ed interne, rafforzato da una
effettiva e volontaria cultura etica, crea valore e costituisce un valido apporto alla
soddisfazione delle attese sociali.
Alla cultura della compliance si aggiunge una cultura dei controlli interni definita su
responsabilità specifiche e separatezza di funzioni. L’importanza del sistema dei controlli
interni emerge dalle finalità di miglioramento dell’efficienza e dell’economicità gestionale
che esso si pone, informando l’Alta direzione delle criticità emerse a livello operativo-
procedurale e consentendo l’attivazione di un meccanismo di feed-back agli stimoli interni
ed esterni.
4
La sua integrazione potenzia la capacità intrinseca dell’attività di ERM nel
gestire il problema di compliance, “valutando l’adeguatezza e l’effettività di tale
funzione”.
5
L’analisi si conclude con un riferimento alla Corporate Social Responsability (CSR).
Essa si configura come una responsabilità verso un comportamento che, andando oltre la
compliance normativa esterna ed interna e trovando motivazione nelle aspettative etiche, si
caratterizzi per una internalizzazione volontaria e consapevole delle pratiche gestionali
relative alla dimensione socio-ambientale.
6
La CSR viene intesa come una strategia di
governance allargata
7
che, senza snaturare il fine imprenditoriale della ricerca del profitto,
lo collochi all’interno di un difficile ma auspicabile contemperamento volontario di tutti gli
4
Adattamento da Arlotta C. (2004), p. 152.
5
Basel Commitee on Banking Supervision (2005), Compliance and the compliance function in banks,
April, p. 15.
6
Adattamento da Perrini F. (2006), La responsabilità d’impresa dalla collana “Management”, n. 10,
Università Bocconi Editrice, p. 507
7
AA.VV. (2004), Linee guida operative sulla responsabilità sociale d’impresa in banca, ABI, p. 17.
8
interessi sociali.
8
Questa rilettura del business si propone come criterio-guida nella
gestione del rapporto con gli stakeholder, finalizzandolo alla creazione di valore di lungo
termine e al consolidamento di una robusta reputazione aziendale.
8
“La CSR non rinnega la massimizzazione del profitto, ma inserisce questo criterio guida in una più
ampia cornice di obiettivi di tipo economico, sociale e ambientale, che includono la massimizzazione del
valore creato per tutti gli stakeholder sotto il vincolo del rispetto degli obblighi fiduciari verso tutti gli
stakeholder, e non solo verso gli azionisti.” AA.VV. (2004), Linee guida operative sulla responsabilità
sociale d’impresa in banca, ABI, p. 18.
9
1. LA REPUTAZIONE AZIENDALE: le problematiche
definitorie e le criticità per le banche
1.1 LA REPUTAZIONE AZIENDALE
La reputazione aziendale è un argomento complesso e trasversale alle problematiche
d’impresa. Alla luce dell’importanza degli eventi che hanno recentemente coinvolto
numerose organizzazioni aziendali, si è accresciuto l’interesse economico ed
imprenditoriale verso questo argomento. Le tematiche attinenti alla reputazione sono state
indagate da approcci teorici diversi, che si sono focalizzati su molteplici aspetti del
fenomeno reputazionale: visione economica, strategica, organizzativa, del marketing,
sociologica e contabile.
9
In questo paragrafo, ci proponiamo di analizzare brevemente i differenti contributi
teorici per dimostrare la multidisciplinarietà dell’argomento e la correlata vastità
concettuale.
Particolarmente interessante appare, ai fini dell’analisi, la visione economica:
nell’ambito della teoria dei giochi, la reputazione costituisce l’elemento di differenziazione
tra diverse tipologie d’impresa, il cui comportamento strategico si può indagare tramite la
teoria della reputazione. “La reputazione è, in questo senso, funzionale: genera tra
dipendenti, clienti, investitori, concorrenti e la comunità in genere, percezioni relative alla
società, stabilendo iterazioni tra questa ed il suo pubblico”.
10
Per esempio, la fiducia che i
consumatori ripongono nella società può trovare, almeno in prima approssimazione, una
spiegazione considerando che “essi hanno minori informazioni rispetto ai manager circa il
commitment della società nel fornire prodotti con determinate caratteristiche in termini di
qualità e sicurezza”.
11
Questa osservazione spiega con immediatezza gli studi che in
letteratura individuano la reputazione come segnale informativo e sostengono la possibilità
di un suo impiego strategico: “quando la qualità dei prodotti o dei servizi non è
direttamente osservabile, i produttori investono nella costruzione della reputazione per
9
Fombrum C., Van Riel C. (1996), The Reputational Landscape, “Corporate Reputation Review”, vol. 1,
No. 1-2, p. 5.
10
Fombrum C., Van Riel C. (1996), p. 6.
11
Grossman S., Stiglitz J. (1980), On the impossibility of informationally efficient markets, in “American
Economic Review”, n. 70, pp. 393-408 in Fombrum C., Van Riel C. (1996), p. 6.
10
segnalare la loro qualità, applicando un premium price e generando ripetizione
all’acquisto.”
12
Questa visione ha concorso ad estendere gli studi in campo strategico, nei quali la
reputazione viene valutata come asset e come barriera alla mobilità.
13
Una solida
reputazione rappresenta un elemento difficile da replicare in quanto si basa sulla continuità
di relazioni tra la società e i suoi stakeholder. Per questa ragione, la reputazione può essere
considerata una barriera specifica che rende difficile l’entrata nel mercato da parte di nuovi
competitors.
Una rappresentazione peculiare del fenomeno reputazionale è quella fornita dalla
visione del marketing che si focalizza principalmente sulla “brand image”. Il brand viene
considerato come l’elemento a cui si associa, al termine del processo informativo, una
determinata reputazione. In particolare, questo criterio di analisi guarda alla natura del
processo informativo, concluso il quale si attribuisce un significato cognitivo alle
indicazioni fornite circa un prodotto.
Il processo di elaborazione del significato si caratterizza per differenti livelli di dettaglio
(alto, medio, basso). “Ciò dipende principalmente dal livello di coinvolgimento rispetto al
prodotto o servizio, dall’intensità e dalla natura integrata delle comunicazioni di marketing
con cui la società costruisce un brand attraente e familiare, capace di suscitare associazioni
uniche e forti,”
14
intendendo con questo ultimo termine le connotazioni associabili alla
marca, riferibili per esempio alla situazione d’uso piuttosto che alla valenza simbolica della
marca.
Le azioni strategiche e di marketing del management dovrebbero trovare giustificazione
e legittimità in valori sociali condivisi. In questo senso, la visione organizzativa individua
la reputazione aziendale nella storica esperienza tecnica e relazionale dei suoi dipendenti,
nonché nella continuativa qualità, affidabilità e competenza del servizio proposto alla
clientela. La cultura organizzativa influenza l’operato e la motivazione del management,
nonché la loro percezione esterna nelle relazioni con gli stakeholder. Strettamente legata
12
Shapiro C. (1983), Premiums for high-quality products as returns to reputations, in “Quarterly Journal
of Economics”, 98, pp. 659-681 in Fombrum C., Van Riel C. (1996), p. 6.
13
Caves R.E., Porter M.E. (1977), From entry barriers to mobility barriers, in “Quarterly Journal of
Economics”, 91, p. 421 in Fombrum C., Van Riel C. (1996), p. 7.
14
Keller K.L., Conceptualizing, Measuring, and Managing Customer-Based Brand Equity, in “Journal of
Marketing”, vol. 57, January 1993, p. 1-22, in Fombrum C., Van Riel C. (1996), p. 7.
11
alla cultura aziendale, si colloca l’identità: “essa descrive le caratteristiche principali,
durature e distintive della società”.
15
Un punto di vista più sofisticato, che si collega in parte alla visione del marketing, è la
prospettiva sociologica. Autori quali White e Granovetter
16
contestano i modelli economici
e strategici in quanto essi prescindono dall’includere l’analisi del processo socio-cognitivo
che genera le classificazioni reputazionali. Essi sostengono che le categorizzazioni siano
delle costruzioni sociali creatisi dalla relazione tra impresa e suoi stakeholder in un
contesto istituzionale condiviso. Tuttavia, dal momento che gli stakeholder non sono in
condizione di interpretare compiutamente i segnali, a causa delle asimmetrie informative,
si affidano ai segnali dei mediatori chiave tra i quali si possono agevolmente collocare i
media, gli analisti, ecc.. L’importanza del contesto istituzionale in questa visione appare
preponderante: le norme sociali che ne derivano rappresentano, infatti, l’elemento di
confronto e valutazione della performance sociale; il risultato aggregato dei giudizi è
rappresentato dalla reputazione attribuita alla società che, in questo senso, può essere
definita un indicatore di legittimità.
La molteplicità dei contributi delineati fornisce un’idea della complessità del tema in
esame. È forse per questa stessa ragione che, in letteratura, non si può ragionevolmente
individuare una definizione univoca del concetto di reputazione aziendale. Esaminiamo
quindi alcune definizioni date in proposito.
Rayner (2003): “Reputation is a collection of perceptions and beliefs, both past and present,
which reside in the consciousness of an organisation’s stakeholders…”
17
;
Gabbi (2003): “…essa è il risultato di un insieme di attività intangibili, il cui decadimento può
provocare un significativo peggioramento del valore globale dell’azienda.”
18
;
Scott & Walsham (2002): “(Reputation) is a positive quality ascribed to a person or collective
that is built up over time and based upon perceptions of continued competitive performance. With
15
Albert S., Whetthen D., Organizational Identity in L.L. Cumming & B.M. Staw (Eds.) (1985),
“Research in Organizational Behavior”, Vol. 7, pp. 263-295, Greenwich, CT: JAI Press in Fombrum C., Van
Riel C. (1996), p. 8.
16
White H.C. (1981), Where do markets come from?, in“ American Journal of Sociology”, n. 87, pp.
517-547 in Fombrum C., Van Riel C. (1996), p. 9.
Granovetter M. (1981), Economic Action and Social Structure: the problem of embeddedness, in
“American Journal of Sociology”, n. 91, pp. 481-510 in Fombrum C., Van Riel C. (1996), p. 9.
17
Rayner J. (2003), p. 2.
18
Gabbi G. (2004), Definizione, misurazione e gestione del rischio reputazionale degli intermediari
bancari, in “Banca Impresa e Società”, a. XXIII, n. 1, p. 1.
12
regard to commercial organizations, we tend to interpret reputation in terms of corporate brand
image”
19
;
Resnick (2004): “A company’s reputation is the external manifestation of its people, internal
practices, culture, management talent, and over all competitiveness.”
20
;
Fombrum & Rindova (1996) “A corporate reputation is a collective representation of a firm’s
past actions and results that describes the firm’s ability to deliver valued outcomes to multiple
stakeholders. It gauges a firm’s relative standing both internally with employees and externally
with its stakeholders, in both its competitive and institutional environments.”
21
;
Argenti (2004): “Reputation is based on the sum of how all constituencies view the
organisation. The assessments are based on the identity of the organisation, including statements
about vision and strategy as well as actions over time; perceptions of the organisations from others;
and performance, such as profitability and social responsibility.”
22
;
Si tratta di concetti dai quali è possibile ricavare una serie di elementi comuni:
La reputazione è una costruzione intellettuale mutevole che gli stakeholder si
formano acquisendo informazioni mediate sull’impresa; gli individui codificano
quindi i dati e/o l’esperienza individuale, attribuendovi un’interpretazione che
implica un apprezzamento.
Il processo informativo determina una collezione di percezioni che, integrandosi
con le aspettative, permette agli stakeholder di formulare una rappresentazione
mentale (apprezzamento sulla condotta manageriale rispetto al proprio set
valoriale) della società.
La reputazione ha quindi un valore ed un’efficacia cognitiva in quanto gli
stakeholder formulano un’immagine dell’organizzazione; la bontà della
reputazione deriva dal confronto tra il comportamento e i risultati della società
che riflettono l’identità sociale e il proprio set valoriale.
19
Scott V. S., Walshiam G. (2002), Banking on trust: Managing Reputational Risk in Financial Services
Organizations, Working Paper Series 117, July, Department of Information Systems, London School of
Economics and Political Science, p. 3.
20
Resnick J. (2004), Corporate reputation: Managing corporate reputation – applying rigorous
measures to a key asset, in “Journal of Business Strategy”, Vol. 25, n. 6, p. 5.
21
Fombrum C.J. & Rindova V. (1996), Who’s Tops and Who Decides? The Social Construction of
Corporate Reputations, New York University, Stern School of Business Working Paper, in Fombrum C.,
Van Riel C. (1996), p. 10.
22
Argenti P. (2004), The Challenge of Protecting Reputation, School of Business, Dartmouth, p. 2.
13
Ha natura collettiva (Fombrum, Van Riel 1977) in quanto viene costruita e
condivisa dagli stakeholder. Tuttavia, dal momento che la sua definizione è
strettamente collegata all’ambiente economico dell’impresa e, data la
molteplicità degli stakeholder, in linea teorica, è possibile individuare plurime
concezioni della reputazione di una stessa impresa.
Dal punto di vista manageriale, è una risorsa strategica intangibile, utilizzabile
per influenzare le percezioni degli stakeholder che, almeno nel breve periodo,
non corrispondono necessariamente a realtà. L’utilizzo strategico della
reputazione implica la costruzione e la difesa nel lungo termine dei fattori che
alimentano le percezioni dei portatori di interessi quali per esempio la qualità del
sistema di prodotto/servizio.
Alla luce delle impostazioni teoriche illustrate e degli elementi comuni individuati, è
possibile affermare che la reputazione aziendale si costruisce e si rafforza nel lungo tempo
se l’impresa garantisce il mantenimento degli impegni di lungo periodo. Ciò significa che
la chiave di lettura che si propone per la reputazione aziendale non è esclusivamente
riferibile all’aspetto sociologico che tende ad ottimizzare la qualità dei processi
comunicativi, quanto alla capacità dell’organizzazione di perseguire alcuni condizioni
basilari. Tra queste, si enfatizza l’importanza dell’efficienza tecnico-organizzativa ed
informativa che generalmente si accompagnano ad una solida competenza professionale.
Questi elementi rappresentano prerequisiti perché l’impresa possa consolidare la propria
reputazione aziendale, ovvero operare in condizioni di solvibilità. Tale considerazione, che
sarà chiarita nel corso della trattazione, approssima la reputazione per mezzo della capacità
imprenditoriale di far fronte ai rischi cui è sottoposta senza compromettere la continuità del
rispetto degli impegni verso le controparti.
23
La reputazione dipende quindi da un insieme
di fattori strettamente endogeni quali la capacità e la correttezza professionale piuttosto che
dalla trasparenza dei processi comunicativi verso l’esterno. In particolare, la scelta del
livello di trasparenza delle informazioni assume un’importanza cruciale poiché, in un
contesto di asimmetria informativa, rende meno difficoltosa la valutazione della
solvibilità
24
e nel contempo rafforza la relazione con gli stakeholder, consentendo
eventuali meccanismi di feed-back.
23
Adattamento da Schena C. (1996), p. 22.
24
Adattamento da Schena C. (1996), p. 23.
14