7
Si dev’essere in grado dunque di coniugare i vincoli imposti dalla
normativa a quelli dettati dal mercato. A simili sollecitazioni è
necessario dare una risposta rapida e adeguata anche per una
seconda ragione: stabilire un buon rapporto con gli investitori e con
il mercato dei capitali. Questo è fondamentale anche per poterne
riscuotere la fiducia in occasione di operazioni straordinarie. Gli
aumenti di capitale, piuttosto che le emissioni di prestiti subordinati
o convertibili, diventano vieppiù necessari per dotare le banche
delle risorse finanziarie richieste dall’attuale fase di consolidamento
e ristrutturazione del settore.
La scarsa redditività delle banche italiane veniva (e in misura
minore rispetto al passato, viene ancora) sovente indicata come uno
dei mali più radicati e radicali del nostro sistema bancario. Radicato,
perché per correggerlo è necessario agire contemporaneamente su
più versanti della gestione. Radicale, perché esso mina alla radice la
stabilità economica e patrimoniale del sistema e rende più difficile il
conseguimento di moderni meccanismi di corporate governance. È
su questi fronti che si muove il proseguo del presente lavoro che
mira principalmente a mostrare come l’adozione di tecniche di
capital management possa contribuire in maniera determinante alla
creazione di valore.
Il Secondo capitolo propone un ventaglio di alternative,
adottabili peraltro anche allo stesso tempo, che il management può
8
utilizzare avendo come obiettivo la razionalizzazione della propria
struttura patrimoniale e l’ottimizzazione dell’asset side. Le
motivazioni che sono alla base dell’adozione di questi strumenti
sono rispettivamente la riduzione del costo del capitale e il
beneficio, in termini di minore ponderazione dell’attivo secondo
Basilea2, nei requisiti di capitale.
Il terzo capitolo muove invece dalla constatazione che il capitale,
quale risorsa scarsa e costosa, deve essere detenuta nella giusta
quantità e adoperata in maniera razionale. Per queste ragioni si
sostiene che l’implementazione di un valido sistema di Capital
Allocation consentirebbe di raggiungere tali scopi. All’interno del
capitolo sono esposte le problematiche che un’innovazione di
questo tipo porta all’interno di tutta la banca oltre che le varie scelte
tra metodologie diverse di misurazione del rischio e conseguente
allocazione del capitale.
L’ultima parte del terzo capitolo affronta invece i temi,
strettamente connessi del costo del capitale, delle misure di
performance corrette per il rischio (RAPM)e del valore aggiunto.
La creazione del valore è infatti qualcosa di diverso e ulteriore
rispetto all’accrescimento dell’utile, e riguarda il raggiungimento di
obiettivi reddituali al di sopra delle aspettative degli investitori.
Il capitale ha una responsabilità rilevante a tal fine. Sia la carenza
quanto l’eccesso di capitale ha precisi costi economici, e non a
9
caso, negli anni passati, diverse istituzioni anglosassoni hanno
preferito restituire capitale, attraverso buy-back e dividendi
straordinari, piuttosto che assumersi l’impegno di continuare a
remunerarlo anche in futuro. Per tale ragione il suo utilizzo va
ottimizzato, ricorrendo a tutti gli accorgimenti che la normativa e le
moderne tecniche di capital managment consentono. L'adozione, da
parte delle banche di sistemi di gestione maggiormente orientati al
mercato e volti a massimizzare il valore per gli azionisti risponde ad
una forte necessità e urgenza del sistema bancario.
Tutte le scelte manageriali e strategiche inerenti il capitale, di una
banca che voglia mantenersi in condizioni prospettiche di equilibrio
nei nuovi contesti di mercato debbono tendere in maniera integrata
e sinergica alla massimizzazione del valore.
Al termine dell’esposizione teorica, per sperimentare sul campo
le tesi sostenute, si è compiuto uno stage della durata di 45 gg. Circa,
presso la Banca Popolare Pugliese, le cui conclusioni sono esposte
nel quarto capitolo. I risultati sono a supporto delle tesi sostenute, a
dimostrazione che, è utile ribadirlo, la gestione del capitale,
includendo nel termine ogni azione utile per migliorare efficienza ed
efficacia del sistema banca, è la pietra angolare di un sistema Value
Based e dunque per la creazione di valore.
Marcello Miali.
10
CAPITOLO 1
CONTESTO DI RIFERIMENTO E PECULIARITA’
DEL CAPITALE IN BANCA
1.1 INTRODUZIONE: IL RUOLO DEL CAPITALE IN BANCA
Nelle imprese non bancarie il capitale proprio è un fattore di
produzione finalizzato a sostenere investimenti per i quali non è
previsto l’utilizzo di capitale di debito. La scelta del capitale da
utilizzare dipende esclusivamente da valutazioni in materia di
struttura finanziaria dell’azienda.Questo mette il capitale di rischio
sullo stesso livello di tutti gli altri fattori produttivi.La sua presenza
è dunque tanto necessaria ai fini dello svolgimento dell’attività
industriale, quanto, ad esempio, quella del lavoro. Questa
intercambiabilità tra il capitale e gli altri fattori della produzione,
dovrebbe dar luogo a strutture finanziarie variegate, ma, nonostante
quest’orientamento sia sostenuto da una parte autorevole della
letteratura
1
, si nota sempre un utilizzo del capitale di rischio
2
.
Dovrebbe essere equivalente finanziarsi con debito o capitale, ma in
realtà quest’ultimo è presente sempre in una certa misura: non
esistono cioè aziende prive di capitale di rischio.
1
Si fa riferimento in particolare alla nota regola economica nota col nome di Modigliani&Miller di cui si tratterà
in seguito.
2
Seguendo le ipotesi introdotte da M&M dovrebbero convivere sul mercato imprese con elevata e con scarsa o
quasi nulla capitalizzazione, ma osservando la capitalizzazione delle aziende quotate il capitale proprio
costituisce una porzione sempre importante del passivo.
11
È persino raro imbattersi in imprese il cui capitale di rischio sia
pari o inferiore ad un decimo dell’attivo di bilancio. Per le imprese
bancarie, al contrario, questa condizione è lo standard. La singolare
connotazione che assume lo Stato Patrimoniale di un istituto di
credito è caratterizzato da una ridotta presenza di mezzi di rischio.
Al contrario degli intermediari non finanziari, che necessitano di
procurarsi mezzi finanziari per acquistare i beni che poi rivenderà,
nella banca i mezzi finanziari e i beni che rivenderà sono la stessa
cosa: le passività non rappresentano solo un modo di finanziare la
propria attività ma sono l’attività stessa. Si potrebbe addirittura
arrivare all’eccessiva conclusione che le banche possano utilizzare
una leva in teoria infinita.
Appare dunque lecito interrogarsi sulle ragioni che inducono
una banca a detenere una determinata quantità di capitale
nonostante, apparentemente, non ne abbia bisogno.
Le ragioni che inducono il managment a mantenere determinate
soglie di capitale sono principalmente due:
¾ Gli obblighi imposti dall’organo di vigilanza (in Italia, la
Banca d’Italia) e dalla normativa. Il settore bancario
(italiano in particolare , ma anche estero) era, ed è tuttora
anche se in misura minore, caratterizzato da una parte da
alcune barriere all’entrata, il che rende meno forte la
concorrenza tra istituti di credito, dall’altra da una vigilanza e
12
da una serie di norme stringenti volte a garantire la solidità e
la stabilità di ogni singolo operatore e del sistema nel
complesso.
La più stretta vigilanza sugli intermediari finanziari è
dovuta al ruolo che questi hanno nell’economia: La banca,
come noto, è un’impresa che ha tra le sue finalità la
trasformazione delle scadenze e la gestione del rischio,
nonché il compito di custodire la liquidità di gran parte del
sistema economico di un Paese. Per questi motivi il default
di un singolo intermediario finanziario può determinare le
sorti di migliaia di risparmiatori e condurre a una crisi di tipo
sistemico dovuta al propagarsi di un clima di sfiducia verso
l’intero sistema
3
. La situazione appena prospettata si è
verificata diverse volte sia in Italia che in altri paesi
4
. Ciò ha
portato all’adozione di requisiti di patrimonializzazione che
operino a livello internazionale
5
.
¾ Le esigenze del mercato. Anche se il contesto in cui le
banche operano fosse una sorta di “far west” con la completa
assenza di qualunque normativa volta alla protezione degli
3
Per rendere l’idea, basti pensare come i recenti default di due multinazionali alimentari, Cirio e Parmalat, in cui
erano coinvolti solo marginalmente e solo alcune istituzioni creditizie, sono stati sufficienti per condurre il
popolo dei risparmiatori italiani ad un atteggiamento di sfiducia e scetticismo nei confronti dell’intero sistema
bancario nazionale.
4
Banco Ambrosiano negli anni ’80 e Barings negli anni ’90 solo per citarne alcune.
5
Tali requisiti verranno analizzati nel prosieguo della trattazione.
13
stakeholders, è da ritenere che il mercato opererebbe
comunque una selezione naturale tra gli operatori,
permettendo la sopravvivenza di quelli più solidi e
determinando l’uscita dal mercato degli istituti bancari che
non soddisfano i requisiti che il mercato stesso ritiene vitali.
Naturalmente la situazione attuale è ben diversa da quella
prospettata, ma ciò non toglie significatività al fatto che il
mercato ha delle regole, dei termini di giudizio che
influenzano le scelte del managment (anche delle imprese
non finanziarie, naturalmente); se agli occhi del mercato una
banca non è considerata stabile, solida e performante (può
essere sufficiente quindi la sola percezione dell’instabilità,
anche se non supportata da una corrispondente situazione
reale), questa mette a rischio la sua reputazione, e con essa la
sua stessa sopravvivenza. La fiducia è un elemento
importantissimo per un istituto di credito. Le conseguenze
che una crisi di fiducia in un singolo intermediario può
generare (panic selling e bank run ad esempio), ha
potenzialmente la capacità di mettere in crisi l’intero sistema
economico di un paese. Sono queste le ragioni che hanno
incoraggiato le autorità di vigilanza alla realizzazione di una
normativa che operi a livello internazionale, e che imponga
alle banche di detenere delle riserve patrimoniali sufficienti a
14
fronteggiare i rischi assunti. E’ anche vero però che per le
banche non è vantaggioso detenere un’eccessiva dotazione
di capitale in quanto potrebbe indicare una gestione
inefficiente e pertanto essere ugualmente penalizzate dal
mercato. La ricerca delle performance deve essere uno degli
obiettivi del management bancario ed è certamente una delle
finalità primarie del capital management.
Il livello di capitale che una banca deve detenere è dunque
direttamente correlato al profilo di rischio/rendimento ricercato dai
suoi azionisti e al livello di sicurezza che si intende mantenere: è
evidente che, a parità di rischio, il capitale in eccesso rappresenta
una garanzia aggiuntiva di solvibilità della banca. Ma una politica in
questo senso, coglierebbe soltanto gli interessi di una parte degli
stakeholders, ovvero le autorità di vigilanza e i creditori della banca.
Una diversa opinione in merito hanno invece gli azionisti. Gli
shareholders infatti mirano a ricevere per i loro investimenti una
remunerazione proporzionale al rischio sopportato. Dalla loro
prospettiva il capitale in eccesso (non utilizzato quindi a fronte di
rischi aggiuntivi) non rappresenta un valore ma, piuttosto, un
fardello, che potrebbe dar luogo ad una diminuzione di redditività
per unità di capitale investito.
15
L’ammontare idoneo da detenere è quello in grado di assolvere
contemporaneamente gli obblighi imposti dalla vigilanza e le
esigenze del mercato.
La necessità di trovare un equilibrio soddisfacente tra i diversi
punti di vista individuati e le varie dimensioni gestionali coinvolte è
l’obiettivo prioritario della moderna gestione bancaria. A tal fine
l’utilizzo della capital allocation e degli strumenti di ottimizzazione
della struttura finanziaria rendono questo compito più agevole.
In sintesi, il capitale è al tempo stesso una rete di protezione, a
presidio di perdite inattese, e uno strumento per mostrare al
mercato la propria stabilità, la propria solvibilità, e non meno
importante, la propria capacità di creare valore.
16
1.2 I PUNTI DI VISTA DEGLI STAKEHOLDERS
Gli stakeholders, come noto, sono costituiti da tutti quei soggetti
che per un determinato motivo nutrono un interesse nei confronti
di un entità (in genere un’azienda).
Essi rappresentano il variegato mondo delle persone /aziende
coinvolte nella vita di un’altra azienda.
Per quel che riguarda le banche, sono stakeholders i fornitori (di
servizi, di attrezzature, etc.), i creditori (depositanti a vario titolo,
altre banche, etc.)
6
, le autorità di vigilanza, gli azionisti e di riflesso
la comunità tutta.
Ogni categoria di stakeholders ripone delle aspettative diverse
secondo le finalità che intende raggiungere Tali aspettative sono
spesso contrastanti tra loro in quanto diverse sono le finalità che
essi intendono raggiungere. Ed è proprio partendo da queste
diverse aspettative che devono essere analizzate le diverse funzioni
del capitale.
La poliedricità di questo fondamentale elemento della gestione
bancaria risulta evidente infatti, solo se si affrontano singolarmente
i vari compiti che esso è chiamato a svolgere.
6
In realtà data la peculiare attività svolta dalle banche, sono fornitori a tutti gli effetti anche i creditori. Sono stati
menzionati separatamente solo per maggiore chiarezza.
17
1.2.1 Il capitale come presidio dei rischi
Tra le funzioni economiche degli intermediari creditizi vi è
certamente anche quella di trasformare attività altamente rischiose
(in particolare, i finanziamenti accordati a imprese troppo piccole o
troppo innovative per rivolgersi direttamente al mercato dei
capitali) in passività sufficientemente prive di rischio da diventare
strumenti di raccolta del risparmio familiare, o addirittura moneta.
“La banca è dunque tra le altre cose un intermediario che
acquista, assorbe e metabolizza rischi finanziari e attraverso
tecniche di selezione, monitoraggio e diversificazione riesce a
governarli rendendoli indirettamente accettabili per la clientela da
cui raccoglie la propria provvista”
7
.
È noto come i rischi finanziari sopportati da una banca siano
riconducibili a due grandi categorie: i rischi di credito generati dalla
possibile insolvenza dei debitori ed i rischi di mercato, legati
all’effetto, sul valore netto della banca, delle variabili quotate sui
mercati finanziari (tassi, cambi, materie prime e simili).
Esistono tuttavia rischi anche di carattere non finanziario, che la
banca sopporta in quanto impresa e che sono comuni a tutte le
aziende produttive: il rischio operativo, il rischio legale e
reputazionale, il rischio di business e il rischio strategico.
7
Resti A., Riflessioni sul processo di revisione dei requisiti patrimoniali sul rischio creditizio, in Banche e
Banchieri, n.1/2000.
18
Da questi rischi, finanziari e non, nasce l’eventualità che la banca
si trovi a sostenere delle perdite. Dal punto di vista statistico, gli
infiniti scenari possibili possono essere modellati attraverso la
cosiddetta distribuzione di probabilità delle perdite future, la cui
forma dipende dalla composizione delle attività detenute dalla
banca, dalla volatilità e correlazione dei fattori di rischio rilevanti e
infine dall’orizzonte temporale prescelto.
Fig. 1:Distribuzione di probabilità perdite su crediti – fonte Univ. Bergamo.
Immaginiamo infatti che una banca desideri limitare al 5% il
rischio di essere assoggettata a una procedura di liquidazione
coattiva: essa dovrà naturalmente sincerarsi di possedere abbastanza
capitale da poter “assorbire” il 95% degli scenari possibili. Tale
livello patrimoniale ottimale è ricavabile dalla figura come quel
valore che “stacca” una coda all’estrema destra della distribuzione,
19
la cui area corrisponde a cinque centesimi del totale. Va osservato
che se la distribuzione fosse maggiormente volatile (per effetto di
una politica d’investimento più aggressiva da parte della banca, o di
un deterioramento del quadro macroeconomico che accresce la
variabilità attesa dei fattori di rischio) il requisito di capitale
necessario per fronteggiare il 95% delle perdite possibili risulterebbe
accresciuto; analogamente, per una data distribuzione di probabilità,
un diverso livello di confidenza comporterebbe una variazione del
fabbisogno patrimoniale
8
.
La classificazione e la misura dei rischi bancari, nel momento in
cui conducono ad una stima ragionevole della distribuzione di
probabilità ora osservata, rappresentano dunque la via maestra per
determinare in modo oggettivo la quantità di patrimonio necessaria
per garantire, con un certo livello di confidenza, la sopravvivenza
della banca. Non si tratta, ovviamente, di un compito agevole, a
causa delle conoscenze imperfette e limitate a disposizione degli
addetti ai lavori.
Tali osservazioni, che attribuiscono al capitale la funzione di
perno nell’attività di governo e controllo del rischio, sono state fatte
proprie dalle autorità di vigilanza internazionali le quali hanno
avvertito la necessità di ridurre le distanze tra il capitale normativo e
i livelli patrimoniali dettati dalle tecniche di misura e controllo dei
8
Resti A. (2000).
20
rischi bancari. In particolare tra le novità che il nuovo Accordo di
Basilea, attualmente in discussione, dovrebbe apportare va
segnalato che:
¾ Saranno espressamente riconosciute (ricalcando l’accordo
del 1988) tre tipologie di rischi (di credito, di mercato,
operativo);
¾ La normativa incoraggerà le banche a dotarsi di strumenti di
risk management avanzati (come i sistemi interni di rating).
Grazie a questi strumenti la dotazione patrimoniale verrà più
efficacemente commisurata ai rischi effettivamente
fronteggiati dai singoli intermediari.
¾ Le autorità di vigilanza si impegneranno a vigilare non solo
sull’esistenza di un adeguato capitale proprio, ma anche
sull’adozione di adeguate procedure di misura dei rischi e
pianificazione dei livelli patrimoniali adeguati.