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INTRODUZIONE
Il presente lavoro si prefigge l’obiettivo di tracciare un primo quadro definitorio
della problematica attinente alla gestione dei beni confiscati alla criminalità
organizzata, che negli ultimi tempi ha assunto una importanza sempre più
dirompente sia nella prassi giudiziaria che alla luce della stratificazione
normativa emersa sul punto.
Infatti, in considerazione delle molteplici connessioni che da questo tema si
diramano verso il c.d. “diritto penale della prevenzione”, si nota che
l’espansione del fenomeno criminale nella società contemporanea, benché in
modo diverso nel contesto nazionale, ha ricevuto ormai ampio e consolidato
riscontro nella letteratura specialistica, sia squisitamente criminologica che sul
versante sociologico.
Essa, ha progressivamente analizzato gli aspetti di maggiore interesse in questo
ambito, incentrando buona parte delle proprie energie interpretative anche
nell’esame degli effetti scaturenti dalla globalizzazione economica la quale,
favorendo la circolazione dei beni, delle persone e dei capitali (già
primariamente garantiti dal diritto dell’Unione Europea con un’autonoma
disciplina legislativa di diritto primario), offre al contempo nuove occasioni
volte alla possibile acquisizione di risorse economiche in modo illecito.
Da questo punto di vista, il grado di pericolosità ed offensività delle
organizzazioni criminali di stampo mafioso, non dipende soltanto dalla loro
capacità di controllo delle attività illecite, ma anche dalla elevata propensione al
controllo e al “governo” dei mercati e dei territori in cui tende a penetrare,
interferendo anche nei confronti dell’azione amministrativa delle pubbliche
amministrazioni.
Per fare questo, si deve registrare un esponenziale incremento della corruzione
quale metodo di regolazione dei rapporti distorti tra le imprese e le
amministrazioni pubbliche, in evidente violazione delle regole fondamentali
della legalità e dell’imparzialità poste a presidio dell’azione dei pubblici poteri.
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Pertanto, è divenuta sempre più centrale l’esigenza di affiancare, rispetto al
tradizionale modello giuridico di matrice penalistica, avente carattere repressivo
che postula a monte la realizzazione di un reato, un modello operativo più
squisitamente amministrativistico il quale si è arricchito di un complesso
innovativo di istituti giuridici che trovano la loro ragion d’essere a prescindere
dall’esistenza di una fattispecie penalmente rilevante.
Ne deriva, di conseguenza, che pur mantenendo il focus principale in ambito
amministrativo, il campo di azione della presente trattazione non potrà e non
vedrà in alcun modo trascurare le indefettibili implicazioni che, sul punto, si
riverberano in ambito penalistico (a cominciare, ad esempio, dallo specifico
settore delle misure di prevenzione patrimoniali).
Successivamente, procedendo nella definizione di un quadro sistematico della
incessante evoluzione normativa che in materia si è sedimentata (partendo dalla
c.d. “legge Rognoni-La Torre (L. 13 settembre 1982, n. 486)” sino ad arrivare
alla L. 17 ottobre 2017, n. 161 di modifica del codice delle leggi antimafia e
delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n.
159), transitando poi all’esame della specificità connessa ad un organismo
specializzato voluto dal legislatore antimafia delegato del 2011, qual è quello
dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni
sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (acronimo di ANBSC), si
porrà l’accento sulla variegata disciplina giuridica dei beni confiscati alla
criminalità organizzata sia in primo grado che in secondo grado fino a giungere
alla confisca definitiva.
Questa complessa disciplina, pacificamente, si colloca in una dimensione
multidisciplinare coinvolgendo non soltanto il c.d. “diritto penale della
prevenzione”, ma anche il “diritto amministrativo di prevenzione antimafia”, il
diritto privato e il diritto dell’economia (per quest’ultima area disciplinare, in
particolare, si pensi ad esempio all’esigenza di adoperare adeguate tecniche di
gestione aziendale di questi particolari beni nonché alla necessità di regolare,
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nella maniera più efficace e virtuosa possibile, la successiva destinazione dei
beni confiscati per reinserirli nel circuito economico-legale).
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CAPITOLO 1
LE MISURE DI PREVENZIONE PATRIMONIALI COME
PRESUPPOSTO GIURIDICO DELL’ATTIVITA’ DI GESTIONE DEI
BENI SEQUESTRATI E CONFISCATI. INQUADRAMENTO
SISTEMATICO ED EVOLUZIONE STORICA
1. Presupposti generali. Un preliminare sguardo penalistico d’insieme
Preliminarmente, prima di affrontare la specifica problematica attinente alle
misure di prevenzione patrimoniali che qui ci interessa, è opportuno un
puntuale inquadramento definitorio in linea generale del concetto di misure
di prevenzione. Al riguardo la più qualificata dottrina penalistica italiana
1
,
con la succitata locuzione, <<designa, tradizionalmente, un insieme di
provvedimenti applicabili a cerchie di soggetti considerati a vario titolo
socialmente pericolosi, e finalizzati – appunto, a controllarne la pericolosità
in modo da prevenirne la commissione di futuri reati>>.
Da una prima analisi della su-esposta definizione, è facile evincere che, nelle
misure di prevenzione, la pericolosità è sine delicto oppure ante delictum,
sicché il relativo giudizio prescinde dalla precedente commissione di reati.
La tematica delle misure di prevenzione patrimoniali
2
ha progressivamente
acquisito una sempre più evidente centralità nell’ambito della produzione
normativa e dell’evoluzione giurisprudenziale, sia in ambito nazionale che in
ambito internazionale ed euro-unitario; ciò nella presa d’atto che le classiche
forme di sanzione penale, aventi il proprio presupposto fondativo sulla
individuazione e successiva punizione delle responsabilità personali, non
fossero più in grado di incidere in modo efficace sul crimine organizzato, non
solo di matrice mafiosa, laddove non accompagnate da parallele e stringenti
1
G. FIANDACA, Misure di prevenzione (profili sostanziali), in Digesto delle discipline penalistiche,
VII, (1994), pp. 108 ss. In particolare, l’Autore, in questo scritto, evidenzia che <<a dispetto della
qualificazione giuridico-formale loro impressa, le misure di prevenzione hanno di fatto presentato
un carattere sostanzialmente afflittivo-punitivo e si sono prestate a fungere da “pene del sospetto”
(vale a dire equivalenti funzionali delle pene) cui ricorrere in assenza di sufficienti prove di
reità>>.
2
AA.VV. Misure di prevenzione personali e patrimoniali, a cura di Fabio Fiorentini, G.
Giappichelli Editore Torino (2018), pp. 501 ss.
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misure ablatorie, in grado di sottrarre i patrimoni ritenuti di derivazione
illecita.
Da questo punto di vista, la crescente valorizzazione dell’istituto della
confisca, nelle sue varie articolazioni, sul terreno delle strategie di contrasto
alla criminalità di stampo economico nonché della criminalità organizzata,
costituiscono la risposta elaborata dal nostro ordinamento giuridico per
fronteggiare l’emergenza sempre più virulenta delle innumerevoli forme di
inquinamento dell’economia legale, da cui scaturiscono diverse intersezioni
viziose tra associazioni delittuose di tipo mafioso e il mondo delle imprese.
L’introduzione infatti di “moderne” forme di confisca, caratterizzate da una
serie di specifici aspetti (l’espansione dell’oggetto dei provvedimenti, la
sintomaticità dei presupposti di legittimazione, la semplificazione dell’onere
della prova gravante sull’accusa, etc.) ha fortemente accresciuto l’efficacia
dei mezzi di aggressione ai patrimoni di provenienza illecita.
Al contempo, si è assistito ad una sempre più ampia estensione dell’ambito
di applicazione di esse, dagli appartenenti ad organizzazioni di stampo
mafioso ad altre forme di criminalità, sulla base del fatto che i fenomeni di
riciclaggio e di reinvestimento del denaro sporco rendono estremamente
difficile il puntuale abbinamento tra il provento ed il singolo reato, che invece
condiziona il ricorso alla confisca “classica”
3
.
Con particolare riferimento al tema dell’intervento ablativo che viene
azionato a discapito delle ricchezze illecite, infatti, è stato osservato da
autorevole dottrina penalistica
4
che << la principale funzione politico –
criminale della confisca – preventiva, può essere concepita come diretta a
fronteggiare un duplice e grave macro-pericolo: da un lato, evitare che le
ricchezze illecitamente prodotte vengano riutilizzate per alimentare ulteriore
attività illecita; dall’altro, scongiurare il rischio che tali ricchezze vengano
reinvestite in attività economiche anche formalmente lecite, con conseguente
3
L. FORNARI, Criminalità del profitto e tecniche sanzionatorie. Confisca e sanzioni pecuniarie nel
diritto penale “moderno”, Padova, (1997), pp. 120, 169, 208-209.
4
Per approfondimenti in merito si legga C. VISCONTI, Proposte per recidere il nodo mafie-
imprese, in Diritto penale contemporaneo, (7 gennaio 2014), pp. 6-7.
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alterazione delle logiche di mercato e delle regole della concorrenza. In
questa prospettiva, la finalità preventiva della confisca si coglie su di un
piano macroeconomico, in cui ha un peso tutt’altro che secondario –
appunto, l’esigenza di prevenire l’infiltrazione criminale nell’economia e nel
mondo dell’impresa>>.
Il panorama normativo delle misure di prevenzione patrimoniali, nel corso
del tempo, si è progressivamente incrementato quantitativamente e
qualitativamente grazie a numerosi innesti legislativi i quali si sono poi
stratificati e ordinati nella organica sistemazione di tale disciplina così come
culminata con il cosiddetto codice delle leggi antimafia e delle misure di
prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione
antimafia di cui al d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, il quale è stato
recentemente modificato ad opera della legge 17 ottobre 2017, n. 161.
2. Le basi normative del sistema prevenzionistico pre-codistico. Dalla
confisca “penale” ex art. 240 del Codice penale sino alle misure di
prevenzione patrimoniali antimafia
Per delineare sistematicamente l’evoluzione dell’attuale disciplina giuridica
delle misure di prevenzione patrimoniali antimafia, innanzitutto si deve
rilevare in premessa come le misure di prevenzione patrimoniali, in realtà,
non siano ufficialmente entrate nel sistema con la normativa introdotta dalla
legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro le organizzazioni
criminali di tipo mafioso).
Infatti, a ben vedere, sebbene la suddetta legge abbia ridisegnato la disciplina
legislativa vigente a quel tempo nel contrasto alla criminalità organizzata, per
effetto dell’introduzione di adeguati e più incisivi strumenti di contrasto alle
associazioni di tipo mafioso, ha in realtà puntato – ad eccezione della
cauzione
5
, all’ampliamento delle misure di prevenzione personali, in origine
5
Grazie alla l. n. 575 del 1965, è stata la prima misura patrimoniale con caratteristiche sue proprie,
applicata nei confronti degli indiziati di appartenenza ad associazione mafiosa, a garanzia del
rispetto degli obblighi imposti con la misura personale; con la conseguenza che il mancato
versamento della somma, fissata dal giudice, costituisce illecito penale e nel caso di violazione
degli obblighi la cauzione è sottoposta a confisca, così F. MENDITTO, Le misure di prevenzione
personali e patrimoniali, Vol. I, Giuffrè, Milano, (2019).