Secondo uno studio di Eurostat, infatti, l’Italia è il paese europeo con il maggiore
numero di autovetture in rapporto alla popolazione: 571 auto ogni mille abitanti,
una “densità” superiore perfino a quella degli Stati Uniti d’America.
Ma come deve essere interpretato questo originale primato italiano? Come un
indicatore di benessere e civiltà o, al contrario, di una società con una cultura e dei
valori sbagliati in merito ai trasporti?
In ogni caso, la presenza nel nostro territorio di più di un’auto ogni due abitanti è
un dato che fa riflettere.
Di seguito riportiamo i dati relativi alle prime quindici posizioni della classifica
(Eurostat, 1999): Italia 571, Lussemburgo 559, Germania 501, Francia 477,
Austria 458, Belgio 424, Svezia 413, Finlandia 379, Spagna 376, Olanda 370,
Gran Bretagna 369, Danimarca 329, Portogallo 277, Irlanda 272, Grecia 223.
Ho scelto, quindi, di sviluppare il mio lavoro sulle azioni e sull’impegno delle case
automobilistiche in campo ambientale sia perché la qualità dell’aria che respiriamo
tutti i giorni e lo stato dell’ambiente in cui viviamo è un argomento rilevante, sia
perché ritengo che l’utilizzo dell’automobile non sia necessariamente
incompatibile con un ambiente sano e pulito.
L’essenziale mobilità che l’auto è in grado di darci non può essere garantita a
discapito dell’essenziale ambiente naturale da cui tutto ha origine.
Questo lavoro ha come punto di partenza la constatazione che l’emergere della
questione ambientale ha posto le case automobilistiche mondiali di fronte alla
necessità di dover gestire tutta una serie di conseguenze sia giuridico - legislative
sia competitive di importanza tale da non poter più essere trascurate.
In particolare, ho focalizzato la mia attenzione sulla gestione della variabile
ambientale da parte di un’azienda, il gruppo Volvo, che già da molti anni ha
maturato una propria consapevolezza sulle priorità ecologiche, enfatizzando
l’importanza di un costante e duraturo impegno nella salvaguardia dell’ambiente
naturale, sia dal punto di vista puramente umano e sociale sia da quello
economico.
Va subito chiarito che sarebbe limitativo ricondurre la gestione ambientale ad una
semplice politica di riduzione dei rischi, e considerarla, quindi, come una mera
componente del risk management. Nel corso della trattazione faremo riferimento,
infatti, alla gestione ambientale come ad un sistema coordinato ed integrato con la
strategia aziendale mirante, oltre che al controllo dei rischi, alla ricerca di
soluzioni organizzative, manageriali e tecnologiche (di prodotto e di processo)
maggiormente eco-compatibili, che possano costituire un fattore critico di
successo.
Se in passato lo sviluppo macroeconomico veniva considerato un obiettivo
prioritario da perseguire ad ogni costo, oggi una maggiore attenzione ai suoi
possibili risvolti negativi conduce ad una riflessione più critica.
L’identificazione tra ricchezza e benessere non è più così automatica, poiché la
qualità della vita non è più considerata dipendente esclusivamente dalle condizioni
economiche, bensì anche da altri fattori, tra cui lo stato dell’ambiente in cui si
vive.
L’impegno di un’impresa nella preservazione dell’ambiente, inoltre, non deriva
soltanto da motivazioni etiche, ma costituisce una scelta strategica
economicamente razionale e conveniente. Come cercheremo di dimostrare nel
corso del lavoro, alle motivazioni di tipo etico o sociologico se ne affiancano in
maniera sempre più consistente altre di tipo competitivo.
Si cercherà, infatti, di sostenere la tesi che una consapevole e coerente gestione
ambientale da parte di una casa automobilistica come la Volvo può portare a
diversi vantaggi sia per la propria immagine sia per la propria gestione economica,
nell’ottica di un ambiente non più considerato solo come un costo, ma come
stimolo di opportunità e vantaggi competitivi nuovi.
L’impegno nei confronti della variabile ambiente può consentire, infatti,
l’ottenimento di una maggiore efficienza nei processi produttivi (strategia di
leadership di costo), con conseguenti riduzioni nei costi operativi.
Inoltre, anche il mercato, in costante evoluzione, dimostra una sempre maggiore
attenzione al tema, tramite l’acquisto di prodotti con caratteristiche ecologiche
(strategia di differenziazione o di focalizzazione).
Tutto ciò richiede l’implementazione di modalità di gestione ambientale interna ed
esterna che permettano il raggiungimento di alti livelli di efficienza ed efficacia
nel trattamento della variabile ambientale. A tal fine, occorre introdurre politiche,
programmi, responsabilità, forme di collaborazione, controlli e verifiche in senso
ambientale per ogni attività. Tutto ciò supportato da un’adeguata documentazione
riguardante le procedure da seguire, i compiti e le responsabilità attribuite e i
risultati e gli obiettivi raggiunti, per rendere formalizzato, completo e coerente
l’insieme.
Essa prevede, infatti, una serie di fasi e di strumenti, all’interno di un processo che
risulti funzionale ed adeguato rispetto agli obiettivi previsti.
A questo proposito, l’elaborazione di alcuni standard, da parte di istituti di
certificazione (ISO) e di organismi sovranazionali (Unione Europea), ha
contribuito a promuovere un modello generale che viene assunto come punto di
riferimento principale nell’analisi del nostro lavoro.
L’obiettivo della tesi è l’analisi e la valutazione di tutte le decisioni e i
comportamenti assunti dalla Volvo in questi anni e rivolti al rispetto per
l’ambiente.
Nell’intento, quindi, di descrivere in modo organico l’approccio olistico che il
gruppo Volvo adotta per gestire la variabile ecologica, si introduce, nel primo
capitolo, il problema ambientale e il suo rapporto, in continua evoluzione, con
l’istituto impresa.
L’obiettivo del secondo capitolo è quello di fornire al lettore un quadro generale
del settore automobilistico mondiale, sia dal punto di vista legislativo sia nelle sue
dinamiche evolutive.
Con il terzo capitolo si entra nel “cuore” del lavoro, con l’analisi vera e propria
della gestione ambientale del gruppo Volvo, dalla politica ambientale alla gestione
operativa.
Nel quarto capitolo, infine, viene trattato il reporting dell’azienda e il ruolo chiave
giocato dalla comunicazione ambientale esterna, per poi trarre alcune
considerazioni finali in sede di conclusioni.
CAPITOLO 1. UNA TRASFORMAZIONE CULTURALE NEL
RAPPORTO IMPRESA-AMBIENTE
1.1 UN’EVOLUZIONE NELLA TUTELA DELL’AMBIENTE
L’inquinamento dell’ambiente naturale è uno dei problemi più gravi che l’umanità
si trova attualmente a dover affrontare, e si pone come problema rispetto a uno
sviluppo economico che non tenga concretamente conto della limitatezza e delle
precarie condizioni delle risorse naturali, indispensabili alla sopravvivenza sulla
terra.
Questo problema è tanto più rilevante in quanto si presenta su scala globale, ed
investe elementi di primaria importanza per quanto concerne l’ambiente: acqua,
aria e suolo.
In particolare per quanto riguarda l’inquinamento atmosferico, è familiare a tutti lo
stato di emergenza dell’aria delle nostre congestionate metropoli, che riceve
enormi quantità di monossido di carbonio, di biossido di zolfo e di diversi ossidi di
azoto da parte dei veicoli a motore, degli stabilimenti industriali e degli impianti
civili.
Alcune delle conseguenze di questi fenomeni, come “l’effetto serra”, il
danneggiamento della fascia di ozono e le piogge acide, si sono già manifestate,
altre sono ancora ignote.
Di fronte al crescente degrado ambientale dell’ecosistema appare quindi naturale
l’insorgere della domanda di tutela ambientale, che negli anni a noi più vicini si è
fatta particolarmente insistente sia nell’opinione pubblica in forma di istanze
avanzate dai vari gruppi ambientalisti, sia nella sfera politica in forma di
legislazioni e standard ambientali sempre più severi.
Dagli anni Cinquanta ad oggi la cultura prevalente nella società, l’orientamento
adottato dal legislatore e l’atteggiamento delle aziende nei confronti della variabile
ecologica hanno vissuto una progressiva e radicale evoluzione, e l’idea di
un’insanabile dicotomia tra salvaguardia ambientale e crescita economica è stata
abbandonata a favore del concetto di sviluppo sostenibile (nota 1), introdotto dal
rapporto Brundtland nel 1987, e tuttora in via di sviluppo.
Nel periodo della ricostruzione e del boom economico abbiamo assistito alla <fase
agnostica> (Gilardoni 1998, pag.178), in cui il tema ambientale era ignorato, le
risorse ambientali erano considerate inesauribili e a “costo zero”, non esisteva
ancora una legislazione in materia e le imprese consideravano l’ambiente una
variabile indipendente.
Si entra poi nella <fase regolamentativa> in cui, presa coscienza dei danni
dell’attività economica sull’ecosistema, si cerca di regolare l’inquinamento
industriale emanando alcune norme non sempre, però, in modo organico.
Verso la fine degli anni Settanta il legislatore interviene con un’ampia serie di
provvedimenti d’emergenza per limitare o rimediare ai gravi danni provocati
all’assetto ambientale (<fase del risanamento>). La logica del “chi inquina paga”
scarica tutte le responsabilità sull’impresa che assume di conseguenza un
atteggiamento difensivo.
Alla fine degli anni Ottanta la cultura prevalente ritiene che il rispetto per
l’ambiente sia un valore prioritario e compatibile con lo sviluppo economico.
Inizia cosi’ la <fase di prevenzione> con la formulazione di un quadro giuridico
organico e le strategie aziendali cominciano a prendere in considerazione la
variabile ambientale con un atteggiamento collaborativo.
Infine, negli ultimi anni si entra nell’ultima fase, la cosiddetta <fase di gestione>
in cui la difesa dell’ambiente rientra nella “mission” delle imprese che sviluppano
una responsabilità ambientale, e da minaccia diventa opportunità. Vengono istituiti
ecoincentivi, ecocontributi, autoregolamentazioni associative e nuovi strumenti
gestionali con un atteggiamento propositivo di sviluppo eco-trainato (Gilardoni
1998, pag.178).
All’evoluzione del rapporto tra impresa ed ambiente, oltre al contesto socio-
politico e al quadro legislativo, ha contribuito quindi una progressiva presa di
coscienza da parte dell’impresa che è alla base dello sviluppo della sua
responsabilità ecologica.
Alcune imprese, infatti, sviluppano una consapevolezza etica in tema di tutela
ambientale che può mettere in discussione la stessa attività aziendale e i rapporti
con i diversi attori, ma che deriva dall’evolversi degli interessi e delle relazioni tra
tutti i soggetti coinvolti: il consenso all’interno dell’azienda è motivato e la
sensibilità aziendale al problema ambientale è sviluppata stimolando una reale
consapevolezza e una effettiva responsabilità.
D’altra parte, il consenso diffuso da parte del management e dell’azionariato è
fondamentalmente una questione di valori e di principi, prima ancora che di
nozioni e di strumenti operativi, e discende dalla convinzione che questi interventi
possano contribuire alla formazione, nel medio-lungo termine, di un capitale
intangibile di know-how, di immagine, di motivazione e di riduzione dei rischi
latenti che si traduce nel tempo in migliori performance competitive e reddituali.
Questo aspetto, ossia la creazione di vantaggi competitivi grazie all’attenzione nei
riguardi dell’ambiente, verrà trattato in maniera più approfondita nel successivo
paragrafo (1.2), analizzandone le diverse cause e le possibili conseguenze.
Nella realtà, il maggiore fattore di ostacolo allo sviluppo di una responsabilità
ambientale tramite una gestione coerente della propria attività è stato, in passato, il
timore di intaccare i risultati economico-finanziari.
In un orizzonte temporale più lungo, tuttavia, la prospettiva si modifica facendo
rientrare la variabile ambientale nel processo decisionale e contemperando i fattori
del sistema competitivo con quelli del sistema sociale.
Profondi cambiamenti stanno avvenendo nelle relazioni tra le imprese e gli
ambienti economici, naturali, sociali e politici in cui operano.
Tale evoluzione porta a considerare tutti gli effetti dell’attività d’impresa sul
contesto che la circonda e non solo più quello economico.
Le imprese più attente stanno pertanto assumendo rilevanza come istituti socio -
politici, dinamici e interagenti con le istanze dei diversi interlocutori, e “ stanno
maturando una serie di conoscenze e meccanismi operativi che portano alla
costruzione di sistemi gestionali del fattore ecologico, per trasporre in chiave
operativa i criteri di compatibilità ambientale accettati e fatti propri in linea di
principio.” (Gilardoni 1998, pag.164)
Questo primo paragrafo, introduttivo alla nostra analisi sulla gestione ambientale
del gruppo Volvo, si conclude con il tentativo di posizionare la nostra impresa
all’interno di un modello che individua diversi stadi di sviluppo della gestione
ambientale, per poi verificare l’attendibilità di questa classificazione,
progressivamente, nel corso del lavoro.
Il modello in questione, elaborato nel 1990, è quello degli statunitensi Hunt e
Auster (Hunt-Auster 1990, pag.78) che, basandosi sul concetto che le imprese
percorrono un sentiero di consapevolezza crescente sulle questioni ecologiche,
individuano cinque stadi di sviluppo.
Nel primo stadio le imprese, definite beginners, ignorano il problema, mentre al
secondo stadio i cosiddetti fire fighters affrontano il problema solo quando è
necessario farlo, e quindi fondamentalmente in condizioni di emergenza.
Nel terzo le imprese concerned citizens mostrano una maggiore attenzione, ma, in
realtà, non posseggono una vera strategia ambientale di tipo anticipativo.
Lo stadio successivo è rappresentato dalle aziende pragmatists che si pongono
l’obiettivo di minimizzare l’impatto ambientale ma non come prioritario, poichè
una gestione attiva della protezione ecologica è raggiunta solo dalle imprese
nell’ultima fase, dette proactivists (Hunt-Auster 1990, pag.79).
Nel corso della nostra analisi cercheremo di supportare la tesi che il gruppo Volvo
si può considerare appartenente alle imprese di quest’ultima categoria, in cui la
riduzione del rischio di impatto ambientale è massima, la strategia è esplicitata, le
risorse dedicate non hanno limiti prefissati, la direzione è attivamente coinvolta, i
sistemi di reporting sono formalizzati ed esistono forti e costanti legami con
l’ufficio legale, le pubbliche relazioni, la ricerca & sviluppo, la produzione e la
progettazione.
In queste imprese la variabile ecologica è integrata nel processo decisionale a tal
punto da creare un’interdipendenza tra la stessa e le strategie competitive, le
istanze dei diversi attori e i risultati economici-finanziari.
Il gruppo Volvo, infatti, già da molti anni ha preso coscienza dell’impatto dei
propri veicoli a motore sull’ambiente, conferendo alle proprie attività un
orientamento ecologico. Nonostante i veicoli siano ancora responsabili di diversi
tipi di inquinamento, sono stati fatti importanti passi in avanti per ridurre tale
problema e l’impegno del gruppo Volvo per una produzione più ecologica, per il
riutilizzo e il riciclaggio dei propri prodotti, è sempre costante, come
dimostreremo nei prossimi capitoli.
1.2 L’AMBIENTE COME STIMOLO DI OPPORTUNITA’
COMPETITIVE NUOVE
In un saggio intitolato Filosofia della crisi ecologica (1991), V.Hosle si interroga
sulle ragioni che possono spiegare le difficoltà riscontrate dai singoli individui a
far seguire alla consapevolezza della gravità dei problemi ambientali un reale
mutamento dei propri comportamenti.
Secondo Hosle, queste difficoltà possono essere ricondotte principalmente a
quattro ordini di motivi.
In primo luogo, le conseguenze marginali dirette derivanti dalle scelte individuali
sulla dimensione complessiva del problema sono del tutto insignificanti.
In secondo luogo, ciascun individuo ritiene che gli effetti negativi causati dal suo
comportamento si producano a tale distanza nello spazio e nel tempo da non
coinvolgerlo direttamente.
Inoltre, ogni individuo, posto di fronte alla necessità di mutare linea di condotta,
può essere scoraggiato dall’idea della totale impossibilità da parte dell’azione
individuale di raggiungere un risultato soddisfacente.
Infine, in molti casi non pare esservi relazione tra comportamenti e fenomeni che
riguardano le risorse ambientali e quindi molti disastri ecologici sono percepiti
come fenomeni naturali, che non coinvolgono responsabilità umane.
Queste asserzioni convergono tutte nel sottolineare come il semplice criterio della
razionalità economica- come ricerca della massimizzazione del profitto- non sia
sufficiente nel momento in cui si affrontano i problemi dell’allocazione delle
risorse ambientali. Tuttavia è un dato ormai acquisito che le imprese non possano
più prescindere, nella loro gestione, da una attenta considerazione dell’impatto
ambientale generato dalla propria attività di produzione.
Le imprese per salvaguardare la propria funzionalità economica duratura, per
rispettare le sempre più esigenti norme legislative e per rispondere alle attese e alle
esigenze sempre più pressanti dei diversi attori, debbono controllare la
compatibilità dei prodotti immessi sul mercato, oltre che dei processi, lungo tutto
il ciclo di vita, dalla fase di approvvigionamento delle materie prime a quella di
trattamento e/o smaltimento finale del bene dopo il suo utilizzo.
Le più sensibili e innovative, spinte dalla pressione dell’opinione pubblica e del
legislatore, dai margini di miglioramento della produzione possibili e dalle
ricadute sfruttabili in termine di immagine, si sono persuase che la compatibilità
ambientale non sia per l’impresa solamente un vincolo e nemmeno una mera
necessità, ma un obiettivo da perseguire in comune con altri attori, nella logica di
opportunità competitiva.
Una gestione ambientale responsabile significa prevenire, organizzare, integrare,
responsabilizzare, interagire e comunicare per raggiungere un obiettivo condiviso
dagli attori del sistema economico con cui si interagisce (Frey 1995, pag.19).
L’ambiente viene internalizzato nei processi decisionali e strategici delle imprese
perché divenuto ormai, a seconda dei settori e dei mercati:
- Una barriera all’entrata e una condizione per stare sul mercato; la compatibilità
dei propri processi e dei propri prodotti con l’ambiente rappresenta un pre-
requisito necessario per accedere ai mercati più evoluti del centro-nord Europa.
Basti pensare alla Germania o all’Austria per gli imballaggi, anche se in alcuni
casi queste stringenti normative possono trasformarsi in vere e proprie forme di
protezionismo a tutela dei mercati interni.
Inoltre, se si considerano i beni durevoli, come nel nostro caso le automobili,
l’attenzione che viene riservata a variabili quali l’efficienza energetica e i bassi
consumi di materie prime può determinare il successo competitivo dei prodotti
offerti.
Il fattore ecologico, pertanto, può essere in grado di modificare la struttura del
mercato, selezionando nuovi potenziali entranti e condizionando le performance
delle aziende concorrenti.
- Un elemento di differenziazione o focalizzazione; l’attenzione alla variabile
ambientale offre la possibilità di differenziare la propria offerta dai concorrenti o
di focalizzarla su specifici prodotti “ecologici”.
-Un’opportunità per la creazione di nuovi business; la ricerca e lo sviluppo di
nuove generazioni di prodotti e servizi ecologicamente compatibili danno origine a
nuovi mercati e a nuovi comparti produttivi.
- Un fattore di rapida obsolescenza dei processi e dei prodotti; a fronte di nuove
istanze ambientali, anche tecnologie dominanti possono diventare rapidamente
obsolete ed essere sostituite da nuove soluzioni maggiormente eco-compatibili, in
una materia discussa solo da alcuni decenni e quindi fortemente dinamica.
- Una variabile rilevante per le scelte di investimento; la crescente sensibilità
ecologica dei consumatori e le sempre più stringenti normative impongono una
forte considerazione della variabile ambientale per evitare pesanti costi di
adeguamento alle leggi e ripercussioni negative a livello competitivo.
Anche in ambito finanziario la mancanza di un’adeguata considerazione di questo
fattore può determinare la formazione di passività rilevanti, come per esempio i
costi di bonifica di un sito contaminato.
-Una leva per la riduzione dei costi; si possono infatti conseguire importanti
vantaggi di costo attraverso l’eliminazione di sprechi, la valorizzazione dei residui
prodotti e l’ottimizzazione dei consumi di materie prime, acqua ed energia.
Incrementando l’efficienza e la produttività dei processi produttivi si possono
ottenere sensibili miglioramenti nell’impatto sull’ambiente.
- Uno strumento per il miglioramento dei rapporti con i diversi attori; si può
migliorare la propria credibilità e la legittimazione sociale dell’impresa, ottenendo
fiducia e supporto sia dalle tradizionali categorie di portatori di interesse come i
dipendenti, i clienti, gli operatori finanziari e i fornitori sia dai movimenti
ambientalisti, dall’opinione pubblica e dalla comunità locale.
Tutto ciò a vantaggio della propria immagine.
1.3 IL RUOLO DELL’INNOVAZIONE ORIENTATA ALL’AMBIENTE
NELLA NUOVA ECO-NOMIA
I principali fenomeni di degrado ambientale a livello globale e locale sono il
risultato della diffusione su larga scala di soluzioni tecnologiche e organizzative a
bassa compatibilità ecologica.
La definizione dei nuovi concetti di sviluppo sostenibile, di sviluppo eco-trainato e
di eco - efficienza (Nota 2) hanno determinato una ridefinizione del ruolo della
tecnologia nelle strategie di tutela delle risorse naturali.
L’attuale inversione di tendenza è spiegata in modo chiaro da quello che Paul
Gray, ex presidente del MIT, defini’ alcuni anni or sono paradox of technology: se
il degrado dell’ambiente è causato dall’utilizzo di tecnologie ad elevato impatto
ambientale, sarà proprio il progresso tecnologico a tutelarlo (Ausubel J.H.,
Sladovich P. 1989, pag.2).
La variabile tecnologica influisce, infatti, su due fondamentali dimensioni della
nostra economia capitalistica:
- Il grado di efficienza nell’uso delle risorse.
- Il livello di inquinamento causato da ogni unità prodotta.
Ma con quali modalità realizzare la transizione verso la sostenibilità ?.
A questo punto assumono una rilevanza critica la velocità di sviluppo delle nuove
tecnologie environment-oriented, l’intensità del processo innovativo e la
diffusione su scala globale delle stesse.
Dopo queste considerazioni di carattere generale è ora possibile introdurre il
concetto di innovazione orientata all’ambiente, ossia quell’insieme ampio di
soluzioni tecnologiche e organizzative che migliorano i rapporti tra l’ambiente e il
sistema economico di produzione e consumo (Pogutz S., Tencati A. 1997, pag.16).
All’interno di questa categoria si possono individuare tre diversi tipi di fenomeni
innovativi: le tecnologie ambientali (ecology-driven) che si suddividono in End of
pipe e Cleaner technologies (Nota 3), le tecnologie dirette al miglioramento
dell’efficienza produttiva nell’impiego di energia e materie prime (economy -
driven) e i nuovi cluster di innovazioni tecnologiche (technology - driven) come ad
esempio nuovi materiali, biotecnologie, micromacchine, etc.
Per quanto concerne i nuovi materiali, per esempio, le industrie automobilistiche
hanno individuato come uno dei fattori cruciali per contenere il consumo di un
veicolo la riduzione del suo peso.
Negli ultimi venti anni hanno quindi sensibilmente ridotto le dimensioni delle
vetture: una media auto americana è passata da circa 1.590 a 1.130 kg di peso.
Questa strategia sembra però oggi arrivata al suo limite e ulteriori miglioramenti
appaiono possibili solo passando dall’acciaio ad altri materiali più leggeri. Tra
questi, quelli più adatti sembrano essere l’alluminio e le nuove materie plastiche
(Volvo Environmental Report 1996, pag.34)
L’innovazione risulta quindi essere lo strumento principale per raggiungere
l’obiettivo dell’eco-efficienza, vista anche la progressiva estensione all’intero ciclo
di vita del prodotto della responsabilità dell’impresa, dalle fasi a monte fino a
quelle più a valle.
L’innovazione connessa alla gestione ambientale può essere schematizzata in
quattro diverse categorie a seconda dell’oggetto del processo innovativo: il
processo di trasformazione, il prodotto, il riciclaggio e lo smaltimento e infine i
sistemi di gestione e controllo (Pogutz S., Tencati A. 1997, pag.25).
Notiamo che le prime tre classi si caratterizzano per un orientamento alla
dimensione tecnologica, mentre nella quarta prevalgono gli aspetti organizzativi e
gestionali.