INTRODUZIONE
L’entrata in vigore del pacchetto Clima-Energia (approvato dal Parlamento Europeo
il 17 dicembre 2008 e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea il 5
giugno 2009), con il quale l’Unione Europea ha introdotto delle misure volte a
tradurre in concreto la cosiddetta strategia “20-20-20 entro il 2020”, ha imposto
all’Italia due obiettivi vincolanti per il 2020: la riduzione delle emissioni di gas serra
nei settori non-ETS (che comprendono i piccoli impianti energetici e industriali, i
trasporti, il residenziale, il terziario, l’agricoltura e i rifiuti) del 13% rispetto a quelle
registrate nel 2005 (che sono state pari a 350,9 Mt di CO
2eq
) ed il raggiungimento di
una quota di energia prodotta da fonti rinnovabili pari almeno al 17% del consumo
totale di energia primaria previsto (nel 2005 tale quota era pari al 5,2%).
Gli sforzi richiesti all’Italia per raggiungere gli obiettivi sopra detti sono
particolarmente impegnativi e dovranno essere quindi ripartiti tra i diversi settori
d’uso finale di energia: civile (residenziale + terziario), trasporti, industria,
agricoltura, usi non energetici e bunkeraggi.
Il settore civile, in Italia, con una quota di incidenza del 35% rispetto al consumo
energetico finale complessivo di 132,7 Mtep, è stato nel 2009 il settore più
energivoro, seguito da trasporti (32,2%), industria (22,6%), usi non energetici
(5,5%), bunkeraggi (2,5%) e agricoltura (2,4%). Le quote di incidenza dei diversi
settori sono raffigurate in Figura I.1.
In Figura I.2 sono invece visibili, in riferimento al periodo 2000-2009, gli andamenti
dinamici dei consumi dei tre settori d’uso finale di energia più rappresentativi a
livello nazionale. Tali andamenti evidenziano chiaramente come negli ultimi anni il
settore civile abbia assunto in Italia un peso sempre maggiore nella determinazione
Introduzione 8
del consumo energetico finale complessivo, anche grazie al notevole calo del
consumo verificatosi nel settore industriale per via della crisi economica iniziata
nella seconda metà del 2008 e tuttora in atto.
30,0; 23%
42,5; 32%
46,4; 35%
3,4; 3% 7,2; 5%
3,3; 2%
Industria Civile Trasporti Agricoltura Usi non energetici Bunkeraggi
Figura I.1 Consumi finali di energia per settore in Italia nel 2009. Mtep e percentuali (fonte:
rielaborazione dati MSE).
Figura I.2 Andamento, nel periodo 2000-2009, dei consumi finali di energia relativi ai tre settori
nazionali più rappresentativi. I valori sono espressi in Mtep (fonte: elaborazione ENEA
su dati MSE).
Introduzione 9
Da quanto detto risulta quindi evidente che il raggiungimento o meno da parte
dell’Italia degli obiettivi impostile dal pacchetto Clima-Energia dipenderà molto
dalla politica energetica che il governo italiano attuerà nel settore civile.
In tale settore la domanda finale di energia (soddisfatta, nel 2009, per più dell’85%
con gas metano ed energia elettrica) è rappresentata per circa due terzi dai consumi
energetici legati al riscaldamento/raffrescamento degli edifici e alla produzione di
acqua calda sanitaria; la rimanente parte è invece riconducibile all’illuminazione, agli
elettrodomestici e agli usi per cottura. Pertanto, gli interventi che riguarderanno il
settore in questione dovranno essere volti principalmente a migliorare le prestazioni
del sistema edificio-impianto, mirando in particolare ad aumentare la qualità termica
degli involucri edilizi e ad incentivare l’impiego di impianti di climatizzazione e di
produzione di acqua calda sanitaria ad alta efficienza.
Una tecnologia che è ancora poco diffusa in Italia (ma non in altri Paesi europei quali
Svezia, Svizzera, Austria, Germania, Francia, o extraeuropei come gli USA) e che
potenzialmente potrebbe contribuire in modo significativo a ridurre i consumi
energetici (e quindi le emissioni di gas serra) nel settore civile è rappresentata dagli
impianti a pompa di calore geotermica. Tali impianti, in effetti, costituiscono
attualmente un’alternativa più che valida, sia in termini energetici che economici, ai
tradizionali impianti di condizionamento. Rispetto a questi ultimi, infatti, gli impianti
geotermici garantiscono un’efficienza energetica assai più elevata e, nel medio-lungo
termine, un evidente risparmio economico. Essi permettono inoltre anche di
aumentare la percentuale di energia prodotta da fonti rinnovabili, sia perché sono in
grado di sfruttare energia proveniente da fonte geotermica (che è dunque
rinnovabile), sia perché sono perfettamente compatibili ed integrabili con impianti
“rinnovabili” quali quelli a pannelli solari termici o fotovoltaici.
Introduzione 10
La presente tesi di laurea, che riguarderà proprio gli impianti geotermici (e in special
modo quelli a sonde verticali), si articola nei seguenti capitoli:
1) Geotermia, in cui si definisce cos’è la geotermia e si illustrano le origini e i
possibili utilizzi dell’energia geotermica. Particolare interesse viene rivolto in
questo capitolo agli impianti di climatizzazione geotermici a bassa entalpia
(come ad esempio quelli a sonde geotermiche verticali);
2) Pompe di calore, in cui vengono presentate le tipologie di pompa di calore
più utilizzate nel settore della climatizzazione. Si analizzano in particolare i
principi di funzionamento, le componenti essenziali e gli indici prestazionali
delle pompe di calore a compressione di vapore (sia elettriche che a motore
endotermico) e ad assorbimento;
3) Sonde geotermiche verticali, in cui, nella prima parte, si descrivono le sonde
geotermiche verticali, e quindi gli elementi essenziali che le compongono, gli
ausiliari e le attrezzature usati per la loro corretta posa, i fluidi termovettori
geotermici in esse impiegati e le diverse tecniche di perforazione del terreno
utilizzate per la loro installazione, mentre, nella seconda parte, si illustra la
modellizzazione termica analitica del sistema sonda-terreno effettuata da
Carlsaw e Jaeger e si analizza il metodo di dimensionamento sonde,
denominato “metodo ASHRAE”, che ne deriva;
4) Climatizzazione e ACS, in cui, nel primo paragrafo, si definisce cosa si
intende per climatizzazione e si specificano le condizioni che un ambiente
chiuso deve rispettare per poter ricreare al suo interno una situazione di
comfort termo-igrometrica accettabile, mentre, nei paragrafi successivi, si
illustrano le procedure di:
• calcolo del fabbisogno energetico sensibile netto per la
Introduzione 11
climatizzazione invernale ed estiva di un edificio secondo la norma
UNI/TS 11300-1:2008;
• calcolo del carico termico invernale di progetto di un edificio o di una
sua entità porzione secondo la norma UNI EN 12831:2006;
• calcolo del carico termico estivo di progetto di un edificio secondo il
“metodo Carrier”;
• calcolo del fabbisogno energetico netto per la produzione giornaliera
media di acqua calda sanitaria secondo la norma UNI/TS 11300-
2:2008;
• calcolo della potenza termica utile richiesta per la produzione di acqua
calda sanitaria secondo la norma UNI 9182:2010;
5) Esempio di progettazione, in cui viene descritta la procedura eseguita per la
progettazione dell’impianto di climatizzazione e produzione di acqua calda
sanitaria a sonde geotermiche verticali di un’abitazione monofamiliare; tale
progettazione è stata effettuata utilizzando proprio il metodo di
dimensionamento ASHRAE illustrato nel Capitolo 3 e le procedure di calcolo
riportate nel Capitolo 4. Nell’ultimo paragrafo vengono infine analizzati e
confrontati i costi e le emissioni di CO
2eq
che si avrebbero se nell’edificio in
esame venisse installato l’impianto a sonde geotermiche verticali (integrato
da sistema VMC) progettato o un impianto con caldaia a condensazione
abbinato a sistemi split.
CAPITOLO 1
GEOTERMIA
1.1 INTRODUZIONE
In ambito tecnico, con il termine “geotermia” si indica lo studio e lo sfruttamento in
tutte le sue possibili forme dell’energia termica che è presente all’interno della Terra.
L’esistenza di tale energia, che viene definita appunto “geotermica”, e dei fenomeni
ad essa legati di vulcanismo primario (vulcani) e secondario (geyser, soffioni
boraciferi, fumarole, ecc.), dei quali gli uomini sin dai tempi più antichi hanno
avvertito la presenza, è giustificata dalla natura interna del nostro pianeta e dai
processi fisici che in esso hanno luogo.
Il nostro pianeta è formato dalla “crosta”, che ha uno spessore di circa 20÷65 km
nelle aree continentali e 5÷6 km in quelle oceaniche, dal “mantello”, spesso
approssimativamente 2.900 km, e dal “nucleo”, che si divide in “nucleo interno” ed
in “nucleo esterno” e che ha un raggio complessivo di circa 3.470 km; le proprietà
1. Geotermia 13
fisiche e chimiche di crosta, mantello e nucleo variano andando dalla superficie verso
l’interno della Terra. Uno schema della struttura interna della Terra è rappresentato
nella Figura 1.1.
Figura 1.1 Schema della struttura interna della Terra: crosta, mantello e nucleo. In alto a destra è
riportato un dettaglio della crosta e della parte superiore del mantello (fonte: Dickson e
Fanelli, 2004).
L’involucro esterno del globo formato dalla crosta e dalla parte più esterna del
mantello, in geologia, viene detto “litosfera”; esso ha uno spessore che va da meno di
80 km nelle aree oceaniche a più di 200 km in quelle continentali e si comporta come
un corpo rigido. Subito sotto tale involucro si trova uno strato chiamato
“astenosfera”, il quale è costituito dalla parte alta del mantello ed ha, rispetto alla
litosfera, un comportamento meno rigido, più plastico, in quanto al suo interno si
1. Geotermia 14
verificano dei moti convettivi magmatici lentissimi (di pochi centimetri l’anno);
questi moti, alimentati dal calore prodotto continuamente dal decadimento degli
isotopi radioattivi presenti principalmente nel mantello (in prevalenza uranio 238,
uranio 235, torio 232 e potassio 40) e dall’energia termica proveniente dal
raffreddamento del nucleo del pianeta, permettono ad enormi volumi di rocce fuse o
semifuse, più calde e più leggere dei materiali sovrastanti, di risalire dalle profondità
verso la superficie, e, alle rocce più superficiali, più fredde e più pesanti, di compiere
il percorso inverso in direzione degli strati più caldi.
Nelle zone in cui la litosfera è più sottile (soprattutto nelle aree oceaniche), essa
viene spinta verso l’alto e fratturata dal materiale molto caldo e parzialmente fuso
che risale in corrispondenza dei rami ascendenti dei moti convettivi; in questo modo
si sono formate, e tuttora continuano a formarsi, le dorsali, che si estendono per oltre
60.000 km sotto gli oceani, emergendo in alcune zone (Azzorre, Islanda) e talvolta
insinuandosi tra i continenti come nel Mar Rosso.
I due lati di una dorsale tendono ad allontanarsi a causa dell’azione di trascinamento
provocata dalla risalita del flusso magmatico, il quale difatti, giungendo in prossimità
della litosfera, si divide in due rami che scorrono in direzioni opposte.
Lo spazio generato da questo lento allontanamento (qualche centimetro l’anno) viene
riempito da materiale del mantello che, in risalita, solidifica venendo a contatto con
l’acqua marina o, in alcuni casi (ad esempio in Islanda), con l’atmosfera. Questa
continua formazione di nuova crosta oceanica viene compensata dalle zone di
subduzione, che sono aree in cui avviene una riduzione (o assorbimento) della
litosfera di entità pari a quella creata nelle dorsali. In effetti, nelle zone di
subduzione, che si trovano prevalentemente in corrispondenza delle grandi fosse
oceaniche (come quelle che si estendono lungo il margine occidentale dell’Oceano
1. Geotermia 15
Pacifico e lungo la costa occidentale dell’America Meridionale), si verifica
un’inflessione verso il basso di tratti di litosfera, i quali, inserendosi al di sotto del
livello della litosfera adiacente, sprofondano nel mantello dove vengono consumati.
La Figura 1.2 mostra graficamente gli andamenti della litosfera e dell’astenosfera in
presenza di una dorsale e delle due conseguenti zone di subduzione, le quali possono
dar luogo alla formazione di vulcani sia sui margini continentali (come nelle Ande),
sia negli archi di isole (come in Giappone).
Figura 1.2 Rappresentazione schematica degli andamenti della litosfera e dell’astenosfera in
presenza di una dorsale e di due zone di subsidenza (fonte: Dickson e Fanelli, 2004).
Le dorsali, le faglie trasformi (che sono delle enormi fratture, talvolta lunghe qualche
centinaio di chilometri, che tagliano perpendicolarmente le dorsali) e le zone di
subduzione formano un enorme reticolato, che divide la Terra in placche litosferiche
o zolle, e precisamente in sette placche principali (pacifica, nordamericana,
sudamericana, eurasiatica, africana, indo-australiana e antartica) e in numerose
placche minori (di Nazca, di Cocos, caraibica, delle Filippine, araba, ecc.).
A causa delle grandi tensioni prodotte dai fenomeni descritti precedentemente, le
placche, che “galleggiano” sull’astenosfera, si muovono, scivolano lentamente l’una
contro l’altra, collidono e cambiano continuamente la loro reciproca posizione,
facendo sì che i loro margini diventino zone di fragilità e di forte fratturazione della
1. Geotermia 16
crosta caratterizzate da un’elevata sismicità e dalla presenza di molti vulcani. Inoltre,
nei pressi dei margini intercostali, a causa della minor difficoltà che i materiali
magmatici vi incontrano durante la risalita verso la superficie, si trovano anche le più
importanti aree geotermiche. In Figura 1.3 sono ben visibili le placche litosferiche
delimitate dalle dorsali, dalle faglie trasformi e dalle zone di subduzione e i principali
siti geotermici utilizzati per produrre elettricità.
Le frecce indicano la direzione del movimento delle zolle. (1) Siti geotermici sfruttati per la produzione di elettricità; (2) dorsali
interrotte dalle faglie trasformi (fratture trasversali); (3) zone di subduzione, nelle quali la litosfera volge in basso verso
l’astenosfera, dove fonde.
Figura 1.3 Disposizione globale di placche tettoniche, dorsali, zone di subduzione, fratture crostali e
di siti geotermici sfruttati per la produzione di energia elettrica (fonte: Dickson e
Fanelli, 2004).
L’energia geotermica, che include sia il calore primordiale della Terra che quello di
origine radiogenica generato dal continuo decadimento degli isotopi radioattivi che si
verifica all’interno del mantello e della crosta, è disponibile praticamente in quantità
illimitata.
Questa energia, a causa della differenza di temperatura che esiste tra le zone più
1. Geotermia 17
profonde, più calde (la temperatura nel nucleo può superare i 6.000 °C), e quelle più
superficiali, più fredde, viene dissipata attraverso un flusso termico regolare che si
diffonde dal nucleo e dal mantello dapprima verso la crosta e poi verso l’atmosfera
(il calore che giunge all’atmosfera tramite questo processo, e che proviene in piccola
parte anche dal lento raffreddamento del nucleo, è assai minore di quello irradiato dal
Sole). Tale “flusso geotermico”, che vale in media 0,065 W/m
2
nelle aree
continentali e 0,101 W/m
2
in quelle oceaniche, considerando tutta la superficie
terrestre, arriva a disperdere oltre 40.000 GJ al secondo.
E’ stato calcolato che, sino alle profondità raggiungibili con le moderne tecniche di
perforazione, il rapporto tra l’aumento della temperatura e l’aumento della profondità
(definito tecnicamente “gradiente geotermico”) varia in media tra i 2,5 ed i 3 °C/100
m. Pertanto, se la temperatura nei primi metri sotto la superficie, che corrisponde con
buona approssimazione alla temperatura media annua dell’aria esterna, è di 15 °C, si
può prevedere che a 2.000 m di profondità si abbia una temperatura di 65÷75 °C, a
3.000 m di 90÷105 °C e via di seguito per alcune migliaia di metri. Tuttavia, a causa
delle discontinuità dello spessore della crosta terrestre e delle diverse situazioni
geologiche degli strati più superficiali, che possono favorire o meno una risalita di
materiali magmatici da zone profonde, vi sono vaste regioni nelle quali il valore del
gradiente geotermico si discosta sensibilmente da quello medio; esistono, difatti, sia
aree caratterizzate dalla presenza di sedimenti geologicamente “molto giovani” nelle
quali il gradiente è inferiore ad 1 °C/100 m, sia aree in cui tale gradiente raggiunge
valori pari anche a dieci volte quello medio.
Nelle aree dove il gradiente geotermico è superiore alla media e, soprattutto nelle
regioni prossime ai margini delle zolle crostali, è possibile la formazione spontanea
di “sistemi geotermici” (Figura 1.4), ossia di sistemi acquei convettivi che, confinati
1. Geotermia 18
all’interno di spazi situati nella parte superiore della crosta, trasportano il calore da
una sorgente termica fino alla superficie terrestre, o in sua prossimità, dove questo
calore viene poi disperso.
Un sistema geotermico è formato essenzialmente da tre elementi: una sorgente
termica (che è l’unico elemento che non può essere realizzato artificialmente), un
serbatoio ed un fluido che riesca a trasportare calore.
Figura 1.4 Rappresentazione schematica di un sistema geotermico (fonte: Dickson e Fanelli, 2004).
La sorgente di calore può essere costituita da un’intrusione magmatica negli strati più
superficiali (di profondità normalmente compresa tra i 5 e i 10 km) ed avere una
temperatura anche superiore ai 600 °C, oppure, come accade nei comuni sistemi a
bassa temperatura, può essere rappresentata semplicemente dall’energia termica
immagazzinata nel terreno.
Il serbatoio è un complesso di rocce calde permeabili nel quale i fluidi scorrono
assorbendo calore; esso è in genere ricoperto da strati impermeabili ed è connesso ad
aree di ricarica che permettono alle acque meteoriche di rimpiazzare, totalmente o
1. Geotermia 19
parzialmente, i fluidi persi attraverso vie naturali (come ad esempio sorgenti,
fumarole, ecc.) o estratti artificialmente mediante dei pozzi.
Il fluido geotermico nella maggioranza dei casi è costituito da acqua meteorica o di
reiniezione che, in base alla temperatura ed alla pressione raggiunte, può trovarsi in
fase liquida o vapore;
Per quanto possa essere enorme la quantità di energia termica della Terra, essa è
sfruttata solo in piccola parte. Sino ad oggi, infatti, l’utilizzazione di questa energia è
stata quasi esclusivamente limitata allo sfruttamento dei sistemi geotermici già
esistenti.
Gli impieghi delle risorse geotermiche sono innumerevoli e interessano settori che
vanno da quello industriale a quello dell’elettrogenerazione, da quello serricolo a
quello dell’allevamento, senza dimenticare quello della climatizzazione civile e
quello termale.
Nel diagramma di Figura 1.5 sono riportati i possibili utilizzi dell’energia geotermica
in base alla temperatura del fluido caldo a disposizione; tale diagramma evidenzia
due aspetti importanti dell’impiego delle risorse geotermiche: il primo è che la
possibile utilizzazione di una risorsa è determinata principalmente dalla temperatura
del fluido geotermico, il secondo, invece, è che con progetti a cascata o combinati è
possibile estendere lo sfruttamento di tali risorse.
Secondo la normativa italiana (ai sensi e per effetto del D.Lgs. 11 febbraio 2010
n.22) si definiscono:
• risorse geotermiche ad alta entalpia quelle caratterizzate da una temperatura
del fluido reperito superiore a 150 °C;
• risorse geotermiche a media entalpia quelle caratterizzate da una temperatura
del fluido reperito compresa tra 90 °C e 150 °C;
1. Geotermia 20
• risorse geotermiche a bassa entalpia quelle caratterizzate da una temperatura
del fluido reperito inferiore a 90 °C;
Generalmente la geotermia ad alta entalpia riguarda la produzione di energia elettrica
ed alcuni usi industriali, mentre le altre due tipologie di geotermia sono legate
principalmente ad usi diretti nel campo civile, agricolo e industriale.
Figura 1.5 Rielaborazione aggiornata del diagramma di Lindal (fonte: Dickson e Fanelli, 2004).
Nei successivi paragrafi di questo capitolo verranno approfonditi alcuni degli utilizzi
dell’energia geotermica.