INTRODUZIONE
L’obiettivo di questo lavoro è quello di analizzare la situazione geopolitica attuale concentrandosi
in particolare sulla zona dell’Asia Centrale, quella che uno dei padri della moderna geopolitica,
Harold Mackinder, agli inizi del XX secolo, per motivi di carattere strettamente geografico,
considerava come “l’Heartland”, il cuore, del pianeta. Secondo Mackinder, “chi governa l’Europa
orientale comanda la zona centrale; chi governa la zona centrale comanda la massa eurasiatica; chi
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governa la massa eurasiatica comanda il mondo”. L’Asia centrale è stata teatro per tutto il XIX
secolo di numerosi contrasti diplomatici-militari dovuti agli interessi strategici di due delle piø
grandi potenze europee dell’epoca, Gran Bretagna e Russia. L’obiettivo della Russia zarista era
quello di costruire un grande impero eurasiatico e le tappe sarebbero state quelle della dissoluzione
dell’impero Ottomano e della conquista dell’India. A livello geostrategico il vero obiettivo per i
Russi era quello dell’accesso al Mar Mediterraneo e all’Oceano Indiano entrando in possesso di
gran parte di quella zona che il geopolitico americano Nicolas John Spykman, rivisitando la teoria
di Mackinder, definiva come “Rimland”, ovvero la fascia marittima e costiera che circonda
l’Eurasia. Il possesso congiunto di Heartland e Rimland avrebbe portato all’inevitabile egemonia
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militare ed economica.
Fu questa minaccia che le potenze europee nel corso dell’800 si curarono di sventare, in primo
luogo nella guerra di Crimea (1854-1856), nella quale la Russia cercò di impadronirsi delle attuali
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Halford Mackinder, “The Geographical Pivot of History”, in The Geographical Journal, vol. 170 no.4, pp.421-437,
citato in Svante E. Cornell, “Strategic alignment in Caucasus and Central Asia”, Journal of International Affairs, Vol.4,
n°2, 1999, p.100.
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John Spykman, “The Geography of the Peace”, New York, Harcourt, Brace and Company, 1944, p.43.
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Bulgaria e Romania, affacciate sul Mar Nero e di conseguenza, attraverso lo stretto dei Dardanelli,
sul Mediterraneo. In secondo luogo, la Russia, dopo che fu sconfitta in Crimea, pose lo sguardo
sull’Oceano Indiano provocando lo scoppio delle guerre anglo-afgane, la prima nel 1838-42, la
seconda nel 1878-81, la terza nel 1919. Furono proprio queste ultime il fulcro del cosiddetto
“Grande Gioco”, un conflitto costituito da manovre spionistiche, alleanze militari e combattimenti
per procura tra Russia e Gran Bretagna per il controllo dell’Asia Centrale, della “Via della Seta” e
della penisola indiana. Fu in quest’ottica che la Russia iniziò ad estendere la propria influenza nei
khanati (attuali “stan”) dell’Asia Centrale, innescando l’immediata reazione britannica che si
concretizzò con l’invasione dell’Afghanistan (1838-1842), considerato come uno stato “cuscinetto”
da frapporre tra la zona d’influenza russa e l’India. L’invasione si rivelò la peggior disfatta di
sempre nella politica coloniale di Sua Maestà, gli Inglesi, infatti, si dovettero ritirare dopo quattro
anni dall’instaurazione di un debole governo fantoccio, a seguito di ribellioni interne, perdendo, tra
l’altro, piø di 5000 uomini. Nel 1878 essi rientrarono e riuscirono ad instaurare una propria
influenza nella zona, pur mantenendo l’Afghanistan indipendente, influenza, che durò fino al 1919
quando, in seguito ad un attacco Afghano al confine con l’India britannica, gli Inglesi decisero di
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ritirarsi.
Oggi non sono solo osservazioni di carattere geografico ad evidenziare l’importanza strategica
della zona; tutti gli stati dell’Asia Centrale, il cui nome termina per “stan”(terra), giacciono su
immense riserve di gas e petrolio che non possono che fungere da calamita per gli interessi
economici delle grandi potenze, soprattutto nel contesto geopolitico attuale, in cui le linee piø
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Peter Hopkirk, “The Great Game: The Struggle for Empire in Central Asia”, Kodansha Globe, 1994, pp.1-11.
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importanti tracciate sulle cartine non sono piø quelle dei confini nazionali ma quelle di oleodotti e
gasdotti. Geograficamente gli “stan”, oltre alla loro centralità rispetto alle maggiori potenze
mondiali, sono privi di sbocchi sul mare e questo significa che queste terre dovranno dipendere in
eterno dagli investimenti e dai beni stranieri. Nonostante la loro ricchezza interna, nazioni come
Kazakistan, Uzbekistan e Turkmenistan dovranno dipendere dalla Russia, dalla Cina, dagli Stati
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Uniti e dall’Europa per lo sfruttamento, l’estrazione e l’immissione sul mercato dei loro idrocarburi.
Il “Grande Gioco” non si è concluso, sono semplicemente cambiati gli attori: Il posto della Gran
Bretagna è stato preso dagli Stati Uniti, presenti proprio in Afghanistan, la Russia forte delle sue
relazioni con gli “stan” e del suo patrimonio energetico sta assumendo un’importanza sempre
maggiore a livello internazionale. E’l’energia il fattore chiave che sta proponendo un “Nuovo
Grande Gioco” al quale si sono aggiunti altri protagonisti: la Cina, l’Europa e l’Iran. Quali saranno
le dinamiche con le quali le grandi potenze si muoveranno su questo scacchiere? Qual è l’approccio
teorico di relazioni internazionali piø adatto per poter avanzare delle ipotesi sullo scenario futuro?
Secondo l’approccio civilista di Samuel Huntington, nel contesto multipolare post-guerra fredda
composto da sette o otto civiltà, sono le differenze e le affinità culturali che determinano gli
eventuali interessi, conflitti e associazioni tra stati e che i principali problemi da risolvere sono
proprio quelli riguardanti gli aspetti culturali, etici e religiosi. Gli assunti ideologici e filosofici che
caratterizzano valori e costumi delle varie civiltà sono profondamente diversi, l’attuale “risveglio
religioso” che vede protagonisti principalmente alcuni paesi islamici, aggrava ancor di piø la
situazione. Gli interessi economici e politici scaturiscono dai retaggi e dalle tradizioni culturali e
sono in un certo senso subordinati ad essi. Huntington, nel suo approccio civilista, sostiene che le
organizzazioni internazionali composte da stati culturalmente affini, hanno molto piø successo, vedi
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l’Unione Europea. Il fattore economico, attualmente, ha invece un’importanza uguale, se non
maggiore, di quello culturale, si pensi proprio al primo passo della storia dell’Unione Europea
ovvero l’istituzione della CECA, la comunità del carbone e dell’acciaio che attraverso un’intesa
sulla gestione di tali risorse fondamentali situate al confine franco-tedesco ha permesso di risolvere
la secolare conflittualità tra i due paesi, facendoli diventare addirittura l’asse portante dell’attuale
organizzazione sovranazionale. La geniale intuizione di statisti come Robert Schuman e Jean
Monnet, piø che le affinità culturali, ha portato ad un periodo di stabilità che dal 1950, data della
dichiarazione di Schuman, dura fino ad oggi. Un altro esempio piø attuale di come un interesse
economico prevalga su differenze e affinità culturali o come i secondi vengano strumentalizzati in
funzione del primo, è l’intervento russo nell’Ossetia del Sud, dove le motivazioni dell’attacco
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Parag Khanna, “I tre imperi. Nuovi equilibri globali nel XXI secolo”, Fazi 2009, Roma, p.120.
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Samuel Huntington, “Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale”, Garzanti, 2000, Milano, pp.7-35.
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possono essere molteplici, tra cui una risposta al riconoscimento USA del Kosovo o quella della
difesa della popolazione russa della zona, ma dove ciò che appare piø evidente è la strategicità
della regione e la presenza dell’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, unico oleodotto proveniente dalla
ricca Asia Centrale che non è in mano alla Russia. La reazione europea è stata di condanna ma ben
lontana dalla presa di misure concrete e non potrebbe essere altrimenti, data la dipendenza dalle
forniture di gas russo. A parere di chi scrive l’approccio piø idoneo per studiare il contesto attuale
resta quello del realismo classico e dei suoi assunti principali: gli stati sono gli attori fondamentali e
la politica mondiale è sinonimo di anarchia internazionale, si tratta cioè di un sistema senza alcuna
autorità sovrastante in cui per gli attori statali, come dice Morgenthau, “l’obiettivo immediato è il
potere, e i sistemi per acquisirlo, conservarlo e mostrarlo determinano le tecniche del
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comportamento politico”. Ciò che però Morgenthau e i realisti in generale non considerano è,
secondo la lungimirante critica di Raymond Aron, l’influenza dell’opinione pubblica sulle decisioni
degli stati. Secondo il sociologo e giornalista francese infatti, nei paesi democratici un governo non
può ignorare la volontà del popolo elettore al fine di ottenere un altro mandato, mentre nei paesi piø
autoritari il governo avrà maggior libertà di manovra in politica estera, perseguendo con meno
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scrupoli la propria politica di potenza. Aron distingue tra sistemi omogenei ed eterogenei: in un
sistema omogeneo gli stati riconoscono a vicenda i propri principi di legittimazione, non vi sono
ideologie contrastanti ed in un potenziale conflitto il vincitore punta alla semplice sconfitta del
nemico, in un sistema eterogeneo tra gli stati aventi ideologie diverse non c’è riconoscimento di
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legittimità e in guerra si punta all’annientamento del nemico. Un esempio storico può essere la
Prima Guerra Mondiale dove da un contesto omogeneo di partenza, gli Americani, per giustificare
l’intervento, ne hanno evidenziato l’eterogeneità tra democrazie e autocrazie. La Seconda Guerra
Mondiale è un esempio invece di eterogeneità ternaria, fascismi, democrazie e comunismo. Oggi
possiamo distinguere sicuramente un blocco occidentale democratico (USA,UE), un blocco
islamico e quelli che possono essere definiti due autoritarismi, Cina e Russia, quindi una
eterogeneità multipolare. Ogni blocco persegue, con strumenti e modi diversi in base alla
democraticità del proprio governo, una politica di espansione e potenza, potenza che sempre piø
dipenderà in futuro dall’accesso alle fonti di approvvigionamento energetico piø che dalle conquiste
territoriali e da una fonte di energia in particolare che verrà analizzata: il gas naturale.
6
Hans Morgenthau, “Scientific Man versus Power Politics”, Chicago, Phoenix, 1965, p.195, citato in R.Jackson, Georg
Sorensen, “Relazioni Internazionali”, Egea 2005, Milano, p. 77.
7
Raymond Aron, “Peace & War: a Theory of International Relations”, Transaction Publishers, New Brunswick 2003,
p. 282.
8
Ibidem, pp. 373-404.
6
Secondol’AIE, World Energy Outlook di Parigi, il dato strutturale che segnerà il futuro energetico è
la grande domanda di energia, che aumenterà con il miglioramento delle condizioni di vita delle
popolazioni. Negli ultimi trent’anni la domanda mondiale di energia è raddoppiata, raggiungendo
nel 2006 la quota di 11,7 miliardi di tep (tonnellate equivalente petrolio) ed è destinata a crescere
con l’andamento demografico, l’urbanizzazione, l’aumento della mobilità e il progresso tecnologico
arrivando ad una previsione di 17,7 miliardi di tep nel 2030, in sintesi, è evidente il nesso tra
crescita economica globale e aumento della domanda energetica. Ma ciò che piø interessa
all’interno di questo lavoro è la struttura interna di questa domanda e la sua variazione dal 1971,
dove il petrolio e gas ne rappresentavano rispettivamente 43,7 % e 16%, alla prospettiva per il 2030
dove il petrolio sarà al 31,5% e il gas al 22,3%, quello che una volta era considerato come il
“fratello minore” dell’oro nero è destinato nell’immediato futuro ad avere un ruolo simile ad esso e
magari a superarlo in una prospettiva di piø lungo periodo. Tra gli altri fattori che incrementeranno
l’importanza della risorsa del gas, oltre all’aumento della mobilità e alla sempre maggior diffusione
di motori a gpl e metano, abbiamo quello relativo alla crescente urbanizzazione e alla produzione di
energia elettrica per fonte di energia: il dato del 1971 vede un utilizzo di petrolio e gas al 21% e
13%, la prospettiva per il 2030 ribalta la situazione con un 3% per il petrolio e un 23% per il gas.
Dal punto di vista dell’offerta quella del gas aumenterà, nel periodo 2005-2030, del 68% rispetto al
40% del petrolio. Importante sottolineare, infine, come l’Unione Europea, nel 2030, sarà dipendente
per l’80% da importazioni per il gas, introducendo seriamente il problema della sicurezza
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energetica.
Il gas, in sintesi, sarà per i paesi industrializzati ed in particolare per l’Europa e Cina una risorsa
energetica sempre piø imprescindibile. Secondo Michael Economides, uno dei piø importanti
analisti americani in materia energetica, il gas naturale prenderà il posto del petrolio e diventerà la
piø importante risorsa energetica mondiale. Il sorpasso dovrebbe avvenire nel 2030, a conferma di
un consumo che negli ultimi decenni sta costantemente aumentando a livello globale. Il gas ha
numerosi pregi: un valore calorifico superiore a petrolio e carbone, una minore emissione di
anidride carbonica all’atto della combustione, ed una maggiore facilità di trasporto. Secondo le
stime dell’AIEA (Agenzia Internazionale Energia Atomica) i recenti progressi tecnologici
permetteranno di raddoppiare la quantità delle riserve di gas sfruttabili, ed esse (al livello di
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domanda attuale) durerebbero per tre secoli.
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Dati statistici da AIE Energy Outlook 2009, http://www.iea.org/.
10
Michael Economides citato in http://www.globalresearch.ca/ . Finiam Cunningham, “Iran’s Natural Gas Riches: US
Knife to the Heart of World Future Energy” , 18/03/2010.
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La presenza di ricchi giacimenti di gas naturale in Asia Centrale e nei paesi confinanti(Russia, Iran,
Turkmenistan ai primi tre posti a livello mondiale) e la crescente domanda di questa risorsa (Cina,
India, Pakistan ed Europa vedranno il loro crescere repentinamente il loro fabbisogno di gas
naturale nei prossimi trent’anni) concentrerà l’attenzione delle maggiori potenze in questa zona,
dando luogo al “Nuovo Grande Gioco” in Asia Centrale. A livello geopolitico i quesiti che possono
scaturire da questo scenario sono molteplici: è’ possibile che si venga a formare uno stato egemone
nel continente eurasiatico? La Cina e la Russia hanno mezzi e capacità per diventare potenziali
leader? Quale sarà la reazione dell’Europa, ammesso che si possa considerare come attore unitario,
nei confronti della dipendenza energetica russa? Continuerà a darsi da fare per la modernizzazione
delle economie e delle istituzioni della regione Caspica o cercherà, in un’ottica di sicurezza
energetica, di allentare questo vincolo? Isolare la Russia è la scelta giusta o sarebbe meglio cercare
di sganciarla il piø possibile dall’influenza cinese consolidando i rapporti con essa? Quale ruolo
giocheranno gli Usa all’interno di questo scacchiere? La loro presenza in Afghanistan servirà a
frenare le mire egemoni Cinesi o Russe? Alla luce dei recenti accordi energetici con l’Iran, è
possibile il formarsi di un asse Iran-Cina-Russia e di un conseguente assetto bipolare eterogeneo
delle relazioni internazionali? Quanto sarà fondamentale il ruolo della Turchia e il suo possibile
ancoraggio con l’occidente attraverso l’ingresso nell’Unione Europea? Saranno in grado gli
“stan”(Kazakistan, Turkmenistan e Uzbekistan su tutti) di giocare un ruolo a sØ o saranno
necessariamente inglobati nelle sfere di influenza russa, cinese, iraniana od occidentale? Al di là
degli interrogativi l’unica certezza è che nei prossimi anni, le attenzioni sia delle civiltà, per dirla
alla Huntington, che delle grandi potenze, convergeranno sull’Heartland, l’Asia Centrale.
Nella prima parte della tesi verrà analizzato il ruolo della Russia e la sua influenza in Asia Centrale
grazie a quello che vedremo essere un quasi monopolio di Gazprom sul gas naturale della regione.
Si porrà attenzione anche all’influenza di Iran e Cina sulla regione ed ai loro rapporti con la Russia.
Nella seconda parte vedremo come la Russia stia utilizzando il gas dell’Asia Centrale per avere il
monopolio delle forniture verso l’Europa. Si esamineranno quindi le conseguenze geopolitiche di
questa situazione e le azioni che un Europa fortemente divisa in materia di sicurezza energetica sta
cercando di compiere per allentare la morsa russa.
Nella terza ed ultima parte l’attenzione verterà sulla strategia americana in Asia Centrale volta ad
evitare il predominio di Russia, Cina ed Iran nell’intero blocco eurasiatico. Vedremo quanto sarà
influente a livello geopolitico la progettazione dei gasdotti e quali conseguenze geostrategiche
potranno avere i loro percorsi.
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Nelle conclusioni si cercherà, utilizzando un approccio realista alle relazioni internazionali, di
capire quali scenari geopolitici si potranno profilare a livello eurasiatico in relazione alle nuove
mappe dei gasdotti
1) LA RUSSIA E LA SUA INFLUENZA IN ASIA CENTRALE.
1.1) Caratteristiche degli stati dell’Asia Centrale e la loro storia recente.
L’energia è un fattore di sempre maggiore importanza nello scenario geopolitico del XXI secolo.
Già dai tempi dell’impero zarista, la zona dell’Asia Centrale con la sua ricchezza di idrocarburi
aveva assunto un ruolo di primo piano negli interessi del Cremlino. Furono proprio le ricchezze
energetiche che spinsero l’autocrazia zarista a cercare di espandersi in tutta l’Asia Centrale e
meridionale, facilitata dal fatto che con esiste alcuna barriera fisica tra la steppa kazaka e le pianure
russe, un continuum di pianure che ha permesso l’invasione dei Russi già dal XVIII secolo. Dalla
Siberia al Caucaso, la Russia ha da sempre potuto fruire di grandi giacimenti energetici di gas e
petrolio soprattutto per quanto concerneva il Mar Caspio. Con la fine della Prima Guerra Mondiale
si assistette al crollo dei grandi imperi europei tra cui quello zarista che portò ad un temporaneo
abbandono dell’attenzione russa sull’Asia Centrale. Nonostante le promesse della rivoluzione
bolscevica, le nazionalità turcofone della zona videro scemare le loro speranze di indipendenza con
la nascita di un nuovo impero, questa volta sovietico. Stalin sfruttò gli ingenti approvvigionamenti
di petrolio e gas naturale per sostenere la costosa e imponente macchina bellica sovietica che si
sarebbe dovuta impegnare prima, concretamente, nel secondo conflitto mondiale contro la
Germania nazista e poi nel confronto bipolare a distanza con gli Stati Uniti. Durante la Guerra
Fredda, l’obiettivo di prevalere sul rivale americano dal punto di vista economico e tecnologico,
portò la Russia a considerare le repubbliche centroasiatiche esclusivamente come fornitrici di
materie prime. In seguito alla “destalinizzazione”, già con Chruščёv, tutti i difetti dell’economia
pianificata comunista vennero alla luce, così come l’indiscriminato sfruttamento che il regime
praticava in questi paesi. Con Gorbačºv vi fu una lieve concessione di libertà ai governi degli “stan”,
la quale sfociò in breve nell’emergere di violenti movimenti indipendentisti di matrice musulmana
che ancora oggi sono uno dei problemi interni piø gravi sia in Asia Centrale che nel Caucaso. Con
la dissoluzione dell’Urss e l’indipendenza di Ucraina, Georgia, Armenia ed Azerbaijan si allentò
notevolmente l’influenza di Mosca sul Mar Nero, impendendole di ricostruire un forte impero
eurasiatico e aprendo la strada all’influenza occidentale nella zona del Caucaso, che ancor oggi
rappresenta il piø importante avamposto per Usa ed Europa per contrastare l’egemonia russa e
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cinese nell’heartland. Le ex repubbliche sovietiche centroasiatiche hanno potuto inoltre godere
dell’appoggio economico e politico di altri paesi culturalmente a loro affini come Turchia, Iran,
Pakistan e Arabia Saudita che hanno permesso loro di allentare la cronica dipendenza da Mosca
diversificando i loro rapporti commerciali. Oggi la Russia resta in una posizione di grande
preponderanza nello sfruttamento delle risorse energetiche della regione ma non è la sola ad essere
presente. L’apertura dei governi centroasiatici e della stessa Russia alle imprese petrolifere straniere,
nel periodo che va dal crollo del muro di Berlino fino alla salita al potere di Putin, ha permesso una
condivisione delle risorse del mar Caspio con altri stati nonchØ la costruzione del gasdotto Baku-
Tbilisi-Cehyan (BTC), unico condotto non di proprietà russa e che permette lo sfruttamento delle
risorse dell’Heartland senza le condizioni economiche imposte da Mosca attraverso il colosso
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Gazprom.
Attualmente, la composizione etnica e religiosa degli stati dell’Asia Centrale consiste in una
stragrande maggioranza della popolazione di ceppo linguistico turcofono e di confessione
musulmano sunnita. Dal punto di vista politico invece, dopo l’indipendenza conseguita da tutti gli
“stan” nel 1991 è ancora evidente la preponderanza dell’eredità sovietica. Tutti i regimi della
regione sono autocratici, il potere politico ed economico è ancora nelle mani di reti clientelari che
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fanno capo a vecchi leader regionali sovietici.
Essendo venuta meno la legittimazione ideologica, in molti di questi stati è presente un culto della
personalità del leader politico riconducibile al periodo staliniano, si prenda per esempio il caso
emblematico del Turkmenistan e del suo ex presidente Nyyazow , il quale autoproclamatosi “padre
dei Turkmeni”, intitolò strade e piazze a suo nome, rinominò i mesi dell’anno con i nomi dei
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http://www.eurasia-rivista.org/ . Marco Luigi Cimminella, “I protagonisti del Grande Gioco 2: La Russia”,
05/04/2010.
12
Eugenio Somaini, Geografia della democrazia, Il Mulino, Bologna, 2009, p.375
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famigliari e accostò un poema epico scritto dal lui all’Islam, obbligandone l’insegnamento a
memoria nelle scuole. Alla scomparsa di Nyyazow è succeduto Berdymukhammedov, designato dal
Consiglio di Sicurezza Militare e poi eletto con il 90% di consenso. Il Turkmenistan è un paese
fortemente musulmano, collocato geograficamente al confine con l’Iran, trova la sua particolarità
geostrategica proprio per i suoi intensi rapporti politici ed economici con Teheran ed anche nelle
recenti scoperte di giacimenti di gas, che, secondo alcune stime, potrebbero renderlo il quarto paese
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al livello mondiale per quantità di risorse nel sottosuolo. La recente politica di
Berdymukhammedov soprattutto per quanto riguardo gli accordi di fornitura energetica sembra
essere diretta ad un allentamento dei rapporti con la Russia, che sia durante il periodo sovietico che
in seguito all’indipendenza turkmena, ha di fatto mantenuto un monopolio sulle esportazioni di
idrocarburi della repubblica caspica, controllando oltre il 90% della sua rete energetica; nell’aprile
2009 una misteriosa esplosione presso un condotto turkmeno del Central Asia-Center pipeline, il
piø importante sistema di gasdotti tra Asia Centrale e Russia controllato da Gazprom, ha interrotto
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le esportazioni verso la Russia, aprendo una frattura nelle relazioni tra Ashgabat e Mosca. Non
sono però solo i rapporti turkmeno-iraniani che stanno allontanando il paese dall’orbita russa ma
anche l’accordo con la Cina per la costruzione dell‘imponente gasdotto Central Asia China,
ufficializzato il 14 dicembre 2009 con una grande cerimonia in Turkmenistan con la presenza del
Presidente cinese Hu Jintao e dei leader di Kazakistan e Uzbekistan, che collegherà i giacimenti
turkmeni, passando per Uzbekistan e Kazakistan, evitando così la Russia, con la provincia del
Xinjiang.
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BP Statistical review of world Energy , june 2009. (Russia 43.30 trilion cube meters, Iran 29.61, Qatar 25.46,
Turkmenistan 7.94.)
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www.asianews.it , Il Turkmenistan discute di energia con l’Europa per sottrarsi al monopolio russo, 05/06/2009.
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