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attraverso cui tutto questo è possibile e i fatti specifici che
intervengono in un atto creativo saranno, appunto, oggetto
privilegiato della trattazione che segue.
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1. Introduzione al concetto di creatività
1.1. La lotta creativa tra amore e odio
La creatività è un concetto difficile da definire per la sua stessa
natura dinamica e non si presta ad una definizione razionale in
quanto trascende quei processi di pensiero induttivo-deduttivo
cui siamo quotidianamente abituati a fare riferimento. Un
momento creativo mostra l’aspetto vitale del pensiero, quello,
appunto, con cui un uomo può creare.
Freud studiò a fondo il processo di creazione e “…considerava
gli artisti i suoi veri precursori nella conoscenza del mondo
psichico”(E.Gaddini,1975,pag.370)così tentò di rintracciare
nell’opera d’arte gli elementi originari che avrebbero potuto
determinare la formazione della personalità di un artista. Il
sorriso di Monnalisa che simbolicamente racchiude lo sviluppo
creativo di Leonardo, che Freud ha così minuziosamente
studiato, ne è un esempio(Freud 1910).
Come egli stesso affermava ”…il talento e l’abilità artistica sono
intimamente collegati alla sublimazione”(Freud,1910,pag.274).
L’origine della creatività nel desiderio infantile viene espressa
chiaramente da Freud nel suo saggio ”Il poeta e la fantasia”
soprattutto quando dice che “…una forte esperienza del presente
ridesta nel poeta il ricordo di un’esperienza precedente
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(generalmente appartenente all’infanzia) da cui nasce ora un
desiderio che trova la sua realizzazione nell’opera
creativa..”(Freud 1908,pag.381). Sin dall’inizio le due pulsioni
fondamentali della vita lottano per prevalere l’una sull’altra e le
frustrazioni e le gratificazioni sono determinanti per il successivo
sviluppo di personalità. Non sempre, però, è possibile trovare un
equilibrio psicologico tra le forze, cosicchè, l’Io può essere
preda di conflitti e angosce la cui soluzione può trovare diverse
strade: la creatività è una di queste.
Se, infatti, un moto pulsionale entra in conflitto con le esigenze
dell’Io, anziché subire il destino della rimozione può essere
deviato rispetto alla sua meta ed essere sublimato esprimendosi
attraverso un atto creativo. La tensione conflittuale trova così una
soluzione nella creatività e la sublimazione scagiona l’individuo
dall’ammalarsi. La premessa da cui parte Freud per trattare il
tema della sublimazione è la formazione dell’Ideale dell’Io che
rappresenterebbe un obiettivo verso cui il bambino dirige i propri
sforzi e che, nel confrontarsi continuamente con l’Io, esigerebbe
la sublimazione delle pulsioni che con esso entrano in conflitto.
Differentemente da Freud, partendo da una fase molto più
precoce dell’infanzia e postulando l’esistenza di un nucleo
primitivo dell’Io, la Klein pone le premesse per la sublimazione
nel rimorso provato in seguito alle fantasie distruttive: com’è
noto, la Klein, introdusse il concetto di riparazione a proposito
della fase depressiva in cui il bambino, iniziando a percepire
l’oggetto intero, si rende conto che l’oggetto odiato è anche
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quello amato e di conseguenza prova colpa e angoscia per averlo
distrutto. L’Io, già attivamente impegnato nelle dinamiche
relazionali con gli oggetti, troverebbe una soluzione alternativa
nel tentativo creativo di riparare gli oggetti danneggiati dalle
proprie fantasie distruttive. Insistendo sulle dinamiche
conflittuali inconsce, la Klein sottolinea che la creatività
rappresenta l’esito dell’integrazione tra le pulsioni libidiche e
distruttive. Determinante in questo processo è l’aver introiettato
un oggetto buono, la sua funzione creativa e con esso la fiducia
di poter riparare ciò che è stato danneggiato. La Klein descrive
molto bene questo meccanismo in suo saggio del 1929 riferito al
contenuto di un lavoro di Ravel che vede protagonista un bimbo
di sei anni il quale, a seguito di una punizione inflittagli dalla
madre, è preso da un irrefrenabile impulso a distruggere ogni
cosa. Improvvisamente tutti gli oggetti inanimati intorno a lui si
animano e l’angoscia è tale che lui scappa e si trova in un bosco.
Qui tutti gli animali tenteranno di morderlo, ma lui, finalmente
avrà la possibilità di riparare quando, trovatosi di fronte ad uno
scoiattolo ferito, gli benderà la zampa con un fiocco e sussurrerà
la parola “mamma” ripristinando così simbolicamente l’oggetto
danneggiato. Se assumiamo che un atto creativo sia spesso
preceduto da una fase depressiva, la spinta a creare può costituire
anche un tentativo di guarigione, così come quanto è descritto
dal poeta Heine sulla psicogenesi della creazione del mondo,
citato da Freud nel suo saggio “Introduzione al narcisismo”
(1914). L’autore immagina che la spinta primordiale alla
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creazione sia derivata da uno stato di malattia e che creando Dio
si rese conto che era possibile guarire. Tuttavia, anche se Freud
usò questo esempio riferendosi alla necessità di amare per non
ammalarsi, credo sia possibile metterlo in relazione anche alla
fase depressiva descritta dalla Klein. In accordo alla teoria
kleiniana, Hanna Segal (1991) descrisse l’artista come colui che
vive uno struggimento per l’oggetto danneggiato ma che al
tempo stesso si sforza di ricrearlo tramite l’arte. Ciò che è il
prodotto della creatività passa attraverso fasi che di fatto rivelano
anche momenti in cui sono inevitabili i conflitti e le angosce
sottostanti che possono spingerci a trovare nuove soluzioni.
Intendo con ciò sottolineare l’utilità dell’ansia, la capacità di
sopportarla e la volontà di affrontarla come strumenti utili per
essere creativi. Dice la Segal in proposito: ”Il nevrotico adopera
il suo materiale in modo magico e così fa l’artista mancato.
L’artista genuino…condivide col nevrotico tutte le difficoltà di
una depressione non risolta…ma da lui differisce in quanto ha
maggiore capacità di sopportare l’ansia e la depressione”(Segal
1952,pag.43).Per dirla con la Klein, la capacità di affrontarla
dipenderà dalla fiducia di riuscire a ricostruire “l’oggetto
buono”. Anche l’errore, se vissuto con un’adeguata dose di ansia
è un’esperienza che ci permette di imparare in modo costruttivo
in quanto ci costringe a provare e a riprovare fino a trovare la
forma giusta quella nuova, il prodotto della nostra creazione. Le
più grandi scoperte della storia dell’uomo sono nate da ore e ore
di interminabile fatica, di prove ed errori, di sforzi costruttivi che
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a volte hanno visto indicata la strada per la soluzione nel sogno o
nella fantasia. La creatività, così, sarebbe anche una
rielaborazione positiva e costruttiva di tutto quel materiale che
sarebbe inutilizzabile, ma che usato in questo modo mette in luce
un altro aspetto della creatività sottolineato da Meltzer e cioè la
sua funzione sintetica, quella del mettere insieme(Meltzer 1973).
Già Freud, quando operò una revisione della teoria pulsionale,
definì la libido non come una semplice pulsione sessuale ma
come un’energia tendente all’integrazione, al legare le cose,
contrariamente a Thanatos forza distruttrice (Freud 1920).
Meltzer parla anche di una presenza simile a Dio in ognuno di
noi che ci spingerebbe a compiere sforzi costruttivi. Inoltre, la
creatività sarebbe in relazione al modo in cui ogni individuo si
rapporta alla coppia genitoriale copulante (Meltzer 1973).
La creatività non è soltanto limitata all’individuo ma implica
anche un pubblico che osserva. Un’espressione creativa è sempre
avvertita con grande coinvolgimento emozionale da parte di chi
la osserva. Viene da pensare che forse la sensazione di
ammirazione che proviamo, per esempio, di fronte ad un’opera
d’arte, derivi da un grande senso di onnipotenza che si risveglia
in noi e che il Sè primitivo ha vissuto quando si sentiva “il
nocciolo del creato”(Freud 1914,pag.461),quando viveva quella
fase che Freud ha chiamato “narcisismo primario”. L’impulso
creativo è dunque presente fin dalle origini della vita, essa stessa
nata da un atto creativo e porta in sé la vita, l’autenticità essendo
una parte essenziale dell’istinto alla vita. Essa nasce da una
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conflittualità, ma è anche espressione autentica del vero Sé.
D.Winnicott è stato sicuramente tra i primi a concludere che la
creatività è volta alla creazione del Sé.
Secondo Winnicott (1971) un individuo che vive in modo
compiacente alla realtà esterna, vive in maniera non creativa,
imbrigliato in un falso Sé, che gli da poi il senso di futilità
dell’esistenza. In tal senso, un artista può aver prodotto notevoli
opere d’arte e tuttavia non aver trovato il suo vero Sé, dunque
quel modo di vivere creativo che è comune a uomini e donne. Per
Winnicott, il fattore ambientale è determinante nella creazione
del Sé del bambino che è una forma esperenziale primitiva che
costituisce il fondamento della successiva strutturazione della
personalità avente origine in uno stato di non-integrazione.
Attraverso le cure materne e quello che Winnicott chiama
“l’elemento femminile puro” (Winnicott 1966) il bambino
acquisirà la continuità dell’esperienza del Sé.
Freud aveva già indicato gli elementi dialettici del
funzionamento psichico: non era possibile, secondo lui,
immaginare il funzionamento della psiche senza elementi in
conflitto, tra i quali, il maschile e il femminile, componenti della
bisessualità originaria, nonché gli elementi attivi-passivi.
Winnicott riprende questo discorso, ma l’elemento prevalente
non è per lui la pulsione, bensì la diade madre-bambino. Il ruolo
della madre- ambiente è quello di creare l’illusione di
onnipotenza nel bambino, per cui il suo bisogno viene soddisfatto
per il solo fatto di esserci, così il Sé di cui parla Winnicott
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diventa un Sé onnipotente che crea magicamente l’oggetto, ma
che col nascere delle spinte istintuali si troverà a vivere la
dolorosa esperienza della separatezza e dovrà gradualmente
adattarsi alla realtà cedendo il posto alla disillusione insita nella
scoperta del limite dell’onnipotenza. Laddove Freud aveva posto
la fantasia e l’immaginazione come veicoli per il bambino nel
passaggio dal principio del piacere a quello della realtà,
Winnicott pone la madre-ambiente che, adattandosi
completamente ai bisogni del bambino, darà a lui la possibilità di
un contenimento all’insorgere dell’istintualità.
Nel saggio di Freud “Introduzione al narcisismo” leggiamo che
“... nel nostro apparato psichico abbiamo individuato un
meccanismo a cui è stato affidato il compito di padroneggiare gli
eccitamenti che altrimenti sarebbero tormentosi o produrrebbero
effetti patogeni. Il lavoro che compie la psiche per deviare verso
l’interno gli eccitamenti che non sono in grado di scaricarsi
direttamente all’esterno o per i quali una tale scarica non
sarebbe al momento augurabile è straordinario”(Freud
1914,pag.456). E’ possibile che questo lavoro straordinario sia
attuabile attraverso quell’area illusoria condivisa che Winnicott
(1951) ha descritto e senza il raggiungimento della quale il
bambino si troverebbe costretto a dover fronteggiare troppo
presto la spinta dell’eccitamento foriera di effetti patogeni. Resta
comunque il fatto che, mentre Freud ricerca l’origine della
sublimazione nei fondamenti del carattere ereditario, Winnicott
sottolinea l’importanza del fattore ambientale e dell’area
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transizionale, da lui descritta come “..quell’area intermedia che
viene concessa al bambino tra la creatività primaria e la
percezione oggettiva basata sulla prova di realtà” (Winnicott
1951,pag.287). Ed è qui che ha luogo la creatività. Essa ha questo
carattere transizionale poiché è un’esperienza al limite tra
l’illusione e la realtà, concetto questo che implica
necessariamente un rapporto con un oggetto esterno, col fattore
ambiente e con l’accettazione della dipendenza. ”Noi- afferma
l’autore- vediamo l’importanza del contributo ambientale
all’inizio della vita infantile dei singoli individui, e per tale
ragione facciamo uno speciale uso dell’ambiente che facilita in
termini di crescita umana, per il fatto che la dipendenza ha un
significato” (Winnicott 1971,pag.121). Ed è rispondendo alla
dipendenza che la madre-ambiente determina nel bambino il
senso della continuità del Sé e con esso la possibilità di essere
creativo.
Seguendo Winnicott, Gaddini (1960) sottolineò come la realtà
più pesante che il bambino deve sostenere, ancor prima di far
fronte alle richieste ambientali, è la sua realtà biologica, le sue
immediate richieste organiche, alle quali lui reagisce in modo
prevalentemente somatico. “ E’ da questa- dice l’autore- che le
gratificazioni lo sottraggono, è a questa che le frustrazioni lo
abbandonano” (Gaddini 1960,pag.73). Nelle fasi successive del
processo maturativo, il funzionamento psichico si organizza in
modo tale da controbilanciare o padroneggiare le sensazioni
penose e le tensioni, e questa pressione viene poi ridotta
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dall’intervento dell’ambiente che provvede a soddisfare le
esigenze del bambino. Riprendendo il concetto di creatività
primaria di Winnicott, Gaddini (1960) cerca di definire i
caratteri di questa esperienza che è, in primo luogo,
ontogeneticamente determinata e che, a seguito di una condizione
fisica di carenza, crea “qualcosa” che, sebbene abbia il carattere
di illusorietà, è, per il bambino, reale, parte del proprio Sé e serve
ad ottenere una gratificazione fisica. Il bambino tenderà,
inizialmente, a mantenere il mondo della creatività magica e la
condizione illusoria con l’oggetto, non soltanto attraverso la
bocca, ma anche con l’udito, la vista, l’olfatto, nel senso che tutti
gli organi di senso funzionano in origine come organi di contatto.
Il modo in cui si configura il problema della creatività primaria
influenza i processi creativi della vita adulta e l’adulto tenderà a
ripetere le modalità essenziali di questo primo rapporto infantile.
In un suo saggio successivo (1975) Gaddini avanza l’ipotesi che
se la creazione del Sé non è stata sufficientemente raggiunta, può
diventare l’ esigenza che motiva i processi creativi successivi
(1975).
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1.2. La creatività tra fantasia e realtà
Tutto il processo creativo fa da ponte tra la vita fantasmatica del
bambino e una realtà all’interno della quale egli stesso sarà
creatore di nuovi simboli quali sostituti ai suoi oggetti originari,
così nel dipinto “Sant’Anna, la Vergine e il bambino”, ritorna,
per Freud, il sorriso “Leonardesco” già osservato nella Gioconda
e la fantasia dell’avvoltoio che, secondo Freud, avrebbe
caratterizzato il successivo sviluppo di personalità dell’autore
(Freud 1910). Il dipinto conterrebbe la sintesi della storia
dell’infanzia di Leonardo.
Che ruolo hanno le fantasie agli albori dello sviluppo psichico e
in che modo il bambino esperisce il mondo esterno? Freud dice, a
questo proposito, che il bambino allucina un ricordo. Le prime
tracce mnestiche di percezioni sono legate all’esperienza della
diminuzione della tensione pulsionale. Le fantasie inconsce
legate ai primi anni di vita vengono rimosse e subiscono una
differente elaborazione rispetto alle fantasie consce, viste come
attività psichica distinta che emerge con il principio di realtà.
Seguendo la formulazione di Freud, è possibile distinguere due
gruppi di fantasie: quelle consce, i cosidetti sogni ad occhi aperti,
la cui forza motrice deriva dal desiderio insoddisfatto e pertanto
sono un prodotto dell’immaginazione avente il compito di
correggere la realtà insoddisfacente; quelle consce che, se
rimosse nell’inconscio, costituiscono il ricordo di
soddisfacimenti pulsionali e possono diventare patogene,
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manifestandosi come sintomo. In un saggio del 1905,egli stesso
dirà “..le fantasie inconsce sono i prodromi psichici di tutta una
serie di sintomi isterici, i quali non sono altro che la figura
assunta dalla fantasia inconscia per effetto della
conversione”(Freud 1905,pag.391). Freud, dopo la pubblicazione
di “Studi sull’isteria”(1892-1895) abbandonò la teoria della
seduzione che aveva formulato per spiegare l’origine della
nevrosi e riconobbe che il trauma nell’infanzia, in realtà, era il
risultato di un evento immaginato e non reale, come lui aveva
supposto.
La fantasia, nella concezione freudiana, resta comunque un
prodotto psichico relativamente tardo che si instaura con il
principio di realtà. Anche se in Freud viene espresso il concetto
di fantasia inconscia, la risonanza soggettiva che questo assume
nelle teorie di Melanie Klein è diversa. Per la Klein, la fantasia
inconscia è l’espressione sul piano soggettivo della pulsione, essa
è dinamica e onnipresente e influenza tutte le percezioni del
bambino. La Klein, com’è noto, postulò l’esistenza di un nucleo
primitivo dell’Io e di primitive relazioni oggettuali. Il bambino,
secondo lei, non reagisce solo in modo reattivo e meccanico,
sotto la spinta degli stimoli istintuali, ma fa esperienza delle sue
sensazioni. Questo segna delle differenze importanti tra la teoria
di Freud e quella della Klein. Infatti, per Freud, l’organismo è
sollecitato a rispondere al dolore e al piacere e la pulsione ha
come meta la liberazione dagli eccitamenti che lo sollecitano (ciò
che preoccuperebbe il neonato è solo di soddisfare la fame), per
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la Klein, invece, l’elemento base della costruzione della mente
stessa sono le fantasie inconsce, e gli istinti sono rappresentati
nella mente in relazione con gli oggetti sebbene all’inizio, in
modo rozzo ed elementare.
La Klein, in questo modo, modifica anche la concezione
freudiana di appagamento allucinatorio di desiderio visto in
rapporto solo ad eventi frustranti, per affermare che esso
accompagna tutte le attività del bambino. Inoltre nel suo lavoro
con i bambini piccoli, aveva potuto osservare l’operare precoce
delle fantasie inconsce, già dalle prime relazioni oggettuali del
bambino, soprattutto dalla primitiva relazione col seno materno,
il suo primo oggetto. L’oggetto, per la Klein, non è solo un
oggetto pulsionale, ma anche psicologico, percepito dal bambino
come una combinazione tra il suo modo di sperimentare il seno
materno e le proiezioni dei suoi sentimenti nell’oggetto stesso.
Cosicchè, quando attraverso le fantasie di introiezione il bambino
costruisce i suoi oggetti interni, essi non sono una copia esatta
del reale, ma sono sempre colorati dalla fantasia del lattante. Per
la Klein, la fantasia inconscia si pone così direttamente
sull’oggetto che invece nelle concezioni freudiane costituisce
l’aspetto più interscambiabile nelle vicissitudini di una pulsione,
inoltre, il fatto che in analisi i bambini presentassero anche
fantasie pregenitali, portò la Klein a mettere in discussione la
teoria del narcisismo primario dal momento che nella classica
definizione di autoerotismo e narcisismo primario formulata da
Freud, l’oggetto è solo il mezzo per raggiungere la soddisfazione
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istintuale, mentre l’oggetto d’amore comparirebbe solo
all’incirca verso il terzo anno di vita, e solo allora “..la fantasia
come corollario immaginario della pulsione prende il posto del
corollario sensoriale piacere-dolore”(A. Freud 1943,citata in
Scalmati 1995, pag124). Durante le cosidette “Discussioni
controverse” della Società Psicoanalitica Britannica, l’argomento
della fantasia inconscia fu molto dibattuto soprattutto riguardo
“..alla distinzione tra registrazione puramente percettiva e
mnestica degli oggetti e la capacità di concepire e di desiderare
un’attività con gli oggetti o da parte degli oggetti” (Hinshelwood
1982, pag47). In quella sede fu presentato un famoso saggio di
Susan Isaacs intitolato “Natura e funzione della fantasia”
(1948,citata in Scalmati 1995).
L’autrice, partendo dalle formulazioni kleiniane, avanzò l’ipotesi
che la fantasia sia costituzionalmente inconscia e che
rappresenta, a livello psichico, la pulsione, lasciando così cadere
la distinzione freudiana tra fantasia conscia e fantasia inconscia.
La Isaacs fa innanzitutto una distinzione tra il termine “phantasy”
riferito al contenuto mentale inconscio e “fantasy” che si
riferirebbe ai sogni ad occhi aperti e alle fantasticherie e
sottolinea come poi, con il lavoro di Melanie Klein, il termine
”phantasy” si sia arricchito di significato. Secondo la Isaacs, il
bambino affamato ha reali sensazioni nella sua bocca e queste
sensazioni danno luogo alle fantasie, pertanto ogni modificazione
di contatto può essere sentita come dolorosa.