1
1 PCI-PDS “DALLE ORIGINI ALLA SVOLTA DELLA BOLOGNINA”
PCI-PDS-DS è la locuzione con la quale Silvio Berlusconi, leader di Forza
Italia, si rivolgeva agli elettori per etichettare il Partito dei Democratici di
Sinistra come ex comunisti
1
.
La tecnica comunicativa utilizzata si definisce effetto framing: individuare un
determinato contesto e ripeterlo con una certa continuità.
Berlusconi, già nella campagna elettorale del 1994, utilizzò questa strategia che
risultò più volte efficace ed elettoralmente appagante (e non solo nell‟occasione
delle elezioni politiche).
Il processo di trasformazione politico-organizzativo che si sviluppò all‟interno
del Partito Comunista Italiano alla fine degli anni ottanta, segnò una vera propria
svolta, un segnale di discontinuità che Achille Occhetto, il nuovo segretario
appena eletto, voleva dare ai suoi elettori e a tutto il popolo italiano.
Occorre effettivamente verificare se dalle ceneri del PCI si sia costituita una
nuova forza politica (il Partito dei Democratici di Sinistra, che successivamente
si è trasformato in Democratici di Sinistra), la quale abbia abbandonato la cultura
istituzionale di partito burocratico di massa, che al suo interno si rivolgeva in
modo statico e conservativo al suo elettorato.
Nelle società occidentali la funzione del partito di massa era quella di
coinvolgere grandi segmenti dell‟elettorato, integrati nelle grandi subculture
politiche di un tempo (cattolica e social-comunista nel caso del nostro paese).
Questa identità mutò alla fine del secolo scorso. L‟obbiettivo delle forze
politiche, ora, si concentrava sull‟adattamento e sul miglioramento delle
condizioni sociali alle trasformazioni delle società ed economie del continente
europeo (i cosiddetti partiti “pigliatutto”)
2
; la tendenza era quella di catturare i
voti degli elettori non più legati ai propri vincoli sub culturali, ma di accaparrarsi
1
BELLUCCI P., MARAFFI M., SEGATTI P., Pci Pds Ds, Roma, Donzelli Editore, 2000
2
IGNAZI P., Dal Pci al Pds, Bologna, Il Mulino, 1992
2
le preferenze di coloro che appartenevano ad identità ed appartenenze multiple,
con le forze politiche che ora entravano in forte competizione tra di loro.
La storia del soggetto politico di sinistra, più importante della storia della
Repubblica Italiana, ci permette di capire quali siano state le fasi più importanti
che hanno portato alla trasformazione socio-politico-culturale-organizzativa; era
il 12 novembre 1989 quando Achille Occhetto, durante il XIX congresso del
Partito Comunista, annunciò la “svolta”
3
, cioè il processo di trasformazione
organizzativa che quindici mesi dopo avrebbe portato alla scomparsa del PCI e
alla nascita del Partito Democratico della Sinistra.
Le cause del cambiamento, voluto dal segretario da poco eletto, erano
molteplici e di varia natura: per poter esaminare il fenomeno è necessario fare un
passo indietro ed analizzare i principali eventi che hanno caratterizzato la storia
della forza politica.
Il 21 gennaio 1921 nasceva il PCI dalla scissione della corrente di sinistra del
Partito Socialista Italiano; dopo il ventennio fascista e la successiva guerra
mondiale, questa componente diede un contributo notevole alla creazione del
Comitato di Liberazione Nazionale, insieme ai cattolici, agli azionisti, ai liberali
e ai socialisti.
Le prime elezioni politiche che si tennero in Italia dopo il conflitto bellico
affermarono il PCI come terza forza parlamentare (19% dei consensi e quattro
milioni e trecentomila voti validi)
4
; nonostante il buon successo elettorale, la
linea intrapresa dai dirigenti fu quella di schierarsi all‟opposizione di chi
governava.
I dirigenti del partito vennero spesso accusati di stringere legami con il
PCUS, soprattutto nel 1948, quando si paventò una sorta di rivoluzione di piazza
scatenata proprio dai comunisti appoggiati dai sovietici. Il rapporto di
3
BACCETTI C., Il Pds verso un nuovo modello di partito?, Bologna, Il mulino, 1997
4
VALLAURI C., I partiti italiani, Roma, Gangemi Editore, 1986
3
collaborazione provocava naturalmente timori sia al di fuori che all‟interno delle
sedi parlamentari, dato che in Unione Sovietica, ormai da quasi trent‟anni, si era
insediata una vera e propria dittatura.
Il tentato attentato al segretario Togliatti, il 14 luglio del 1948, fece temere il
peggio: si susseguirono scioperi e manifestazioni di piazza e si rischiò la guerra
civile.
Con il ritorno del segretario a pieno regime, il partito continuò il suo ruolo di
opposizione di governo in un sistema che era fortemente influenzato dagli
avvenimenti storici che si stavano concretizzando in quel periodo. Gli anni della
Guerra Fredda inasprirono il confronto politico anche sui banchi del nostro
Parlamento; la Democrazia Cristiana, guidata da Alcide de Gasperi, cercò in tutti
i modi di isolare il Partito Comunista, che rappresentava una minaccia per la
democrazia e la libertà del paese.
L‟organizzazione interna del PCI permise di rafforzare la propria posizione
nel sistema politico; la linea anti-degasperiana fu premiata alle elezioni
successive, dove il partito raggiunse il 22% dei consensi
5
.
Nel maggio del 1955 venne appoggiata la candidatura alla Presidenza della
Repubblica del democristiano Gronchi da parte dei comunisti.
Tale decisione, sotto certi punti di vista, segnò una sorta di inversione di
tendenza da parte del partito, che per la prima volta deliberò a favore di un
candidato alla presidenza.
Il processo di “destalinizzazione” nel 1956 si avvertì anche all‟interno delle
sedi partito; l‟avvento di Kruscev a capo dell‟URSS segnò l‟inizio di un vero e
proprio processo di discontinuità col passato e vennero denunciati i crimini
commessi dal predecessore Stalin al Congresso del 1956 del PCUS e riconosciuti
gli errori della dittatura sovietica.
5
Ivi, pag. 127
4
Gli anni „60 per il PCI, rappresentarono un punto di svolta per il proseguo
della propria azione a fianco dei movimenti operai e della lotta all‟antifascismo.
L‟attenzione posta verso i fenomeni di migrazione tra nord e sud Italia fu alla
base del successo elettorale del 1963 (25,31% di voti validi)
6
; nel 1964 dopo la
morte di Palmiro Togliatti, la segreteria venne affidata a Luigi Longo, mentre
come vice fu designato il giovane Enrico Berlinguer.
Si avvertì una sorta di distensione politica e di disponibilità al confronto sui
grandi temi quali la politica estera (gli esponenti del PCI si schierarono contro
l‟invasione sovietica in Cecoslovacchia e valutarono positivamente l‟appello di
Paolo VI all‟assemblea generale dell‟Onu il 5 ottobre 1965
7
per la piena
universalità di tale organizzazione e i richiami alla fame e alle disuguaglianze),
ed è proprio Berlinguer che indicò una nuova via, quella del “centralismo
democratico” nell‟organizzazione del partito e la necessità di dissipare le
polemiche e le agitazioni di correnti e di gruppo interne.
I movimenti studenteschi del „68 misero a dura prova l‟integrità del PCI.
Furono anni di tensione quelli alla fine del sessanta, tra coloro che
denunciavano un‟opposizione troppo morbida e spalleggiavano i movimenti
studenteschi, e chi invece era favorevole al confronto con le altre forze politiche.
Il XIII Congresso tenutosi a Milano tra il 13 e 18 marzo 1972, segnò l‟ascesa
alla segreteria del partito di Enrico Berlinguer
8
.
La sua relazione pose l‟accento sul riconoscimento del pluralismo politico
culturale e religioso, sul rifiuto dei modelli preesistenti e sulla denuncia del
qualunquismo di sinistra che sfociava nei movimenti minori estremisti.
Si assisteva ad una prima vera e propria nuova fase, un processo di
cambiamento e di trasformazione nelle intenzioni del nuovo segretario, il quale
sosteneva una visione di partito, staccato dai vecchi schemi legati alle ideologie
6
Ivi, pag. 130
7
Ibidem
8
IGNAZI P., Dal Pci al Pds, Bologna, Il Mulino, 1992
5
leniniste. Le elezioni del 1972 premiarono ulteriormente il PCI, che raggiunse il
27,2% dei consensi, mentre l‟opposizione al referendum sul divorzio rappresentò
di fatto una vera apertura al mondo cattolico.
I primi anni „70 coincisero con la denuncia del Segretario comunista nei
confronti di quei partiti ( Democrazia Cristiana, PSI, PLI, PRI, PSDI) che, in
maniera tacita o espressa, si erano accordati per non permettere al PCI di
diventare anch‟essa una vera e propria forza democratica, la cosiddetta
“Conventio ad excludendum”.
Il 1975 fu l‟anno del Governo di “Solidarietà Nazionale”, con il quale si
concluse definitivamente la polemica tra i principali leaders politici e si assisteva
al primo esecutivo in cui attivamente partecipò il PCI; fu un accordo di notevole
importanza, tra le principali componenti politiche, che venne ribattezzato
“Compromesso Storico”.
L‟Italia necessitava di uscire da una situazione di convergenza economica
negativa, ereditata da una di recessione a livello mondiale, attraverso l‟attuazione
di una serie di riforme strutturali: un “periodo di transizione”, affermò
Berlinguer, “nel quale occorre che tutti remino dalla stessa parte”.
Alle elezioni regionali del ‟75, e soprattutto alle politiche del 1976, il Partito
Comunista Italiano raggiunse il suo massimo storico dei consensi pur non
riuscendo ad effettuare il sorpasso sulla DC. Pietro Ingrao fu eletto Presidente
della Camera, ed inoltre vennero assegnate presidenze di Commissioni al Senato
e alla Camera che appartenevano precedentemente solo ai gruppi di maggioranza.
La Direzione Nazionale esigette un cambiamento della vita politica e chiese
espressamente l‟abbandono di ogni preclusione anticomunista.
Giorgio Napolitano spiegò come il paese necessitava di una politica di
risanamento e di sviluppo in grado di ristrutturare l‟economia, elevare la quota di
6
investimenti, ridurre il deficit e promuovere gli interessi della popolazione
lavorativa specialmente nel mezzogiorno
9
.
La crisi economica mise a dura prova l‟intero sistema politico della nostra
penisola, l‟intervento di Andreotti prima e di Aldo Moro successivamente,
risolsero le fratture interne al Parlamento italiano e nel 1978 nacque un nuovo
Governo “monocolore” con la partecipazione di tutte le componenti politiche.
Mentre si cercò di risolvere il periodo di congiuntura sfavorevole attraverso
un nuovo Governo di “Solidarietà Nazionale”, le Brigate Rosse rapivano e
uccidevano Aldo Moro e tutti i componenti della sua scorta
10
.
Si assistette al periodo degli “anni di piombo” del terrorismo “rosso e nero”;
Berlinguer si dissociò dalle attività sovversive e terroristiche intraprese dai
brigatisti ma ciò nonostante gli effetti negativi si avvertirono. Il PCI subì
un‟involuzione sia da un punto di vista prettamente “elettorale” sia al proprio
interno; l‟unità della forza di sinistra di riferimento fu messa fortemente in
discussione da questi continui attentati che stavano disseminando, in tutta la
penisola, terrore e forte preoccupazione tra i cittadini.
Si giunse ad un nuovo allontanamento dalle formazioni di Governo, in
concomitanza con gli attentati dei brigatisti ai danni del giornalista Casalegno e
dell‟operaio Guido Rosa, che aveva preso aperta posizione nei confronti delle
BR
11
.
L‟eco degli atti terroristici delle BR raggiunse gli Stati Uniti d‟America, il
dipartimento di stato americano ribadì la netta contrarietà ad un ingresso stabile
del Pci al Governo.
Durante il quindicesimo congresso tenutosi a Roma, i dirigenti riaffermarono
la volontà del partito di indirizzare la propria strategia politica sul centralismo
democratico.
9
IGNAZI P., Dal Pci al Pds, Bologna, Il Mulino, 1992
10
VALLAURI C., I partiti italiani, Roma, Gangemi Editore, 1986
11
Ivi, pag. 134.
7
Il nuovo statuto approvato accelerò definitivamente il processo di
distaccamento dalla terza internazionale, conformandosi a un‟ideologia più in
linea e in conformità con la situazione attuale europea; il centralismo
democratico non si affermò più come principio ma come metodo.
Il 1979 si distinse come un anno in cui il PCI subì una grave perdita in termini
percentuali di consensi che si attestarono al 31,5%. I dirigenti attribuirono gran
parte delle responsabilità alla DC e PSI, colpevoli di una politica repressiva nei
loro confronti facendo allontanare parte dell‟elettorato
12
.
I dissidi tra i principali soggetti politici del paese sfociarono nell‟uscita del
PCI dall‟appoggio esterno del governo; il partito rimase ancora per due anni “in
mezzo al guado” tra l‟ala destra, che premeva per un riavvicinamento all‟area di
governo, e la sinistra, che invece chiedeva un passaggio più deciso
all‟opposizione; tra il 1979 e il 1981 che il segretario comunista ebbe
un‟occasione più unica che rara: attuare una vera e propria trasformazione del
partito, sia da un punto di vista prettamente istituzionale, sia soprattutto da un
punto di vista organizzativo
13
. La strategia del “compromesso storico” era fallita:
il PCI infatti uscì dal quarto governo Andreotti e interruppe la politica di
“solidarietà nazionale”. Lo stesso Berlinguer ammise i propri errori, così come
fece Fernando Di Giulio, il quale sottolineò come il più grosso limite che aveva
ostacolato l‟azione era stata “una serie di intrecci perversi che si erano prodotti
tra l‟apparato statale e i partiti di Governo”
14
.
Enrico Berlinguer era consapevole del fatto che occorreva dar vita ad una
vera e propria trasformazione organizzativa alla struttura interna, ma non si pose
il problema né di rinnovare i meccanismi di selezione dei quadri che formavano
l‟apparato centrale e periferico, né quello della pressione enorme che i membri
dell‟apparato esercitavano negli organismi di direzione politica. Non avvenendo
12
Ivi, pag. 67
13
IGNAZI P., Dal Pci al Pds, Bologna, Il Mulino, 1992
14
VALLAURI C., I partiti italiani, Roma,Gangemi Editore, 1986
8
un ricambio di soggetti politici, non si poteva auspicare in una vera e propria
virata verso un nuovo progetto tanto augurato negli ultimi congressi, ma di fatto
mai realizzato.
Il principale ostacolo che da sempre ha impedito il rinnovamento del PCI è
stata sia l‟indisponibilità a rimettere in discussione e a modificare la forma e la
gestione, sia la mancata emancipazione da una continuità di vincoli organizzativi
e di condizionamenti culturali. Neanche Berlinguer riuscì ad far uscire il partito
da quella struttura centralistica e burocratizzata che da sempre aveva
contraddistinto i comunisti.
Gli anni „80 furono quelli della crisi, e in politica estera oramai si assisteva ad
un definitivo allontanamento dal PCUS, sia per ciò che accadde in Polonia (il
PCI sottolineò una vera e propria mancanza di vita democratica nel paese sotto
l‟influenza sovietica), sia per l‟invasione dell‟URSS in Afganistan, criticata dai
dirigenti comunisti.
Durante il XVI congresso, Berlinguer criticò apertamente il tentativo da parte
di Ciriaco De Mita, segretario DC, di riaprire il dialogo tra maggioranza e
opposizione
15
e si auspicò di adottare un riformismo socialista, di stampo
europeo, rifiutando l‟idea di bipolarismo e di una collaborazione con DC e PSI
sulle riforme necessarie per il paese. Nella tornata elettorale del 1983 avanzarono
PSI e PRI a scapito del Partito Comunista; nasceva così il Governo guidato da
Bettino Craxi, mentre i comunisti decisero di adottare una vera e propria politica
ostruzionistica all‟interno delle assemblee parlamentari
16
.
Durante un comizio tenutosi a Padova, un malore colpì il leader Enrico
Berlinguer: la sua morte suscitò commozione in tutto il paese. Fu il Presidente
della Repubblica Pertini che si fece interprete dei sentimenti del popolo italiano e
le elezioni europee del mese successivo videro il PCI risalire al 33%;
15
Ivi, pag. 43.
16
IGNAZI P., Dal Pci al Pds, Bologna, Il Mulino, 1992
9
probabilmente questo risultato fu influenzato da ciò che accadde a Berlinguer
17
.
Nonostante l‟importante successo, le lacerazioni all‟interno della forza di sinistra
erano evidenti: il partito era spaccato e troppo distante dagli altri soggetti politici.
Venne designato Alessandro Natta come Segretario, e nel Congresso tenutosi
a Firenze fu di nuovo rilanciato il progetto dell‟alternativa democratica. Nelle
politiche del 1987 il PCI subiva un‟altra sconfitta elettorale e scendeva al 26%,
uno dei punti più bassi toccati dalla sua storia recente.
Nel giugno del 1987 Natta designò Achille Occhetto vicesegretario, l‟anno
successivo avvenne il cambio al vertice
18
.
La sconfitta elettorale del 1987 confermò la crisi ideologica ed organizzativa:
per la prima volta si avvertì malumore ed insoddisfazione in seno al soggetto
politico, sia dei dirigenti che dei militanti; la paura era quella di non riuscire a
fronteggiare la crisi in seno al partito e quella che coinvolgeva il paese.
All‟interno della struttura verticistico-dirigenziale qualcosa di profondamente
importante mutò: i vecchi lasciarono spazio a un nuovo gruppo emergente in
linea con le idee di Occhetto, il quale ora poteva attuare quella nuova fase che
necessitava.
Nella relazione al Comitato Centrale (26-28 novembre 1987), Achille
Occhetto allora vicesegretario, si presentò con una serie di proposte per poter
cambiare l‟assetto attuale del sistema. Occorrevano delle nuove regole per
combattere una crisi istituzionale che metteva a rischio tutti i meccanismi di
funzionamento della democrazia. La relazione conclusiva decretava la fine della
pratica consociativa nel rapporto tra opposizione e Governo e per la prima volta
insisteva sulla centralità di fare delle riforme istituzionali per praticare la nuova
strada della competizione e dell‟alternanza
19
.
17
VALLAURI C., I partiti italiani, Roma, Gangemi Editore,1986
18
BACCETTI C., Il Pds verso un nuovo modello di partito?, Bologna, Il mulino, 1997.
19
IGNAZI P., Dal Pci al Pds, Bologna, Il Mulino, 1992.
10
Nonostante non ci sia stato un ricambio delle modalità di selezione dei
membri della leadership, le lacerazioni interne e il tasso elevato di anzianità dei
dirigenti, nonché il passaggio di consegne tra i due segretari permisero di formare
una classe dirigente giovane. Achille Occhetto di fatto si trovò in un contesto
dove poté attuare un progetto appoggiato dai suoi fedelissimi, i “colonnelli”
Petruccioli, Fassino, Mussi, Livia Turco, Veltroni e Bassolino (l‟unico forse che
non possiamo definire propriamente un “occhettiano”)
20
.
Ma la fase di rinnovamento strutturale non si concluse. Il ricambio
generazionale e l‟ampio spazio che venne dato alle strutture locali, proiettarono
al vertice molte donne (che passarono da 4 a 11 nell‟organigramma dirigenziale),
giovani funzionari locali, centrali e amministratori locali di federazioni. La nuova
conformazione strutturale però non cancellò le componenti interne.
Rimasero al loro posto coloro che appartenevano all‟ala riformista capeggiata
da Giorgio Napolitano, l‟ala di sinistra con punto di riferimento Pietro Ingrao e i
“cossuttiani”.
Eletto Segretario e con una schiera di suoi fedeli alleati, Occhetto si presentò
al XVIII Congresso con la possibilità di percorrere una nuova via, che solo pochi
anni prima non si aveva avuto il coraggio da intraprendere. Nel nuovo
programma trovavano spazio la riforma elettorale per poter ovviare alle continue
crisi di Governo, la laicizzazione del partito (uno dei temi più scottanti dell‟intero
congresso), l‟esplicita accettazione del concetto di economia di mercato e la
diffusione di nuove tematiche, come la promozione dei movimenti femministi
ambientalisti e pacifisti.
Ma indubbiamente una forte accelerazione verso una vera e propria inversione
di tendenza, si ebbe dopo la caduta del muro di Berlino il 9 novembre 1989;
pochi giorni dopo il Segretario comunista intervenne sostenendo di non
20
VALLAURI C., I partiti italiani, Roma, Gangemi Editore, 1986
11
percorrere più le strade del passato per intraprendere delle nuove verso il
progresso e la democraticità.
Intervenendo su questo argomento, Massimo D‟Alema apostrofò la svolta che
si stava concretizzando, come una dura necessità dettata da contingenze e fatti
politici. Occhetto contestò la posizione del compagno, sottolineando altresì
l‟esigenza di liberarsi da vecchi schemi per la rinascita di tutta la componente
partitica: superare l‟isolamento del PCI all‟interno del sistema politico ed
abbandonare l‟idea dell‟ideologia marxista, furono gli imperativi della svolta
“occhettiana”, che però incontrerà forti rimostranze. Nella riunione del Comitato
Centrale, tra il 20 e il 24 novembre 1989, tenuto a ratificare la svolta,
parteciparono 326 dirigenti sui 374 previsti ed il 67,2% votò a favore mentre gli
altri si opposero
21
.
Il XIX Congresso tenutosi a Bologna dal 7 all‟11 marzo 1990, risulterà
determinante per gli scenari futuri che si configureranno per il vecchio Partito
Comunista
22
.
Come è noto, il progetto del Segretario non venne sposato in pieno da tutti i
dirigenti. La struttura organizzativa “autoreferenziale”, non permetteva a un
partito così centralizzato di poter avviare in toto la fase di ristrutturazione. La
forte opposizione di alcuni dirigenti al progetto sfocerà nella nascita di un nuovo
partito della Rifondazione Comunista, capeggiato da Armando Cossutta.
All‟Assemblea vennero portate tre differenti mozioni, su cui votarono i
militanti per decidere i futuri scenari che si dovevano concretizzare: quella di
Achille Occhetto, di Cossutta ( per una democrazia socialista in Europa) e di
Angius (per un vero rinnovamento del PCI e della sinistra).
In questo congresso, ribattezzato successivamente della “Bolognina”, la
mozione di Occhetto ottenne il 65,8% dei consensi, quella di Gavino Angius il
21
Ivi, pag. 34
22
IGNAZI P., Dal Pci al Pds, Bologna, Il Mulino, 1992
12
30,8% ed i restanti quella di Cossutta
23
. Nel XX e ultimo Congresso del Partito
Comunista, gli oppositori alla trasformazione del PCI si presentarono con una
mozione unica che ottenne il 27% dei consensi totali mentre la proposta da
Bassolino convinse il 4,5% dei delegati.
Precedentemente al congresso di Rimini, venne convocata la conferenza
programmatica del partito dal 22 al 24 ottobre 1990
24
, dove giocò un ruolo
fondamentale, come responsabile organizzativo del PCI, Piero Fassino. È molto
importante ricordare ciò che venne programmato in quella conferenza, perché di
fatto si gettavano le basi verso il nuovo partito, all‟interno del quale non fu
prevista un‟assemblea costituente. Il primo obbiettivo era quello di rovesciare
definitivamente il modello “togliattiano” di partito piramidale verticale, e di
costituirne un nuovo “a rete” fondato su base associativa e dotato di vita
autonoma. Si poteva collegare l‟apparato centrale con le segreterie dislocate nelle
varie regioni per poter metabolizzare culture e interessi diverse, convergendo sui
programmi comuni, per dar vita a una forza unita con un organigramma dotato di
autonomia e flessibilità, capace di coinvolgere tutte le sezioni presenti nella
penisola.
Il momento di massima tensione all‟interno della componente di sinistra si
raggiunse all‟indomani del 10 ottobre 1990, quando Occhetto presentò il nuovo
simbolo e il nuovo nome (PDS), e venne accusato di “cesarismo” dall‟ala che si
oppose alla svolta. Per poter prendere delle decisioni così drastiche occorreva
disporre di un consenso vasto all‟interno dei quadri dirigenziali
25
.
L‟abbandono del marchio d‟origine “comunista” venne salutato con
soddisfazione da coloro che sottoscrissero la mozione; il rischio che si correva
secondo l‟area riformista, era quello di isolarsi dal movimento socialista europeo.
Il XX Congresso segnò la fine del Partito Comunista Italiano e l‟inizio della
23
BACCETTI C., Il Pds verso un nuovo modello di partito? Bologna, Il mulino, 1997.
24
Ivi, pag. 64
25
Ivi, pag. 66
13
“Quercia”. Il segretario presentò il nuovo simbolo e la nuova denominazione,
potendo contare sull‟appoggio di quasi tre quarti dei delegati. Basti pensare che
chi sottoscrisse la mozione Bassolino si schierò successivamente con Occhetto. Il
pomeriggio del 3 ottobre 1991, con 807 voti a favore, 75 contrari e 49 astenuti,
venne approvato il documento finale.
Nasceva il Partito Democratico della Sinistra.
1.1 AL DI LA’ DEL GUADO
Achille Occhetto, secondo le norme previste dal nuovo statuto, venne eletto
con la maggioranza assoluta dei voti dei dirigenti in seconda seduta, dopo che
nella prima aveva ottenuto solo quella relativa.
Si concretizzava la rottura con i “cossuttiani”, i quali diedero vita alla nuova
forza politica della Rifondazione Comunista; tra i “dissidenti” si annoveravano,
oltre a Cossutta, un personaggio di spicco del mondo sindacale come Garavini,
oltre a Libertini, Salvato e Magri.
Nella dichiarazione d‟intenti presentata alla direzione il 10 ottobre 1990,
vennero esposte le motivazioni e gli ideali politici che spinsero il segretario, ex
comunista, a dare una vera e propria svolta alla forza di sinistra
26
. Tra i vari
passaggi, si evinse la proposta di dar vita ad un nuovo soggetto della sinistra
italiana, nato dalla consapevolezza che il paese si trovava in un momento di forte
crisi morale, sociale e istituzionale; per poter sovvertire questo trend, occorreva
rinnovare le classi dirigenti e rifondare lo stesso sistema democratico dello Stato:
“una crisi che ha bisogno di una grande forza di sinistra, di un partito
riformatore che possa prospettare una credibile alternativa di governo”
27
.
Ciò che è certo, ormai a distanza di quasi vent‟anni, è che il cambiamento
indicato dal Segretario, non era altro che un pretesto per accelerare un processo
26
Ivi, pag. 89
27
IGNAZI P., Dal Pci al Pds, Bologna, Il Mulino, 1992
14
già in atto da tempo, da ricondurre al fallimento della politica-strategia del
compromesso storico. La caduta del muro di Berlino non rappresentò che
l‟evento scatenante per poter realizzare in concreto questa “svolta” mai attuata da
coloro che lo avevano preceduto
28
. Il “nuovo” nacque abbandonando con molta
fretta, quasi come sotto certi punti di vista non si aspettasse altro, tutti i
riferimenti marxisti, presto sostituiti con quelli di pensiero più liberale da
Norberto Bobbio a Ralf Dahrendorf
29
. Nel 1991 il PDS appoggiò il referendum
di Segni per la riduzione a una sola preferenza nelle liste elettorali. L‟ampissimo
consenso al referendum decretò la prima sconfitta di Bettino Craxi, leader del
PSI e avversario politico anche negli ultimi anni di vita del PCI. La dissoluzione
dell‟Unione Sovietica nel 1991 mise in difficoltà Rifondazione piuttosto che i
pidiessisini, i quali si erano ormai definitivamente allontanati dai comunisti
sovietici. All‟interno del PDS si formarono tre correnti differenti: quella degli
“occhettiani”, dei miglioristi capeggiati da Giorgio Napolitano e degli
“ingraiani”, cioè quello che rimaneva del gruppo unito legato all‟anziano leader
Giorgio Ingrao. Molti confluirono nel PRC, mentre altri rimasero, ma in forte
contrasto con l‟azione del partito.
Il 17 febbraio 1992 venne arrestato a Milano il presidente del pio albergo
Trivulzio, Mario Chiesa. Questa data, convenzionalmente, rappresenta l‟inizio di
uno scandalo di concussione, corruzione e finanziamenti illeciti ai partiti
denominata “Tangentopoli”. L‟inchiesta coinvolse la stragrande maggioranza
delle forze politiche presenti nel paese, dagli imprenditori ai segretari di partito;
lo scandalo provocò lo scioglimento anticipato delle camere.
Il PDS venne coinvolto marginalmente ed alcuni degli esponenti ex comunisti
indagati e processati; nonostante ciò, non si verificò lo stesso terremoto politico
che si concretizzò per i partiti della Democrazia Cristiana e del PSI. Le nuove
elezioni del 1992, infatti, premiarono non in termini rilevanti questo distacco
28
BARDI L., IGNAZI P., MASSARI O., I partiti italiani, Milano, Università Bocconi, 2007
29
IGNAZI P., Partiti politici in Italia, Bologna, Il Mulino, 2007
15
dallo scandalo che da un punto di vista politico segnò la fine della Prima
Repubblica.
Alla tornata elettorale del 1992, il PDS ottenne il 17,2% dei voti, che sommati
teoricamente a RC (6%), rappresentarono un ipotetico 23%. In teoria, rispetto al
1987, quando il vecchio PCI si presentò unito, si persero il 3% dei voti, ma dopo
tutte le vicissitudini politiche che si verificarono, sembrò quasi di aver
conseguito un successo alle elezioni
30
.
Lo scandalo “mani pulite” coinvolse personaggi di spicco della politica. Nel
1993 lo stesso Occhetto, rivolgendosi al popolo italiano, chiese scusa per i
dirigenti e i politici ex comunisti coinvolti; ma il 1993 fu soprattutto l‟anno del
successo elettorale alle amministrative e dei referendum abrogativi promossi dai
Radicali e dal Patto Segni. Il 77% degli italiani si recò alle urne per votare, tra
tutti, l‟abolizione dei finanziamenti pubblici ai partiti e la quota proporzionale al
Senato. La spinta propulsiva dei suoi quadri e la marginale esposizione a uno
scandalo di caratura nazionale, premiò il partito e le alleanze strette con altre
forze minori. Bianco venne eletto sindaco di Catania, Castellani di Torino,
Bassolino di Napoli, Rutelli di Roma ed il filosofo Massimo Cacciari divenne
sindaco di Venezia. Sempre nell‟estate del ‟93, gli “ingraiani” uscirono dal
partito dopo che Occhetto decise di astenersi sulla fiducia al Governo tecnico
presieduto da Carlo Azeglio Ciampi. Era la vigilia di una tornata elettorale molto
importante, quella che segnò l‟ascesa di Silvio Berlusconi sul palcoscenico
politico italiano.
Alle politiche del 1994 il PDS si presentò in una coalizione di partiti, uno
schieramento “progressista” a cui aderirono Rifondazione, i Verdi, la Rete e
Alleanza Democratica. Si espose un programma di “ricostruzione nazionale” su
cui si aprirono ampi dibattiti tra i leaders delle forze che componevano la
coalizione. La campagna elettorale fu segnata da una forte contrapposizione
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VALLAURI C., I partiti italiani, Roma, Gangemi Editore, 1986