avvalendosi del sostegno fornito dalle pubbliche istituzioni.
Oggigiorno, sono numerosi i bambini che vivono in affidamento familiare; tanti di
loro, e le loro famiglie, hanno vari problemi, anche molto gravi ed è, dunque,
fondamentale che chi si approccia ai loro bisogni possieda le capacità professionali
adeguate.
Offrire al bambino una buona famiglia è necessario, ma non è una condizione
sufficiente per far funzionare l’affido: non si tratta semplicemente di dire ai genitori
biologici di risolvere i problemi per poter ricongiungersi con il bambino; non basta
nemmeno dire alle famiglie affidatarie di fare i “bravi genitori” per far andare tutto
a posto e non si può nemmeno dire al bambino di comportarsi bene con i nuovi
genitori cosi tutti i suoi problemi si risolveranno. È necessario che tutti gli attori
coinvolti abbiano un’adeguata preparazione per poter affrontare in modo corretto la
nuova sfida data dall’affido familiare.
Nonostante sia un intervento che offre molte opportunità, tale intervento non deve
essere considerato il fulcro risolutivo di tutti i problemi dell’infanzia e delle
famiglie multiproblematiche: non devono essere trascurate altre tipologie di
intervento più adeguate: non deve accadere che l’affidamento familiare venga visto
come “scorciatoia” per raggirare decisioni complesse.
L’affidamento, dunque, come modo di andare verso il disagio altrui, di incontrare
un bimbo in un momento particolare della sua storia, di proporre un rapporto
educativo “diverso” con le generazioni, di riflettere sulla famiglia o di
“accarezzare” un nucleo familiare in difficoltà, è così intrecciato nel suo significato
alla complessità della realtà, da poterlo comprendere in una visione allargata della
civiltà.
La questione del disagio minorile viene invece considerata in modo settoriale come
realtà che non riguarda tutta la società, ma solo una parte di essa. E in questa
direzione ci si muove per trovare le soluzioni adatte, “terapeutiche”, per quei minori
che hanno “quel problema”. La cultura del ben-essere, del ben-avere e la ricerca del
sentirsi bene, di allontanare, di codificare e medicalizzare la malattia e il disagio, fa
distogliere e fa valutare le esperienze sulla base di questo principio, considerato
5
come superiore.
Il disagio dei minori sta nella difficoltà a “diventare grandi”, perché grandi lo si
diventa nel rapporto con gli altri, in particolare con i propri genitori e poi con tutti
gli altri con i quali veniamo ad incontrarci nel nostro ambiente, nella nostra cultura,
nel contesto sociale complessivo entro cui viviamo. Riguarda la possibilità di
crescere, di assumere nuovi punti di vista, rispetto ai personali copioni di
comportamento, di percorrere itinerari diversi e personali per una maggiore
consapevolezza di sé, dei propri e degli altrui bisogni.
La pratica dell’affido familiare comporta la necessità di riconoscere la complessità
che investono i ruoli degli operatori e degli enti che a vari livelli intervengono nello
svolgersi di queste due esperienze. Mi riferisco all’assistente sociale, agli educatori,
allo psicologo, ai giudici ed ai Comuni.
Dalla ricerca condotta sull’esperienza di 15 famiglie affidatarie, risulta che, nel
corso degli anni, c’è stato un graduale miglioramento nell’affrontare il percorso
affidatario in tutte le sue componenti; ma che purtroppo sono ancora innumerevoli i
nodi da sciogliere e le pratiche da migliorare.
In questa sede voglio quindi soffermarmi soprattutto sulle relazioni che queste
famiglie hanno avuto con i diversi operatori professionali che hanno incontrato sul
loro cammino e sulle difficoltà emerse durante i primi mesi dell’inserimento del
bambino in famiglia, i rapporti tra famiglie affidatarie e famiglie naturali e
verificare quali motivazioni spingono tali persone a intraprendere il percorso
dell’affidamento familiare.
6
CAPITOLO UNO
Identità della famiglia e forme familiari
1.1 Introduzione: la famiglia nella storia
Nel corso degli ultimi decenni si sono verificati, in molti Paesi occidentali, tra cui
l’Italia, diversi fenomeni che hanno interessato lo scenario familiare tradizionale,
disgregandolo e ricomponendolo in assetti sempre nuovi: il calo della natalità,
l’allungamento del tempo adolescenziale, il rinvio della transizione alla scelta di
coppia e genitoriale, l’incremento delle separazioni e dei divorzi sono solo alcune
delle manifestazioni di un’identità familiare sempre meno stabile e sempre più
nomadica (Palomba, 1991, Binetti et al, 2004). La famiglia è un luogo di
condivisione e di solidarietà diretta con un raggio di variabilità differente a seconda
delle culture e con numero di membri maggiore o minore, a seconda delle politiche
in atto nei diversi sistemi, nel corso della storia e nei diversi contesti geografici. Gli
studiosi distinguono: il gruppo domestico, la famiglia biologica, la famiglia
nucleare, la famiglia composta, la grande famiglia e la famiglia estesa (Malagioli
Togliatti, 1996).
La definizione corrente più accettata è quella di Cooley (1909), che la definisce un’
“unità di persone interagenti” con un ciclo di vita famigliare suddiviso in diverse
tappe (fidanzamento, matrimonio, allevamento dei figli, nido vuoto, vecchiaia).
Secondo Giddens (1995), sociologo inglese, la famiglia è definita come “un gruppo
di persone legate da rapporti di parentela, all’interno del quale i membri adulti
hanno la responsabilità di allevare i bambini.” Ancora oggi infatti, nell’opinione
comune, sembra che ci sia veramente famiglia solo quando ci sono i figli e il
matrimonio è visto quindi come passaggio necessario ma non sufficiente al
costituirsi della famiglia. Questa concezione è frutto sicuramente dell’influenza
della cultura cattolica che ha per molto tempo considerato il matrimonio come
strumentale per la procreazione e, benché nel corso degli anni abbia dato pari
dignità anche al benessere e alle relazioni di reciprocità nella coppia quali fini e
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valori del matrimonio, ha visto nella sterilità un sacrificio, una croce da sopportare.
Nell’epoca post-moderna la famiglia diventa unità di condivisione tra persone
solidali costruita su basi biologiche, naturali e parentali o su basi affiliative e
comunitarie. In tale unità di condivisione esiste il matrimonio, la riproduzione e
l’educazione dei figli ma anche la cura delle persone che a tale unità si affiliano.
La famiglia moderna nasce quindi come famiglia genitoriale educante e come
famiglia affettiva, in quanto ridefinisce il posto dei figli: essi diventano il centro
affettivo e simbolico dell’affettività familiare stessa; e questo processo è
accompagnato da una diminuzione del numero di figli per famiglia man mano che
aumenta la loro importanza affettiva (Saraceno, Naldini, 2001).
La famiglia, dunque, è un oggetto di studio della psicologia sociale per niente
semplice: infatti in ogni cultura vi è la convinzione che la forma familiare più
presente sia anche l’unica possibile. Partendo dalla definizione classica di Lévi-
Strauss (1969), possiamo definire la famiglia come “l’unione durevole, socialmente
approvata, di un uomo e di una donna e dei loro figli” in base a questa prospettiva,
la famiglia è “una forma sociale primaria” (Lévi-Strauss, 1969): primaria perché si
trova all’origine della civilizzazione, garantendo il processo generativo, dal punto di
vista biologico, psicologico e sociale, e perché assolve delle funzioni fondamentali
senza cui la società non potrebbe vivere.
Queste funzioni, secondo l’antropologo Murdock (1949), sono quella sessuale,
riproduttiva, educativa ed economica.
Al contrario, come dimostrano Laslett e Wal (1972), nel loro studio sulle famiglie
europee nel corso dei secoli, si è assistito al nascere e morire di diverse tipologie di
famiglia: solitari, nucleari, multiple, aggregati indeterminati, estese, senza struttura,
(a cui, oggi, possiamo aggiungere le famiglie monoparentali in seguito a
separazione o divorzio e le famiglie allargate, le cosiddette step family).
Sroufe e Fleeson (1988), identificano le funzioni principali della famiglia
nell’allevamento dei figli e nel soddisfacimento dei bisogni di intimità e supporto
degli adulti.
Secondo questi autori, quando queste funzioni sono considerate simultaneamente,
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ne consegue un’organizzazione formata da due adulti di genere diverso, che si
prendono cura dei figli.
La famiglia come forma sociale primaria di rapporto tra sessi e generazioni svolge
anche un’altra funzione culturale e sociale: incarna ed esprime una struttura
relazionale che consente agli individui di rappresentarsi e affrontare l’esterno, il
nuovo, il “non familiare”.
Secondo Brown (1991) e Heritier (1996), il familiare ha carattere di “universale
culturale”: indica cioè l’aspetto invariante che accomuna le varie forme familiari
presenti nelle varie società e culture.
La specificità della famiglia consiste nel fatto che essa è un’organizzazione di
relazioni primarie fondata sulla differenza di genere e sulla differenza tra
generazioni e che ha come obiettivo intrinseco la generatività.
Il termine “organizzazione” (Sroufe, Fleeson, 1988) è preferibile a quello di
“gruppo” o “sistema” poiché, come evidenziato da Buckley (1976), è propria dei
sistemi socioculturali.
La famiglia, infatti, è un sistema organizzato con una struttura e una gerarchia
interna e che interagisce in modo non casuale con il contesto nel quale è inserita
(Buckley, 1976).
1.2 La famiglia come istituzione
La famiglia, secondo Cusinato e Panzeri (2005), è un organismo mediatore di senso
e come tale influenza la stabilità e il cambiamento dei valori.
Se vengono a mancare i gruppi portatori di senso aumenta la perdita di sicurezza e
di consenso verso la società.
Per questo la famiglia ha grande importanza tra le istituzioni sociali, anche se
attualmente la cultura della società e quella della famiglia non convergono più come
nel passato: è utile, quindi, vedere la famiglia come un progetto che deriva dal
percorso di maturazione dell’individuo all’interno della società e non pensare alla
famiglia con modelli prefissati.
L’istituzione familiare è una istituzione particolare, impregnata dalla trama
9
psicologica che l’epoca e la cultura le assegnano e i compiti che le afferiscono
concernono gli elementi interni come il ciclo di vita, i legami intergenerazionale, i
compiti sociali… Le discipline che hanno come oggetto di studio la famiglia non si
delimitano a fornire e ad interpretare dati, ma suggeriscono interventi attraverso le
politiche sociali.
Il paradosso dei mutamenti familiari scaturisce nel fatto che vi sono, nello stesso
tempo, pressioni sia verso la privatizzazione, sia verso la pubblicizzazione della
famiglia e, forti spinte in un senso o nell’altro, creano esiti nella direzione opposta e
viceversa.
La mancanza di un punto di equilibrio fra queste pressioni, per quanto
inevitabilmente dinamico, cagiona patologie perché mette in difficoltà un numero
crescente di famiglie.
Come espongono Cusinato e Panzeri (2005), le relazioni familiari sono senza
eccezione rappresentate da alcune attitudini di fondo:
- sono sempre più differenziate sia al loro interno, sia nei rapporti con
l’esterno; la famiglia si scinde in relazioni più elementari;
- sono sempre più generalizzate nei valori: l’attributo “familiare” viene
accomunato a nuove relazioni di intimità, di familiarità che non erano incluse nella
precedente definizione di famiglia;
- sono sempre più autonome, autopoietiche: i legami familiari sono regolati
in base a criteri propri, non mutuabili da altre sfere della vita.
I mutamenti delle configurazioni e delle dimensioni delle situazioni familiari,
presenti nell’arco degli ultimi decenni, sono dovuti alle modifiche degli stili di vita
e ai rinnovati processi demografici.
Come sostiene Saraceno (2001), analizzando i fattori coinvolti nelle modificazioni
delle strutture familiari, in questo periodo si è assistito al cambiamento del numero
di famiglie, alla riduzione della loro ampiezza, all’aumento in percentuale della
struttura familiare coniugale-nucleare e di quelle unipersonale e monogenitoriale.
10
1.3 Le forme familiari
La famiglia è il primo tramite di conoscenza del mondo.
In essa sono trasmessi valori, opinioni e ideologie, è la prima istanza di aiuto
concreto, un luogo di rafforzamento dell’identità personale.
L’ ambito della famiglia ha subito penetrazioni da parte di altri settori della società,
in particolare quelli economici e politici.
La globalizzazione è qualcosa che investe anche la famiglia.
Con il prolungamento della vita media, diventare vecchi è quasi una realtà
oggettiva, ed il soggetto, non trovando più sostegno nelle tradizioni, è costretto a
sceglier da solo.
Elias (1987), in riferimento a ciò, dà rilievo a come il soggetto attuale non tollera
più la repressione che gli proveniva dall’essere membro di una comunità, ma non si
avvale più neppure della protezione che quest’ultima offriva.
Il vivere familiare si configura sempre più come legato alla capacità di gestire la
complessità attraverso strategie del vivere insieme integrate e flessibili (Migliorini.
Rania, 2008).
Inoltre, la grande variabilità nelle strutture e nelle funzioni dei gruppi familiari ha
reso oggi possibile definire la famiglia indipendentemente dal contesto spazio-
temporale in cui è inserita (Ingoldsby, Smith, 2006).
Nel secolo trascorso, la famiglia ha subito moltissime trasformazioni,
sperimentando nuove modalità di “vivere insieme”: nella società affiora un alto
numero di circostanze tra loro concorrenti: coppie sposate legalmente, coppie
conviventi, parentele allargate.
La convivenza è aumentata notevolmente, mentre il numero dei matrimoni si è
ridotto, aumentano anche le separazioni e i divorzi e le situazioni in cui i genitori,
anche se non vivono insieme, si prendono cura congiuntamente dei figli (Hofferth e
altri, 2007).
Tutto sembra avere un termine, anche la famiglia.
Si può dunque fare riferimento ad una società post-familiare, dove la
personalizzazione è obbligatoria e il soggetto ha il dovere di cambiare il mondo.
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In questi anni, nella nostra società, si è assistito anche al fenomeno cosiddetto
“della famiglia lunga del giovane adulto” (Scabini e Donati, 1988; Scabini e Rossi,
2006): i giovani posticipano il matrimonio prolungando cosi la permanenza nel
nucleo familiare di origine.
Quando si forma la coppia, il progetto generativo non sempre è il primo obiettivo
del nuovo nucleo: questa decisione viene spesso posticipata aumentando le
possibilità che la coppia non riesca poi ad avere figli a causa dell’infertilità
(Migliorini, Rania, 2008).
Negli ultimi decenni, si assiste sempre più frequentemente alla disgregazione e alla
riformazione dei nuclei familiari: si assiste alla formazione di nuclei familiari
allargati, dove figli nati da precedenti unioni si trovano a vivere in un’unica, nuova
famiglia.
L’indipendenza è una delle peculiarità dell’uomo moderno e lo stesso futuro è una
costruzione individuale, anche se talvolta l’individuo si sente disorientato.
Anche la famiglia, come ciò che vive la persona, sperimenta un duplice processo
di individualizzazione e di pluralizzazione.
Si potrebbe dire che oggi c’è la regola del cambiamento: ognuno crea la sua vita,
con la determinazione di cambiare, tutto e velocemente.
La pluralità permessa dalle scelte, comporta un sovraccarico per la persona, che per
obbedire all’imperativo individualista, resta solo (Elias, 1987).
La pluralizzazione delle forme familiari non è solo la conseguenza della crisi del
modello tradizionale della famiglia: non è più possibile definire la famiglia secondo
i criteri del passato.
Citando Weber (1960), possiamo affermare che la “pluralizzazione non è altro che
uno dei tanti processi di razionalizzazione che, a partire dalla soglia estrema del
disincanto, può essere visto come un processo di modernizzazione che nasce dalla
forte individualizzazione.”
La famiglia ha continuato i grandi cambiamenti sociali; rimane, tuttavia, un
organismo fondamentale della vita sociale.
La famiglia può essere considerata l’orizzonte della vita umana: dalla nascita alla
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morte l’essere umano è inserito in una famiglia.
Nella famiglia si stabilisce una rete di relazioni costanti alle quali nessun membro
riesce a sottrarsi neppure con la lontananza.
Oggi la cultura della società e quella della famiglia non coincidono più e ciò porta a
contraddizioni quali l’inadeguatezza del matrimonio o della famiglia, che vengono
sciolti, frammentati, rifiutati.
L’obbligo tradizionale di stare insieme non è più limitante, il matrimonio è costruito
sempre più su un patteggiamento continuo.
La pressione professionale è molto importante e influisce sulle scelte familiari, non
più completamente libere, ma decise in relazione agli impegni professionali
(Hettlage, 1998).
La famiglia è, dunque, all’origine della società, dato che in essa nasce l’uomo,
l’individuo e la persona.
È la prima istituzione che ogni uomo incontra sulla propria strada e a cui deve
“adattarsi”.
La famiglia d’origine o forse sarebbe meglio dire la “famiglia delle origini”, per
meglio metterne in evidenza la valenza mitica fondativa, è amata e vagheggiata
come luogo di legami stabili e sicuri, luogo in cui riparare nei momenti difficili,
nella misura in cui quelle relazioni si pongono in un altrove, al di fuori del tempo.
Una famiglia non più fondata sui legami, perde la possibilità di collegare e di
svolgere una funzione di mediazione temporale tra passato e futuro.
1.4 Definizioni di famiglia
Una prima definizione di famiglia può essere quella suggerita da Cooley (1909) che
la definiva come “unità di persone interagenti”.
Secondo Cooley “il modo più semplice di definire questo gruppo è definirlo <un
noi>”. La psicologia, tuttavia, ancora agli albori del suo cammino, non aveva le
categorie appropriate per afferrare l’eccedenza data dal concetto di “unità”: serviva
invece una nuova categoria mentale che capire ciò che “fa degli individui un
insieme” (Scabini, Iafrate, 2005).
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Riuscì in questo intento Lewin (1951), quando concepì il gruppo come fattore
psicosociale, dando una base concettuale che può essere ben adattata alle
caratteristiche strutturali e funzionali della famiglia: per Lewin (1951), il gruppo è
qualcosa di più della somma dei suoi membri, con struttura e fini peculiari e
relazioni particolari con gli altri gruppi, vi è interdipendenza tra i suoi membri e può
essere definito come totalità dinamica in quanto il cambiamento di una parte
interessa tutte le altre.
Gli aspetti innovativi della definizione di Lewin (1951), sono l’idea che il gruppo è
un’eccedenza, quindi qualcosa di diverso dalla somma delle sue parti, e il concetto
di interdipendenza dei membri.
A partite dagli anni Cinquanta, dunque, si diffonde l’idea di famiglia come piccolo
gruppo. Come evidenzia De Grada (1999), i criteri di gruppalità individuati per
definire il gruppo sociale ben si adattano al gruppo familiare: tra questi quelli di
natura prettamente psicologica sono: la presenza di interazioni frequenti per il
raggiungimento di uno scopo comune; presenza in ogni componente della
consapevolezza di sé e dell’altro come parti di un tutto (la “noità” di Cooley).
Il gruppo definito da un senso di “noità” e di appartenenza (Quagliano, Casagrande
e Castellano 1992), caratterizzato da aspetti gerarchici, organizzativi e connotato
socio culturalmente, che trova un ottimo esempio nella famiglia.
Secondo De Grada (1999), il “vantaggio” del gruppo-famiglia è dato dal fatto che
esso viene considerato “un sistema sociale in miniatura” favorevole allo studio
delle relazioni e dei processi sociali fondamentali.
Nonostante tutte queste affinità, bisogna anche riconoscere che ci sono differenze
tra piccoli gruppi e famiglia: mentre i piccoli gruppi sono caratterizzati da setting
artificiale, alto livello di manipolazione e controllo delle variabili, la famiglia
rappresenta il “setting naturale” per eccellenza con minimi livelli di manipolazione
e controllo. La famiglia è una forma sociale primaria che sta all’origine della stessa
civilizzazione, essendo luogo che garantisce il processo generativo dal punto di
vista biologico, psicologico, sociale e culturale. Quando la famiglia non funziona,
su larga scala, la società si trova a d affrontare problemi sociali difficilmente
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risolvibili. Inoltre, la famiglia, è una forma sociale primaria perché assolve ad
alcune funzioni fondamentali senza cui la società non potrebbe vivere.
Riprendendo il pensiero di Murdock (1949), queste funzioni sono
fondamentalmente quella sessuale, riproduttiva, educativa ed economica:
caratteristiche che distinguono la famiglia dagli altri gruppi “artificiali”.
La famiglia, inoltre, ha anche scopi differenti: essa perseguita lo sviluppo dei suoi
membri e della famiglia come un “tutto” e favorisce lo svolgimento dei compiti
intergenerazionali: nella famiglia è differente anche la gestione del potere, non in
mano ad un leader, come accade nei piccoli gruppi, ma suddivisa tra i membri a cui
vengono affidati compiti differenti. Un altro aspetto rilevante della famiglia è la
dimensione storico-temporale, d’ importanza cruciale per essa, perché si
caratterizza come un gruppo che condivide una storia e un passato.
Partendo dall’analisi di somiglianze e differenze tra la famiglia e i piccoli gruppi,
Chibucos, Leite e Weis (2005), la definizione di famiglia può essere vista come un
paradosso, perché tende a sfuggire ad una definizione chiara e precisa: attribuire la
definizione di famiglia alle nuove forme familiari non è semplice, perché, invece di
rappresentare al meglio l’oggetto in esame, lo generalizza, svuotandolo di
significato. Anche il contributo di Seccombe e Warner (2004), evidenzia le
difficoltà di fornire una definizione precisa: per questi autori, la famiglia può essere
identificata in una relazione di sangue, fondata sul matrimonio e sugli affetti, in cui
i membri cooperano economicamente, collaborano alla cura dei figli e si sentono
legati intimamente con il gruppo familiare allargato.
Tra le varie definizioni di famiglia assume una posizione di rilievo quella suggerita
dal paradigma relazionale-simbolico, proposto da Scabini e Iafrate nel 2003.
Secondo tale paradigma:
“La famiglia è quella specifica ed unica organizzazione che lega e tiene insieme le
differenze originarie e fondamentali dell’umano, quelle tra generi, tra generazioni
e tra stirpi, e che ha come obiettivo e progetto intrinseco la generatività”. La
famiglia, dunque, crea legami attraverso dei simboli che definiscono il senso e
danno significato (Migliorini, Rania, 2008).
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Migliorini e Rania, (2008), propongono un’ipotesi di definizione di famiglia,
definita come: “particolare gruppo sociale, in relazione spazio-temporale con il
contesto in cui è inserito, che si basa su un continuum di relazioni intime
significative attraverso le diverse appartenenze di gruppo, e che ha come fulcro e
progetto la generatività”. Tale proposta incarna un tentativo di conciliare la
necessità di circoscrivere l’oggetto di studio e di unire in un’unica e adeguata
definizione, le varie tipologie di vivere insieme. Per questo l’aspetto peculiare del
fare famiglia risulta essere la relazione intima significativa, vista come un
continuum relazionale tra le varie appartenenze familiari (Schmeeckle, Giarusso,
Feng e Bengtson, 2006).
1.5 Le relazioni intime; i legami del gruppo familiare
Le relazioni intime rappresentano la condizione principale del vivere quotidiano,
fornendo il contesto relazionale e sociale più importante della vita di una persona
(Migliorini, Rania, 2008). Il processo di formazione delle relazioni è un campo
molto complesso perché vi sono moltissimi fattori che possono essere considerati.
L’ambente fisico e sociale offre il contesto di interazione fra gli individui,
rappresentando l’aspetto di prossimità legato alla possibilità di contatto tra gli
individui. Come sostenuto dalla psicologia ambientale l’insieme delle caratteristiche
spazio-ambientali costituisce un fattore che influenza le interazioni sociali tra le
persone, che sembrano favorite da contatti sociali passivi, prossimità e spazi
appropriati per interagire.
L’attuale pluralizzazione dei modelli relazionali e famigliari fa diventare più
complesso il percorso di costruzione delle relazioni intime adulte. Vedere se stessi
come partner all’interno di una relazione, è un processo che si attua all’interno di un
pensarsi in base ad una pluralità di modi che si rifà ad identità multiple e composite,
che possono caratterizzare il soggetto in vari momenti della vita, anche in paragone
con i vari impegni che l’individuo si assume e sente come propri.
In riferimento a ciò, Blatt e Blass (1996), affermano che lo sviluppo della persona
può essere visto come “l’evoluzione di una transizione dialettica complessa tra due
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processi di sviluppo fondamentali:
• lo sviluppo di relazioni interpersonali sempre più stabili, durature e mutuamente
soddisfacenti;
• lo sviluppo di una definizione di sé (o identità differenziata), stabile, realistica,
positiva e integrata.”
Questa visione favorisce l’apprezzarsi del ruolo che giocano le relazioni
interpersonali, dalla relazione di dipendenza, ad esempio del bambino con il
caregiver, fino alle relazioni intime adulte.
Nei modelli dei bisogni di base, il comportamento sociale è considerato come il
risultato del continuo interscambio tra i bisogni innati di base dell’individuo, e le
sollecitazioni provenienti dal contesto esterno.
Nel 1938 Murray definisce i bisogni come “forze interne che organizzano le
percezioni, le cognizioni, le emozioni e il comportamento al fine di raggiungere uno
specifico obiettivo”.
Per l’autore, la metà dei bisogni da lui teorizzati, può trovare o meno, soddisfazione
all’interno delle relazioni intime.
Secondo Simpson e Tran (2006), i modelli di relazione che hanno guidato la
definizione delle caratteristiche dei vari tipi di relazione sono due: il modello delle
forme elementari di socializzazione e l’algoritmo della vita sociale.
Il primo, proposto da Fiske nel 1992, categorizza le relazioni secondo quattro
modelli psicologici (condivisione reciproca, dove beni e risorse sono localizzati in
un insieme comune a disposizione di tutti; gerarchia di autorità, dove beni e risorse
sono allocati in base alla posizione sociale dell’individuo; l’eguaglianza, dove c’è
uguale condivisione; il prezzo di mercato, dove beni e risorse sono suddivisi in base
al valore di mercato) che governano le interazioni e gli scambi sociali. Per Fiske,
ogni modello può stabilire regole di scambio non solo tra i vari tipi di relazione, ma
anche all’interno del legame stesso.
Il secondo, teorizzato da Bugental nel 2000, ipotizza che le concettualizzazioni
possono essere concettualizzate in termini di sfide ricorrenti che i nostri antenati
hanno affrontato per poter sopravvivere e riprodursi.
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Bugental (2000), afferma che le pressioni persistenti dovute all’evoluzione, hanno
definito algoritmi sociali specifici per i differenti ambiti di vita. Gli algoritmi sociali
sono: attaccamento (che include algoritmi che forniscono un sistema protettivo
quando la sicurezza è in pericolo), potere gerarchico (algoritmi utili al
riconoscimenti delle differenze presenti negli ambienti dove l’individuo entra in
relazione con gli altri), gruppi di coalizione (algoritmi usati per l’identificazione e la
difesa delle differenze tra i membri dell’ingroup e i membri dell’outgroup),
reciprocità (algoritmi che gestiscono e promuovono gli obblighi reciproci e i
benefici necessari al vivere insieme), scelta (algoritmi utili per selezionare un
partner appropriato con cui creare una famiglia).
Per Bugental (2000), i problemi di relazione avvengono quando gli algoritmi sono
attivati e applicati alla relazione sbagliata.
Lo studio delle relazioni intime è di fondamentale importanza, in quanto l’essere
coinvolti in una relazione stabile e soddisfacente è percepito e vissuto dalla maggior
parte delle persone come una componente critica della felicità: per tale motivo il
buon esito, o il fallimento, delle relazioni hanno un profondo impatto sulla
soddisfazione della vita delle persone ( Leone e Hawakins, 2006).
Le relazioni intime assolvono a moltissime funzioni: operano in vari contesti
interpersonali e in diversi tipologie di relazioni.
Harvey (1995), definisce una relazione intima come una relazione che si protrae per
un certo periodo di tempo, che implica comprensione reciproca, comportamenti di
vicinanza e di scambio, vissuti dalla diade come indicativi di intimità.
Con intimità si intende un legame emozionale che comporta comprensione e
sostegno.
Da questa definizione emerge l’interdipendenza reciproca tra partner.
La famiglia rappresenta il primo scenario in cui l’individuo comincia a creare,
riprodurre e sperimentare modelli di rapporto con l’altro da sé; sulla base di questi
modelli, ogni essere umano costruisce relazioni nuove, extrafamiliari, basate su
modelli sempre più complessi e articolati.
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