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verosimile e onesta della Real Tv. Per la fiction la funzione sociale è molto di più, vuol dire
occuparsi del proprio pubblico: insegnargli qualcosa, intrattenerlo, raccontargli la vita che ha
intorno.
“Educare, informare, divertire”
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dunque. E non erano questi i principi su cui si basava il progetto di
una Tv di servizio pubblico, quando la Rai nacque nel 1954?
Azzardo un’ipotesi: la fiction è la figlia più onesta e riconoscente della Tv. Perché le somiglia,
ha seguito le sue orme, ha percorso tutte le strade che la madre padrona ha tracciato, ne ha
sottolineato modi e misure. Trovando però un’identità propria che col tempo le ha dato spessore e
l’ha premiata, consacrandola oggi ad unico genere televisivo che resiste ai cambiamenti culturali e
mass mediali e riesce sempre a rinnovarsi senza perdere di vista il suo unico e supremo obiettivo: lo
spettatore.
Chi segue una fiction non si appresta soltanto a guardare un programma Tv, ma si ritrova
immerso in una storia: una storia fatta di capitoli, di attese, di promesse, di scambio, di decisioni. Il
telespettatore ama sentirsi coinvolto, ama prevedere quello che accade, detesta essere smentito e gli
piace vivere appieno le tante storie che gli vengono proposte.
Azzardo quindi un’altra ipotesi: ciò che salva la Tv di oggi è proprio la struttura narrativa. Ed è
per questo che, sulla scia della fiction pura, tutti quei programmi che sono in grado di raccontare
una storia nelle sue fasi, lo fanno. Stravolgendo spesso e volentieri le loro strutture originarie.
La fiction insomma, è intorno a noi. Nella vita che ci circonda. E in ogni fiction in cui ci
imbattiamo, possiamo trovare qualcosa di noi, qualcosa che ci somiglia, qualcosa in cui riconoscerci
e per cui interrogarci.
Nell’attuale panorama di fiction televisive, c’è poi un prodotto davvero singolare, che è scritto
facendo riferimento ai casi di cronaca, è girato nei quartieri difficili di cui racconta le storie, è reale
molto di più di un Tg locale. Un prodotto che ha fatto propria la funzione sociale della fiction in
ogni senso.
Questo prodotto è La Squadra, fiction di Rai3, che abbiamo preso a modello e ad esempio per
raccontare un modo nuovo di approcciarsi alla Tv. Ne analizzeremo la struttura produttiva, i temi
trattati e sottolineeremo tutti gli spunti sociali che gli episodi andati in onda hanno rimarcato.
Vi avvicineremo ad un chiaro esempio di Tv verità.
Per una volta, non di opinabile verità televisiva.
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Aldo Grasso & Massimo Scaglioni, Che cos’è la televisione, Garzanti 2003, Pag. 93
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PARTE PRIMA
“LA FUNZIONE SOCIALE DELLA FICTION”
Ogni dramma inventato riflette un dramma che non s’inventa (François Mauriac)
…le storie non sono una fuga dalla vita ma una sua esplorazione.
(Jean Anouilh)
…la recitazione si sfrangia fino a coincidere con la quotidianità stessa della vita.
(Enrico Menduni)
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1. LA FICTION IERI
1.1. FASE PEDAGOGICA
In principio c’erano gli sceneggiati. “Ovvero trasposizioni televisive, generalmente a puntate, di
un soggetto narrativo che, nel caso del teleromanzo, era tratto da un’opera letteraria e nel caso di
uno sceneggiato originale era tratto da un soggetto inedito”
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. In prima battuta tali sceneggiati erano
trasposizioni teatrali ed il montaggio avveniva in diretta, poi col passare del tempo e con l’avvento
delle innovazioni tecnologiche, si trovarono formule più veloci e evolute.
Il primo sceneggiato, Il dottor Antonio, è datato 1954, ovvero l’anno di inizio delle trasmissioni
televisive. Il che significa che da subito il genere narrativo si è imposto e qualificato come una delle
colonne portanti della nuova avventura televisiva e tale è rimasto negli anni, pur con tutti i
cambiamenti e le innovazioni apportate nella produzione, nella messa in onda, nella scrittura.
In un primo momento, l’intento di queste opere era quindi quello di infondere qualcosa nel
pubblico. Stiamo parlando di un pubblico analfabeta, al quale la Tv ha insegnato la lingua italiana,
un pubblico che non conosceva le grandi opere e che non aveva mai avuto né i mezzi né le
opportunità per interessarsi alla cultura.
Si produceva cosicché il nuovo mezzo televisivo potesse diffondere quelle opere che ad oggi fanno
parte del bagaglio culturale della maggior parte di noi ma che, all’epoca, in pochi aveva il lusso di
potersi permettere, sia economicamente che in termini di intendimento.
Ecco allora le grandi produzioni come Piccole donne, I promessi sposi, Cime tempestose, Verdi,
Marco Polo, Madame Bovary, ancora oggi ricordate dal pubblico più adulto come grandi
appuntamenti settimanali che permettevano di imparare qualcosa, anche se nella cornice teatrale
della finzione e della recita.
Da qui nasce il primo grande filone, la prima funzione ufficiale che la fiction si porta dietro.
Nonché la più grossa responsabilità che col tempo, ovvero con l’avvento delle Tv private e della
necessità di avere molti più prodotti in palinsesto, si è naturalmente persa: quella pedagogica.
Recuperabile?
1.2. FASE ONIRICA
A cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80 la Tv italiana vive un periodo di cambiamento molto
intenso: con l’avvento delle reti private, con l’aumento delle ore di programmazione disponibili, si
presenta il problema di come riempire i palinsesti restando competitivi. L’azienda pubblica si trova
dinanzi ad un problema inizialmente economico: produrre costa e produrre sceneggiati, con le ovvie
difficoltà tecniche dell’epoca, costa anche di più.
Per cui, se la Rai decide di affrontare il problema proiettandosi in maestose co-produzioni
internazionali, ancora sulla scia della funzione pedagogica e dell’allargamento del bacino culturale,
l’azienda privata si lancia invece alla ricerca di materiale importabile dall’estero: materiale già
collaudato e che quindi costa molto meno. L’idea si rivela vincente tanto che la Rai, preso atto
dell’impossibilità di confrontarsi quotidianamente in una battaglia del genere, è presto costretta a
seguire l’esempio.
Sono gli anni della “disponibilità”
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: gli schermi della Tv sono pieni ad ogni ora del giorno e gli
spettatori, entusiasti di questa continua e varia offerta, pretendono sempre di più che la Tv sia
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Aldo Grasso & Massimo Scaglioni, Che cos’è la televisione, Garzanti 2003 Pag .651.
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“Seguendo l’interessante periodizzazione proposta da John Ellis…[…]la prima età delle televisione[…]si può definire
della scarsità:è una Tv caratterizzata da un’offerta piuttosto limitata che comprende pochi canali nazionali. […]A
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soprattutto un passatempo, un gioco, da usare per distrarsi e divertirsi il più possibile. Ciò è dovuto
al proverbiale entusiasmo che accompagna sempre la scoperta di una cosa nuova, ma soprattutto
sono i programmi trasmessi che alimentano sempre in misura maggiore questa voglia di evasione,
di relax, di divertimento e di “svuotamento della mente”. Chi guarda la Tv, adesso che può scegliere
tra proposte diverse, non si accontenta più soltanto di imparare qualcosa ma vuole dileguarsi, vivere
nuove realtà attraverso lo schermo, sognare. Da qui, da questa dimensione di sogno e di fuga, la
definizione di fase onirica.
Gli anni ’80, e a seguire anche gli anni’90, restano famosi soprattutto per la diffusione di serial e
telefilm americani che mostrano un mondo patinato, lontanissimo da noi, in cui scoprire delle realtà
diverse e immaginare storie impensabili per il quotidiano che ci circonda e per i problemi reali che
dobbiamo affrontare.
Sono gli anni di Dallas, Dinasty, Beverly Hills 90210, Beautiful. Storie di personaggi ricchi,
famosi, bellissimi, la cui unica occupazione nella vita è risolvere i propri conflitti interiori o i propri
scontri di potere, le proprie vicende sentimentali… personaggi che non devono fare i conti con un
lavoro faticoso o con difficoltà economiche e che quindi ci permettono, mentre li scortiamo nelle
loro traversie, di dimenticare queste difficoltà e tuffarci in un modo dove i problemi che ci
affliggono non esistono.
Questo tipo di Tv offre quindi un miraggio, uno svago puro, un divertimento. E non c’è nessun
tipo di insegnamento che ce ne possa venire, nessun tipo di impegno morale o formativo.
Sono questi anche gli anni in cui la produzione autoctona in Italia tocca i propri livelli più bassi:
si produce sempre meno e si importa sempre di più. Ma, verso la metà degli anni ’90, con la
saturazione del settore delle telenovelas e l’esaurimento parziale del filone della fiction statunitense,
si assiste ad un rilancio di prodotto nazionale, con conseguente ripescaggio di temi più vicini alla
realtà dello spettatore e con l’interruzione di quel sogno, di quell’evasione totale, che la fase onirica
aveva assicurato. Recuperabile?
1.3. FASE SOCIALE
Nel corso degli anni ’90 si assiste ad una graduale ripresa della produzione italiana nel campo
della fiction. L’importazione viene a calare e sempre di più si cerca di sfruttare il mezzo televisivo
per narrare la vita delle nostre città, di noi cittadini, delle figure professionali da cui siamo
circondati.
Quello che la Tv decide di offrire è lo specchio della nostra vita. Per questo i palinsesti televisivi si
riempiono di “piccole Italie”, di spaccati della vita cittadina o meglio ancora se di provincia e i
telefilm, le serie Tv o anche i film per la Tv, entrano in una fase sociale, rivestendo per noi un ruolo
di guida all’interno delle nostre problematiche e cercando di fornirci qualche volta anche delle
soluzioni per risolverle.
Il mito dei telefilm americani va scemando e anche il pubblico, stanco di vedere cose che non gli
appartengono e che non può fare proprie in alcun modo, decide di affidarsi a questo nuovo menù.
Dopo aver invidiato i ricchi e famosi hollywoodiani, quanto è più rilassante e domestico vedere
sullo schermo personaggi in cui possiamo riconoscerci, con i quali possiamo confrontarci?
Potremmo chiamarla: la “rivincita dei comuni mortali”.
partire dagli anni Settanta e poi decisamente negli anni Ottanta[…]la televisione si è così mossa verso un’età della
disponibilità, nella quale emerge una scelta di servizi televisivi, dal palinsesto predefinito, disponibili a ogni ora del
giorno e della notte. […]Entrando nel nuovo millennio[…] l’industria corre verso un’emergente età
dell’abbondanza[…].La televisione è piena di nuove tecnologie, nuove sfide e nuove incertezze.”
Aldo Grasso & Massimo Scaglioni, Che cos’è la televisione, Garzanti 2003 Pag. 291