1. IL VIAGGIARE TURISTICO
La mobilità ha in sé una forza eccezionale per quanto riguarda la capacità di
mutare le caratteristiche di una società o di un individuo. Il valore conferito a
questa forza, nel corso della storia, assume però aspetti contrastanti. Il duplice
significato del verbo errare potrebbe esserne una prova. Forme diverse di viaggio
si susseguono nella storia, ed ogni tipo di viaggio rispecchia i problemi, i desideri,
le paure degli uomini e dell’epoca in cui essi vivono.
Il viaggio, in quanto portatore di cambiamento, è sempre stato ritenuto
un’attività potenzialmente sovversiva ed incontrollabile. La cultura dominante
stabilisce quindi quali siano le forme permesse di viaggio e quale valore abbia
questa forza che ha in sé un’azione disgregatrice, tramite la quale chi viaggia è
soggetto ad una perdita dell’identità sociale a cui è abituato, e un’azione
creatrice che ricostruisce una nuova conoscenza del mondo mutando l’identità
del viaggiatore. In questo senso il viaggio è spesso inteso come rito di passaggio
ritrovando una stretta analogia tra le tre fasi di separazione, transizione,
incorporazione e quelle di partenza, transito e arrivo. Il soggetto viaggiante,
quindi, può cambiare intimamente e raggiungere una nuova identità attraverso
l’esperienza vissuta.
Ma se il viaggio è davvero così centrale nell’evoluzione dell’uomo, che aspetto
assume nella civiltà contemporanea?
A differenza di oggi, epoca in cui ci si sposta facilmente, gli uomini del
passato conducevano una vita molto più sedentaria. O meglio, ci si muoveva
per ragioni ben determinate: interessi commerciali, spedizioni militari,
motivi religiosi. I viaggi duravano anni e durante il tragitto si incontravano
altri uomini. Spesso si imparava un’altra lingua e si comunicava
direttamente; comunque si aveva il tempo di parlare a lungo, di conoscere a
5
fondo gli usi e i costumi dei popoli che si incontravano nel corso del
cammino.
1
Le forme di viaggio sono, dunque, in continua evoluzione e sono strettamente
rappresentative del periodo storico nel quale si inseriscono. La loro continua
mutazione e sovrapposizione ne impedisce una netta classificazione, ma si
osserverà che, nonostante gli enormi stravolgimenti, certi aspetti rimangono
invariati.
Il viaggio, che sia un lungo e pericoloso pellegrinaggio medievale piuttosto che
una vacanza all-inclusive, rimane, seppur su livelli diversi, un’esperienza di
cambiamento dettata da bisogni specifici.
1.1. Alle origini del viaggio: il nomadismo
Il viaggio, sostiene Eric J.Leed, “è una forza centrale e non periferica nelle
trasformazioni storiche”,
2
la nascita della territorializzazione e cioè della
creazione di un luogo e della mappatura di uno spazio, avviene grazie allo
spostamento. I centri religiosi economici e culturali della civiltà nascono dagli
spostamenti di gruppi umani che si radicano sul territorio e creano luoghi
“significativi”. Lo svilupparsi di questi luoghi è dovuto al continuo scambio fra
culture reso possibile dai viaggi.
La condizione nomadica è la prima conosciuta dall’uomo, essa era legata alla
pastorizia, alla caccia e al raccolto. Tutti i gruppi umani conobbero questa
situazione fino al neolitico, epoca di diffusione delle tecniche agricole e della
conseguente sedentarizzazione.
Michela Zucca propone un altro tipo di nomadismo: quello di individui dapprima
stanziali, sedentari che, al fine di recuperare un’identità autentica, profonda, o
per motivi sociali (carestie, fame) si spostano o meglio, fuggono verso l’ignoto.
Fuggire, in questo caso, diventa un tentativo di liberazione. Attraverso lo
1
ZUCCA M., (2001) Antropologia pratica e applicata. La punizione di Dio: lo scandalo delle
differenze, Esselibri, Napoli.
2
Eric J. Leed, (1992) La mente del viaggiatore, Dall’odissea al turismo globale, il Mulino, Bologna.
6
spostamento fisico e il distacco dal quotidiano, si consolida la propria identità
grazie all’esperienza della diversità offerta dal viaggio.
l’evoluzione ci ha voluti viaggiatori. Dimorare durevolmente in caverne o
castelli, è stata tutt’al più una condizione sporadica nella storia dell’uomo.
L’insediamento prolungato ha un asse verticale di circa diecimila anni, una
goccia nell’oceano del tempo evolutivo. Siamo viaggiatori dalla nascita. La
nostra mania ossessiva del progresso tecnologico è una reazione alle
barriere frapposte al nostro progresso geografico.
3
Chatwin dà questa spiegazione all’irrequietezza che coglie le popolazioni stanziali
e dà vita alla sua continua necessità di spostarsi. Il termine nomade, dal greco
nomas ("chi si sposta per cambiare pascolo"), viene riferito a realtà molto diverse
sul piano storico, geografico, economico e culturale. Chatwin, affascinato
profondamente da questo tipo di struttura sociale, sosteneva che la ricchezza
ostacolasse la mobilità e che i capi nomadi sapevano che indulgervi avrebbe
messo in pericolo il loro sistema.
La cultura contemporanea rappresenta per molti una causa di irrequietudine e
un motivo per cercare l’altrove: sia esso nomadismo virtuale o reale. L’estrema
fiducia riposta nella scienza ha creato un progresso tale da poter fornire servizi
una volta inimmaginabili, le comunicazioni, i trasporti, la produzione di beni in
continuo aumento fanno credere che tutto sia possibile, disponibile ed alla
portata di tutti.
3
Bruce Chatwin, (2002), Anatomia dell’irrequietezza, Adelphi, Milano.
7
Ferrarotti,
4
nella sua disillusa analisi sulla contemporaneità, sostiene che nella
società industriale la storia coincide con l’evoluzione del progresso. Se questo
rimane però esclusivamente legato alla produzione e non ad un miglioramento
delle abitudini di vita, si rischia di andare incontro ad una progressiva
disumanizzazione (che viene spesso indicata come una delle cause del malessere
contemporaneo) ed alla conseguente ricerca dell’altrove come luogo dove
ritrovare o risvegliare sentimenti dimenticati. Il progresso scientifico e
industriale, una volta esaltato come inizio di nuove emozionanti esperienze,
comincia ora ad essere osservato più criticamente. Guardando al turismo
contemporaneo è chiaro come la necessità di incontro con la natura e il ritorno
alle tradizioni, siano tutt’oggi punti centrali della domanda turistica.
L’altrove, che il viaggiatore romantico considerava un luogo lontano, nella
contemporaneità non è più solamente un luogo reale: il nomadismo, da
esperienza fisica e diretta diventa, grazie alle nuove tecnologie, un nomadismo
virtuale. Lo stimolo della conoscenza è oggi legato ad internet. Le ricerche, le
chat, i siti commerciali offrono tutto ciò che una persona prima poteva avere
solo spostandosi fisicamente. Il viaggio, che attraverso la sua evoluzione tende
ad annullare l’importanza dello spostamento reale nello spazio, si trasforma in
un’esperienza del “tempo liberato dal lavoro”. Questa tendenza deriva da
necessità presenti indifferentemente nel mondo antico come in quello moderno.
Il tempo necessario allo spostamento va infatti a discapito di quello che
l’individuo dedica alla propria professione. La cultura sedentaria interpreta il
viaggio come una situazione transitoria per raggiungere una meta, abbreviare
questo tempo diventa una necessità dettata dai ritmi di produzione e dallo stile
di vita a cui si deve sottostare. A ciò si aggiunge l’impossibilità di “sfuggire a
quella civiltà globale che è stata creata da generazioni di viaggiatori”.
5
4
FERRAROTTI F., (1999), Partire, tornare. Viaggiatori e pellegrini alla fine del millennio, Donzelli,
Roma.
5
LEED E. J., op.cit.
8
Viaggiare lentamente, a piedi in particolar modo, ha una sua storia particolare
all’interno della più vasta storia del viaggio. Maggiore è la velocità che
raggiungono i mezzi di trasporto e più forte è il significato che quest’atto così
primitivo sembra assumere. Camminare è sempre stato indice di povertà, ma
proprio durante l’ottocentesca rivoluzione dei trasporti e la conseguente
estensione della possibilità di viaggiare in treno, questa attività assunse significati
nuovi.
Con lo svilupparsi della stanzialità la disponibilità dell’uomo verso la comunità, in
termini di lavoro e di tempo, acquista un certo valore. L’individuo assume, così,
un ruolo diverso nella società rendendosi economicamente necessario in quanto
fonte di ricchezza. Anche per questa ragione i pellegrinaggi, pratica che, come
verrà osservato, affonda le proprie radici nell’esperienza nomade, si
trasformarono accorciando notevolmente le distanze percorse.
1.2. I pellegrinaggi
Le origini di molti pellegrinaggi risiedono nelle pratiche del nomadismo. Eric J.
Leed mostra infatti che molte mete di pellegrinaggi resi poi sacri dalle religioni
fossero già in precedenza delle mete usuali per i popoli nomadi. In particolare nel
caso di Gerusalemme, della Mecca ed anche per quanto riguarda il Cammino di
Santiago, è stato verificato che questi luoghi ed i percorsi per giungervi, erano
utilizzati nelle stagioni di abbondanza per celebrarvi banchetti comuni tra diversi
gruppi nomadi. Questa aggregazione sporadica era dettata dalla disponibilità di
risorse alimentari. Eric J. Leed ricongiunge idealmente società nomadi,
pellegrinaggio e turismo partendo da questo tipo di nomadismo che utilizza il
processo di scissione-aggregazione.
Il pellegrinaggio ha origine dal banchetto e dalla festa – dalla celebrazione
gioiosa e dall’incontro di gruppi nomadici di solito autonomi – *…+ L’Hagh
ebraico come il preislamico Haj, designa sia un viaggio sia le celebrazioni
9
festive in un luogo sacro e si riferisce esplicitamente al viaggio nomadico
stagionale originale.
6
Queste feste prevedevano un viaggio a piedi, al termine del quale venivano
allestiti banchetti ed era assolutamente proibito digiunare.
Le origini di festa del pellegrinaggio, che risalgono a quei momenti di fusione
in cui i segmenti delle società si riunivano, restarono come una forte
corrente sotterranea anche nel pellegrinaggio cristiano medioevale; si trattò
di una “sopravvivenza” attaccata con severità dagli ecclesiastici, che
insistevano sul carattere serio e solenne del pellegrinaggio.
7
Il viaggio verso determinate mete, riguarda quindi sia le società tribali
preesistenti alle principali religioni, che le successive società civili stanziali. Nella
Grecia classica i luoghi sacri erano molteplici, il pellegrino si muoveva per
ricevere responsi dagli oracoli ma anche per ottenere la guarigione del corpo e
dell’anima. L’oracolo di Apollo a Delfi, l’altare di Argos nel Peloponneso e quello
di Zeus a Dodona erano solo alcuni dei luoghi sacri disseminati per la Grecia. Per
gli indiani uno dei luoghi di culto e di purificazione per eccellenza è Benares, per
gli ebrei Gerusalemme, mentre per i musulmani è La Mecca, il cui pellegrinaggio
è anche uno dei cinque pilastri delle regole coraniche.
I pellegrinaggi cristiani conobbero la loro epoca d’oro nel Medioevo, periodo in
cui si avvertiva fortemente il rapporto con il soprannaturale ed il mondo terreno
era considerato il riflesso di quello spirituale. Umberto Eco sostiene che l’uomo
medioevale viveva in un mondo pieno di significati, rimandi e manifestazioni di
Dio nelle cose. Intraprendere tale viaggio rappresentava chiaramente un modo
per avvicinarsi alla divinità, caricando di senso la propria esistenza e
raggiungendo la salvezza dello spirito.
6
Ibidem.
7
Ibidem.
10
La natura del Medioevo era ben diversa da quella attuale e contribuiva a rendere
il viaggio un impresa faticosa in luoghi non addomesticati dall’uomo. L’Europa si
presentava ricoperta di foreste che venivano considerate teatro di forze occulte.
I luoghi ed il territorio erano costantemente letti in modo simbolico, la foresta
diventa luogo delle tenebre e del male; la strada simbolo di pellegrinaggio.
Queste letture sono ancora presenti in parte nel nostro immaginario. Il
pellegrinaggio, pur essendo in parte organizzato e controllato da ordini come
quello dei Cavalieri Templari, era un viaggio che spesso non prevedeva un
ritorno. La mobilità che caratterizza quel periodo è impressionante: non sono
unicamente i pellegrini ad affollare le strade d’Europa ma contadini, chierici,
studenti e vagabondi.
Ferrarotti
8
insiste però sul fatto che era individuabile, oltre all’elemento
religioso, un aspetto più mondano del camminare, che era anche una grande
possibilità di socializzazione rispetto alla situazione di stasi perenne
caratterizzante la società del villaggio. Questo potrebbe essere, secondo il
sociologo, un anello di congiunzione tra il pellegrinaggio medievale e i vacanzieri
odierni.
La storia del pellegrinaggio cristiano vede tre mete fondamentali: Gerusalemme,
meta sacra anche per ebrei e musulmani; Roma, città del martirio degli apostoli
Pietro e Paolo; Santiago de Compostela, che ospita la tomba di San Giacomo
Maggiore. Questi pellegrinaggi conobbero epoche di sviluppo a partire dal IV
secolo, quello verso Santiago, invece, dal X secolo.
Inizialmente il cammino verso Gerusalemme era affrontato da uomini di grande
spiritualità che spesso venivano dichiarati santi, animati da un gran fervore
religioso ed un sentimento ascetico. Nel IV secolo la Palestina divenne una meta
d’obbligo per gli asceti che seguivano le parole di Cristo lasciando l’ambiente
familiare e tutti i loro beni. Nel corso del III secolo si svilupparono anche
comunità cenobitiche che davano ospitalità a chi avesse deciso di lasciare la
propria casa. Le donne ebbero un grande rilievo durante il primo periodo di
8
FERRAROTTI F., op.cit.
11
pellegrinaggi verso la Terra Santa. L’imperatrice Elena, madre di Costantino
ricostruì un itinerario per chi volesse percorrere i principali luoghi della nascita,
morte, sepoltura, resurrezione ed ascensione di Cristo. Questi luoghi vennero
utilizzati per dare una dimostrazione, per dare un riscontro reale al mito.
9
Le strade per Gerusalemme cominciarono ad affollarsi, poveri fedeli ed
aristocratici si mettevano in viaggio secondo le proprie possibilità. Nonostante il
viaggio avesse valore penitenziale, non tutti raggiungevano Gerusalemme a
piedi: chi ne aveva i mezzi spesso non rinunciava ad ostentarli. Con l’inizio delle
crociate il viaggio in Terra Santa perse la spiritualità originaria per trasformarsi in
saccheggio e guerra. Il pellegrinaggio a Gerusalemme conobbe il declino con la
perdita del controllo di quelle terre da parte dei crociati nel 1244. Nonostante la
conquista araba della Palestina, il viaggio in Terra Santa continuò, soprattutto da
parte di inglesi ed irlandesi. Nel periodo precedente alle crociate fu la chiesa
celtica ad organizzare il lungo viaggio costruendo ricoveri e fissando regole che i
pellegrini dovevano seguire per essere ritenuti tali.
Non dovevano portare armi e dovevano viaggiare scalzi, con la semplice
veste lunga e sciolta di stoffa grossolana, il cappello a tesa larga e la bisaccia
*…+. Venivano incoraggiati a digiunare, a non consumare carne e a non
rimanere mai per due notti nella stessa località. Il pellegrino doveva evitare
gli utensili di ferro, trascurare la cura dei capelli e delle unghie, ed evitare
anche bagni caldi e letti soffici. Oltre ad essere uno stato santo, la povertà
del pellegrino era anche una protezione contro la soldataglia “feroce ed
arrogante” che infestava le strade, perché egli non poteva essere una preda
redditizia per le bande e i predoni. Nonostante le perplessità di molti padri
della chiesa, il pellegrinaggio fu incoraggiato con i privilegi concessi a coloro
che compivano il viaggio in Terra Santa, privilegi in seguito riconosciuti
anche ai crociati.
10
9
Ibidem.
10
Ibidem.
12
Roma era già meta di pellegrinaggi dal IV secolo a causa della presenza di
numerosi martiri cristiani, ben presto la chiesa di Roma prevalse sulle altre e
compose un calendario di feste che potesse regolare la presenza dei pellegrini.
L’interesse che acquistò Roma era dovuto al gran numero di reliquie e alle
numerose chiese, catacombe e santuari che risalgono al IV e al V secolo.
Inizialmente il pellegrinaggio verso Roma era circoscritto agli abitanti delle
regioni limitrofe, ma conobbe in seguito un grande sviluppo grazie agli stessi
ecclesiastici che venivano in visita delle reliquie e grazie particolarmente
all’istituzione dell’Anno Santo nel 1300.
11
Santiago era considerata la terza meta del pellegrinaggio cristiano e cominciò ad
attirare fedeli dal X secolo anche grazie all’aiuto papale che voleva sottolineare la
riconquista della Spagna da parte dei cristiani. Il successo di questa meta è
dovuto al culto di San Giacomo Maggiore, primo degli apostoli, che venne inoltre
assunto quale simbolo della lotta contro il popolo musulmano. Il secolare
cammino verso Santiago generò sin dall’inizio un grande fervore spirituale,
culturale ed economico, Goethe sostenne che l’Europa nacque dai pellegrinaggi a
Santiago. Nell’undicesimo secolo avvennero anche pellegrinaggi di massa guidati
da vescovi tedeschi con circa settemila persone al seguito.
12
Attorno al XIV secolo il pellegrinaggio passò dall’essere considerato una vera e
propria istituzione al rappresentare un fenomeno sgradito e da tenere a freno. La
politica delle indulgenze creò notevoli contrasti all’interno della chiesa. In
particolare il Protestantesimo criticò fortemente questa pratica ritenendola
responsabile della compravendita delle indulgenze.
Uscendo dal Medioevo e acquisendo una nuova concezione di sé l’uomo ritenne
che il pellegrinaggio dovesse essere ridimensionato in quanto incompatibile con
le nuove strutture delle società che andavano formandosi. Le conquiste
dell’uomo; il suo dominio sulla natura; la rivoluzione delle tecnologie; il tempo
11
STUMPO E., (1997), Il viaggio del perdono, Edizioni cultura della Pace, Roma.
12
BATTILANI P., (2003), Storia del turismo, Laterza, Roma.
13
dedicato al lavoro e una fiducia maggiore nella ragione poco si adattavano ai
lunghi viaggi e alla credenza che le reliquie avessero un effetto taumaturgico.
La chiesa si adegua ai cambiamenti dello stato e della cultura, il pellegrinaggio
deve trovare una nuova forma mantenendo sempre il suo senso religioso. Le
mete cambiano e i lunghi e difficoltosi viaggi spesso senza ritorno si trasformano
in viaggi di pochi giorni verso i numerosi santuari che si diffusero in Europa.
L’avvicinamento a Dio tramite un lungo percorso di purificazione viene sostituito
da brevi tratti e dalla compravendita di indulgenze. La povertà inizialmente
predicata viene surclassata dalla comodità dei ricchi che, avendone i mezzi,
compresa una scorta in loro difesa, divennero gli unici a poter raggiungere
Gerusalemme. Sant’Antonio, fondatore della regola monastica, per tenere sotto
controllo la bramosia di viaggio dei novizi disse che: ”Un monaco fuori dalla sua
cella è come un pesce fuor d’acqua”, dimenticando che le predicazioni di Gesù e
degli apostoli avvennero a piedi, sulle colline della Palestina.
1.3. Dal pellegrinaggio al Gran Tour
Nel corso del Cinquecento i pellegrini cominciarono a dimostrare interessi nuovi
oltre a quelli religiosi, cominciarono a prestare maggiore attenzione a quello che
la strada gli offriva. Molti diari del tempo mostrano una nuova attrazione verso le
città, i monumenti, i costumi e gli usi delle popolazioni incontrate, come è
osservabile nel diario di Jost Von Meggen.
13
Il viaggio comincia a trasformarsi da “travaglio” a piacere per la conoscenza e
amore per la cultura. Con la nascita prima dell’Umanesimo e poi del
Rinascimento, la concezione che l’uomo ha di sé cambia radicalmente, si assiste
ad una rivoluzione culturale che modifica gli intenti del viaggio e ne sposta le
mete. Si cominciano ad immaginare viaggi che erano sempre stati considerati
tabù dalla chiesa, anche se la paura di essere tacciati di eresia era, però, sempre
presente.
13
VON MEGGEN J., (1999), Pellegrinaggio a Gerusalemme, Asefi, Milano.
14
L’esigenza di nuovi spazi e la ricerca di nuove vie commerciali portano alla
conquista delle Americhe. Cominciano i primi viaggi oltreoceano, resi possibili
grazie a nuove tecniche di navigazione che concretizzano concezioni
precedentemente ritenute eretiche. L’uomo occidentale acquista grande fiducia
nei suoi mezzi e nella sua capacità di modificare il mondo e l’incontro con
l’alterità e con il selvaggio rafforza le sue convinzioni di civilizzatore, depreda
questi nuovi territori delle loro ricchezze e ne assoggetta le popolazioni.
A partire dal Cinquecento il viaggio in Europa divenne sinonimo di Gran Tour,
14
fenomeno legato all’aristocrazia ed estesosi poi alla borghesia, agli scrittori ed
agli artisti.
La cultura inglese riteneva l’esperienza diretta uno strumento efficace di
formazione, in contrasto con il dogmatismo tipico del pensiero medievale. Il
saggio di Bacon, Of travel (1625) è significativo a riguardo e dà al Gran Tour una
base filosofica, la cui importanza venne poi riconosciuta dalla corona. Bacon
tratta l’organizzazione materiale dei viaggi ed in particolare la durata, il corredo
materiale per il viaggio, le conoscenze culturali necessarie ed i luoghi dove
sostare. Egli consiglia sempre una buona conoscenza della lingua del paese
ospitante, l’utilizzo di guide cartacee ed un buon tutore, raccomandava inoltre
che non si sostasse troppo in una stessa città e che durante il soggiorno si
cambiasse più volte residenza in modo tale da abituarsi ai cambiamenti. Essendo
concepito come scuola itinerante, la durata del Gran Tour variava dai tre ai
quattro anni.
L’itinerario tradizionale partiva dalla Gran Bretagna per raggiungere la Francia e
poi l’Italia, mentre sulla via del ritorno si sostava in Olanda o in Germania.
Esistevano, inoltre, dei circuiti all’interno degli Stati, ad esempio in Italia, che fu
sempre una delle principali destinazioni, esistevano due percorsi: quello delle
città settentrionali, che toccava Torino, Milano, Verona, Vicenza e Venezia e
quello lungo l’asse della via Emilia che toccava Piacenza, Parma, Reggio, Modena
14
BATTILANI P., op.cit.
15
e Bologna; in entrambi i casi si scendeva poi verso Firenze e Roma e dal
Settecento in poi anche fino a Napoli.
Ben presto la moda del Gran Tour si diffuse anche nell’Europa settentrionale e
centrale, si affermò, così, un modello europeo, sopranazionale, di percorso
formativo per le élite, che aveva nel viaggio uno degli elementi essenziali e
consentiva alle élite dei diversi paesi di entrare in relazione.
Il viaggio era preparato sin nei minimi dettagli molto tempo prima e, molto
spesso, riprendeva il percorso seguito dal padre. Solo i figli più capaci venivano
iniziati all’età adulta in questo modo. Nel viaggio i giovani venivano sempre
accompagnati da un seguito composto da maresciallo di viaggio, precettore,
tutore, domestici e cocchieri. Il loro aiuto era necessario per far fronte alle
necessità organizzative, per superare le barriere linguistiche, per risolvere le
questioni di etichetta, per completare l’educazione e per amministrare le
finanze. Il giovane aristocratico portava con sé una parte del proprio mondo, che
gli consentiva di affermare i propri valori e simboli nelle realtà incontrate. In
questo modo egli celebrava la potenza della propria sfera sociale tentando di
procurarsi al suo interno una posizione di superiorità.
Eric J. Leed ritiene che le basi storiche di tale fenomeno stessero in due tipologie
di viaggio: quello cavalleresco compiuto dal cavaliere alla fine dell’apprendistato
e quello della peregrinatio academica, periodo durante il quale i giovani nobili e
gli studenti potevano approfondire direttamente le loro conoscenze
nell’ambiente più adatto.
15
I luoghi di pellegrinaggio, che cominciarono a perdere
di importanza per numero di visite, rimasero comunque importanti per la
santificazione dei giovani cavalieri, mentre gli studiosi preferivano recarsi in visita
ai centri del sapere, in particolare Bologna e Parigi. I maestri consigliavano la
redazione di uno o più diari da parte del giovane viaggiatore.
Un vero e proprio studio si sviluppò riguardo quale fosse il miglior metodo di
raccolta dei dati e delle impressioni: elementi che, una volta tornati alla nazione
di origine, avrebbero potuto contribuire all’ampliamento delle conoscenze di un
15
LEED E. J., op.cit.
16
paese. Il Grand Tour e il viaggio a scopo scientifico si sovrappongono. Con il
passare del tempo e con il proseguire delle polemiche riguardo l’efficacia che un
viaggio simile potesse avere, le mete, i soggetti e la durata del Grand Tour
cominciarono a mutare.
1.4. Le forme di turismo dopo il Gran Tour
Anche se oggi nella nostra società chiunque sogna una vacanza che lo porti via
dalla vita frenetica di ogni giorno, non è da considerare scontato tale desiderio.
Da diversi studi è risultato che a desiderare la vacanza fosse soltanto chi la
vacanza l’aveva sperimentata almeno una volta, ecco perché all’inizio del XX
secolo di tutti quelli che non andavano in vacanza (ed erano tanti) solo una
piccolissima percentuale ne risentiva.
Il bisogno nasce nel momento in cui l’uomo è a conoscenza dell’esistenza di un
bene che lo possa appagare. Lì dove tale conoscenza non c’è non esiste
nemmeno il bisogno.
Ecco perché nella società del Medio Evo non era avvertita la necessità di un
periodo di riposo nel senso assunto dalle moderne vacanze. L’anno era ricco di
giornate festive, grazie soprattutto alle festività religiose: Natale, Pasqua,
Pentecoste, Annunciazione. Ad esse si aggiungevano le festività particolari di
ogni corporazione, le “giornate sociali”.
Ma con il processo di industrializzazione e con la razionalizzazione e
massimizzazione del lavoro produttivo rimasero giorni liberi dal lavoro soltanto le
grandi festività cristiane. Ad una riduzione dei giorni di festa seguì un aumento
del carico fisico e psichico dell’operaio che arrivava a toccare fino a sedici ore al
giorno di lavoro.
Alla fine del XIX secolo le associazioni operaie socialiste cominciarono ad esigere
la riduzione della giornata lavorativa ed un periodo di ferie annuali.
Dall’inizio del XX secolo si diffuse ovunque la richiesta del diritto di ferie non
pagate, mentre le ferie pagate divennero un obiettivo diffuso soltanto negli anni
che precedettero la prima guerra mondiale, e soltanto nel settore commerciale.
17
Per quanto riguarda gli operai dell’industria, le loro vacanze furono molto rare
fino alla prima guerra mondiale. Soltanto negli anni Venti si estese nella classe
operaia la richiesta di un periodo di ferie annuali.
Volendo riassumere il percorso compiuto dallo sviluppo della vacanza dagli
esordi fino alla prima guerra mondiale lo si può suddividere in quattro fasi.
La prima è la fase del turismo aristocratico che vede il passaggio dal Gran Tour
alla villeggiatura con la quale all’aristocrazia decadente viene ad affiancarsi l’alta
borghesia del capitalismo industriale che ne segue i modelli. I turisti di questa
prima fase borghese sono costituiti dagli aristocratici, dai titolari di rendite, dai
possidenti, in parte dai capitalisti ai quali si aggiungono i liberi professionisti e lo
strato superiore del vecchio ceto medio.
Nel corso dei secoli il Gran Tour modificò gran parte delle sue caratteristiche. Se
all’inizio aveva una durata piuttosto lunga che andava dai 3 ai 4 anni, dovuta
proprio al fatto che esso era concepito come una scuola itinerante ed era
necessario sostare per diversi mesi in un paese se si volevano acquisire le nozioni
fondamentali di una disciplina o impararne la lingua, nell’Ottocento difficilmente
superava i 4 mesi.
Inoltre, se nel Seicento l’età media dei viaggiatori risultava compresa tra i 20 e i
30 anni, due secoli dopo era aumentata notevolmente raggiungendo i 40 anni.
Infine, cambiò lo status sociale e ai giovani aristocratici o alto-borghesi si affiancò
una numerosa schiera di scrittori, artisti, filosofi, ma anche rappresentanti del
ceto medio.
Tutti questi mutamenti non potevano che influenzare anche le motivazioni del
viaggio: progressivamente l’aspetto della formazione culturale passò in secondo
piano sostituito da un atteggiamento più ricreativo; non si viaggiava per
completare il proprio percorso di studi, ma alla ricerca di ambienti naturali
inconsueti, di paesaggi suggestivi.
La fine del Gran Tour viene in genere associata alle guerre napoleoniche che
trasformarono l’Europa in un campo di battaglia e interruppero per alcuni
decenni i viaggi di piacere intraeuropei.
18
Quando, dopo i trattati di pace del 1815, si creò un clima nuovamente favorevole
il Gran Tour attraverso l’Europa venne progressivamente sostituito da altri
itinerari e modelli di vacanza e il Gran Tour sopravvisse solamente grazie agli
americani benestanti che, alla ricerca delle loro radici culturali, cominciarono a
viaggiare per tutta Europa.
Ora i viaggiatori borghesi europei iniziavano a muoversi con obiettivi ben precisi;
cercando di acquisire informazioni su quelle che erano le innovazioni
economiche e produttive che la rivoluzione agraria prima e quella industriale
dopo andavano determinando in Inghilterra. È in questo momento che a mettersi
in viaggio sono soprattutto i tedeschi e i francesi, questa volta su un percorso
inverso a quello tradizionale. Le loro aspirazioni economiche e sociali li
inducevano a visitare le regioni più sviluppate dell’Inghilterra. Ma nonostante le
motivazioni del tutto pratiche che spingevano i nuovi viaggiatori a spostarsi, le
motivazioni classiche quali la cultura e il divertimento sopravvivevano
separandosi da quelle strumentali. Questa scissione dava vita a due nuove e
distinte forme di viaggio: l’itinerario culturale, degli artisti e della fascia sociale
più colta, ed il soggiorno ai bagni termali, orientato al gioco e divertimento.
In questa fase va sviluppandosi via via un ritmo multi stagionale basato,
fondamentalmente, su lunghi soggiorni invernali nelle città del Mediterraneo che
si specializzano a tale scopo. Si tratta della forma turistica prevalente, sia per la
durata del soggiorno (da ottobre a maggio) che per la dimensione demografica
del movimento prodotto.
Inoltre una folta letteratura medica specializzata consiglia il soggiorno invernale
nel Mezzogiorno, per le condizioni climatiche adatte a curare malattie come la
tubercolosi, ma anche come il “linfatismo” e il “languore”, mali di natura incerta.
Alla stagione invernale si alterna quella estiva che propone quattro alternative
differenti di soggiorno.
Al primo posto per importanza e gradimento stanno le stazioni termali. Ciò che le
rende così popolari non è tanto la qualità delle sue acque e dei loro benefici,
quanto la possibilità di svago che la presenza di giochi e la frequenza di monarchi
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