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INTRODUZIONE
Il presente lavoro nasce da un interesse personale per le modalità comunicative che
contraddistinguono le interazioni umane. Ognuna di esse si posiziona su diversi
piani ma, nello specifico, anche ad un occhio più esterno, non può sfuggire la
particolarità di quelle interazioni mirate a fornire una prestazione che
inevitabilmente implica una relazione comunicativa. Il riferimento è alle relazioni
d’aiuto che si delineano come professioni atte ad identificare in modo puntuale i
bisogni del richiedente. La medicina, la psicologia e la psicoterapia sono stati assunti
quali contesti capaci di evidenziare gli aspetti specifici delle tre pratiche. In tutti i
casi emerge un importante file rouge, il colloquio, considerato come baricentro ed
elemento che può evidenziare affinità e differenze tra gli ambiti menzionati. Più che
di una puntuale ricostruzione delle tecniche che si conformano ai diversi colloqui, si
tratta di un inquadramento di natura esplorativa e descrittiva, di un riepilogo
esemplificativo. Tale impostazione analizza dapprima la professione medica,
caratterizzata da una lunga tradizione e indissolubilmente legata alla dimensione più
fisica dell’uomo. Ciò nonostante, si intende verificare l’utilizzo del colloquio medico
nelle sue modalità comunicative, progressivamente più vicine ad un approccio
dialogante con il paziente, non solo in relazione al sintomo ma alla persona. Il
secondo capitolo aspira a far emergere la dimensione comunicativa che rappresenta
al contempo il mezzo e l’oggetto di lavoro dello psicologo. Ponendo come
significativo il colloquio clinico nella sua forma più aperta, prende corpo la relazione
tra lo psicologo e il suo cliente. Tale relazione, rispetto alla condizione medica, è
potenzialmente più orientata a sottolineare quanto basilare sia la costruzione di un’
alleanza attorno alla quale ruotano tutti i significati e i modi del comunicare il
supporto psicologico. Senza l’intenzione di costruire una sorta di gerarchia valoriale
tra le diverse modalità di colloquio, l’ultimo capitolo affronta l’approccio
psicoterapeutico il quale, al di là delle sue diramazioni teoriche, si pone come la
terapia che assegna maggiore rilevanza al dialogo. In questo caso, pur in presenza di
elementi affini alla pratica compresa nella relazione psicologica, si sottolinea la
pregnanza della metafora, strumento che non merita di essere considerato solo in
senso linguistico, ma soprattutto, comunicativo a livello mentale e affettivo. Questo
lavoro si propone di fornire una cornice delle relazioni d’aiuto, puntando sulla
valorizzazione delle risorse e delle strategie peculiari, nonché dei temi che
richiedono una maggiore conoscenza a livello di studi. Inoltre, si rimarca
l’importanza di considerare ogni pratica in modo del tutto dipendente dalla
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comunicazione, non solo verbale, che é da considerarsi, pur con diverse accezioni,
come terapeutica in questi contesti perché destinata a perseguire il benessere
psicofisico dell’uomo.
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Cap. 1 - IL COLLOQUIO MEDICO - PAZIENTE
1 Premessa
La relazione che intercorre tra medico e paziente va a collocarsi nella cerchia delle
relazioni di tipo asimmetrico e diversi studi lo confermano in modo unanime, tanto
da fare dell’asimmetria una peculiare caratteristica della professione medica. A tale
asimmetria si aggiunge una doppia asimmetria relativa al genere, in più, uno studio
avvalora l’idea per la quale la figura del medico emerge spesso come detentrice del
potere interazionale rispetto al paziente. Nonostante ciò, si riscontra un importante
passaggio: al tradizionale modello biomedico si oppone il cambiamento
biopsicosociale. Questo considera il paziente come soggetto attivo nella costruzione
delle ipotesi di cura che precedono la diagnosi e non più relegato ad una condizione
di passiva fiducia verso la competenza medica. Secondo questo nuovo modello
olistico, il medico si approccia al paziente per individuare non soltanto i sintomi, le
caratteristiche fisiche, ma anche gli aspetti psicologici e sociali del disturbo che
presenta. Di conseguenza, la comunicazione si carica di una partecipazione più attiva
da parte del paziente, mentre il medico tende ad adottare strategie comunicative
mirate, tra le quali la tecnica di eco e quella della parafrasi. Viene inoltre favorita la
compliance perciò, come indicato dai risultati di uno studio, si dà rilievo al colloquio
di tipo interattivo. Considerando il suggerimento di Rogers, elementi quali l’empatia,
la considerazione positiva incondizionata e la congruenza incoraggiano una
comunicazione medica più sensibile al paziente e prima ancora alla persona. Circa la
comunicazione delle cattive notizie, emerge che il paziente ha il pieno diritto di
essere informato ma, in certi casi, può essere altrettanto libero di non voler sapere.
Per questo motivo, assume valore la capacità di modulare la velocità di transizione
da parte del medico, il quale dispone del protocollo SPIKES per realizzare questo
difficile compito comunicativo.
2 L’asimmetria della relazione
In medicina lo strumento d’indagine più utilizzato è costituito dal colloquio il quale si
presenta come una raccolta di informazioni che il medico ottiene dal paziente
attraverso domande specifiche che possano confermare oppure, al contrario,
disconfermare le sue ipotesi interpretative e diagnostiche. Secondo tale visione, il
medico è la figura centrale del rapporto e la relazione terapeutica presenta una
forte asimmetria tra medico e paziente. Questo dato è sostenuto da numerosi autori
provenienti da ambiti disciplinari tra loro lontani; diversi studi l’hanno esaminato in
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termini di compliance (Lewenthal, Meyer, Nerenz, 1980) in cui il paziente tende ad
aderire all’ottica del medico per risolvere la presenza di un conflitto (celato).
Ulteriori studi (Fisher, 1988; Todd, 1988) evidenziano il concetto di potere come
dimensione basilare della relazione terapeutica. In particolare, questo filone di studi
suggerisce una doppia asimmetria in presenza della variabile dell’appartenenza di
genere, per cui spesso all’asimmetria medico-paziente si affianca quella uomo-
donna. La conseguente conflittualità che ne deriva, soprattutto nel caso in cui il
medico è un uomo e il paziente una donna, permette di cogliere, in certi casi, le
modalità di pensiero del medico circa la salute della paziente in base ad
atteggiamenti precostituiti del medico nei quali vige una separazione tra ambiti
delicati quali corpo e mente, maternità e sessualità ecc. In termini più generali, Linell
e Luckmann (1991) evidenziano alcune qualità caratteristiche dell’interazione
asimmetrica:
a) la dominanza qualitativa concerne la differenza esistente tra i partecipanti in
termini di quantità di spazio interazionale a disposizione (numero di parole, numero
dei turni, durata dei turni ecc.) ;
b) la dominanza interazionale riguarda la possibilità di mettere in atto mosse forti
(come una domanda) o deboli (come una risposta) in termini di controllo
sull’organizzazione delle sequenze;
c) la dominanza semantica si manifesta nel controllo sugli argomenti discussi e nella
capacità di imporre il proprio punto di vista;
d) la dominanza strategica consiste nel poter realizzare le mosse più importanti sul
piano strategico ed è una dominanza maggiormente legata ai fattori esterni (può
essere valutata solo a posteriori).
Una ricerca presentata da Orletti (2002) esamina le interazioni in consultori pubblici
e privati e conferma una decisa asimmetria tra medico e paziente già riscontrata
dagli studi precedenti sul tema tra cui quelli di Cicourel (1985) e Todd (1986). Si
evince che il medico occupa nel colloquio quasi il doppio del tempo rispetto al
paziente, produce turni più lunghi, pone un numero più elevato di domande dirette,
inizia l’interazione e introduce cambiamenti di tema. Peraltro, il paziente attenua
questa disuguaglianza di potere interazione formulando domande dirette e
soprattutto cercando di scegliere in modo autonomo rispetto alle opzioni fornite dal
medico. Inoltre si evidenzia una tendenza ricorrente del paziente che è costituita dal
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prendere come riferimento le esperienze di altre persone, parenti e amici, al fine di
sostenere una scelta che contrasta con quella del medico; in tal modo viene
contrapposta una competenza esperienziale (anche se non diretta) alla competenza
tecnica del medico. Confrontando l’andamento della conversazione all’interno di un
consultorio pubblico e di uno privato, nella prima condizione prevale un approccio
più formale (medico e paziente adoperano il “lei” o il “voi”) che tende a calare nel
contesto privato, probabilmente per via di una più stretta comunanza di
caratteristiche socio-culturali delle pazienti.
3 Il modello biomedico
Nell’arco degli ultimi trent’ anni la medicina “etico-paternalistica” si è gradualmente
dissolta per essere soppiantata da una medicina “condivisa”, nella quale, il
“privilegio” terapeutico si è trasformato in “dovere” terapeutico. In passato, il
modello tradizionalmente condiviso in medicina faceva riferimento all’approccio
biomedico, basato sull’oggettività, la ripetitività e la generalizzazione. L’essenza
dell’approccio obiettivante si basa sull’assunto di richiamo empirista che ciò che i
nostri sensi percepiscono è esattamente la realtà, perciò le malattie sono concepite
come entità naturali riconoscibili attraverso indagini strumentali. In particolare, la
malattia è ritenuta una deviazione dalla norma di variabili biologiche misurabili dal
medico. La figura del medico, erede di una preesistente fase magica e religiosa della
medicina, è l’unica a sapere come funziona e come si ammala il corpo del paziente
ma anche cosa sia più vantaggioso fare per curare il malato. In quest’ottica si spiega
l’antica massima del medico di agire con competenza nascondendo molte cose al
paziente senza rivelargli la sua condizione. Le implicazioni del modello biomedico
sull’atteggiamento comunicativo del medico sono diverse, difatti, nel momento in
cui si affronta la patologia come entità scindibile dal suo portatore, si annulla il
valore delle informazioni che il paziente può fornire nel corso della visita medica. La
relazione con il paziente appare finalizzata all’analisi dei sintomi e alla formulazione
di una diagnosi, cui segue l’indicazione di un certo trattamento terapeutico. In
breve, il tradizionale rapporto malato-medico si dispiega su regole di
comportamento che riconoscono al primo il diritto di essere curato e al secondo il
diritto di curare. Così delineata, la comunicazione è sbilanciata a favore di chi deve
portare l’aiuto, il quale diventa l’unico gestore dell’intero rapporto, decidendo
come, quando e cosa l’altro può comunicare. Il modello biomedico è noto come
modello doctor centred in quanto il vero protagonista della relazione è il medico,
portatore di conoscenze scientifiche e capacità tecniche di cui il paziente è