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L’aperta concorrenza tra le banche, le differenti esigenze della clientela,
lo status di autosufficienza, dal punto di vista finanziario, delle imprese
economicamente più sane, il sempre più ampio frazionamento del credito
sono tutti fattori che, comportando un aumento del rischio e una
conseguente minore profittabilità, impongono controlli severi e
tempestivi.
Inoltre, una nuova dimensione e una diversa qualità dell’operare in banca,
unite al determinante sviluppo informatico dei processi e dei sistemi,
esigono un corrispondente adeguamento alle strutture di controllo.
Anche le direzioni aziendali, in questi ultimi anni, hanno rivisto la
propria posizione nei confronti dei controlli, abbandonando la scarsa
considerazione sui valori dei risultati e dando invece giusto peso alle
capacità di individuare, o meglio, risolvere le numerose problematiche
poste proprio dallo sviluppo organizzativo.
Il controllo dell’efficienza operativa dell’azienda bancaria si pone quindi
come esigenza assoluta per una valida gestione aziendale; al contempo,
però, un’adeguata e coordinata organizzazione del controllo appare
assolutamente indispensabile per la salvaguardia del sistema.
Accanto al controllo interno di ogni singola azienda bancaria esiste il
controllo esterno esercitato da due istituti di vigilanza nazionali, la Banca
d’Italia e la Consob, diretti a controllare efficacemente il rischio di
credito del sistema in generale.
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Le funzioni primarie della Banca d’Italia sono:
1. in materia di vigilanza sulle banche;
2. in materia monetaria;
3. in materia valutaria.
In merito al tema da noi trattato, la funzione che ci interessa è quella
della vigilanza sulle banche.
Il T.U. attribuisce al CICR l’alta vigilanza in materia di credito e di
tutela del risparmio, tuttavia, i concreti poteri sono esercitati dalla
Banca d’Italia, infatti ad essa spetta, tra gli altri, il potere di formulare
proposte al CICR per le deliberazioni di competenza di quest’ultimo in
materia di vigilanza.
Quindi, sulla base dell’art. 2 del TUB, le funzioni della Banca d’Italia
in materia di vigilanza sulle banche si distinguono in questo modo:
a) funzioni proprie: queste funzioni sono esercitate concretamente dal
governatore, il quale, però, agisce in qualità di organo della Banca che ne
è titolare originaria;
b) funzioni esecutive delle deliberazioni del CICR : tali funzioni sono
inerenti le materie attribuite alla competenza del CICR. Il contenuto dei
provvedimenti emanati nell’esercizio di tali funzioni è interamente
determinato dal Comitato stesso.
Nell’esercizio della sua funzione di vigilanza sulle banche, la banca
d’Italia emette provvedimenti autorizzativi, ablativi, atti di accertamento
e di organizzazione, ma soprattutto istruzioni.
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Queste ultime fissano le regole alle quali le banche devono attenersi
nell’esercizio delle loro attività.
La funzione di vigilanza che la banca centrale è deputata a svolgere in
maniera esclusiva e indipendente, anche se non deve trascurare le
implicazioni che le decisioni prese e i provvedimenti adottati possono
avere nel contesto europeo, le attribuisce la facoltà di non osservare alcun
tipo di istruzione o indirizzo proposto dalla BCE.
Il Trattato istitutivo della Comunità Europea, mentre assicura al SEBC e
alla BCE la pertinenza esclusiva e l’indipendenza nell’esercizio della
politica monetaria unica, non attribuisce alla BCE poteri di vigilanza
prudenziali.
Abbiamo più volte parlato del Comitato Interministeriale per il Credito
e il risparmio, ma non abbiamo mai accennato a cosa fosse. Ebbene
questo non è altro che un organo collegiale titolare dell’alta vigilanza in
materia di credito e di tutela del risparmio. Questa funzione viene posta
in essere mediante la partecipazione del Comitato alla produzione
normativa che interessa i soggetti sottoposti al controllo.
Il CICR ha poteri in alcuni gruppi di materie: raccolta del risparmio,
rapporti tra banche e industria, vigilanza regolamentare sulle banche, sui
gruppi e su gli intermediari finanziari, in merito alla trasparenza e al
credito al consumo, infine, sui reclami contro i provvedimenti adottati
dalla Banca d’Italia nell’esercizio dei poteri di vigilanza.
Come sappiamo, le Banche, oggi, sono diventate, ancor più, soggetti che
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partecipano oltre che come intermediari nel mercato mobiliare, anche,
esse stesse, come aziende sulle quali poter investire sia su i titoli
rappresentativi della loro società, sia su prodotti finanziari che forniscono
alla clientela.
Alla tutela del mercato mobiliare, quindi soggetto deputato anch’esso al
controllo sulle banche, è la CONSOB.
La Commissione Nazionale per le società e la Borsa è l’organismo
pubblico che controlla il mercato mobiliare italiano e la sua attività è
finalizzata alla tutela del risparmio pubblico.
Compiti principali sono:
1. la vigilanza sulla trasparenza e la correttezza dei comportamenti dei
soggetti che operano sui mercati mobiliari;
2. il controllo dell’esattezza e della completezza delle informazioni che
le società quotate forniscono al pubblico;
3. la vigilanza sulle società di revisione iscritte nell’Albo speciale;
4. il porre in essere accertamenti per la verifica di eventuali violazioni in
materia di insider trading, cioè l’abuso di informazioni privilegiate e
aggiotaggio su strumenti finanziari.
Dal 1988 gli istituti di vigilanza nazionali sono tenuti a conformarsi alle
regole imposte dal Comitato di Basilea, che regolamentano i rischi di
credito.
Il lavoro di revisione fatto lo scorso anno dal Comitato è nato
dall’esigenza di adeguare il sistema dei coefficienti patrimoniali minimi
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per il rischio creditizio alle modificazioni dello scenario finanziario, in
particolare a fronte di tre fattori: la maggiore complessità dei rischi che le
banche dei paesi del G-10 devono fronteggiare, l’innovazione finanziaria
e i progressi nella tecniche di misurazione e controllo dei rischi.
L’Accordo del 1998 ha previsto che, a fronte del rischio di credito, le
banche accantonino l’8% dell’ammontare dei prestiti ponderati per il
rischio; per gran parte dei prestiti verso le imprese, è richiesta la
medesima ponderazione del 100% e le banche possono essere quindi
indotte -a parità di requisito patrimoniale- a privilegiare gli affidamenti
più rischiosi e quindi più redditizi.
Oltre a questo comportamento, in contraddizione con i fini della
disciplina, si sono manifestati, in alcuni ordinamenti, fenomeni di credit
crunch e operazioni di arbitraggio normativo. L’Accordo del 1988 aveva
già vissuto una importante modifica nel 1996, quando nello schema
iniziale è stato introdotto il rischio di mercato; a fronte di questo, nel
calcolo dell’adeguatezza patrimoniale, alle banche fu inoltre permesso di
usare modelli interni di misurazione del rischio, basati sulle tecniche
cosiddette di Value at Risk.
L’Accordo di Basilea del 1988 costituisce un importante punto di svolta
della regolamentazione bancaria, con il passaggio da un approccio
strutturale a uno prudenziale, che si caratterizza per maggiori gradi di
libertà operativa concessi alle banche, in relazione a un’adeguata
patrimonializzazione.
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Dal Nuovo Accordo, come anche dalla regolamentazione dei rischi di
mercato introdotta nel 1996, emerge una crescente attenzione per la
qualità della gestione dei rischi, per l’implementazione di sistemi interni
di misurazione e controllo del medesimo e di sistemi interni di auditing,
con l’obiettivo di sensibilizzare maggiormente le banche medesime a una
efficace gestione dei rischi.
Infatti, i gradi di libertà concessi alle banche aumentano in relazione
allo sviluppo e al potenziamento della funzione di gestione del rischio
e ove operino efficaci sistemi interni di controllo: siamo quindi in
presenza della cosiddetta “vigilanza compatibile con gli incentivi” .
Tale impostazione richiede che le banche siano dotate di una
organizzazione idonea a gestire il rischio, caratterizzata da separazione
organizzativa e funzionale tra le aree; nonché di un’efficace funzione
interna di controllo.
Il Nuovo accordo costituisce, quindi, un ulteriore stimolo alla
responsabilizzazione degli intermediari e questo avviene, sempre
nell’ambito della vigilanza prudenziale, grazie all’utilizzo di schemi di
regolamentazione cosiddetti “consensuali”. Infatti consentendo alle
banche di utilizzare, alle condizioni indicate, modelli interni di
misurazione del rischio anziché il metodo standard
(basato su valutazioni del merito creditizio da parte di istituzioni
esterne),si instaura una logica cooperativista, che tende a indurre negli
intermediari medesimi comportamenti tali da rendere compatibili i loro
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obiettivi con quelli della vigilanza, riducendo quindi i costi della
regolamentazione.
Siamo in presenza di una logica di self-regulation, di ampio utilizzo nei
mercati finanziari. In definitiva, le tendenze in atto nell’approccio
regolamentare della gestione dei rischi, dando spazio crescente
all’utilizzo di modelli interni, tenderebbero a limitare la funzione
regolamentare degli organi di vigilanza, valorizzandone nel contempo
una funzione di validazione dei sistemi interni utilizzati dalle banche.
Tale funzione si inserisce nello sviluppo di modelli di regolamentazione
“consensuale”, mentre rimangono inalterate le funzioni ispettive e
informative.
Da questo punto di vista, il Nuovo Accordo può essere considerato una
forma di soft-law, caratterizzata da flessibilità e basata su uno schema di
partnership “pubblico-privata” tra autorità e soggetti regolamentati.
Questa evoluzione costituisce un forte impulso per le banche
all’allocazione ottimale del capitale e allo sviluppo di adeguati sistemi di
risk management, con rilevanti implicazioni a livello gestionale e
organizzativo, soprattutto per la funzione di controllo dei rischi.
Su questo punto vi è una notevole attenzione da parte del Nuovo
Accordo, come emerge anche dall’inserimento del rischio operativo nel
calcolo dell’adeguatezza patrimoniale e con il rilevo dato alla struttura
organizzativa e alla qualità dei dati.
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In sintesi, nell’attuale approccio regolamentare e di vigilanza dei rischi,
gli aspetti di natura qualitativa stanno assumendo crescente importanza e
si affiancano all’accertamento dei requisiti patrimoniali minimi, da un
lato per valutare l’adeguatezza patrimoniale, dall’altro per la
certificazione da parte dell’organo di vigilanza dei modelli interni.
L’aspetto organizzativo diviene infatti cruciale nel momento in cui si
introduce, nello schema di vigilanza, un elemento consensuale, basato
sulla responsabilizzazione del management.
Questa tendenza è confermata da altri interventi del Comitato
di Basilea, che ribadiscono come efficaci sistemi di controllo interno
siano essenziali per una gestione prudente e per promuovere la stabilità
del sistema finanziario nel suo complesso.
Le esperienze passate, come il caso del fallimento della Barings, fanno
ritenere che efficaci sistemi interni di controllo avrebbero potuto evitare
significative situazioni di crisi, sia prevenendole, sia facendo emergere
gli aspetti critici prima che la crisi esplodesse, per poterne limitare gli
effetti.
L’attività di controllo interno viene ricondotta a cinque fattori tra loro
interrelati: il primo di essi riguarda i meccanismi di corporate governance
in relazione all’efficace funzionamento degli organi societari e al ruolo
di alta sorveglianza del management, accompagnato dallo sviluppo di una
cultura del controllo: la convinzione è che la presenza di una forte cultura
non garantisca necessariamente il raggiungimento degli obiettivi
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proposti, ma che di contro, la mancanza di tale cultura finisca per
facilitare comportamenti inappropriati e renda più difficile far emergere
tempestivamente situazioni critiche. Gli altri fattori riguardano:
l’identificazione e il controllo dei rischi; l’informazione e la
comunicazione; il monitoraggio e la correzione di rotta.
Per quanto riguarda il primo punto, viene assegnata al consiglio
di amministrazione e al top management la responsabilità, sia di
mantenere alti standard etici e di integrità, sia di promuovere una cultura
specifica all’interno della banca che enfatizzi il ruolo dei controlli interni.
L’obiettivo è che il comportamento stesso del management influenzi la
cultura del controllo a ogni livello.
Il Comitato di Basilea ha anche affrontato il tema dell’introduzione
di sistemi di auditing interno, a cui spetta il compito di valutare e
monitorare in modo indipendente aspetti cruciali per la gestione del
rischio: l’efficacia dei sistemi interni di controllo e dei sistemi di
valutazione, misurazione e gestione dei rischi; la validità e l’accuratezza
dei riscontri contabili e dei report; le modalità di allocazione del capitale
in relazione ai rischi; la coerenza con le norme regolamentari delle
attività svolte; l’affidabilità e la tempestività delle comunicazioni agli
organi di controllo.
Insieme a un efficace sistema di controlli interni e alla presenza di un
auditor esterno, la funzione di un auditor interno viene considerata come
una parte importante del sistema di corporate governance, che può fornire
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un valido supporto nel rapporto dialettico tra il management e gli organi
di vigilanza. Tale sistema dovrebbe essere un’importante fonte di
informazioni per entrambi, circa la qualità dei sistemi interni di controllo,
rafforzando quindi anche la valutazione dell’adeguatezza patrimoniale.
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Capitolo I
I CONTROLLI AZIENDALI
A cura del Dott. Riccardo PANSINI
1.1 NATURA DEL CONTROLLO
L'esigenza di un controllo è sempre stata presente nella realtà aziendale.
Con lo sviluppo della tecnologia, il decentramento di funzioni e
competenze e l'introduzione della telematica, si è assistito a una
evoluzione dell'attività aziendale sia in senso qualitativo, sia in senso
quantitativo; quindi questa esigenza è di primaria importanza.
Le aziende di credito, in particolar modo, hanno vissuto intensamente tale
fase, a volte "soffrendo" a fronte di una evoluzione troppo spinta con
sviluppi abnormi e anche inadeguati rispetto alle strutture organizzative.
I notevoli impulsi nella produzione di servizi sono stati resi possibili dai
cospicui progressi tecnologici ottenuti nel campo informatico e in quello
delle procedure operative. Come diretta conseguenza, anche il rapporto
con la clientela è andato trasformandosi, passando da una relazione
principalmente operativa a una di tipo consultivo e di collaborazione,
richiedendo, in tale forma, una maggiore professionalità. I nuovi prodotti,
sia in uso, sia in fase di studio, il decentramento delle facoltà d'iniziativa
e decisionali, insieme a una più attenta salvaguardia della correttezza
delle operazioni svolte e la richiesta sempre più pressante di informazioni
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dettagliate e tempestive, hanno creato l'esigenza di uno sviluppo anche
del controllo bancario.
L'aperta concorrenza fra le banche, le differenti esigenze della clientela,
lo status di autosufficienza, dal punto di vista finanziario delle imprese
economicamente più sane, il sempre più ampio frazionamento del credito
sono tutti fattori che, comportando un aumento del rischio e una
conseguente minore profittabilità, impongono controlli severi e
tempestivi. Inoltre, una nuova dimensione e una diversa qualità
dell'operare in banca, unite al determinante sviluppo informatico dei
processi e dei sistemi, esigono un corrispondente adeguamento delle
strutture di controllo.
Anche le direzioni aziendali, in questi ultimi anni, hanno rivisto la
propria posizione nei confronti dei controlli, abbandonando la scarsa
considerazione sui valori dei risultati dando, invece, giusto peso alle
capacità di individuare, o meglio, risolvere le numerose problematiche
poste proprio dallo sviluppo organizzativo.
Il controllo dell'efficienza operativa dell'azienda bancaria si pone come
esigenza assoluta per una valida gestione aziendale; al contempo, però,
un'adeguata e coordinata organizzazione del controllo appare
assolutamente indispensabile per la salvaguardia del sistema.
A fronte di quanto fin qui esposto si possono sintetizzare alcune fra le
principali problematiche dell'attività bancaria che richiedono un elevato
grado di affidabilità del sistema di controllo interno. Infatti, oltre allo
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scontato grado di rischio direttamente connesso all'esercizio del credito,
bisogna considerare l'alto livello di affidabilità e di negoziabilità di una
considerevole parte dell'attività della banca, la varietà e la complessità
della normativa vigente cui fa riscontro una molteplice tipologia di
operazioni che possono essere effettuate, il loro elevato numero e il
considerevole valore globale anche in termini quotidiani. Deve essere
considerato il rapido movimento e il trasferimento di considerevoli
somme e, dal punto di vista strutturale, il frazionamento dei punti
operativi insieme alla distribuzione territoriale.
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1.2 DEFINIZIONE DI CONTROLL0
Il controllo può essere definito come quel processo che deve garantire
che le azioni intraprese si svolgano nel modo prestabilito al fine di
raggiungere i prefissati obiettivi. Ne deriva che il concetto di sistema di
controlli non è statico bensì dinamico, nel senso che esso deve seguire e a
volte anche anticipare, nella sua evoluzione, l'organizzazione della banca.
Le fasi di tale controllo possono essere in forma schematica così
evidenziate:
™ Individuazione degli obiettivi
™ Definizione degli standard
™ Esame dei risultati ottenuti a confronto con gli standard
™ Analisi degli scostamenti e suggerimenti per le azioni correttive.
Nello "Statement of Auditing-Procedures n. 29" l'AICPA (American
Institute of Certified Public Accountants) definisce il controllo interno
aziendale nel seguente modo: “Il controllo interno comprende il sistema
organizzativo aziendale e l'insieme dei metodi, delle procedure e misure
adottate da un'azienda per salvaguardare i beni patrimoniali, per accertare
l'attendibilità e la correttezza dei dati contabili, per ottenere la massima
efficienza e per promuovere il rispetto e l'aderenza alle prescritte
politiche aziendali”.