5
nella scuola italiana, infatti, oltre alle traduzioni, in Italia sono stati prodotti
diversi film e uno sceneggiato televisivo degli anni ‘50
33
.
La tesi si articola in tre capitoli. Nel primo capitolo viene affrontata la vita
di Charlotte Brontë, utilizzando testi inglesi e italiani vista la specificità della
trattazione; a seguire vengono delineate brevemente tutte le opere, anche
minori, della scrittrice perché se è vero che Jane Eyre è assai popolare, lo
stesso non può essere detto degli altri suoi scritti. Essendo la tesi incentrata
sulla traduzione, viene analizzato il fitto carteggio della scrittrice alla ricerca di
qualsiasi accenno ai suoi rapporti con la traduzione: se ne aveva fatte, se
preferiva leggere testi tradotti o in lingua originale, etc. Nel paragrafo
successivo viene riportata la trama del romanzo, nell’ottica dell’analisi del
secondo capitolo, incentrato sulle traduzioni, e del terzo capitolo, in cui il
romanzo inglese viene direttamente confrontato con il suo rifacimento italiano,
La bambinaia francese. Seguono le corrispondenze fra la vita della scrittrice e
la vita della protagonista del suo romanzo, scelta dettata dalla frequenza con
cui alcuni scrittori riportano la propria esperienza di vita nei loro componimenti,
il romanzo come traduzione della vita: nel romanzo in questione queste
correlazioni sono numerose e sembrano pervadere l’intera trama. A
conclusione del capitolo ci sono due paragrafi riguardanti la fortuna del testo in
Inghilterra e in Italia, e se è ovvio che le differenze sono rilevanti, in Italia
l’uscita del romanzo non ha scatenato le polemiche che il testo aveva suscitato
nel suo paese; ciononostante, come anche constatato nell’introduzione
all’edizione Treves del 1904, il testo è stato da subito accolto con grande
positività soprattutto da parte del pubblico femminile.
Le traduzioni sono l’argomento centrale del secondo capitolo.
Raccogliendo la documentazione utile ad affrontare con una certa
consapevolezza e con un modus operandi adatto lo studio e la comparazione
delle diverse traduzioni, si è subito palesata ai miei occhi di profana la grande
necessità di preparazione del traduttore (conoscenza ottimale della lingua di
partenza e di quella di arrivo, delle tecniche traduttologiche, degli studi letterari,
33
Jane Eyre, 1909, italian silent film; The Castle of Thornfield, 1915; Jane Eyre, 1957,
sceneggiato televisivo Rai, regista Anton Giulio Majano; Jane eyre, 1995, regista Franco
Zeffirelli
6
etc.) e l’enorme vastità della trattatistica riguardo i Translation Studies. Ho
ritenuto doveroso delineare brevemente la nascita e l’evoluzione di questa
branca della letteratura comparata, esponendo le teorie più significative delle
tre generazioni in cui si è soliti dividere questi studi. Inoltre, poiché era un’utile
premessa al mio lavoro, vengono analizzate le problematiche relative
all’approccio al testo nella lingua di partenza e la sua trasposizione nella lingua
di arrivo, fornendo anche termini tecnici specifici di quest’ambito. Dopo aver
delineato i criteri della scelta delle traduzioni analizzate nel mio elaborato e aver
inquadrato il brano della traduzione nello sviluppo della trama, l’analisi vera e
propria è stata divisa in due sottoparagrafi: nel primo viene fatta una lettura
superficiale dei testi cercando di confrontare le perdite e le aggiunte che sono
state fatte rispetto all’originale, l’effetto che queste hanno sulla fedeltà e buona
riuscita della traduzione e se il target dei potenziali lettori e il genere narrativo
con cui è scritto Jane Eyre viene rispettato o meno nelle scelte operate dai
traduttori e dai loro editori; si è scelto di assegnare ad ogni traduzione uno
spazio proprio. Al contrario, nel secondo paragrafo le traduzioni vengono
analizzate nell’insieme, ponendole in confronto diretto fra loro, analizzando
specifiche aree: artifici artistici ed espressivi, temi ricorrenti, diversità di strutture
fra l’italiano e l’inglese, valutazione della traduzione del termine you con il voi e,
a seguire, un breve excursus finale sulle parti del testo che meglio erano state
rese nelle diverse traduzioni. Da questo esame è risultato che la traduzione
migliore è quella di Ugo Dettore, Garzanti – 1974, tenendo conto della
scorrevolezza del testo e del rispetto di temi e strutture che rimandano a
significati non sempre palesi, mentre quella che più si discosta dalla traduzione
avvicinandosi alla riscrittura è l’edizione Fabbri 1968 in cui il testo viene epurato
dalla determinatezza e sicurezza della protagonista femminile.
Naturale, quindi, prendere in considerazione, nel terzo e ultimo capitolo
della tesi, l’unica riscrittura italiana di Jane Eyre, La bambinaia francese di
Bianca Pitzorno. Dopo aver fornito una breve biografia della scrittrice italiana,
sottolineando il diverso background storico e culturale, diversità che ha portato
la scrittrice a quel rapporto di odio-amore con il testo della Brontë sfociato nella
stesura del suo romanzo. Per dare la possibilità di conoscere il testo nella sua
7
integrità ne viene fornita anche la trama, anche se poi, nel paragrafo
successivo, la parte presa in considerazione è per la maggior parte relativa al
soggiorno di Sophie, protagonista del romanzo, e Adéle, la bambina a cui deve
badare, a Thornfield Hall in Inghilterra. La precisione nel riferirsi al testo
originale non fa altro che mettere in evidenza quelle parti in cui la scrittrice
italiana decide di scostarsi dal testo inglese per dare la sua personale
interpretazione degli atteggiamenti e degli eventi che avvengono in quel
maniero solitario, disperso nella brughiera. Ciò avviene soprattutto a livello dei
personaggi: ci sono personaggi che rimangono inalterati, personaggi che
vengono delineati con maggior accortezza, altri che vengono lasciati in disparte,
personaggi che vengono colti da punti di vista completamente diversi per cui da
simpatici divengono antipatici e viceversa. Il confronto non termina, però, solo a
questo livello: tutti gli episodi che si susseguono al maniero vengono interpretati
dal punto di vista di Sophie, che riesce a cogliere la perfidia di Rochester e la
fragilità della giovane istitutrice, che pure appariva tanto sicura di sé. Non
ultimo, vengono ripresi nella loro diversità alcuni dei temi ricorrenti che fanno da
sottofondo ai due romanzi. Siccome notevoli sono le affinità con quello che
forse è il più conosciuto rifacimento del capolavoro inglese, Wide Sargasso
Sea di Jean Rhys, anche questo romanzo viene preso in considerazione in
questa comparazione diretta, tenendo conto del fatto che anche la Pitzorno lo
aveva letto prima di accingersi alla stesura del suo libro. A suggellare il
confronto fra i tre testi, vengono riportate le considerazioni personali di Bianca
Pitzorno sul suo lavoro e sul suo rapporto con Charlotte Brontë e Jane Eyre in
una intervista gentilmente rilasciatami. [Approfitto di questa introduzione per
ringraziare sentitamente questa scrittrice dell’aiuto fornitomi e della grande
disponibilità che ha mostrato nei miei confronti.]
Segue un saggio di traduzione, in cui cerco di mettere a buon frutto gli
esiti dell’analisi fatta e delle problematiche relative a questo lavoro,
confrontandomi direttamente con il medesimo brano, non senza una certa
difficoltà.
A completamento della tesi alla fine vengono poste tre appendici. Nella
prima vengono riportate, in ordine cronologico, tutte le edizioni di Jane Eyre
8
rinvenute nelle biblioteche italiane, mettendo in evidenza le loro particolarità: la
presenza di immagini, di altri testi, la tipologia dell’edizione e la collana in cui
sono inserite. La seconda nasce dalla necessità di permettere a chi si
accostava al mio elaborato, di avere a disposizione i brani integrali delle
traduzioni analizzate, oltre al testo originale, per poter valutare il mio operato.
Nell’ultima vengono riportate due dipinti della metà dell’Ottocento, che sono
serviti a Bianca Pitzorno per impostare la descrizione fisica della protagonista,
Sophie, e della sua protettrice, Céline Varens.
9
Capitolo 1
Charlotte Brontë e Jane Eyre
1.1 La Vita
Charlotte Brontë nacque nel 1816 a Thornton nello Yorkshire, terza figlia
del Reverendo Patrick Brontë e di Maria Branwell. Il padre era di umili origini,
figlio di fittavoli, era però riuscito, grazie alla forza di volontà, a studiare a
Cambridge e a prendere gli ordini sacerdotali. Per questo durante la piccola
ascesa sociale aveva cambiato alcune volte il suo cognome per nascondere la
vera origine: da Brunty a Brontë, passando per Branty. Era un uomo di grandi
capacità intellettuali, di animo integro e appassionato, purtroppo anche
fortemente egoista. La madre, appartenente a una famiglia agiata metodista,
era orfana di entrambi i genitori; aveva un carattere forte e risoluto che aveva
mitigato per amore del marito.
A pochi anni dalla nascita, la famiglia si trasferì a Haworth, un remoto
villaggio nella stessa contea. L’abitazione si trovava presso la canonica della
chiesa dove il padre prestava servizio: un edificio che si trovava nell’aperta
brughiera distante dal paese e da qualsiasi altra casa, confinante con il cimitero
e costantemente battuto dalle raffiche gelide del vento del Nord. Il fascino della
natura aspra e selvaggia della vegetazione influenzò tutti i componenti giovani
della famiglia, instaurando in loro un rapporto di amore-odio e di dipendenza
talmente forte che, anche se Charlotte e i suoi fratelli avevano il desiderio di
conoscere il mondo e le sue innumerevoli bellezze, non riuscirono mai a
distaccarsi dal loro luogo di origine per più di qualche mese.
La madre morì a pochi anni dal trasferimento, dopo un lungo periodo di
sofferenza causata dal cancro. Poiché il padre non riuscì a convolare a nuove
nozze, la cognata Elisabeth, che non si era mai sposata, si trasferì presso la
famiglia della sorella per accudire i nipoti: il carattere della zia non era molto
10
espansivo e non era in grado di dare ai piccoli l’affetto di cui avevano bisogno.
La figura materna venne allora sostituita da Tabby, la governante, che si prese
cura di loro come fossero suoi figli, non adulandoli mai, ma cercando in ogni
modo di favorirli. Furono proprio i suoi racconti, favole e leggende i primi semi
della feconda vena artistica dei piccoli Brontë.
Charlotte era piccola di statura, con folti capelli che le incorniciavano il viso,
il naso pronunciato e la bocca mal disegnata, in compenso i suoi occhi scuri
erano talmente penetranti che catturavano l’attenzione. Il suo aspetto fisico fu
sempre per lei un grave problema che non riuscì a superare mai
completamente: le sembrava che tutti la guardassero e la giudicassero brutta
per la non perfetta armonia del volto e questo le causava un forte disagio
soprattutto quando doveva conoscere gente nuova.
Le basi della sua educazione furono poste dal padre che faceva da maestro
a tutti i suoi figli, assegnando loro lezioni e facendogliele ripetere, privilegiando
l’unico figlio maschio Branwell. Nel tempo questo metodo si rivelò inadeguato;
così nel 1824 il reverendo, pensando di fare il loro bene, affidò le figlie al
collegio femminile del Reverendo Wilson. La disciplina era assai severa e
rigorosa per inculcare nelle menti delle giovani una ferrea austerità interiore, il
regime oltremodo frugale: le due sorelle più famose, Charlotte ed Emily, per
opporsi alle restrizioni patite, svilupparono una personalità autonoma e ribelle.
Le condizioni climatiche e igienico-sanitarie non erano delle migliori: si pativano
molti stenti, Elisabeth e Maria si ammalarono gravemente e, di ritorno a casa,
morirono nel giro di poco tempo. Charlotte ed Emily ritornarono comunque a
scuola, la sorella maggiore capì, allora, l’importanza di quell’istruzione sia per il
suo talento sia per la vita futura.
Tornate a Haworth dopo l’ennesima epidemia che afflisse le alunne della
scuola, la loro istruzione proseguì per un certo periodo a casa: furono istruite
dalla zia per i lavori prettamente femminili e dal padre per l’aspetto culturale-
politico: il reverendo discuteva con loro delle notizie che giungevano dai giornali
locali, in maniera vigorosa e precisa esponeva le sue idee tanto da influenzare i
primi componimenti dei figli. La biblioteca paterna era ricca di opere considerate
classiche e contemporanee: Scott, Coleridge, Wordsworth e Byron. Crescendo i
11
giovani sfruttarono anche la biblioteca circolante di Keighley, la biblioteca
privata della famiglia Heaton, che conoscevano bene, e i libri della scuola
serale per artieri del paese.
Ben presto Charlotte si rese conto del grave carico che avrebbe dovuto
portare sulle sue sole spalle: sorella maggiore di orfani di madre, doveva
consigliare e confortare tutti i fratelli più piccoli. Successivamente Charlotte
studiò presso la scuola di Miss Wooler a Roe Head dove ritornò più tardi in
qualità d’insegnante grazie, probabilmente, all’intervento economico della
signorina Firth, amica di famiglia che possedeva una certa agiatezza. Tale
scuola era il luogo più adatto a lei, dato l’esiguo numero di studentesse che
permetteva l’insegnamento individualizzato, per appropriarsi di quegli strumenti
atti a renderla un’istitutrice.
Iniziò poi una serie di problemi legati soprattutto alla instabilità economica,
da cui i fratelli Brontë cercarono una valida fuga tuffandosi nella loro passione
letteraria, dedicandosi a scrivere diari, poesie e racconti; trascendendo spazio e
tempo, trovavano nell’isolamento un rifugio sicuro dove esercitare la loro
immaginazione.
Charlotte, anche se amava poco l’insegnamento poiché dava poche
soddisfazioni, decise di lavorare presso varie famiglie in qualità di governante e
istitutrice. Questi erano gli unici lavori ammessi e rispettabili per una donna che
aveva bisogno di mantenersi. Ben presto Charlotte ed Emily, stanche della loro
situazione, pensarono di mettersi in proprio: volevano aprire una scuola per
fanciulle, con pensionato annesso, di modo che tutte e tre insieme, Charlotte,
Emily e Anne, non entusiaste dei loro rispettivi lavori, potessero tornare a casa
e restarci mantenendosi. Dopo aver saputo che Mary Tailor, amica di Charlotte,
aveva frequentato una scuola di perfezionamento a Bruxelles con la sorella,
rimanendo entusiasta sia dell’insegnamento sia delle esperienze vissute, per
avere una opportunità in più, decisero di recarvisi anche Charlotte e Emily,
alloggiando presso il pensionato Heger, meno costoso, per cercare di migliorare
la loro educazione, cultura, soprattutto la conoscenza del francese e del
tedesco, e Charlotte anche dell’italiano. Charlotte vi rimase anche un periodo
come insegnante di inglese, ottenendo un diploma che certificava la sua
12
idoneità a insegnare il francese e arricchendo notevolmente le sue capacità
letterarie. Infatti, l’esperienza belga fu fondamentale per lo sviluppo artistico
dell’autrice: l’esperienza di quegli anni la rese capace di scrivere i successivi
romanzi, maturando “i germi letterari espressi fino ad allora in forme inadeguate
e puerili”.
34
Il progetto sfumò per la mancanza di denaro, per i problemi di salute
del padre che richiedeva continua assistenza e soprattutto per la mancanza di
alunne. Infatti, Charlotte aveva deciso che prima di affrontare qualunque spesa
sarebbe stato opportuno rendere noti i programmi della scuola e attendere delle
risposte, che purtroppo non arrivarono mai.
Nel 1844 Charlotte fu costretta a tornare a Haworth sia per la crescente
cecità del padre, sia per il disagio del fratello maggiore che, non essendo
riuscito a far carriera sprofondava sempre più nel tunnel dell’alcol e dell’oppio,
diventando un incubo per tutta la famiglia. Tra il 1846 e il 1853 scrisse e
pubblicò i suoi romanzi più famosi e alcune poesie. Negli stessi anni morirono in
poco tempo Branwell, il fratello maggiore, Emily e Anne per consunzione. Per
scappare dal dolore provocato dai numerosi lutti Charlotte si recò da allora
spesso a Londra dove, grazie al suo carattere socievole, strinse numerose
amicizie, tra cui quella con Thackeray, famosissimo scrittore noto per Vanity
Fair, ed Elisabeth Gaskell, scrittrice e sua futura biografa. Ormai autrice
famosa, la sua vita cambiò, il mondo letterario londinese l’avrebbe accolta a
braccia aperte, ma la sua entrata nei circoli letterari produsse solo sgomento: ci
si aspettava una donna spregiudicata e mascolina non certo una timida, goffa
provinciale intransigente. Infatti, il carattere riservato, causandole forti emicranie
e nausee, non le permetteva di godere appieno di questi nuovi stimoli.
Nonostante la scarsa avvenenza fisica e il costante senso di inadeguatezza, a
Londra molti uomini di una certa cultura furono attratti da lei, tra cui anche
James Taylor, socio della ditta Smith e Elder, editori di Charlotte, che venne
però rifiutato per una certa volgarità di alcuni suoi atteggiamenti.
Benché Londra potesse offrirle molto, Charlotte preferì di gran lunga la sua
solitaria dimora da lei considerata il suo rifugio. Ora la sua esistenza correva
1
Sara Poli, La fortuna di Charlotte Brontë, in English Miscellany. A Symposium of History
Literature and the Arts, vol.6, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1955, pp. 78-79
13
come su due binari paralleli: la vita di Currer Bell, pseudonimo maschile usato
dalla scrittrice, e quella di donna:
… there were separated duties belonging to each character - not opposing
each other; not impossible but difficult to be reconciled…
35
Fosse stata un uomo avrebbe potuto dedicarsi esclusivamente all’attività
letteraria ma in quanto donna non poteva fare ciò:
…a woman’s principal work in life is hardly left to her own choice, nor can
she drop the domestic charges devolving on her as an individual, for the
exercise of the most splendid talents that were ever bestowed. And yet she
not shrink from extra responsibility implied by the very fact of her possessing
such talents.
36
Sebbene ormai sola, Charlotte rifiutò per l’ennesima volta un possibile
matrimonio. Era il turno del Reverendo Arthur Bell Nicholl, coadiutore del padre
da diversi anni; ella intrattenne con lui, in seguito, una fitta corrispondenza
grazie a cui, finalmente, Nicholl riuscì a conquistare il suo affetto e la sua stima.
Dopo aver nascosto la loro relazione e lottato più di un anno contro il padre, che
aveva un’opinione amara e scoraggiante del matrimonio, nel 1854 si
sposarono. Trascorsero la luna di miele in Irlanda, dove Charlotte conobbe i
parenti del marito e di lui scoprì nuove qualità che la resero ancora più felice e
sicura del passo che aveva fatto, anche perché Nicholl voleva che lei
partecipasse a tutto ciò che era il suo lavoro in parrocchia.
La grande scrittrice morì l’anno successivo, il 31 marzo 1855, a seguito di
un’affezione polmonare dopo essere stata costretta a letto per disturbi legati
alla gravidanza; venne sepolta accanto agli altri membri della sua famiglia sotto
il pavimento della chiesa di Haworth.
Terminava così il suo desiderio di vita normale appena intrapreso, legato
alla famiglia e ai figli, senza più alcuna velleità artistica.
35
Elisabeth Gaskell, The Life of Charlotte Brontë, Oxford, World’s Classics, 1994, p. 498
36
Ibidem
14
1.2 Le opere e l’attività letteraria
La precocità di Charlotte, come di tutti i suoi fratelli, era già evidente fin
dalla tenera età. Le loro abilità artistiche e letterarie erano state ereditate dal
padre che, oltre a comporre sermoni, aveva pubblicato, probabilmente a sue
spese, due volumetti di poesie durante i primi anni di matrimonio: Cottage
Poems e The Rural Mistrell. Proprio i suoi sermoni carichi di passione e le
discussioni sulle riviste, che arrivavano regolarmente in canonica, furono il
fondamento su cui l’autrice di Jane Eyre costruì il suo genio letterario.
Non appena furono in grado di leggere e scrivere, i fratelli Brontë, per
ovviare alla desolazione della loro abitazione, inventarono piccole produzioni
teatrali i cui personaggi principali erano sempre grandi uomini politici: quello
preferito da Charlotte era il Duca di Wellington. La loro fantasia era stata
suscitata da una scatola di soldatini di legno che il reverendo aveva regalato al
figlio nel 1826. All’inizio essi presero vita tra le mani dei ragazzi, ma poi, pian
piano, il gioco si trasformò, evolvendosi: iniziarono così gli scritti giovanili
riguardanti le cronache del mondo fantastico di Angria. I resoconti venivano
scritti su minuscoli pezzi di carta, poco più grandi di un francobollo, con una
scrittura talmente accurata da sembrare caratteri stampati; venivano poi rilegati
a mano. Charlotte collaborava con Branwell, Emily con Anne dando vita a due
saghe parallele. Sempre con il fratello la nota scrittrice compilava anche una
sorta di rivista mensile Blackwood’s Young Magazine a imitazione della reale
pubblicazione Blackwood Magazine da loro letta regolarmente.
In questi anni Charlotte, tredicenne, scrisse una lista completa delle opere
da lei inventate e “stampate”: sono ben ventidue, di esse viene fornita data di
composizione, titolo e contenuto. Sebbene i libri fossero di dimensioni assai
ridotte, contenevano una grande quantità di pagine e parole: da sessanta a
cento pagine per libro e di notevole qualità per una ragazzina.
37
Il gioco
proseguì ancora per diversi anni fin circa al 1845 e comprese i più disparati
generi: racconti, poemi, romanzi, drammi. Era come un fiume sotterraneo di cui
nessuno si immaginava il lungo e persistente fluire.
37
Elisabeth Gaskell, The Life of Charlotte Brontë, op. cit., p. 66
15
Qualunque notizia arrivasse alle loro orecchie veniva gettata nel mare
magnum dei loro giochi letterari e trasformato in poesia. In questi
componimenti, per quel che riguarda Charlotte, già si intravedevano alcuni
motivi che sarebbero stati poi presenti in qualche suo romanzo della maturità:
fantasie gotiche e romantiche, precisione nel delineare caratteri e nello svolgere
la narrazione.
38
Nell’autunno del 1845 un quadernetto di poesie capitò tra le mani di
Charlotte che intuì subito che erano i versi scritti dalla sorella Emily: versi
concisi, vigorosi e schietti. Decise che, assieme ad alcuni suoi componimenti, si
sarebbero potuti pubblicare se solo Emily fosse stata d’accordo. Riuscì
nell’intento di convincerla e allora, Anne, la più piccola delle sorelle, tirò fuori
alcune sue liriche dal carattere dolce e sincero. Charlotte si addossò tutto il
peso dell’affare. Essendo ben consapevoli che non sarebbe stato saggio
pubblicarli con i loro veri nomi, decisero di mantenere ognuna le proprie iniziali
assumendo degli pseudonimi equivoci, né maschili né femminili, sperando che
l’editore le scambiasse per uomini. Charlotte ne avrebbe fornito un esauriente
spiegazione nella prefazione del 1850 alle edizioni delle sorelle di Wuthering
Heights e Agnes Grey:
…averse to personal publicity, we veiled our own names under those of
Currer, Ellis e Acton Bell; the ambiguous choice being dictated by a sort of
conscientious scruple at assuming names, positively masculine, while we did
not like to declare ourselves women, because… […]…we had a vague
impression that authoresses are liable to be looked on with prejudice.
39
Trovarono, infine, un editore che pubblicò i versi a spese loro:
nessun’altra persona sapeva di questa avventura nel mondo editoriale. Furono
vendute solo due copie. Anni dopo la ditta Smith e Elder, dopo aver pubblicato
alcune opere della sorella maggiore, ricomprò questo volume di liriche dal primo
editore, ma non ebbe presso il pubblico l’eco che aveva previsto.
38
Margaret Lane, La storia dei Brontë, Milano, Rizzoli, 1955, p. 37, Tit.orig. The Brontë’s Story.
A Reconsideration of Mrs. Gaskell’s Life of Charlotte Brontë, 1953
39
Patricia Beer, Reader I married him: a study of woman characters of Jane Austen, Charlotte
Brontë, Elisabeth Gaskell and George Eliot, London, Macmillan, 1995, p. 19
16
Per avere consigli sul suo modo di scrivere, Charlotte aveva scritto a
Southey, chiedendogli un parere a riguardo di alcuni suoi componimenti. Il
grande poeta le aveva risposto che aveva attitudine per la poesia, ma il suo
sprofondare nella fantasia era pericoloso e, soprattutto, la invitava, in quanto
donna, a occuparsi dei doveri che le erano propri:
… literature cannot be the business of a woman life, and it ought not to
be…[…]… To those duties you have not yet been called, and when you are
you will be less eager for celebrity.
40
Aveva scritto, con il medesimo scopo, anche a Wordsworth, inviandogli però
questa volta anche lo schema e gli inizi di una novella che, però, il poeta non
aveva ritenuto di grande livello.
41
Nel frattempo ciascuna delle sorelle aveva iniziato a comporre, ognuna
per conto proprio, un romanzo. Le trame e gli sviluppi di queste opere furono
oggetto di discussione fra le tre che, durante le lunghe serate in salotto,
leggevano a turno i propri componimenti e ascoltavano ciò che le altre avevano
da dire in proposito.
La prima opera di Charlotte destinata alla pubblicazione fu The
Professor, terminata nel 1846. Lasciando da parte le fantasticherie del mondo
di Angria, il risultato fu modesto e nessuno degli editori a cui aveva inviato il
manoscritto accettò di pubblicarlo; ciò fu in parte dovuto alla mancanza di una
storia avvincente e in parte al tono della narrazione piuttosto tedioso, ben
lontano dal gusto dell’epoca che preferiva di gran lunga il melodrammatico e il
sensazionale. La stessa autrice lo aveva definito “plain and homely”.
Nel 1847 vide le stampe Jane Eyre, il suo capolavoro di cui tratteremo
nei paragrafi successivi. Si ha con questo romanzo un passaggio dalla
trascrizione della realtà alla realtà stessa che preme sui sensi.
42
40
Charlotte Brontë’s letter to Southey of March, 16 1839, in The Letters of Charlotte Brontës
with a Selection of Letters by Family and Friends, Oxford, Clarendon Press, 1995, p. 398
41
Margaret Lane, La storia dei Brontë, op. cit., p. 143
42
May Sinclar, Le tre Brontë, Napoli, Liguori Editore, 2000, p. 86, Tit. orig. The Three Brontës,
1912
17
Due anni dopo apparve al pubblico Shirley, un romanzo storico in tre volumi che
trattava delle sollevazioni industriali del 1811-12. A prima vista è il tipico
romanzo d’amore con vari intrighi, false verità, inganni e illusioni che alla fine
però portano al solito “happy end”; tuttavia, ad una lettura più approfondita, è
anche una sorta di commento storico sociale sulla qualità della vita della donna
nell’epoca e sulla rivolta dei Ludditi nello Yorkshire.
43
E’ il meno riuscito dei
romanzi perché Charlotte, intrappolata in un fatto realmente accaduto, non
aveva potuto dare libero sfogo alla sua ispirazione personale, avendo anche
voluto rifuggire dalla passionalità di Jane Eyre. Ebbe comunque un notevole
successo popolare anche se le recensioni dei critici apparse sulle riviste non
furono tutte favorevoli. E’ con questo romanzo che venne scoperta dal pubblico
la vera identità di Currer Bell. Un lettore dello Yorkshire riconoscendo persone e
soprattutto alcune espressioni tipiche del dialetto di Haworth, ne scrisse alla
stampa, che ben presto risolse l’enigma: Charlotte venne così identificata.
Sollecitata dall’editore, scrisse ancora, non accettando però l’invito fattole
da George Smith di scrivere un libro a puntate, tanto in voga a metà ottocento.
44
Nel 1853 dopo un lungo travaglio artistico, uscì Villette, impostato sui ricordi
ancora vivi nella sua memoria dell’esperienza a Bruxelles, rivissuta in una
nuova prospettiva. E’ una riscrittura in chiave più matura e avvincente del suo
primo romanzo, The Professor, arricchito da molti degli elementi e dei temi che
erano presenti in Jane Eyre. E’ un romanzo complesso dove ben pochi eventi
vengono narrati, mentre ampio spazio viene lasciato alla vita interiore dei
personaggi. Venne accolto molto favorevolmente tranne che da Harriet
Martineau, amica di Charlotte, indignata dalla natura implicitamente erotica
dell’amore nel romanzo.
45
Poco prima del matrimonio (1854) aveva iniziato un nuovo romanzo,
Emma, aiutata e sostenuta dal marito che seguiva con interesse i progressi che
Charlotte compiva man mano; rimase tuttavia incompleto a causa della precoce
morte dell’autrice.
43
www.brontë.info/brontës/Shirley.asp
44
Margaret Lane, La storia dei Brontë, op.cit., pp. 279-280
45
www.brontë.info/brontës/Villette.asp
18
Ogni lavoro artistico di Charlotte Brontë era accurato fin nei minimi
dettagli, quasi ella lavorasse al tornio le sue opere, niente era lasciato al caso,
ogni frase ogni parola era calcolata e inserita nel contesto come le tessere di un
mosaico e, alla fine, il lavoro non poteva essere rivisitato o aggiustato, come si
evince dalla sua risposta agli editori di rivedere Jane Eyre
… you probably know from personal experience that an author never writes
well till he has got into the full spirit of his work and were I to retrench, to
alter, to add now when I am uninterested and cold, I know I should only
further injure what may be already defective.
46
Ciò che la turbava maggiormente era il fatto che da quando si era
scoperto la sua identità femminile, aveva avuto sì un grande successo popolare
soprattutto nello Yorkshire e fra i suoi concittadini, ma oramai i critici non erano
più imparziali come quando pensavano fosse un uomo. Erano iniziate a
comparire recensioni che sottolineavano il modo di concepire la scrittura
femminile giudicata esclusivamente secondo le convenzioni dell’epoca, basate
sui sentimenti che si ritenevano propri delle signore, che non potevano essere
applicati all’opera di una scrittrice seria senza arrecar danno.
47
46
Charlotte Brontë’s letter To Messrs Smith, Elder & C. of September, 12 1847, op. cit., p. 539
47
Margaret Lane, La storia dei Brontë,op. cit., p. 266