5
2. Raggiungere l'istruzione primaria universale: assicurare, entro il 2015, che in ogni
luogo i bambini e le bambine siano in grado di portare a termine un ciclo
completo di istruzione primaria.
3. Promuovere l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne: eliminare la
disuguaglianza di genere nell’istruzione primaria e secondaria preferibilmente
entro il 2005 e a tutti i livelli di istruzione entro il 2015.
4. Diminuire la mortalità infantile: ridurre di due terzi, entro il 2015, il tasso di
mortalità infantile al di sotto dei cinque anni d’età.
5. Migliorare la salute materna: ridurre di tre quarti, entro il 2015, il tasso di
mortalità materna.
6. Combattere l’HIV/AIDS, la malaria e le altre malattie: arrestare, entro il 2015, e
invertire la tendenza alla diffusione dell’HIV/AIDS, della malaria e di altre
malattie, quali la tubercolosi.
7. Assicurare la sostenibilità ambientale: integrare i principi di sviluppo sostenibile
nelle politiche e nei programmi dei paesi, arrestare la perdita delle risorse
ambientali, dimezzare il numero di persone che non hanno accesso all’acqua
potabile.
8. Sviluppare un partenariato globale per lo sviluppo sostenibile: i 189 stati membri
delle Nazioni Unite che nel 2000 hanno sottoscritto la Dichiarazione del
Millennio si sono impegnati a costruire un partenariato per lo sviluppo sostenibile,
attraverso politiche e azioni concrete volte ad eliminare la povertà e favorire la
cooperazione allo sviluppo, un commercio internazionale che risponda ai bisogni
dei paesi poveri, la riduzione e la cancellazione del debito dei paesi più poveri ed
il trasferimento di tecnologie.
Complessivamente, secondo i dati dello United Nations Development Report
2007, il numero di persone nei paesi in via di sviluppo che vive con meno di 1$ al
giorno è sceso da 1,25 miliardi del 1990 fino ai 980 milioni del 2004.
La proporzione di persone che si trova in condizioni di estrema povertà è scesa di
circa il 19% in questo arco temporale; si può affermare, ottimisticamente, che se
questo progresso continua, il primo Obiettivo del Millennio sarà realizzato.
6
Ad ogni modo questo ottimismo non è condiviso uniformemente, poiché il declino
nella povertà globale è dovuto principalmente alla rapidissima e potente crescita
dell’Asia. L’Asia Orientale e del Sud-Est, in particolare, hanno fatto segnare il più
alto tasso di diminuzione della povertà, e la crescita veloce dell’India ha messo in
carreggiata anche l’Asia Meridionale per raggiungere l’Obiettivo.
Figura 1 - Incidenza della povertà estrema
Figura 2 – Incidenza della povertà e misure previsionali per il 2015
Fonte: World Bank
7
D’altro canto, però, l’Asia Occidentale ha raddoppiato il tasso di povertà dal 1990 al
2005; la povertà estrema è cresciuta rapidamente nei primi anni ’90 nei paesi del
Commonwealth e nei Paesi dell’Europa dell’Est, tipicamente le economie in
transizione. In queste zone, comunque, i tassi di povertà si stanno stabilizzando verso
i livelli degli anni ’80.
Nell’Africa sub-sahariana, la zona in cui il raggiungimento dell’Obiettivo sembra
maggiormente problematico, la proporzione di persone a vivere in povertà estrema è
scesa dal 46.8 % del 1990 al 41.1% del 2004; la maggior parte di questo progresso è
stato raggiunto dal 2000. Il numero delle persone che vivono con meno di 1$ al giorno
ha iniziato ad assestarsi, a dispetto di una rapida crescita della popolazione. Il reddito
pro-capite di sette nazioni sub-sahariane è cresciuto di più del 3.5% all’anno tra il
2000 e il 2005; altre ventitre nazioni hanno tassi di crescita di oltre il 2% all’anno in
questo periodo, fornendo un alto grado di ottimismo per il futuro.
8
Figura 3 – Proporzione di persone che vivono con meno di $1/day nel 1990, 1999 e 2004
Fonte: Millenium Development Goals Report 2007
1.1. Le definizioni nella letteratura
Sebbene il problema sia stato definito, non è stato altrettanto chiaramente
commisurato il livello di benessere che si tende a raggiungere. In altre parole: cos’è la
povertà a cui ci si riferisce? O meglio, quali sono i parametri che bisogna seguire per
analizzare l’attuale situazione globale?
9
L’idea di povertà non è certamente un concetto nuovo, univoco e semplice da
definire, per cui risulta assai difficile delinearne i contorni e tracciare contenuti
assoluti.
L’impressione che si ricava da tutta la letteratura esistente riguardante il tema della
povertà è che si sia venuto a creare “una sorta di scaffale disordinato in cui si
collocano un po’ confusamente concetti, misure e soluzioni cui ciascuno attinge,
combinando , più o meno liberamente, idee e strumenti, cause ed effetti, spiegazioni e
azioni”
1
.
Discorrendo a grandi linee possiamo delineare due macro aree in cui si
contrappongono degli approcci convenzionali, oggettivi e tecnocratici che riducono la
povertà a reddito misurabile e consumo da un lato, ed approcci partecipativi
soggettivi che si basano sulle visioni e sulle considerazioni dei poveri stessi dall’altro
lato.
Queste due facce della grande medaglia della povertà sono intrinsecamente
complementari. A rafforzare questa immagine Baulch utilizza una piramide
2
. La
punta della piramide rappresenta il consumo privato e il reddito; la parte intermedia si
focalizza sull’accesso alle risorse pubbliche, educazione e capitale umano; la base
include i concetti di dignità ed autonomia, che sono messi in luce da persone povere
incluse in programmi di natura partecipativa (interviste).
Il tentativo che ci si appresta a fare è di passare in rassegna la pluralità di concetti
e approcci attualmente esistente per inquadrare quello che è il tema di questo lavoro:
si tratta in pratica di dare una definizione, seppur dai contorni sfumati per la
dinamicità e l’ambiguità del tema, all’oggetto della discussione per capire di seguito
le implicazioni sul mondo dei poveri che il nuovo mondo globalizzato e globalizzante
opera.
Nella letteratura si fa un uso ricorrente di alcune dicotomie per delineare i punti
centrali del dibattito, in particolare:
a. Assoluto vs Relativo
b. Unidimensionale vs Multidimensionale
c. Oggettivo vs Soggettivo
d. Quantitativo vs Qualitativo
1
G.Rovati (2006)”, pag.42
2
Baulch (1997)
10
e. Statico vs Dinamico
Qui di seguito ne richiamiamo i concetti principali prima di descrivere i diversi
approcci che gli economisti e i policy makers adottano nell’inquadrare e misurare la
povertà nel mondo.
1.1.a. Assoluto Vs Relativo
Una prima distinzione è tra definizioni assolute e relative.
La povertà assoluta si riferisce ad un concetto di deprivazione dei bisogni primari:
sono considerati poveri quei soggetti che non riescono ad assicurarsi il fabbisogno
nutrizionale minimo, dei vestiti ed un alloggio.
Seppur questo taglio potrebbe costituire un buon metodo per differenziare i poveri dai
non poveri, si è notato che lo stesso costituirebbe un metodo inadeguato per le società
più avanzate e complesse. In questi contesti, infatti, si adatta meglio il concetto di
povertà relativa, “uno schema di analisi che guardi alla povertà come a un fenomeno
sociale strettamente connesso al diverso momento storico, geografico e culturale e
che consideri povero chi, nella sostanza, ha meno rispetto ad altri”.
3
La definizione relativa si rifà quindi alla comparazione con determinati standard,
che variano a seconda del contesto di riferimento; il paniere di beni considerato per
definire le linee di povertà è oggetto di revisioni periodiche.
Il compromesso raggiunto dagli specialisti è che viene considerato povero chi ha un
reddito inferiore a una certa soglia definita in relazione allo standard di vita
prevalente.
1.1.b. Unidimensionale Vs Multidimensionale
Vi sono schemi teorici che guardano ad un unico spazio nel descrivere la qualità
di vita delle persone al fine di ricercare in seguito soluzioni possibili per porre
rimedio a situazioni definite “di povertà”.
C’è invece chi utilizza un approccio multidimensionale che fa espressamente
riferimento a più variabili per descrivere la situazione dei nuclei familiari; già quando
3
Rovati (2006)
11
si parla di bisogni fondamentali per definire la povertà assoluta, ad esempio, ci si
focalizza su più dimensioni, anche se in un ambito circoscritto (i basic needs,
appunto).
Bisogna puntualizzare che molte istituzioni statistiche si limitano a rilevare il
tasso di povertà di una determinata zona solo in base alla dimensione monetaria,
ovvero si applica una sorta di conversione del paniere di beni nella quantità monetaria
necessaria per acquistarli (ragiona in questi termini il Census Bureau negli USA, ad
esempio).
Il tentativo di esaustività effettuato dai teorici è stato quello di creare un quadro
di dimensioni che possano descrivere quanto più efficientemente possibile la
situazione della zona o del nucleo familiare preso in considerazione; molto spesso
capita però che si abbia a che fare con variabili (dimensioni) numericamente elevate
ma scollegate tra di loro, di difficile interpretazione e basso profilo pratico. La
risposta più convincente a questo complesso quesito è stata fornita da Sen con il suo
capability approach di cui discorreremo più avanti.
1.1.c. Oggettivo vs Soggettivo
La terza dicotomia di cui andiamo a discorrere è quella che contrappone la
visione oggettiva a quella soggettiva. I metodi oggettivi di valutazione di una
situazione sembrano infatti non tenere in conto la percezione che le persone coinvolte
hanno della realtà in cui vivono. In altre parole, l’approccio soggettivo enfatizza il
fatto che nessuno è in grado di giudicare una condizione di vita meglio delle persone
che la stanno vivendo, e si contrappone ai criteri arbitrari fissati da osservatori
esterni.
Il vantaggio principale dell’approccio soggettivo è che non fissa a priori una
soglia di povertà, ma la ricerca a posteriori sulla base delle risposte fornite dai
soggetti coinvolti. Potrebbe sembrare un metodo complesso e costoso per la necessità
di ricerche ad hoc, ma negli ultimi anni molto spesso vengono abitualmente allegate
alle normali indagini sui redditi dei quesiti volti a scoprire la percezione che si ha
della propria condizione di vita.
12
Purtroppo però i risultati delle ricerche con il metodo soggettivo sono
difficilmente comparabili e soggetti a valutazioni interpretative troppo complesse: i
livelli di soddisfazione di ciascuno di noi ha come parametro aspirazioni personali
che sono troppo differenti, non solo da Paese a Paese, ma anche da fratello a sorella e
che hanno a che fare con elementi della personalità (aspetti emozionali, socio-
culturali, psicologici) che sono estremamente individuali.
Un tentativo importante di unire la visione oggettiva a quella soggettiva è stato
effettuato dalla World Bank che, a partire dal 2000, ha iniziato ad affiancare ai suoi
World Development Report (indagini annuali sullo stato dei developing countries e
sulla povertà in generale) un secondo rapporto chiamato “Voices of the poor” in cui
si dà effettivamente voce alle persone oggetto dell’indagine, permettendo loro di
raccontare sensazioni ed emozioni,e fornire opinioni e suggerimenti che difficilmente
sarebbero potute arrivare dall’alto (come nel caso della presenza di peculiarità
culturali invisibili dall’esterno).
Anche l’UNIDO (United Nations Industrial Development Organization) affianca ai
suoi abituali rapporti sui progetti in corso un fascicolo che raccoglie le voci delle
persone del posto. Dopo aver avviato un progetto di educazione all’imprenditoria in
Mozambico ed Uganda, pubblica “Voices of the enterpreneur”, un raccoglitore di
emozioni degli studenti che ne rafforza l’empowerment e al tempo stesso permette di
distinguere eventuali lacune del progetto per effettuare modifiche in corso d’opera.
1.1.d. Quantitativo vs Qualitativo
Una successiva distinzione va fatta tra l’approccio quantitativo e quello
qualitativo. Com’è facilmente intuibile, con il termine quantitativo intendiamo far
riferimento a dati espressi in forma numerica (discreta e continua), mentre il termine
qualitativo sta ad indicare dati espressi sotto forma di categorie (ordinate o
sconnesse) a cui si associano non grandezze numeriche ma qualificazioni verbali.
Anche in questo caso si rilevano vantaggi e svantaggi per entrambi i metodi.
L’approccio quantitativo ha come punto di forza l’estensione dell’analisi e la
misurabilità dei risultati in quanto, essendo basato su fonti numeriche, è possibile una
svariata quantità di forme di aggregazione dei dati che portano a risultati sintetici
13
molto interessanti. Di contro va segnalato che esso trascura degli elementi che sono
caratterizzanti della realtà che si prende in considerazione ma che non possono essere
quantificati; questo è un punto di forza dell’approccio qualitativo che fa della
profondità analitica e dell’interpretazione dei risultati le sue pietre miliari.
1.1.e. Statico vs Dinamico
Va differenziata infine la povertà vista come un concetto statico da quella
dinamica.
La povertà statica ci permette di delineare la povertà transitoria o occasionale, in
quanto guarda ai nuclei familiari e agli individui in un dato istante (l’anno cui si
riferisce l’indagine); la povertà dinamica invece, ovviamente più complessa da
misurare, monitorizza lo stato delle persone nel tempo, focalizzandosi quindi sulla
povertà persistente o permanente e ha come scopo quello di mettere in luce il
fenomeno di entrata o uscita dallo stato di povertà per poterne trovare
successivamente cause e soluzioni.
L’analisi statica si svolge con dati cross section che fotografano la realtà in un dato
momento e servono a misurare l’intensità e la diffusione della povertà, ossia quanti
poveri ci sono e quanto sono effettivamente poveri.
Per l’analisi dinamica invece occorrono dati panel che descrivano l’andamento della
condizione degli individui nel tempo; purtroppo, però, questi dati sono difficili da
reperire e la carenza di queste fonti rende molto inaffidabili le analisi che si cercano di
avviare.
Le dicotomie appena discusse si combinano, si integrano e si intersecano, non
escludendosi a vicenda; quello che ne viene fuori è una gamma potenzialmente
ampissima di definizione di povertà.
“In linea di principio, con una sorta di alchimia, sembra che ciascuno possa costruirsi,
più o meno liberamente, la propria definizione di deprivazione o di esclusione
combinando in modo diverso le differenti opzioni disponibili, in accordo con le
14
proprie preferenze, con i dati statistici a disposizione, con le tecniche di analisi a sua
disposizione”
4
.
Boyle
5
, in un suo saggio rafforza questa convinzione, ponendo come incipit le
seguenti parole: “La domanda “Che cosa significa essere povero?” evoca una risposta
differente da persona a persona in quanto la risposta di ciascuno riflette il proprio
sistema di valori personali. Siccome questi sistemi di valori divergono, trovare un
consenso diffuso su qualunque argomento normativo a proposito diventa molto
difficile, se non impossibile, incluso il problema di definire la povertà. Con ciò non
voglio suggerire che la definizione di povertà è fortemente arbitraria o una questione
personale. Piuttosto, è per sottolineare che lo studente della povertà non dovrebbe
aspettarsi di trovare o avanzare una definizione che sia accettabile da tutti”.
6
1.2. Gli approcci all’analisi
Dopo aver quindi definito le dicotomie maggiormente diffuse nella letteratura, il
passo successivo è quello di fare una rassegna delle varie teorie normative possibili
che, basandosi sulla combinazione dei precedenti concetti, cercano di spiegare e
tracciare un percorso che possa meglio definire la povertà.
La letteratura ci fornisce varie definizioni di povertà ed altrettante modalità di
misurazione della stessa, e le diverse forme di commisurazione servono a dare alla
variabile Povertà una natura quanto più multidimensionale (e quindi completa)
possibile.
In un loro saggio alquanto esaustivo Ruggeri, Saith e Stewart
7
cercano di fornirci
una panoramica sulla definizione di povertà, su ciò di cui le maggiori istituzioni
globali si stanno concentrando.
Gli autori identificano 4 approcci al tema povertà: l’approccio monetario, l’approccio
sulle possibilità (capability approach), il metodo basato sul grado di esclusione
sociale e l’approccio partecipatorio.
Andiamo ad analizzare ogni singolo metodo.
4
Rovati (2006), pag.52
5
Boyle e Bougoslaw (2006)
6
.Boyle e Bougoslaw (2006) pag.281
7
Ruggeri, Laderchi, Saith e Stewart (2003)
15
1.2.a. Approccio Monetario
L’approccio monetario per la definizione e la misurazione della povertà è quello
più utilizzato. Esso identifica la povertà come un deficit nel consumo o nel reddito
dalle linee di povertà stabilite (di cui si tratterà più avanti).
La valutazione delle differenti componenti del consumo e del reddito viene effettuata
a prezzi di mercato. Questo pone in essere due problemi: l’identificazione del
“mercato rilevante”, che fungerà da parametro per le analisi, e la quantificazione
monetaria di quei beni che non hanno propriamente un valore di mercato (si pensi ad
esempio la produzione di beni di sussistenza ed i beni pubblici).
Il benessere può essere misurato come il consumo totale fruito, procurato sia dal
reddito in entrata che dalla spesa effettuata; la povertà è quindi definita come un
allontanamento (deficit) da un certo livello minimo di risorse, chiamato Poverty Line.
La scelta tra il reddito e il consumo come parametro definitorio della povertà è un
argomento che è stato al centro del dibattito degli economisti. La sensazione che ne
viene fuori è che il consumo sarebbe un indicatore più indicato per le seguenti
ragioni:
- il consumo è un miglior indicatore di risultato rispetto al reddito nel senso che il
consumo attuale è collegato più da vicino al concetto di benessere personale nel
soddisfacimento dei bisogni fondamentali. Il reddito di contro è solo uno degli
elementi che consente il consumo dei beni (gli altri elementi includono l’accesso
alle risorse, disponibilità, ecc.).
- Il consumo può essere misurato meglio del reddito. Si pensi che grandi porzioni di
reddito non costituiscono un valore monetario se i nuclei familiari consumano la
propria produzione (agricola, ad esempio) oppure effettuano scambi con altri beni
difficili da quantificare. Stimare il consumo ha le sue difficoltà, ma è più affidabile
se lo schema per le ricerche sui nuclei familiari è ben definito e delineato ex ante.
- Il consumo riflette meglio la capacità del nucleo familiare di soddisfare i bisogni
fondamentali in quanto tiene conto non solo dei beni e dei servizi su cui il nucleo
può contare, ma tiene anche in considerazione il fatto che il nucleo può fare ricorso
ai mercati del credito o ai risparmi. Quindi, specialmente quando il reddito è
16
soggetto a forti fluttuazioni nel tempo, il consumo fornisce una figura migliore
dell’attuale standard di vita della famiglia.
La validità di questo approccio dipende da alcuni fattori, in particolare:
- se l’utilità è un’adeguata definizione di benessere;
- se la spesa in moneta è una misura appropriata dell’utilità;
- se una diminuzione dell’utilità include tutto quello che noi intendiamo con il
termine povertà;
- la giustificazione per una stabilita poverty line.
L’utilizzo dell’approccio monetario è solitamente giustificato in due modi. In
primo luogo la garanzia ai diritti minimi, dove un certo reddito è considerato come un
diritto senza nessun legame con l’utilità ma piuttosto come la libertà di scelta che
esso fornisce. Ovviamente anche questa giustificazione ha alcuni problemi nella
quantificazione del reddito basico da scegliere come un diritto universale.
In secondo luogo, l’uso di indicatori monetari è spesso utilizzato non perché le risorse
monetarie misurano l’utilità, bensì perché esso può fornire appropriatamente altri
aspetti di povertà e benessere: ad esempio mentre la mancanza di risorse non
esaudisce la definizione di povertà, gli indicatori monetari rappresentano una
conveniente scorciatoia, un metodo basato su dati ampiamente disponibili per
identificare quelli che sono poveri in molte dimensioni fondamentali, non solo
mancanza di risorse, ma anche nutrizione, salute, etc.
I primi ad analizzare il tema della definizione di povertà secondo l’approccio
monetario furono Booth e Rowntree
8
.
In particolare il lavoro di Rowntree è stato definito come il primo studio scientifico
sulla povertà. Egli definì la poverty line stimando i requisiti monetari per una dieta
nutrizionalmente adeguata combinata ai bisogni di vestiti e affitto. I soggetti al di
sotto di questa linea erano definiti soggetti in povertà primaria. La categoria di
soggetti al di sopra del parametro ma che vivevano in evidente stato di squallore e di
stenti erano definiti soggetti in povertà secondaria.
Il moderno approccio monetario contiene diversi elementi tratti dallo studio
pioneristico di Rowntree.
8
Rowntree (1901)
17
Il problema che tuttavia rimane irrisolto è rappresentato da quale parametro
scegliere come indicatore del benessere e, conseguentemente, come distinguere i
poveri dai non-poveri.
Gli studi di numerosi economisti ci suggeriscono qualche soluzione che comunque
rimane non assoluta.
In molti paesi sviluppati, seguendo un criterio molto pragmatico, le due categorie
(poveri e non-poveri) sono distinte essenzialmente a seconda di chi riceve un
supporto monetario dallo stato da chi non lo riceve. Sembra però che questo metodo
stimi la povertà solo in base al budget dello stato, una sorta di skip della definizione
del problema.
Lewis & Ulph
9
suggeriscono più concretamente un modello in cui le due
categorie potrebbero essere classificate in base a comportamenti dove:
- è indispensabile una spesa minima per l’acquisto di beni per non trovarsi in una
situazione di povertà;
- e questa spesa minima fornisce all’individuo benefici indiretti per la partecipazione
ad altre attività, quali un lavoro.
Ravallion
10
indica invece che la povertà line dovrebbe essere definita come “il costo
del livello minimo di utilità”; nel suo lavoro egli calcola questo minimo seguendo
due linee guida:
- il metodo dell’apporto nutrizionale delle calorie, che definisce una nutritionally-
based linea di povertà;
- la linea del costo dei bisogni primari, che stima i costi di cibo, beni di prima
necessità (food e non-food), allegando una lista di quelli che sono considerati basic
needs e quantificandoli monetariamente.
Nel 1988 Lipton
11
aggiunge al filone teorico l’opinione secondo cui la linea di
povertà è considerata tale quando il nucleo familiare spende (è costretta a spendere)
almeno l’80% del proprio reddito in cibo, ricevendo meno dell’80% del bisogno
minimo di calorie giornaliero.
9
Lewis, Ulph (1988)
10
Ravallion (1994)
11
Lipton M. (1988).
18
Lipton fa riflettere inoltre sul target su cui ci stiamo focalizzando nel definire la
povertà, nel senso che analizzare un nucleo familiare non è certamente uguale ad
analizzare i singoli componenti di quel nucleo. Per di più bisogna tenere in
considerazione le differenze tra gli individui in termini di età, genere, ma anche gusti,
predisposizioni fisiche e attività svolte.
Come già esposto, la povertà è tipicamente misurata scegliendo una linea di
povertà, che riflette il reddito o il consumo minimo necessario per soddisfare i
bisogni di base. La World Bank ha calcolato linee di povertà a $1 (precisamente
$1.08) e $2 ($2.15) giornalieri. Sebbene questi requisiti minimi varino da Paese a
Paese e nel corso del tempo, le misure $1 e $2 consentono alle istituzioni politiche di
comparare la povertà tra le diverse Nazioni usando lo stesso punto di riferimento.
Questa misura di povertà identifica la percentuale della popolazione che vive in
nuclei familiari con consumi o redditi al di sotto della poverty line. La suddetta
misura è riportata sia come percentuale sul totale che come numero di individui
considerati poveri; va ad integrare questa misura il calcolo del poverty gap, ossia lo
scarto dalla linea di povertà come proporzione della poverty line.
Un’area di disaccordo nella misurazione della povertà è se essa debba essere
misurata come percentuale di individui che sono poveri (l’incidenza sul totale) o il
numero assoluto dei poveri. Sebbene l’incidenza della povertà è diminuita negli
ultimi venti anni, il cambiamento nel numero assoluto dei soggetti poveri dipende
dalla linea di povertà scelta: se è vero che gli individui al di sotto della $1 poverty
line è sceso tra gli anni Ottanta e i Novanta, è anche vero che è aumentato quello tra
le due linee $1 e $2.
Uno dei punti deboli maggiormente rilevante dell’approccio monetario è che esso
è indirizzato fondamentalmente a performance personali, non approfondendo il ruolo
che le interazioni sociali e le interdipendenze tra i soggetti possono svolgere nel
definire la soglia di povertà.
Solitamente le maggiori istituzioni globali utilizzano lo headcount ratio, ossia la
frazione di persone che vivono sotto le poverty lines, misura contestatissima da Sen
12
per non considerare la distribuzione di reddito tra i poveri. Lo headcount ratio e
12
Sen (1976)