2
Sta però assumendo caratteristiche e, di conseguenza, esigenze
diverse. In questo mondo è sempre più sentita la necessità di
organizzazione e di formazione del lavoro volontario. Attualmente si
sta assistendo ad un prevalere sempre maggiore di fenomeni associativi
più che individuali in questo settore.
Ma questa situazione provoca di riflesso tutta una serie di
problematiche, in quanto l’impegno dei volontari è gratuito e si
sviluppa in condizioni di incertezza, aumentata dalla preclusione di
strumenti di controllo in queste forme associative.
Inoltre l’appartenenza al 3° settore accentua la tendenza
all’organizzazione secondo dei criteri manageriali anche se con
orientamento solidaristico.
Diciamo che nell’epoca recente del volontariato si possono
distinguere 3 tappe.
La prima arriva fino al 1965, caratterizzata da un volontariato
individuale, poco organizzato e disarmonico.
La seconda va dal 1965 al 1985, in cui la diffusione di nuovi
valori e una reazione al rigido centralismo delle organizzazioni hanno
portato ad uno sviluppo maggiore delle strutture locali ereditate dai
movimenti di protesta. Questo in virtù della pretesa di sempre maggiore
autonomia di movimenti che non hanno scopo di lucro e che possono
sfruttare l’eredità di movimenti che li hanno preceduti
2
.
2
C. Ranci, U. Ascoli - “La solidarietà organizzata - Il volontariato italiano oggi” - a cura della
“Fondazione Italiana per il Volontariato” - 1997 pagg. 16-17
3
La terza tappa può essere fatta partire indicativamente dal 1985
quando queste strutture e questi gruppi passano da una fase di
“sperimentazione” ad una fase di stabilizzazione e specializzazione del
fenomeno
3
.
Certo, fondamentalmente il volontariato ha sempre mantenuto
delle caratteristiche come l’aiuto unidirezionale e asimmetrico tra i
volontari e gli assistiti.
Questo non toglie però che la sua evoluzione lo stia portando ad
affrontare nuove problematiche organizzative che con il tempo si sono
fatte sempre più numerose e diversificate.
In particolare in quella che chiamavamo la terza tappa che è
iniziata indicativamente un decennio addietro, e che stiamo tuttora
vivendo, sarà quella che cercheremo di analizzare. In particolare
vedremo di capire in che direzione sta andando l’evoluzione della
formazione nel mondo del volontariato.
Il volontariato in questo periodo storico sente sempre più il
bisogno di organizzarsi di riunirsi in strutture di dimensioni sempre
maggiori e con coordinamenti e forme di collaborazione crescenti sia
qualitativamente che quantitativamente, tra le varie strutture.
Gli standard formativi si stanno alzando notevolmente. Ormai
per poter fare del volontariato occorre un impegno veramente serio per
essere all’altezza dei compiti che potranno essere assegnati. E questa
preparazione prevede impegno, tempo e anche denaro necessari per
corsi, riunioni e tirocini.
3
Tavazza, Manganozzi, Pionati, Sardo, De Martis op. cit. pag. 39-40
4
Questo comporta che le organizzazioni volontarie si trovano a
dover fronteggiare crescenti standard manageriali e formativi, che le
richiedono forme di collaborazione crescenti sia tra le varie
associazioni di volontariato, sia con il terzo settore, sia con le
istituzioni.
Lo Stato, in particolare, interviene con l’istituzione di leggi per
regolamentare e controllare le varie associazioni in maniera sempre più
massiccia.
Inoltre sta cambiando anche la gestione patrimoniale della
formazione dei volontari, poiché per far fronte alle spese per la
formazione si stanno moltiplicando e diversificando le soluzioni.
Cercherò quindi di analizzare queste problematiche relative alla
formazione in cui sono inserite le associazioni di volontariato in
particolare per quanto riguarda la formazione prendendo a campione le
associazioni iscritte al Registro Regionale operanti nella provincia di
Treviso.
5
1. Il volontariato e il terzo settore in Italia: storia,
caratteristiche ed evoluzioni.
1.1 Le origini del volontariato e una breve storia
Le tematiche riguardanti il volontariato non sono di facile trattazione
da un punto di vista storico sia per la vastità, che per l’eterogeneità del
fenomeno, che ne rendono problematico ricondurre ad uno schema unitario
l’evoluzione di questo fenomeno.
Si possono comunque distinguere indicativamente alcune fasi nello
sviluppo del volontariato.
Una prima fase riguarda indicativamente il periodo che va dalla
seconda guerra mondiale fino alla metà degli anni ’60
1
.
In questo periodo si può parlare solo di azione volontaria, poiché il
volontariato si presenta come spontaneo, caritativo e tutt’altro che
all’altezza dei bisogni sociali.
Dicevo che in questo periodo si può parlare quasi esclusivamente di
azione volontaria individuale poiché le forme in cui il volontariato si
manifesta sono ancora essenzialmente legate ad iniziative individuali,
personali ed isolate.
Il fatto che queste forme di volontariato facessero capo solo in parte
ad una organizzazione aumentava ulteriormente le caratteristiche, già
1
Frediani B.,Rigotti F., “Temi antropologici per animare il volontariato”, da Animazione Sociale n.5,
Gruppo Abele Ed. Torino, maggio 1996, pagg.28/29.
6
presenti nel volontariato, di occasionalità e scarsa professionalità. Di più
risultavano scarsamente efficaci non riuscendo a sanare le parti più “malate”
e più bisognose di un intervento, ma quelle che, occasionalmente, via via si
presentavano.
Il rapporto tra i volontari e lo Stato sono del tutto assenti in questo
periodo. I motivi di questa situazione di fatto, vanno ricercati sia nella già
citata mancanza di organizzazione interna al volontariato, sia
all’atteggiamento dello Stato che afferma un modello del welfare che
prevede un impegno limitato nel settore socio-assistenziale e delle cosiddette
“povertà forti” che si stanno diffondendo.
Una seconda fase si può invece individuare tra il 1965 e il 1985. In
questa fase il momento centrale e rappresentato dal “detonatore del ‘68”
2
.
Il messaggio del ’68 era “tutto è politica”, e cioè rinnoviamo il modo
di gestirla. Non lasciamo più allo Stato egemone la conduzione di tutto, ma
cerchiamo di tornare a diritti di partecipazione, di protagonismo che
restituiscano la conduzione dello stato alla base popolare.
Questo magmatico movimento rivoluzionario raggiunge le
aggregazioni di solidarietà , sia laiche che cattoliche, scuotendo di più queste
ultime. Ciò sia a causa sia della loro impreparazione a livello politico, sia per
l’eco dei precedenti richiami conciliari, aventi oggetto la costruzione della
società attraverso un limpido rapporto tra fede e politica.
La sua novità consiste, soprattutto nell’aver cercato di sostituire alla
solidarietà corta
3
di ieri tesa a tamponare le più evidenti contraddizioni
sociali, con misure concrete di breve periodo, una solidarietà lunga, e cioè
attività non più soltanto “riparatoria”, ma anche “liberatoria” e propositiva,
2
Tavazza, Manganozzi, Pionati, Sardo, De Martis, “Giuda al volontariato italiano” Volontari Oggi Ed.
SEI pagg.39-41.
7
che implica la partecipazione e l’ascolto delle persone che diventano così
artefici della loro crescita .
Questo avvenne anche a causa delle conseguenze lasciate dalle
ideologie “forti”
4
, che si tradussero in un consolidamento e un allargamento
dei diritti dei cittadini. L’impostazione assistenzialista venne abbandonata a
favore di un orientamento che possiamo definire di “lotta
all’emarginazione”, che identifica nel volontariato una forma di tutela e di
rappresentanza delle categorie sociali escluse dai benefici del welfare. Il
dovere dei volontari ora aveva origine nel riconoscimento del diritto morale
e sociale degli emarginati ad essere assistiti e reintegrati nella società.
Inoltre vi furono grosse difficoltà a travasare nelle vecchie
organizzazioni i nuovi contenuti, a causa del controllo che rimase in mano a
delle ristretta leadership religiose. Non a caso i nuovi leader provenivano il
più delle volte da esperienze locali, avviate nella fase dei movimenti sociali,
riconvertite dalla lotta politico-ideologica all’intervento di servizio.
La crescita del “nuovo volontariato”
5
appare dunque determinata da
un insieme composito di fattori: da un lato dalla diffusione di nuovi valori
come base per l’impegno sociale, dall’altro dalla rigida centralizzazione
delle organizzazioni tradizionali e dalla contemporanea presenza nelle
comunità locali di reti relazionali lasciate in eredità dai movimenti di
protesta.
3
A. Mastrantuono “Biblioteca della solidarietà” - 26. Volontariato pag. 22
4
C. Ranci, U. Ascoli “La solidarietà organizzata” - Il volontariato italiano oggi - pag.16-8
5
Ranci , op. cit. pag.17
8
Una terza fase si può individuare dalla metà degli anni ’80.
A partire dal 1985 le ricerche sul volontariato segnalarono
unanimemente un passaggio da una fase “pionieristica” di sperimentazione
sociale ad una di progressiva stabilizzazione del fenomeno e specializzazione
del fenomeno. D’altra parte la specializzazione era l’esito di un processo
selettivo che permetteva la sopravvivenza solo a quelle associazioni che si
dimostravano più ricche di risorse e disposte a cambiare la struttura
organizzativa iniziale essenzialmente basata sulla autogestione.
Il processo di specializzazione si sviluppo però in Italia con
caratteristiche del tutto particolari
6
. Quello che colpì del caso italiano era la
straordinaria rapidità del processo.
I motivi sono da ricercare nel fatto che , se è vero che i servizi al
momento della costituzione erano profondamente innovativi, in un secondo
momento la realizzazione di servizi di natura “primaria” condusse queste
organizzazioni volontarie ad una crisi di “sovraccarico” causata dalla
impossibilità di far fronte ad una domanda di aiuto rispetto a bisogni ormai
visibili e riconosciuti, a fronte di un atteggiamento ambiguo delle istituzioni
pubbliche che diedero riconoscimento alla funzione sociale del volontariato,
ma che vi contribuirono finanziariamente in maniera limitata.
La gamma delle azioni si ampliò, comprendendo un numero sempre
maggiore di attività e allo stesso tempo aumentò la sua specializzazione e la
sua professionalità, tanto che emerse un “modello di professionalità sociale”,
termine che sta ad indicare le organizzazioni consolidate che attuano
interventi qualificati e specifici sulla base di competenze specialistiche. Si
tratta quindi di una vocazione che acquisisce progressivamente una sempre
maggiore professionalità e che viene messa al servizio della collettività.
9
La situazione attuale vede dunque il volontariato, e le strutture che lo
organizzano, in grado di attrarre risorse e competenze più qualificate che in
passato, tanto che anche lo Stato con la legge-quadro 266/1991 ha sancito la
trasformazione del volontariato italiano in soggetto organizzato moderno, cui
e possibile affidare rilevanti responsabilità pubbliche.
1.2 Definizione e caratteri del volontariato organizzato contemporaneo
Nella letteratura internazionale
7
il volontariato si riferisce
unanimemente ad azioni svolte in modo organizzato, cioè continuativo e
regolato, da parte di soggetti associativi che assumono, a seconda del regime
giuridico e fiscale esistente, forme giuridiche diversificate (dall’associazione
alla fondazione).
Quindi il legame, la presenza dei soggetti all’interno di una struttura
organizzativa é ora considerata centrale. L’azione volontaria non viene più
considerata come tale, ma inserita all’interno di una rete organizzativa
sempre più complessa e diversificata.
Inoltre nelle definizioni correnti l’accento viene posto spesso sulla
volontarietà e sulla gratuità.
La volontarietà è qui intesa come la non obbligatorietà del vincolo
sociale entro cui l’azione viene compiuta, il fatto che essa si attua con
un’adesione libera e volontaria ad un’organizzazione. Bisogna comunque
sottolineare che anche l’adesione libera comunque ha dei vincoli perché il
fatto di essere inseriti in un’organizzazione obbliga i volontari a definire
6
Ranci C., op. cit., pag.18
7
Ranci op. cit. pag.13
10
precisamente la loro disponibilità di tempo e di impegno, anche se questi
sono limitati.
Per quanto riguarda la seconda caratteristica è cioè la gratuità è data
“dall’assenza di benefici economici come base della relazione tra i
partecipanti”
8
.Un aiuto fornito individualmente su base gratuita non deve
dunque essere scambiato per una forma di partecipazione volontaria, perché
sono necessarie tutte e tre le caratteristiche.
Ma queste caratteristiche, se sono necessarie per definire l’area più
ampia dell’associazionismo volontario, non sono sufficienti a distinguere il
volontariato
9
. La specificità dell’organizzazione volontaria deriva da una
terza caratteristica, riguardante la natura degli obbiettivi collettivi, cioè il
fatto che l’azione venga orientata a fornire servizi a beneficio di soggetti
svantaggiati. Molta importanza viene quindi attribuita sia alla condizione dei
soggetti che ricevono il servizio, che devono essere appunto svantaggiati, e
al fatto che il suo principale obbiettivo è quello non tanto di risolvere i
problemi, ma quantomeno di portare un qualche beneficio.
L’azione volontaria ha mantenuto inoltre le caratteristiche della
filantropia dei secoli scorsi, e cioè il carattere di forma di aiuto asimmetrica e
unidirezionale. Le persone oggetto di aiuto stanno peggio dei propri
benefattori e generalmente non possono ricambiare, almeno materialmente i
favori ricevuti.
Queste caratteristiche però, come abbiamo prima sottolineato,
tendono sempre più a diminuire. Da una solidarietà fatta di mero aiuto
materiale a persone che non possedevano nulla, e per questo erano bisognose
di tutto si è passati ad una solidarietà più complessa e articolata. Questo tipo
8
Mellucci A., “L’azione volontaria tra società civile e sistema politico” in Tomai B. - Associazionismo
volontariato e nuova cittadinanza sociale” Cens Milano
11
di solidarietà mette al centro di tutto l’uomo e quindi la persona socialmente
assistita è considerata prima di tutto non come nullatenente o in difficoltà
bensì come persona umana, e quindi in quanto tale bisognosa di sentirsi
valorizzata e apprezzata. Anche l’operatore, sia stipendiato che volontario, si
trova di fronte alla necessità di porre il fattore umano al primo posto nel suo
modo di relazionarsi con l’assistito, e non rappresenta più solamente un mero
e freddo esecutore.
Questo comporta che di riflesso anche l’operatore debba sentirsi
valorizzato, nel senso che il metro di misura per giudicare il lavoro sociale è
da ricercarsi nel rapporto sociale con le persone oggetto del servizio.
Di conseguenza queste esigenze di perfezionamento sempre
maggiori hanno pesanti ripercussioni sull’organizzazione. Anche se
eseguono solo un lavoro volontario, le persone inserite in una struttura
assistenziale hanno visto gli standard formativi aumentare enormemente in
questi ultimi anni.
Ma anche la formazione non è gratuita. Costa e può arrivare a costare
anche molto. Quindi connesso al problema dell’aumento degli standard
formativi, si è dovuto affrontare il problema di come reperire le fonti per la
formazione. Alcune soluzioni sono state l’uso di personale interno, oppure
forme di collaborazione tra più associazioni, o ancora, convenzioni con le
istituzioni, ecc...
Ma questo argomento lo approfondiremo più avanti assieme alla
legislazione in materia, che è sempre più articolata.
9
Ranci op. cit. pag. 13
12
1.3 Volontariato e 3° sistema
Secondo una parte della dottrina
10
, l’idea di terzo sistema fu
sviluppata nel 1977, in un rapporto elaborato da un gruppo di esperti, cui era
stato affidato il compito di riflettere sulle nuove caratteristiche dello sviluppo
socio-economico. Ma anche altri Autori si erano soffermati sull’ipotesi che
esistesse un’attività con caratteristiche che la differenziano da quelle proprie
dello Stato e del mercato.
La definizione più tradizionale di terzo sistema è di tipo residuale, e
cioè che è un sistema composto da tutte quelle attività che non appartengono
né allo Stato né al mercato. Ne fanno parte tutte quelle iniziative che
producono beni e servizi secondo modalità, di produzione e di fruizione,
diverse da quelle tipiche, sia del mercato che del settore pubblico, e che per
questo non vi possono essere comprese.
Ma esso si può anche definire come l’insieme delle attività non
finalizzate al lucro e produttrici di valori d’uso al di fuori delle istituzioni
pubbliche
11
. Le attività svolte all’interno del terzo settore sono rivolte a
conseguire un benessere collettivo piuttosto che il massimo profitto
individuale.
Pur nella varietà delle manifestazioni e delle strutturazioni, è
possibile cogliere alcuni elementi comuni tra le diverse componenti del terzo
sistema, che ora andremo a vedere in dettaglio
12
:
1. La produzione di beni e servizi, non intesi come attività politiche o
sindacali o come attività redistributive condotte per via monetaria
anche se con scopi caritativi;
10
Ruffolo G. “La qualità sociale” Laterza, Bari - pag 203
11
Tavazza op. cit. pag.171
13
2. Il carattere privatistico, inteso come azione all’interno di una
struttura privata dove si presuppone la volontarietà di adesione dei
soci;
3. La dotazione di una struttura organizzativa, anche se minima;
4. La produzione di beni di “interesse collettivo”, cioè con le
seguenti caratteristiche:
• aperto anche ai non associati il loro consumo alle stesse condizioni
dei soci;
• con una base sociale composta da persone in difficoltà;
• l’ottenimento di una serie di “esternalità” positive.
5. Il divieto di distribuire l’utile di esercizio, cioè devono essere
senza scopo di lucro per i partecipanti;
6. L’essere espressione della comunità locale.
Ora che sono state definite le caratteristiche comuni di tutto il terzo
sistema, bisogna dire che il volontariato non è che una fetta marginale di
questo ampio settore.
Il terzo sistema è oramai estremamente esteso e variegato e anche se
non è molto facile si cercherà ora di fare un elenco il più possibile esaustivo
delle sue principali componenti
13
:
1. le associazioni o i gruppi di volontariato intesi in senso restrittivo: essi
hanno come obbiettivo la realizzazione di attività finalizzate ad
accrescere il benessere della collettività (o di gruppi svantaggiati della
stessa) attraverso prestazioni di lavoro gratuito e disinteressato da parte
dei soci;
12
Mastrantuono op. cit. pag. 115
13
Tavazza op. Cit. pag. 172
14
2. le associazioni di diversa natura: anch’esse operano per accrescere il
benessere sociale, ma l’azione dei soci, pur gratuita, è finalizzata a
ottenere vantaggi per gli stessi soci ( o per una parte di essi); rientrano
in questo ambito le associazioni con fini mutualistici, di self-help, le
associazioni culturali e ricreative, ecc.;
3. il mondo della cooperazione (e, al suo interno, quello della
cooperazione di solidarietà sociale e delle cooperative integrate): scopo
fondamentale della cooperazione è infatti il raggiungimento di una
finalità sociale (tutela del reddito di categorie deboli, difesa da attività
speculative di privati, creazione di occupazione), pur operando nel
mercato e dovendo rispettarne le logiche;
4. Tutte le forme di impresa o di istituzioni senza finalità di profitto e di
speculazione privata: vi si possono annoverare vere e proprie imprese
fondazioni, enti morali, associazioni che operano per lo sviluppo del
terzo mondo impegnando anche personale retribuito, ecc...
In esse deve essere assente lo scopo di lucro e le stesse devono essere
condotte secondo modalità che escludono la formazione di utili nascosti
(anche sotto forma di maggiori retribuzioni ai dipendenti);
5. Tutte le forme di economia domestica e di comunità, dove il lavoro è
finalizzato alla produzione di beni destinati all’autoconsumo e perciò
valutati per il loro valore d’uso; ne sono un esempio le comunità o le
convivenze i cui membri limitano l’attività lavorativa alla produzione
dei beni necessari alla sussistenza della comunità stessa;
6. Le attività secolari degli istituti religiosi con finalità sociali, culturali,
ricreative, educative, ecc...
Dicevamo che questo elenco non è certamente completo, tuttavia
comprende le realtà più diffuse e conosciute almeno in Italia.
15
Questa lista va comunque presa con cautela perché molte cono le
“zone grigie”, dove è difficile separare con certezza il terzo sistema dagli
altri due. Esempi in questo senso sono le cooperative di servizi sociali
istituite di fatto da enti pubblici, oppure le imprese formalmente non profit
che producono utili nascosti.
Il contributo del volontariato all’interno del terzo sistema si è
soprattutto manifestato attraverso:
• la diffusione di valori diversi da quelli propri del mercato e poco
sentiti dallo Stato come la maggior attenzione al benessere
collettivo, la valorizzazione della partecipazione, la proposta di
solidarietà gratuita;
• lo stimolo alla revisione degli obbiettivi propri delle
organizzazioni del terzo settore che nel tempo sembravano aver
sempre più adeguato le loro finalità e modalità operative a quelle
dei settori predominanti;
• la definizione dei rapporti con stato e mercato.
Nonostante questi contributi sicuramente importanti al terzo settore,
da più parti è stata avanzata l’idea che tende a considerare il volontariato
come un “pezzo” oramai marginale del settore non profit
14
che troverebbe il
suo fulcro in quelle organizzazioni altamente professionalizzate capaci di
coniugare una conduzione improntata a criteri manageriali con un
orientamento sociale o solidaristico.
Al di là del fatto che queste posizioni possano essere più o meno
condivise resta il fatto che il volontariato sta ricevendo forti spinte da più
parti perché sviluppi una professionalizzazione sempre maggiore.
14
Ranci op. cit. pag.12