Nel primo capitolo si parlerà della nascita e dell’evoluzione del concetto di privacy
in modo da poter capire meglio le origini ed il significato diverso che l’argomento
ha assunto nel tempo,evidenziando i cambiamenti organizzativi che ha indotto e
le criticità che sono emerse.
Nel secondo capitolo verrà trattato il tema della formazione in termini generali e
l’evoluzione del suo significato dal passato ai nostri giorni.
Nel terzo capitolo si entrerà nello specifico del significato della formazione in
materia di privacy, sottolineando gli aspetti più importanti che riguardano la sua
applicazione nel lavoro quotidiano.
Nel quarto capitolo verrà presentato il progetto formativo che verrà attuato
all’interno dell’ASUR ZT 10 di Camerino ,cercando di illustrare quali obiettivi si
prefigge di raggiungere tale corso.
Nella conclusione verranno illustrate le riflessioni emerse e le previsioni per la
formazione futura.
Scopo di questo lavoro è dimostrare l‘importanza basilare che riveste la
conoscenza di questo argomento così complesso e delicato ma anche
stimolante,allo scopo di fornire i mezzi che consentano una traduzione pratica e
utile della normativa sul campo specifico.
E’ un progetto ambizioso che vorrebbe consentire a tutti gli operatori di
costruire,partendo da quanto previsto dalla legge,una propria organizzazione
contestualizzata e partecipata con il presupposto che una norma possa dettare
obblighi e fornire informazioni ma che la sua applicazione possa divenire efficace
solo se attuata da chi vi lavora quotidianamente.
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L’EVOLUZIONE STORICA DEL CONCETTO PRIVACY DALLA NASCITA AI GIORNI
NOSTRI
Il termine “privacy” deriva dal vocabolo inglese “private” che ha il significato
italiano di privato.
Tale termine non ha una traduzione letterale in italiano e viene utilizzata con il
significato di “vita privata di ciascuno e la relativa riservatezza” e compare per la
prima volta in Italia in un numero del settimanale “Epoca” del 7 luglio 1951.(1)
La nozione moderna di privacy viene fatta risalire al 1890,quando un noto
avvocato di Boston di nome Samuel Warren scrisse un articolo insieme al suo
amico Louis Braindes dal titolo “The right to privacy” che fu pubblicato sulla
rivista “Harward Law Review” come risposta alle cronache mondane che
dedicavano troppo spazio all’attività della moglie di Warren che era considerata
una cosiddetta “regina dei salotti”.
A quei tempi il diritto alla privacy era riservato alla classe borghese che già a
partire dal seicento aveva esteso l’idea di proprietà dai propri possedimenti
terrieri ,e quindi fisici, a quella del proprio spazio interiore, operando sulla
propria vita privata la stessa operazione compiuta sulla propria terra.
Successivamente il concetto fu ripreso da personaggi pubblici tra cui Greta
Garbo,nel tentativo di difendere la propria esistenza privata con l’esigenza di
essere lasciati soli senza essere soli (to be let alone) cioè di non essere isolati o
abbandonati. Il diritto di essere lasciati soli ,cioè in pace ,è un diritto di libertà
personale mentre il voler stare davvero soli è una scelta personale.(2)
Nel tempo il diritto alla privacy, ad essere lasciato solo, si trasforma in una
componente essenziale della libertà contemporanea di ognuno cioè da diritto
borghese diviene diritto universale.
I gradi di maturazione ed estensione del concetto privacy nel tempo vanno dalla
definizione del caso Warren-Braindes che si riferiva al diritto ad isolarsi dalle
interferenze esterne, al diritto al controllo delle proprie informazioni personali
raccolte da altri e cedute per avere in cambio dei benefici , fino a giungere al
significato più attuale legato alla tutela della libertà personale, esistenziale,
legato anche allo sviluppo e alla diffusione delle nuove tecnologie ed al problema
della sicurezza.
La parola privacy diviene a questo punto quasi riduttiva perché non riguarda più
solo il diritto a rimanere chiusi nel proprio mondo privato ma anche la possibilità
5
di potersi proiettare nel mondo mantenendo sempre il controllo sulla circolazione
e l’utilizzazione da parte di altri delle nostre informazioni.
Ormai,infatti, nel linguaggio internazionale non si parla più di privacy ma di “data
protection” e già la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti e delle
libertà fondamentali dell’uomo ,siglata a Roma il 4 novembre 1950,prevede un
articolo in merito che in seguito, nella Carta dei diritti fondamentali dell’uomo
(2000) verrà distinto in due diversi articoli: il diritto al rispetto della vita
personale e familiare (art. 7) ed il diritto alla protezione dei dati (art.8).
Nell’art. 7 viene sostituito il termine “corrispondenza” con il termine
“comunicazione” , nella previsione già dell’utilizzo dei nuovi strumenti tecnologici
futuri.
L’art. 8 riconosce che “ogni individuo ha diritto alla protezione dei dati di
carattere personale che lo riguardano” e stabilisce che “tali dati devono essere
trattati secondo il principio di lealtà,per finalità determinate ed in base al
consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto
per legge”,consentendo al soggetto interessato di potervi accedere e poter
chiederne la rettifica e prevedendo la necessità di istituire una autorità
indipendente per garantire il rispetto di tali regole.(3)
In Italia ,fino agli anni ’70, si registra una scarsa sensibilità al tema, si considera
la privacy come un “lusso giuridico” e non viene percepito come bisogno urgente.
Poi ,nel tempo, si cominciò ad intuire che l’uso delle informazioni personali
poteva diventare strumento privativo della libertà e dei diritti di ognuno.
Infatti fino all’entrata in vigore della legge che istituì la figura del Garante, nel
1997, la raccolta di dati non era regolamentata e chi svolgeva tale attività non ne
rispondeva a nessuno.
Anche il Codice Civile non contemplava alcun diritto simile al concetto di privacy
attuale.
L’articolo 8 dello Statuto dei Lavoratori ( legge 300, 1970), vietando la raccolta di
informazioni sulle opinioni politiche, sindacali e religiose ,determinò di fatto la
nascita in Italia del concetto di protezione dei dati personali.(2)
Paradossalmente, visto che un diritto ritenuto borghese entra nell’ordinamento
giuridico italiano con una legge che tutela i diritti della classe operaia.
Il diritto alla privacy trova un concreto riconoscimento giuridico con la Legge 31
dicembre 1996, n°675 “Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al
trattamento dei dati personali”,emanata l’ultimo giorno utile previsto dalla
Direttiva Comunitaria 95/46/CE ,accompagnata dalla Legge 31 dicembre
6
1996,n°676 “Delega al Governo in materia di tutela delle persone e di altri
soggetti al trattamento dei dati personali” ,che contiene strumenti correttivi ed
integrativi alla 675/96.(5)
La legge 675/96 è composta da 45 articoli divisi in 10 capi ed entra in vigore l’8
maggio 1997.
Il legislatore aveva avvertito la necessità di creare un testo immediatamente
vincolante(la legge 675/96,testo propositivo), lasciando aperta la possibilità a
modifiche che nel corso dell’applicazione della 675/96 sarebbero risultate
necessarie per migliorarne l’applicazione ed adeguarla alla veloce trasformazione
degli strumenti tecnici utilizzati(la legge 676/96, testo riformatore).(4)
L’Italia fu quasi costretta ad emanare la L.675/96 per poter recepire in tempi
rapidi la Direttiva Europea, in modo da consentire la libera circolazione dei
cittadini in Europa, secondo l’Accordo di Schengen.(5)
Tale legge ha costituito un sistema legislativo complesso, come risultato di
diversi fattori tra i quali il fatto che la normativa pur essendo stata emanata con
ritardo rispetto alle normative di altri paesi europei , presentava un testo
normativo molto più ricco ed articolato ma ,a volte di difficile interpretazione, dal
momento che il legislatore aveva avuto l’ambizione implicita di tutelare
qualunque dato relativo a qualsiasi figura soggettiva presente nell’ordinamento,
dalla sua genesi o anche prima,alla sua uscita dal circuito informativo;inoltre
spesso aveva creato la difficoltà a bilanciare i diritti fondamentali della persona
con le esigenze del mercato,privilegiando comunque la tutela dei primi ma
creando problemi di non facile soluzione.
L’ avvento di nuove tecnologie,soprattutto dell’ informatica e della
telematica,avevano permesso di effettuare trattamenti di dati di grandi
dimensioni,consentendo di tracciare un profilo dettagliato dell’
individuo,attraverso la combinazione di dati personali in un complesso organico
da cui si potevano trarre indicazioni di importante utilità economica.
Successivi interventi normativi,specialmente il DPR 28 luglio 1999, n°318 ed il
D.Lgs. 28 dicembre 2001,n°467,hanno consentito delle semplificazioni,delle
integrazioni e applicazioni ,avvicinando la normativa sempre più al modello
europeo.
Il DPR 318/99 tracciò poche e semplici regole per l’adozione delle misure minime
di sicurezza previste all’art 15 della L.675/96 che non furono in grado di tutelare
la sicurezza dei dati trattati ma che servirono piuttosto ad evitare ai titolari di
incorrere in sanzioni penali.(12)
7
Con il D.Lgs. 467/2001, dopo 5 anni di esperienza maturata dall’entrata in vigore
della L. 675/96,vengono delineate le misure correttive che hanno lo scopo di
semplificare gli adempimenti burocratici di tutti coloro che sono deputati al
trattamento di dati personali,di ridurre la repressione penale che nel tempo non
aveva portato a grossi risultati, nonché di ampliare il ruolo del Garante.(13)
Il D.Lgs. 196/03,la normativa attuale, è stato emanato il 30 giugno 2003 in
attuazione della terza proroga accordata al Governo ai sensi della legge 676/96 e
recependo la direttiva comunitaria n. 2002/58/CE; è stato pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale il 29 luglio 2003 ed è entrato in vigore il 1 gennaio 2004.
Si tratta di una raccolta in un Testo Unico di tutte le disposizioni dettate negli
anni dal legislatore riguardanti la tutela del diritto alla protezione dei dati
personali.
Infatti negli anni successivi all’entrata in vigore delle L.675/96 e 676/96 vennero
emanati numerosi provvedimenti che hanno modificato notevolmente la
normativa originaria tanto da renderla a volte di difficile comprensibilità e
applicazione.(5)
Il Codice consta di 186 articoli divisi in 3 parti e con 3 allegati.
La prima parte (artt. 1-45) riguarda le disposizioni generali, la seconda parte
(artt. 46-140) riguarda le disposizioni relative a settori specifici,la terza parte
(artt. 141-186) riguarda la tutela dell’interessato e le sanzioni.
Gli allegati comprendono l’all. A,relativo ai Codici Deontologici, l’all. B, che detta
le misure minime di sicurezza e l’all. C che disciplina i trattamenti non
occasionale effettuati in ambito giudiziario e di polizia.(11)
Il Dlgs 196/03 è forse la legge più nominata ma anche la meno conosciuta e le
ragioni di questo sono riconducibili a:
-il radicamento dell’argomento già nell’intimo di ognuno ,il che ha portato a
pensare che un approfondimento della materia fosse superfluo;
-il testo normativo risulta complesso ed impegnativo perché abbraccia tutti gli
ambiti di applicazione della norma;
-i mass-media hanno contribuito, spesso in buona fede per una diffusione della
conoscenza,a creare una informazione erronea e superficiale dell’argomento.(5)
Il D.Lgs. 196/03 è la legge in materia di protezione dei dati personali, cioè
“disciplina in genere il trattamento dei dati personali, cioè garantisce che tale
trattamento si svolga nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché
della dignità dell’interessato, con particolare riferimento alla riservatezza,
all’identità personale e al diritto alla protezione dei dati personali”(art. 2).(6)
8
La tutela quindi non riguarda solo la riservatezza cioè la non divulgazione di dati,
ma anche la protezione,la conservazione, la tutela del dato e la sua corretta
gestione.
Infatti il presupposto della normativa è un principio generale sull’obbligo di
custodia dei dati personali.
Oggi infatti esiste un nuovo bene giuridico che ha una sua tutela in questa
normativa(ma non solo) ed è il bene giuridico valutabile economicamente e
meritevole di tutela giuridicamente che è il dato personale, cioè l’informazione
relativa ad un determinato individuo, identificato o identificabile anche in maniera
indiretta.(5)
Questo bene giuridico, cioè il dato, implica una tutela da parte di chi lo usa
(art.1:chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali).
E’ una legge che si applica alle persone fisiche e giuridiche, che non riguarda solo
i privati ma anche la Pubblica Amministrazione e si applica a tutti i trattamenti di
dati personali in genere, con o senza l’utilizzo del computer.(5)
Le novità introdotte dal Codice Privacy hanno comportato una modifica
dell’assetto organizzativo delle aziende sia pubbliche che private,con
cambiamenti spesso di difficile attuazione perché legati alla necessità di risorse
non sempre facili da reperire.
L’allineamento a quanto previsto dalla normativa richiede infatti un costo di
natura economica che molto spesso ha rappresentato il limite e non è stato
interpretato come un investimento per il futuro,per promuovere un
miglioramento qualitativo dei servizi ma solo un fastidioso obbligo legislativo.
Molto spesso è risultato anche difficile coniugare quanto previsto dalla normativa
con la necessità di una sempre maggiore semplificazione delle varie procedure,e
questo ha comportato una visione della materia privacy come una complicazione
ulteriore per le organizzazioni.
La normativa prevede inoltre un obbligo di formazione che deve essere esteso a
tutte le figure presenti in azienda ed ha lo scopo di fornire tutte le indicazioni per
mettere il personale in condizione di attuare realmente quanto previsto dal
Codice Privacy.
Infatti la formazione rappresenta lo strumento principe per un cambiamento
reale ,da considerarsi come un investimento perché la conoscenza viene
trasmessa fra gli operatori e permette l’identificazione di figure che per la loro
competenza fungono da fattori trainanti e determinanti per il cambiamento.
9
Formare il personale a formarsi è un investimento perché permette non solo un
risparmio economico ma anche la conversione in termini reali e contestuali di
quanto previsto da una norma che rischia altrimenti di rimanere solo a livello
teorico.
La formazione rappresenta una grande opportunità di crescita personale di ogni
operatore che acquisendo sempre più conoscenze,consapevolmente può crescere
e divenire propositore e ideatore delle dinamiche organizzative che lo
riguardano,consentendo la diffusione di buone pratiche che comportino un
aumento del benessere organizzativo di tutta l’azienda e dell’utenza.
10
LA FORMAZIONE
Nell’ultimo ventennio si è assistito ad una veloce trasformazione della società
legata ad una rapida accelerazione della diffusione di nuove tecnologie
dell’informazione e della comunicazione che hanno indotto un accorciamento
delle distanze spaziali e temporali e l’ingresso nell’era cosiddetta della
complessità,dei cambiamenti ,della globalizzazione.
L’evoluzione tecnologica ha consentito la formazione di una rete per la
condivisione del sapere e la mente umana si trova continuamente ad essere
sollecitata ad assorbire nozioni ed informazioni ,con effetti positivi per
l’ampliamento della visione delle diverse possibili realtà ma anche con il rischio
di un blocco di elaborazione per una overdose di informazioni.
Partendo dalla grande importanza che assume lo sviluppo umano,per contrastare
tali effetti negativi risulta prioritaria una formazione olistica dell’uomo , passando
dal concetto di “teste piene” al concetto di “teste ben fatte”come sostiene il
filosofo Edgar Morin.(14)
Il passaggio da una società industriale ad una società post-moderna
caratterizzata dalla discontinuità nel lavoro,nei percorsi formativi e personali ha
messo in luce la grande importanza della conoscenza e dell’apprendimento, che
divengono elementi distintivi del singolo e delle organizzazioni.
Questa instabilità ha generato forte competitività fra le varie aziende che per
poter mantenere le proprie posizioni nel mercato globale hanno investito in una
vecchia risorsa ma che oggi è divenuta fondamentale e cioè il capitale umano.
(15)
La formazione è quindi tesa alla valorizzazione del personale che oggigiorno
rappresenta la vera risorsa strategica per l’azienda, attraverso lo sviluppo di
competenze uniche che ne permettono la distinzione e il raggiungimento di un
vantaggio competitivo duraturo nel tempo.
Il concetto di apprendimento si amplia e diviene una potenzialità che si realizza
durante tutto il corso della vita (lifelong learning) ed in una pluralità di situazioni
(lifewilde learning) e l’attenzione viene spostata dalla quantità delle informazioni
al soggetto stesso che diviene il nucleo centrale dei processi formativi e
produttivi.
L’ambiente di crescente turbolenza in cui viviamo richiede capacità di
acquisizione e decodifica di nuove informazioni, di utilizzo ma anche di continua
produzione di nuove conoscenze e competenze per lo sviluppo della capacità di
11
dominare la complessità,attraverso una evoluzione stessa del pensiero da
semplice a complesso.
In un mondo in cui il lavoro ha subito profonde trasformazioni nelle modalità e
nei contenuti ,con un effetto definito come “dematerializzazione” del lavoro,la
risorsa indispensabile è divenuta la “materia grigia” e la sua valorizzazione
attraverso un apprendimento che consenta l’acquisizione di competenze come
sfida per affrontare la complessità,come bisogno individuale e come bisogno
sociale di coesione.
In altre parole oggi nel mondo del lavoro è richiesto sempre più lo sviluppo di
abilità pratiche e cognitive e lo sviluppo delle organizzazioni sembra strettamente
legato alla capacità di gestione della conoscenza,tanto da arrivare al termine
“knowledge workers” per indicare i lavoratori della società che apprende, il cui
capitale è rappresentato dal sapere.
Da un punto di vista normativo è possibile rintracciare nelle politiche comunitarie
in materia di istruzione e formazione già a partire dagli anni ‘80 un
riconoscimento dell’importanza dell’argomento che diviene uno dei valori-guida
della società della conoscenza,oltre che indubbia risorsa fondamentale per
l’economia.
Anche in Italia a partire dagli anni ‘90 è avvenuta una trasformazione in tal
senso, legata a disposizioni di legge che hanno permesso una riorganizzazione
del sistema istruzione-formazione-lavoro in una visione di continuità
dell’apprendimento che abbracci tutto il corso della vita degli individui.
In tal senso ricordiamo il “Protocollo di intesa sulle politiche del lavoro” del 1993
e il “Patto del lavoro” del 1996 in cui per la prima volta viene riconosciuto un
ruolo fondamentale all’istruzione ed alla formazione professionale.
Per quanto riguarda i cambiamenti avvenuti all’interno del sistema organizzativo
della Pubblica Amministrazione vorremmo ricordare la Direttiva Frattini del 13
dicembre 2001 ,”Direttiva sulla formazione e la valorizzazione del personale delle
P.A.” che per la prima volta sottolinea la necessità ,per il buon andamento della
P.A.,di una valorizzazione e formazione permanente del personale.(16)
In ambito sanitario si è sempre registrato un forte interesse del personale alla
formazione ,sentita doverosa molto più che in altri campi perché considerata
indispensabile per l’adeguamento delle proprie competenze ad un contesto in
continuo e rapido cambiamento.
Anche l’OMS ha individuato nella formazione il cardine fondamentale per il
miglioramento degli operatori in funzione del perseguimento della salute del
12
cittadino, il quale risulta al centro del concetto della formazione con i suoi bisogni
e le sue aspettative.
Il D.Lgs. 229/99 ha introdotto l’obbligo per tutti gli operatori sanitari di
partecipare a processi di formazione continua con l’obiettivo primario di
promozione dell’efficacia, dell’appropriatezza, della sicurezza e dell’efficienza
dell’assistenza prestata dal Sistema Sanitario Nazionale , e con gli articoli dal 16
bis al 16 sexies interviene in materia di formazione continua ,comprendente
l’aggiornamento professionale inteso come attività successiva al titolo
professionale per adeguare le conoscenze professionali e la formazione
permanente intesa come insieme di attività finalizzate a migliorare le
competenze e le abilità cliniche ,tecniche e manageriali e i comportamenti degli
operatori sanitari al progresso scientifico e tecnologico , anche se già il Dlgs
502/92 era intervenuto in materia di formazione continua definendone le finalità,
i soggetti coinvolti e le modalità di attuazione.
La modifica del titolo V della Costituzione ad opera della Legge Costituzionale n.
3/2001 ha assegnato alle Regioni il compito di programmare e organizzare la
formazione continua ed il 21 dicembre 2001 è stato firmato il primo accordo
nazionale sulle ECM.
La formazione viene quindi riconosciuta come risorsa fondamentale per il
miglioramento dei processi aziendali che determinano le prestazioni da erogare.
Il termine formazione ha due etimologie: la prima derivante dal latino “forma”
che richiama a significati specifici di formazione e la seconda dal greco “morfè”
che riguarda “un modo di essere”.
Da ciò si intravede come il significato di “formarsi autonomo”e “l’essere formati”
siano strettamente correlati.(17)
La formazione è un tipo di attività educativa finalizzata a produrre
apprendimento,quindi il suo obiettivo è produrre sapere,in termini di
promozione,aggiornamento,diffusione,ma anche dei modi di utilizzo del sapere e
rappresenta un punto di incontro tra i bisogni e le potenzialità degli
operatori,quindi il sapere individuale, ed i bisogni e le potenzialità dell’azienda,
cioè il saper fare organizzativo.(18)
Le organizzazioni crescono quando i suoi attori acquisiscono le competenze
individuali e le condividono con il gruppo concretizzando azioni visibili,
chiaramente conseguenti all’apprendimento.(19)
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