6
Stato dell’ordinamento costituzionale italiano ha registrato nel
corso della fine del XX secolo un’evidente accelerazione in
quanto esso rappresentava uno dei cardini principali del
confronto politico. In tutta la prima metà degli anni novanta i
profondi cambiamenti politici e lo spostamento di notevoli
consensi elettorali in particolare nel settentrione d’Italia verso
movimenti federalisti, ha reso pressante, per l’intera classe
politica, la richiesta di maggiori autonomie regionali e locali e
quindi la consequenziale ricezione di idee autonomiste e
federaliste.
Tutto ciò ha favorito il varo, nell’ultimo decennio in
particolare, di riforme legislative e costituzionali di grande
rilievo che sotto il profilo delle competenze amministrative a
costituzione invariata (l. 59/97 e l. 127/97), dell’assetto
organizzativo di governo statutario delle Regioni (l. cost. 1/99 e
2/01) e delle competenze legislative in particolare (l. cost. 3/01)
hanno completamente ridisegnato forme e modalità di
articolazione del potere all’interno dello Stato.
Obiettivo del presente lavoro è quello di analizzare l’assetto
organizzativo di governo delle Regioni, partendo dalla loro
introduzione all’interno della Carta Costituzionale del 1948,
dallo studio dell’alternativo modello di decentramento del
potere statale il “federalismo” al quale fu preferito il modello
“regionale”, dallo studio delle differenze organizzative esistenti
tra le Regioni speciali e le Regioni ordinarie per arrivare
all’analisi dell’assetto del potere regionale prima del 1999 e
studiare, quindi, il mutamento apportato dal legislatore con la
legge cost. 1/99 con cui è intervenuto sulla forma di governo
delle Regioni ordinarie e sulla potestà statutaria di queste,
novellando gli articoli 122, 123 e 126 della Costituzione e la
legge cost. 2/01 con cui ha previsto l’elezione diretta dei
Presidenti delle Regioni a statuto speciale.
Vengono inoltre inseriti interventi della Corte Costituzionale
all’indomani dell’entrata in vigore delle suddette riforme
costituzionali e viene analizzato in particolare l’assetto
organizzativo della Regione Campania, sperando di mettere in
7
luce alcuni spunti problematici attinenti al merito di queste
riforme e al metodo da esse utilizzato per rinnovare l’assetto
regionale.
8
CAPITOLO I
ASPETTI GENERALI
9
§ 1. COSTITUZIONE E REGIONI
1.1 PROFILI STORICI
4
Nell’ aprile del 1945 gli alleati angloamericani e le organizzazioni
partigiane portarono a compimento la liberazione di tutto il territorio
nazionale dai tedeschi occupanti e dagli ultimi fascisti loro alleati. Erano
trascorsi più di vent’anni di dittatura e si era consumata una sconfitta
militare nella più sanguinosa guerra che la storia dell’umanità abbia mai
conosciuto.
Si trattava ora di stabilire le basi del nuovo Stato, di un’Italia diversa in cui
gli stessi valori che avevano ispirato la Resistenza e la lotta contro il
nazifascismo, i valori della democrazia, della libertà, della giustizia e della
solidarietà, fossero posti alla base della nuova società a cui la maggioranza
degli italiani aspirava.
Già con il Patto di Salerno dell’aprile del 1944, stipulato tra il Comitato di
Liberazione Nazionale e la Monarchia, si decise, tra l’altro, di sospendere
la scelta tra la Monarchia e al Repubblica fino alla fine della guerra. Con il
Patto di Salerno si decise anche che, a guerra terminata, gli italiani
avrebbero dovuto eleggere un’Assemblea Costituente con il compito di
redigere una nuova Costituzione. Lo Statuto Albertino non rappresentava
più la reale volontà degli italiani.
Ora la guerra era terminata e la parola alle armi doveva passare alle urne,
ma sia per difficoltà tecniche relative all’apprestamento delle nuove liste
degli elettori, sia a causa di pressioni politiche delle forze più moderate che
temevano nell’immediato dopoguerra una reazione popolare troppo
favorevole alle forze più innovative, dovettero trascorrere ancora tredici
mesi perché si giungesse alle prime elezioni libere attraverso le quali gli
italiani avrebbero dovuto porre le fondamenta delle nuove istituzioni del
Paese.
Dal 1928 il popolo italiano non era stato più chiamato alle urne e
finalmente il 2 giugno del 1946 si celebrarono le elezioni, le prime a
4
Galassi G. – La Costituzione e le vicende politico‐istituzionali italiane dal 1946 al 1994 –
www.liberliber.it
10
suffragio universale. Furono consegnate due schede: una per la scelta fra
Monarchia e Repubblica, il cosiddetto referendum istituzionale, l’altra per
l’elezione dei 556 deputati dell’Assemblea Costituente sulla base di un
sistema elettorale proporzionale a liste concorrenti e collegi elettorali
plurinominali.
Per quasi un secolo, a partire dal 1860 quando fu proclamata l’Unità,
l’Italia era stata una Monarchia sotto la dinastia dei Savoia. Ma già in
epoca risorgimentale era emerso uno spiccato sentimento antimonarchico,
che riemerse con rinnovato vigore in occasione della seconda guerra
mondiale. La compromissione del re Vittorio Emanuele III con il regime
fascista e la responsabilità per il catastrofico coinvolgimento nel conflitto,
infatti, avevano messo gravemente in discussione la permanenza della
Monarchia dei Savoia. Nel tentativo di salvare la Monarchia, poco prima
della consultazione del 2 giugno, Vittorio Emanuele III abdica (9 maggio
1946) in favore del figlio Umberto II. Tuttavia gli esiti del referendum
istituzionale furono favorevoli alla Repubblica. Il 18 giugno 1946 la Corte
di Cassazione, preso atto dei voti espressi ( circa 12 milioni e
settecentomila contro 10 milioni e settecentomila), proclamò ufficialmente
la vittoria della Repubblica. Fu evidente ed imperdonabile per la maggior
parte del popolo italiano la responsabilità politica e morale del Re
nell’ascesa della dittatura e nella guerra. E’ significativa la prima
affermazione contenuta nel primo articolo della futura Costituzione :
“L’Italia è una Repubblica …” a cui corrisponde l’ultima norma, l’art.
139 “La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione
costituzionale” a sottolineare il valore perenne e irrevocabile di quella
scelta popolare.
L’Assemblea Costituente, liberamente eletta, inizia i suoi lavori il 25
giugno 1946 e tre giorni dopo elegge Enrico De Nicola capo provvisorio
dello Stato. Gli esiti dell’elezione dei 556 componenti dell’Assemblea
Costituente che, in rappresentanza del popolo avrebbero elaborato la nuova
Costituzione, furono per lo più favorevoli a quei partiti politici che avevano
combattuto la dittatura e che si erano riorganizzati nel corso della
Resistenza assumendo il ruolo di guida nella lotta armata contro il
nazifascismo. Si trattava principalmente dei tre grandi partiti di massa che
avrebbero caratterizzato anche la vita politica italiana nei decenni
11
successivi all’entrata in vigore della Costituzione: la Democrazia Cristiana,
il Partito Socialista di Unità Proletaria e il Partito Comunista italiano.
I più alti e valorosi nomi della Resistenza italiana, accanto al fior fiore dei
giuristi democratici dell’epoca e di una nuova classe politica che si stava
formando, comparivano tra i Costituenti scelti dagli italiani.
Una Commissione composta da 75 membri rappresentativi di tutta
l’Assemblea ricevette l’incarico di redigere un progetto che avrebbe dovuto
servire da base per la successiva discussione. Dopo circa sei mesi di
attività, la Commissione dei 75 presentò il suo lavoro all ’Assemblea che
nel corso di quasi tutto il 1947 discusse, integrò, modificò, articolo per
articolo, quella prima proposta e finalmente il 22 dicembre dello stesso
anno approvò a larghissima maggioranza il testo definitivo della
Costituzione che successivamente venne promulgato dal Capo provvisorio
dello Stato ed entrò in vigore il primo gennaio 1948.
Essa rappresenta, come la definì un grande giurista antifascista e membro
dell’Assemblea Costituente, Piero Calamandrei, “ il programma politico
della Resistenza ”. Ad essa i Costituenti decisero di imprimere il carattere
della rigidità, collocandola al vertice di tutto l’ordinamento giuridico. Si
tratta di una caratteristica propria di quasi tutte le Costituzioni
democratiche del novecento legata, appunto, al valore di patto
fondamentale tra le diverse forze politiche che esse assumono. I Costituenti
decisero dunque di mettere al riparo gli articoli della Costituzione
repubblicana da eventuali futuri colpi di mano di momentanee maggioranze
politiche, parlamentari e di governo, imprimendo ad essa il carattere della
rigidità. Le regole del gioco e i principi su cui si sarebbe edificato il nuovo
ordinamento non potevano essere toccati se non con un procedimento di
revisione costituzionale, molto più lungo e gravoso del normale
procedimento legislativo e comunque solo con la partecipazione di
larghissimi schieramenti politici.
12
1.2 STATO REGIONALE E STATO FEDERALE
Dunque nella nostra storia costituzionale la scelta della forma di Stato fu
rimessa direttamente al popolo; alla Costituente rimaneva, quindi, da
definire quale forma di governo repubblicana prediligere (parlamentare,
presidenziale o semi-presidenziale), scegliere tra Stato accentrato e
decentrato e soprattutto quale forma riconducibile al secondo tipo
(federalismo o regionalismo).
5
I Costituenti idearono una repubblica parlamentare, in cui, quindi, il
Parlamento è l’unica istituzione a detenere la rappresentanza della volontà
popolare e in quanto tale elegge in modalità differenti sia il Governo che il
Presidente. Quest’ ultimo ha una funzione di garanzia verso le parti
politiche e di rappresentanza dell’unità nazionale, perciò di solito non ha
forti poteri d’influenza politica sulle istituzioni.
Il Parlamento si rapporta col Governo tramite il voto di fiducia, in questo
modo esso ha perennemente il controllo sull’agire dell’esecutivo con la
possibilità di revocarlo e nominarne un altro. Una mozione di sfiducia può
essere presentata in qualsiasi momento da un decimo dei componenti di una
camera e, nel caso il Governo sia sfiduciato, il Presidente della Repubblica
può nominarne un altro o decidere di sciogliere le Camere qualora non
fosse possibile trovare un’altra valida maggioranza parlamentare.
La seconda fondamentale scelta che fecero i Costituenti riguardò la forma
di decentramento del potere statale.
La difesa delle libertà e la partecipazione popolare al nuovo ordinamento
democratico furono le fondamenta su cui poggiare la nascita delle Regioni.
Ma lo stesso risultato si sarebbe potuto ottenere anche optando per la forma
di Stato federale?
6
Il termine “ federalismo ” è relativamente nuovo: nei dizionari francesi e
inglesi dell’Ottocento, infatti, è definito “ neologismo ” . L’espressione,
sebbene non individuabile nella Costituzione americana, nasce negli Stati
Uniti alla fine del Settecento per indicare un assetto istituzionale che
presenta elementi di forte novità sia rispetto allo Stato assoluto
5
Ercolano C. – La forma di Stato tra storia e prospettive – www.ambientediritto.it
6
Ercolano C. – op. cit.
13
(caratterizzato da una notevole centralizzazione del potere), sia rispetto alle
Confederazioni (regolate dalle norme di diritto internazionale). Nello Stato
federale del prototipo statunitense le funzioni pubbliche (legislative,
amministrative, giurisdizionali) sono ripartite tra livelli territoriali di
governo diversi ed inoltre vengono enumerate nella Costituzione le materie
di competenza dello Stato centrale, mentre le residuali restano di
competenza degli Stati membri. In base al riparto di competenze, si
individuano il modello del federalismo anglosassone e del federalismo
europeo. Nel modello anglosassone alcune competenze legislative sono
riservate allo Stato centrale e anche le funzioni amministrative sono
attribuite secondo lo schema di riparto delle competenze legislative. Nel
modello europeo, invece, le funzioni legislative sono in parte di
competenza esclusiva dello Stato centrale, in parte di competenza
concorrente e le funzioni amministrative sono sempre attribuite agli Stati
membri, secondo il modello del federalismo di esecuzione.
7
La
partecipazione degli Stati membri alle funzioni dello Stato centrale può
essere estremamente variegata ( ad es. attraverso le seconde Camere).
Il federalismo previsto nella Costituzione statunitense si basava sul
principio di netta separazione tra Stato centrale e Stati membri.
Nell’evoluzione dallo Stato liberale allo Stato sociale, che si realizza nel
XX secolo, l’accentramento delle decisioni politiche, allo scopo di
garantire il rispetto del principio di uguaglianza sostanziale, richiede un
riassetto dei rapporti tra i livelli territoriali di governo. Tale fenomeno
comporta lo sviluppo del federalismo cooperativo, caratterizzato dal
superamento della netta separazione tra sfere di competenza, accompagnato
da una serie di elementi di riequilibrio, rappresentati dalle forme di
partecipazione degli Stati membri alle decisioni dello Stato centrale.
Negli Stati Uniti, in Canada, in Austria, in Svizzera, il passaggio a questo
tipo di federalismo avviene attraverso emendamenti costituzionali o
attraverso l’azione congiunta del legislatore e dei giudici costituzionali.
Negli Stati che, come la Germania, si sono dotati solo più di recente di un
assetto federale, invece, la Costituzione stessa prevede un modello di
federalismo cooperativo.
8
7
Groppi T. – Lezioni sul federalismo – www.unisi.it
8
Groppi T. – op. cit.
14
Lo Stato regionale nasce dopo lo Stato federale, nel corso del XX secolo,
nella forma di Stato democratico-pluralista. Storicamente, le prime
esperienze di Stato regionale sono quella spagnola ed italiana.
In Spagna la Costituzione della seconda repubblica ha previsto una forma
di Stato regionale. La sua attuazione, tuttavia, è stata bruscamente interrotta
dalla guerra civile, scoppiata durante il processo di istituzione della prima
regione, la Catalogna. Il primo esempio di Stato regionale, pertanto, è
rappresentato dal modello italiano, che si è in seguito diffuso in Spagna, in
Portogallo, sia pure con alcune varianti in Francia, forse in Belgio, nel
Regno Unito, in Polonia.
I caratteri dello Stato regionale, di cui generalmente si parla a contrario
rispetto allo Stato federale, sono sintetizzabili in quattro punti:
1) Le regioni non godono di autonomia costituzionale ma autonomia
statutaria; gli Statuti, quanto all’oggetto, non si occupano di
diritti, quanto ai limiti, sono vincolati dallo Stato centrale.
2) Lo Stato regionale è caratterizzato da una forma di ripartizione
territoriale del potere sulla base di una Costituzione rigida.
Sfugge però a questa definizione la devolution britannica. Non è
prevista una ripartizione su base territoriale della funzione
giurisdizionale (anche in alcuni Stati federali, però, la funzione
giudiziaria è unitaria). Nella Costituzione sono elencate le materie
di competenza delle regioni, mentre quelle residue spettano allo
Stato centrale. Le funzioni amministrative sono di solito
esercitate in base al principio del parallelismo rispetto alla
funzione legislativa.
3) Negli Stati regionali le regioni hanno autonomia impositiva, ma
solo nei limiti in cui quest’ultima è riconosciuta dallo Stato
centrale.
4) Le regioni non partecipano al processo di revisione della
Costituzione, che pertanto non si configura come un patto tra
Stato centrale e regioni.
Si dice che la scelta federalista implica soprattutto un’ adesione culturale al
modello, nonché l’occasione data da una particolare situazione storica
contingente. L’itinerario formativo tipico, comune alla stragrande
15
maggioranza degli Stati federali – ma disatteso in almeno due casi,
Austria e Belgio – prevede, infatti, la preesistenza di più entità sovrane
indipendenti tra loro e in posizione di equiordinazione. Lo stadio finale di
tale evoluzione è il passaggio ad un vero e proprio Stato, con una
conseguente traslazione di sovranità in favore della Federazione, essendo
gli Stati membri ormai soggetti alla prevalenza del diritto federale e agli
interventi autoritari delle autorità centrali.
A ben vedere, ed almeno in via di principio, nel caso dell’Italia ricorrevano
entrambe queste condizioni. L’ idea ottocentesca secondo la quale il modo
migliore di rendere “uno” un Paese diviso è quello di riconoscerne le
diversità, emerge con forza proprio nel periodo costituente, propugnata da
giuristi quali l’Esposito
9
.
L’Unità d’Italia, l’adesione cioè dei vari Stati preunitari all’ordinamento
monarchico-costituzionale piemontese, era, infatti, avvenuta mediante
annessioni. Per lo più sanzionate da votazioni popolari – cosiddetti
plebisciti – esse rivestono talvolta la figura giuridica di Trattati
internazionali e altre di atti interni dichiaranti l’appartenenza al territorio
dello Stato di determinate Province. Qualche autore si spinge fino ad
indicare, nei plebisciti, vere e proprie “risoluzioni votate dal popolo,
sovranità popolare esercitata direttamente dal popolo stesso” una delle
forme storiche da cui lo Stato può avere origine.
10
Questa digressione
storica è necessaria, ai nostri fini, per giustificare l’assunto che l’Italia
avrebbe potuto, legittimamente, nascere come Stato federale. Nel
risorgimento, l’Unità in senso elementare è stata inizialmente concepita da
molte correnti come configurabile su basi federali.
11
Nel processo di federalizzazione degli Stati, l’iniziativa e lo sviluppo dello
stesso processo sono governati direttamente dalle singole entità
preesistenti, che decidono di concedere poteri, fino a perdere sovranità, in
favore del nascente Stato federale.
La discrasia del caso italiano dal modello sta solamente nel fatto che,
all’adesione volontaristica degli Stati preunitari allo Stato unitario che
poteva preludere ad una sopravvivenza di quegli ordinamenti originari, non
9
Esposito D. – Autonomia locale e decentramento amministrativo nella nuova Costituzione – in Riv. Dir.
Pubbl., 1948, 193 ss.
10
Fusinato A. – Annessione – voce in Enciclopedia Giuridica italiana, Milano, Giuffrè, 1892, vol. 1.2.2,
2055 ss.
11
Allegretti U. – Autonomia regionale e unità nazionale – in Le Regioni, 1995, 9‐10
16
seguì la creazione di un nuovo ordinamento costituzionale che avvenne
solo un centinaio di anni dopo. La mancata adesione al modello federale fu
giustificata dalle vicende storiche successive all’Unità; nel tempo è finita
per prevalere una visione anti-unitaria del federalismo, giustificata
dall’assunto che esso avrebbe finito per acuire le differenze sociali e
culturali fra le popolazioni e avrebbe costituito un freno a livello
economico. Si scelse quindi la centralizzazione del potere come unica
possibilità di superamento delle diversità secolari del Paese. Altra
fondamentale caratteristica che viene attribuita agli ordinamenti particolari
come risultato del processo di federalizzazione di uno Stato è la loro
presunta originarietà. Al contrario, il processo di regionalizzazione sarebbe
governato direttamente dallo Stato centrale e l’autonomia sarebbe quindi
concessa dall’ordinamento centrale e non certamente originaria.
Confutabile è certamente il primo punto: il Crisafulli aveva affermato “Non
bisogna confondere l’indiscutibile originarietà che tali ordinamenti
potevano avere prima del sorgere dello Stato federale, con la posizione ad
essi spettante dopo il loro inserimento nell’ordinamento federale
complessivo. L’originarietà esprime un modo d’essere giuridico
dell’ordinamento in quanto esclusivo, autosufficiente e quindi
impenetrabile”.
12
Queste circostanze, come non ricorrono nel caso dello Stato regionale, così
non ricorrono nel caso degli ordinamenti degli Stati membri di Stati
federali.
Ma anche sul processo di regionalizzazione italiano si può avanzare una
diversa considerazione : la formazione delle regioni è avvenuta attraverso
un atto di volontà unilaterale dello Stato, dato confutabile non dal punto di
vista formale ma dal punto di vista sostanziale se si pensa alle Regioni
Speciali.
12
Crisafulli V. – Lezioni di diritto costituzionale – Padova, Cedam, 1970, 71‐72