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comparazione, dalla particolare situazione che presenta il partito
politico nell’ordinamento giuridico italiano.
Per rendere la trattazione non solo descrittiva ma anche critica e
soprattutto per riportarla in un contesto più attuale si è cercato di
analizzare la forma-partito alla “luce” del dibattito sulle riforme
istituzionali da introdurre in Italia.
In che modo?
Riprendendo “temi” ormai consolidati nella politica e nel diritto
angloamericano che sono sempre più presenti nel dibattito politico-
giuridico italiano.
Un dibattito che negli ultimi tempi costituisce un argomento ricorrente,
esso è collegato alla crisi persistente del sistema politico e rivela una
duplice tendenza:
– da un lato evidenzia, nelle sue espressioni più consapevoli,
determinati indirizzi relativi al modello di democrazia che dovrebbe
essere instaurato nel paese;
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– dall’altro è soggetto alle accidentalità e alle contingenze dei
differenti momenti politici.
Ed è proprio questa duplice tendenza che ci ha “spinto” ad analizzare la
forma-partito utilizzando come “cornice” il dibattito sulle riforme
istituzionali.
Così nel I capitolo si analizza la forma-partito nell’ordinamento
giuridico italiano partendo dal dibattito e si nota un quadro
preoccupante; nel II e III viene analizzata la forma-partito
rispettivamente in Gran Bretagna e Stati Uniti d’America, sempre con lo
stesso metodo d’indagine per poi tracciare alcune considerazioni
dall’analisi che ne scaturisce; il IV capitolo, invece, presenta una
diversa analisi: prettamente giuridica e più descrittiva.
Per quanto riguarda la comparazione, in alcune parti viene portata
avanti in modo classico ossia per similitudini e differenze, in altre,
invece, viene utilizzata per formulare delle considerazioni in relazione
6
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alla possibilità o impossibilità di introdurre in Italia le proposte
provenienti dalla politica e dal diritto angloamericano.
Questo lavoro, quindi oltre ad un’analisi descrittiva dei partiti politici
nei tre ordinamenti in base al loro contesto politico-istituzionale, si
caratterizza per il suo carattere in parte anche sperimentale in quanto
vuole dimostrare come il dibattito sulle riforme istituzionali deve partire
dall’origine, ossia dalla valutazione della forma-partito.
Prima di procedere alla trattazione dobbiamo, qui, sottolineare come
questo lavoro non ha alcuna pretesa di completezza, ha solo lo scopo di
analizzare alcuni aspetti della forma-partito in relazione o meglio in
correlazione anche ai “temi” provenienti dal modello angloamericano,
in quanto non basterebbe, forse, una generazione di ricercatori ad
evidenziare in modo completo il complesso contesto in cui operano i
partiti politici e il “chiaroscuro” diritto che li riguarda.
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CAPITOLO I
ALLA RICERCA DEL DIRITTO DEI PARTITI
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PREMESSA
Si è parlato e si continua a parlare in Italia, sempre più insistentemente
di riforme, mutamenti, cambiamenti, adeguamenti, facendovi seguire
vari aggettivi (costituzionali, istituzionali, regolamentari) o
complementi di specificazione (della Costituzione, delle istituzioni, dei
regolamenti). Nel linguaggio politico-giuridico italiano questi
sostantivi, aggettivi e complementi evidenziano una costante comune
ossia la necessità di un cambiamento.
Negli ultimi anni si è allargata e approfondita la discussione sulle
riforme istituzionali.
– Sistema elettorale maggioritario ad un turno solo di tipo britannico per
scoraggiare la frammentazione partitica.
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– Elezione a suffragio universale diretto del Presidente della Repubblica
seguendo l'esempio del semipresidenzialismo francese o del
presidenzialismo americano.
– Riduzione del numero dei parlamentari.
Nell'ormai ampio dibattito sulle riforme istituzionali c'è un grande
assente il partito politico. In effetti, la discussione degli ultimi tempi ha
sottovalutato o comunque investito solo lateralmente il problema della
riforma dei partiti e del suo rapporto con quella generale del sistema.
C'è da chiedersi, come si può arrivare ad un processo riformatore di così
vasta importanza, senza partire dall'origine, senza cioè una riforma che
investa i partiti politici. Per usare in altro modo una "felice" immagine
di Amato
1
(che proponeva anni addietro di far penetrare la democrazia
formale all'interno dei partiti), «nel dibattito sui rami alti e bassi
dell'ordinamento ci si è quasi completamente scordati del tronco che
alimenta gli stessi rami».
1
G. AMATO, Una repubblica da riformare. Il dibattito sulle istituzioni in Italia dal 1975
a oggi, Bologna, Il Mulino, 1980 p. 9.
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Da più parti e da diversi anni, ormai, si avverte l'esigenza di una riforma
che investa la vita interna dei partiti ed il loro collegamento con le
istituzioni. Esigenza, che oggi, è ancora più sentita in quando esiste in
Italia (ma anche negli altri paesi) una crisi dei partiti politici, ad essi si è
imputata l'incapacità di rispondere in modo soddisfacente alle classiche
funzioni di aggregazione, di mediazione, di reclutamento e selezione del
personale politico.
È opportuno, quindi, ipotizzare una regolazione – democratizzazione
interna e controllo statale – dell'ambito partitico inquadrando questa
problematica nell'ambito di quella più vasta della riforma delle
istituzioni. Il tutto senza illuderci di poter trasformare in modo drastico
la natura e la dinamica del nostro ordinamento sull'esempio di altri.
La questione, però, non è di semplice soluzione poiché ogni qual volta
ci si accinge a "fotografare” il soggetto partito politico ci troviamo
dinanzi ad interrogativi non del tutto risoluti.
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Dobbiamo, quindi, partire dall'origine, procedere per fasi e chiederci in
primis: che cosa sono i partiti politici per l'ordinamento? Da quale
diritto sono regolati?
Domande a cui non è facile dare una risposta, poiché se si esamina la
legislazione ordinaria e la giurisprudenza sui vari aspetti dell'attività dei
partiti politici si nota un certo "disordine" e si segnala la carenza di un
filo conduttore nel frammentario diritto che li riguarda.
Alle domande si potrebbe rispondere che sono entità polivalenti, cui si
applicano discipline di carattere sezionale.
I partiti politici sono associazioni composite e diffuse nel paese – che
prescindendo dall'articolo costituzionale che li contempla – sono come è
stato autorevolmente sostenuto
2
alla base dell'ordinamento nella sua
materialità. Nel loro insieme di impongono più quali soggetti – autori
dell'ordinamento, che non quali soggetti costretti dall'ordinamento. In
questo sta tutta la loro specialità o, se si preferisce, il privilegio di fruire
2
Così C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1975, I, 31 ss. Cfr. anche
ZAGREBELSHY, Il sistema costituzionale delle fonti, Torino, 24 ss.
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del diritto più favorevole, che non è più semplicemente il "povero”
diritto comune delle associazioni di fatto
3
invocato negli anni
cinquanta.
3
Nel codice civile italiano esistono due normative di diverso rilievo per le associazioni,
a seconda che queste siano riconosciute o meno come “persone giuridiche”. Il posto d’onore è
occupato dalla disciplina delle associazioni ricosciute (art. 11 ss, che riguardano anche le
fondazioni) mentre alle altre sono rivolte poche e frammentarie norme (art. 36 ss.).
In argomento vedi A.TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, Padova, 1998, voce
“Persona giuridica”.
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1.1 PARTITI POLITICI E DIRITTO IN ITALIA
Nonostante ciò la dottrina, non solo quella civilistica ma anche quella
pubblicistica muove dalla definizione (o dalla constatazione) dei partiti
quali "associazioni di fatto" per individuare conseguentemente, nelle
norme ad esse relative del codice civile
4
l'ordinamento che li regge.
Si tratta – come è noto – di una disciplina che ruota attorno a tre pilastri
fondamentali:
Gli accordi tra gli associati (art. 36 cod. civ.);
Il fondo comune (art. 37 cod. civ.);
La responsabilità (dei rappresentanti) per le obbligazioni assunte in
nome dell'associazione (art. 38 cod. civ.).
Possono valere, poi, in quanto non incompatibili, anche le norme sulle
associazioni riconosciute.
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E del codice di procedura civile (in particolare gli art. 19 u.c. - Foro generale delle
associazioni - e 75 u.c. – capacità processuale –).
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Tale orientamento, è confermato da una giurisprudenza (quasi
cinquantennale) costante, salvo poche eccezioni
5
, che ha costituito la
fisionomia del partito come "associazione di associazioni": un
arcipelago di soggetti di diritto privato completamente autonomi l'uno
dall'altro, seppur legati politicamente.
Un esempio, tra i tanti, di un simile approccio si può ricavare da una
sentenza del 1980 del Pretore di Lecce, il quale in una causa di lavoro si
pronuncia negativamente sulla domanda di un dipendente – presso una
sede periferica – di un partito politico di convenire in giudizio anche il
suo segretario nazionale. Al quale, però non può essere riconosciuta la
legittimazione passiva, proprio perché «tutti i partiti politici si
articolano in un organismo centrale nazionale ed in organismi periferici.
Il primo ed i secondi rappresentano altrettante separate associazioni non
riconosciute, dotate ciascuna di una propria soggettività, seppur
5
Le quali risalgono al periodo immediatamente successivo all’entrata in vigore della
Costituzione in una fase di incertezza costituzionale. Vedi sentenza Trib. di Milano (21
novembre 1947) e sentenza del Pretore di Gela (18 luglio 1949). Pronunce citate nella
Rassegna di Giurisprudenza sui partiti (1945-1982), curata e commentata da G. TROCCOLI , Il
partito politico di fronte allo Stato, pp. 453-456.
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unificate nel perseguimento di una comune linea politica. Se l'indirizzo
politico è unitario, però, non altrettanto può dirsi della responsabilità
giuridica e patrimoniale che rimane distinta e separata»
6
.
Questa giurisprudenza, già al suo primo apparire, fu in qualche modo
idealizzata, da chi la considerava come una garanzia di libertà e di
autonomia degli stessi partiti contro paventate ingerenze o controlli
statali nella loro vita interna
7
. A ben vedere, però, le opinioni dei
giudici erano (e in parte, forse, tuttora sono) dettate da esigenze assai
più contingenti poiché l'applicazione delle norme civilistiche alle
singole articolazioni dei partiti, quali associazioni di fatto autonome le
une dalle altre, permette una più semplice e celere definizione di
contenziosi, anche se non sempre si risolve in una tutela più piena per
terzi
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, i quali possono far valere i propri diritti sul fondo comune
6
Pret. di Lecce, sent. 1824 del 26 marzo 1980 (in centro elettronico di documentazione
della Corte di Cassazione - C.E.D.- Archivio Merito, PD 800287).
7
Vedi conclusione di P.RESCIGNO nel saggio, Sindacati e Partiti nel diritto privato
(1956), in «Persona e Comunità», Bologna 1962.
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Possiamo ricordare tra i tanti casi, una situazione che riguarda i gruppi parlamentari
(che di fatto sono articolazioni dei singoli partiti). Anch’essi, come i partiti, sono considerati
dalla giurisprudenza come associazioni non riconosciute, avendo «una stabile organizzazione
interna e un fondo comune» … che però, si esaurisce con la fine della legislatura. Sicché il
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dell'unità periferica, e, in subordine, sul patrimonio di chi è obbligato
per conto della medesima, ma non sul fondo del partito quale
associazione unitaria.
Dopo l'entrata in vigore delle leggi sul finanziamento pubblico dei
partiti,
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che hanno recepito la realtà storica dell’organizzazione dei
medesimi e non il modello strumentalmente elaborato dalla
giurisprudenza, si pone il problema della compatibilità tra le "nuove"
norme e quelle del codice civile: proprio perché la legislazione sui
contributi dello Stato ai partiti non può semplicemente inquadrarsi nella
categoria delle leggi – provvedimento, poiché la sua portata giuridica è,
in effetti, assai più ampia.
Diversi sono gli elementi che manifestamente si discostano dal modello
giurisprudenziale elaborato, possiamo in questa sede ricordare:
gruppo parlamentare che si ricostituisce in seguito al rinnovo dell’Assemblea legislativa, non
dovrebbe essere obbligato per i debiti contratti dal precedente gruppo parlamentare. Tale
ragionamento si ricava da una sentenza della Corte di Appello di Roma, 9 marzo 1967, in
«Foro it. 1968, II, 1369».
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La prima legge è la L. 195/1974, la quale è stata successivamente integrata e
modificata dalle leggi: 16 gennaio 1978 n. 11; 8 agosto 1980 n. 422; 18 novembre 1981 n.
659; 27 gennaio 1982 n. 22. La legge che attualmente disciplina il finanziamento pubblico ai
partiti è la legge 2 gennaio 1997 n. 2, che ha sostituito, in parte, la L. 195/1974.
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1. L’unità non solo politica, ma anche amministrativa e patrimoniale del
partito, quando questo partecipa alle competizioni elettorali anche per
la formazione dei consigli regionali. È lo Stato che eroga pure in
queste occasioni agli organi nazionali delle forze politiche un
contributo finanziario a titolo di rimborso delle spese elettorali
sostenute
10
.
2. La complessità del patrimonio del partito, in quanto proprietario di
immobili,
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titolare di imprese e beneficiario di redditi comunque
derivanti da attività economiche
12
.
3. La sostanziale unicità del fondo comune, dove per la quasi totalità dei
partiti, non meno del 70/80% delle somme che affluiscono nel fondo
comune di ciscuna associazione periferica è costituito dai
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La L. 2 gennaio 1997, n. 2 ha eliminato il finanziamento annuale previsto dalla
preesistente L. 195/1974 (cd. legge Piccoli) mentre ha conservato il finanziamento
straordinario corrisposto dal Presidente della Camera ai segretari dei partiti in occasione delle
consultazioni elettorali.
11
L’art. 17 del cod. civ. dispone che «la persona giudicata non può acquistare beni
immobili senza l’autorizzazione governativa», la quale non viene concessa alle associazioni
di fatto.
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L’acquisizione di questi beni, mobili, non è soggetta ad alcuna autorizzazione. Sul
punto si rinvia all’analisi di G. PACIFICI, Il costo della democrazia, Roma, 1983, pp. 66 ss.