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INTRODUZIONE
l presente lavoro prende spunto innanzitutto dall’esigenza di
coniugare un background di conoscenze accademiche derivate dalla
Laurea in Psicologia con gli spunti derivati dal percorso triennale in
Naturopatia.
La trattazione ruoterà intorno all’analisi del concetto cruciale di “stress”
affrontata a livello teorico principalmente attraverso i già citati contributi di
Psicologia e Naturopatia, ma anche delle discipline della Medicina allopatica e
della P.N.E.I. (Psico-Neuro-Endocrino-Immunologia), contributi tratti da
opportune fonti documentali sia di natura informatica che di natura meramente
bibliografica.
Il lavoro è motivato inoltre da una seconda esigenza che è quella di
chiarire nel miglior modo possibile un concetto, quello di stress appunto,
diventato sempre più “pubblico”, popolare, ma dai contorni sfumati ed a volte
indefiniti.
Nella società attuale, complice anche l’informazione trasmessa dai mass-
media è pressoché diffusa la convinzione che lo stress sia assolutamente
dannoso per il nostro organismo, e che si debbano, pertanto, evitare le
situazioni stressanti.
Il termine stress viene ripreso anche in ambito medico/scientifico come
causa o concausa di una serie di disturbi, e quindi rimbalza da una sede
all’altra, da un ambiente all’altro, diventando pervasivo e soprattutto carico di
una forte connotazione negativa (distress).
Pur se in parte vere, tali affermazioni non lo sono fino in fondo poiché,
contrariamente all’opinione generale diffusasi, alcune situazioni stressanti sono
benefiche (eustress-eu dal greco “buono, bello”) e necessarie alla vita di tutti i
giorni, in quanto ci permettono di migliorare le nostre prestazioni e di
raggiungere determinati obiettivi.
Anche a livello letterale inoltre, l’accezione negativa data al termine non
è esatta, in quanto il significato originario di stress è “spinta”, “pressione”, e
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rappresenta la risposta che il nostro organismo fornisce a determinati stimoli
esterni di particolare intensità. Quando parliamo dunque dell’effetto benefico
dello stress, il cosiddetto eustress, ciò che percepiamo è una spinta interna che
ci permette di incrementare le nostre performance in modo da poter risolvere un
problema, aggirare un ostacolo, raggiungere uno scopo.
A rendere popolare il termine stress furono le prime ricerche condotte da
un medico e scienziato austriaco, Hans Selye, che nel 1936 diede la definizione
di sindrome di adattamento generale (GAS) per indicare la reazione biologica
ad uno stress fisico intenso e prolungato, e soprattutto utilizzò per primo il
termine.
Le ricerche di Selye furono a loro volta influenzate da quelle di Walter
Cannon, fisiologo americano, precursore degli studi su fame e sazietà, che pur
non utilizzando il termine stress, descrisse la risposta “flight or fly”, ovvero “lotta
o fuga”.
Si tratta di una valutazione rapida e primitiva di una minaccia nei
confronti dell’organismo, che ha come immediata conseguenza l’attivazione del
sistema nervoso autonomo, che a sua volta innesca un comportamento atto a
fronteggiare la situazione con la fuga o con un ulteriore azione utile a far fronte
al pericolo. Lo stesso autore introdusse il termine “omeostasi” per designare
l’organizzazione delle risposte automatiche volte a mantenere la stabilità
dinamica dell’organismo.
Gli stimoli considerati fattori di stress possono essere molteplici, ma
soprattutto è importante considerare che non tutte le persone reagiscono allo
stesso modo di fronte ad un evento stressante.
Le strategie di “coping”, ovvero di “fronteggiamento” utilizzate, possono
essere diverse, e a tal proposito, Lazarus e collaboratori hanno proposto
differenti strategie di reazione. Una strategia di reazione focalizzata sul
problema ed una strategia di reazione focalizzata sull’emozione, in cui
l’individuo cerca di risolvere il problema distogliendo la mente da esso,
rilassandosi e cercando conforto negli altri. L’uso di strategie focalizzate
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sull’evitamento aumenta la probabilità di subire gli effetti fisici e psicologici dello
stress.
Questa ed altre teorie fisiologiche e psicologiche verranno approfondite
nel corso del primo capitolo, in modo da dare un quadro il più ampio ed
esaustivo possibile alla tematica e fornire uno spunto di riflessione sulle
motivazioni che portano le persone a rivolgersi a terapeuti, anche di diversa
estrazione, per la risoluzione del loro disagio.
In questo contesto la floriterapia, branca forse ad oggi ancora emergente
della medicina naturale, si inserisce perfettamente nella gestione delle
problematiche inerenti lo stress psicosomatico della vita moderna.
Le indicazioni terapeutiche della floriterapia sono infatti sicuramente ed in
prima istanza, indicazioni volte ad attenuare lo stress ed il disagio emotivo. I
rimedi sono molto consigliati per il grave affaticamento dovuto al sostenere ritmi
di vita troppo elevati, per la depressione, per l’insonnia, per i disturbi
psicosomatici.
Nel corso del secondo capitolo si descriveranno le azioni delle singole
essenze e delle principali sinergie dei Rimedi del fondatore della floriterapia, il
medico inglese Edward Bach e di uno dei suoi discepoli contemporanei, Ian
White, naturopata e floriterapeuta australiano, nonché scopritore degli
Australian Bush Flowers Essences.
Si approfondirà inoltre il più generale concetto di azione “vibrazionale”dei
rimedi floreali, sintetizzabile utilizzando una metafora musicale: quando si é in
salute ogni piccola parte di noi vibra in maniera armonica; quando invece
subiamo un trauma é come se si creasse una disarmonia.
I benefici di cui Bach parla, benefici che sono poi stati ripresi dai suoi
successori, sono ottenibili in quanto i fiori agiscono ripristinando le giuste
vibrazioni e creando armonia interiore, ovvero riconciliando tre “sistemi”
esistenti in ogni essere umano, che sono mente, corpo e spirito.
In Naturopatia (e non solo) la salute ed il benessere dell’uomo derivano
proprio dal bilanciamento di questi tre piani funzionali; una qualsiasi alterazione
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ad uno qualunque di questi livelli avrà inevitabilmente ripercussioni sugli altri
due.
I rimedi floreali, come tutti gli altri rimedi naturopatici, non curano
direttamente le malattie, ma esercitano un’azione più profonda e globale,
ripristinando una condizione di equilibrio.
Conclusi i primi due capitoli, di natura strettamente teorica, nel terzo
capitolo proverò a delineare come i concetti sopra esposti si applicano nella
pratica, riportando le storie di tre donne, dei loro disagi e della loro assunzione
dei rimedi floreali.
Ho scelto di lavorare per questa tesi con le donne per spirito di solidarietà
e vicinanza di genere, ma anche perché le donne sono più predisposte al
riconoscimento della loro sfera emotiva e delle problematiche a essa connesse.
La vita di ogni donna è inoltre caratterizzata da numerosi periodi di grandi
cambiamenti, sia fisici che emozionali, che possono dare luogo a frustrazioni,
mancanza di autostima e difficoltà di gestione della quotidianità.
Alcune forme di stress “al femminile” si rivelano di natura strettamente
mentale ed emotiva, mentre altre forme si esprimono anche a livello somatico.
Ecco che allora l’utilizzo combinato di essenze floreali di Bach ed
essenze australiane potrà supportarle in maniera più decisa sui due livelli di
manifestazione dello stress.
E’ utile inoltre precisare che nel corso della trattazione si farà riferimento
alla prescrizione personale degli stessi rimedi, ovvero al caso in cui la scelta
dell’essenza più indicata avvenga insieme al cliente, nel corso di uno o più
colloqui, con la massima apertura all’ascolto ed alla comprensione, supportati
eventualmente dalla somministrazione del questionario di M. Scheffer per la
scelta dei fiori per quanto riguarda il repertorio di Bach.
Nel capitolo finale si cercherà di fornire una sintesi dei casi proposti e
degli effetti positivi dei rimedi suggeriti nel trattare tre percezioni diverse dell’
elemento “stress” da parte di tre categorie di donne diverse, prospettando
contributi di tecniche complementari utili ad una reale comprensione olistica del
fenomeno.
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“Non bisogna cercare di
guarire il corpo, senza cercare
di guarire l’Anima”
Platone
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CAPITOLO 1
LO STRESS – ASPETTI NEUROVEGETATIVI E PSICOSOMATICI
1.1 Cenni storici sulla nascita del concetto di stress
I primi studi su quello che oggi viene
comunemente definito stress, analizzato da una
prospettiva fisiologica, risalgono al 1914, anno
in cui il fisiologo Cannon intraprese una serie di
esperimenti, influenzato dalle ricerche del suo
collega francese Claude Bernarde.
Cannon iniziò le sue ricerche nel 1896
servendosi dei raggi X per osservare il processo
di digestione nelle cavie. Nel corso di questi
esperimenti Cannon rilevò che in un animale sottoposto a “stress”, il processo
digestivo si interrompeva; questo fenomeno gli suggerì alcune ipotesi sulle
risposte con le quali l’organismo reagisce a situazioni come la paura, il pericolo,
il dolore, risposte che possono essere di attacco o di fuga (fight or flight).
Alcuni importanti assunti della teoria di Cannon rimarranno come punti
fondamentali per la ricerca futura.
In primo luogo, quando l’equilibrio interno dell’organismo è minacciato da
un evento ambientale, l’organismo si attiva per prepararsi alla reazione (lotta o
fuga). Questa attivazione, chiamata “reazione d’emergenza”, si basa soprattutto
sull’intervento delle catecolamine (adrenalina e noradrenalina, ormoni prodotti
dalla parte midollare delle ghiandole surrenali) e si sviluppa attraverso una serie
di modificazioni fisiologiche funzionali alla reazione “attacco o fuga”, che quindi
risulta essere una risposta adattiva dell’organismo all’ambiente.
Un secondo assunto importante della teoria di Cannon è che l’organismo
minacciato tenderà a ristabilire la propria omeostasi, attraverso nuove
modificazioni fisiologiche oppure reazioni comportamentali (Cannon, 1920).
Immagine tratta da google.it
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Le ricerche di Cannon lo condussero a formulare anche una teoria delle
emozioni e della loro importanza rispetto alla risposta individuale, anche se la
sua teoria rimase prevalentemente fedele ad una visione biologico-
evoluzionistica.
Dalla stessa prospettiva legata ad aspetti bio-fisiologici muovono le
riflessioni di Hans Selye, scienziato ed endocrinologo canadese, attraverso cui
il concetto di stress ma anche lo stesso termine sono entrati ufficialmente nella
terminologia del mondo scientifico.
Nel 1936 diede la definizione di Sindrome Generale di Adattamento
(GAS), per indicare la reazione biologica aspecifica ad uno o più eventi
stressanti, che possono essere di varia natura (fisica, chimica, biologica,
emotiva).
A tale definizione Selye giunse notando che, nel corso di alcuni
esperimenti di laboratorio sui ratti, i ratti a cui venivano inoculati estratti ovarici
mostravano a livello anatomo-patologico gli stessi sintomi (iperplasia ed
ipertrofia del timo, atrofia della corticale del surrene, ulcere gastriche e
duodenali…) presenti in ratti di controllo a cui veniva iniettata semplice
soluzione fisiologica.
Da ciò dedusse che non era la sostanza in sé a determinare i sintomi
osservati, ma l’azione di iniezione e le frequenti manipolazioni cui i topi erano
sottoposti.
Aveva così introdotto il concetto di stress che inizialmente non
possedeva un’accezione negativa, rappresentando semplicemente la risposta
dell’organismo di fronte ad un evento. Solo successivamente distinse lo stress
negativo da quello positivo.
Il modello di Selye prevedeva la suddivisione in tre fasi:
1) Una fase di allarme , in cui l’individuo riconosce il pericolo insito nello
stimolo, sostenuta da attivazioni neurovegetative in cui la secrezione
delle principali catecolamine, adrenalina e noradrenalina, permette una
rapida reazione del sistema nervoso autonomo. In questo primo stadio,
lo stimolo induce cambiamenti di tipo biologico ed ormonale. La fase di
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allarme è contraddistinta da due momenti diametralmente opposti:
lo shock, in cui si registra la caduta al di sotto del livello fisiologico di
funzionamento dell’organismo ed il controshock, momento reattivo
attivato e sostenuto dal sistema neurovegetativo. Questa prima fase è
immediata, ma estremamente labile, poiché le catecolamine, frutto delle
attivazioni neurovegetative, sono rapidamente scisse.
2) Una fase di resistenza, che si rende necessaria soprattutto nel caso ci
si trovi dinanzi a stress prolungati nel tempo, nella quale il soggetto
stabilizza le sue condizioni adattandosi alle nuove richieste e riducendo
le difese verso altri stimoli. Questo secondo momento ha una durata
maggiore della fase di allarme, essendo sostenuta da fenomeni
endocrini;
3) Una fase di esaurimento, nella quale vengono meno sia le difese che
la capacità di adattamento. L’individuo sottoposto a stress prolungati può
sperimentare squilibri funzionali, nevrosi vegetative ed alterazioni
strutturali.
L’autore in esame caratterizzò la risposta dell’organismo ad eventi
esterni e negativi come una particolare attivazione delle ghiandole surrenali
che, in particolari circostanze, aumentano la secrezione di ormoni quali il
cortisolo e l’adrenalina, ribattezzati, non a caso, ormoni dello stress.
Ipotizzò, cioè, che un insieme di stressors, vale a dire di agenti stressanti
di varia natura, potessero provocare in modo aspecifico la sindrome generale di
adattamento, causando l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene ed il
conseguente aumento di ormoni nel circolo ematico, la cui produzione è
controllata dall’ACTH, un ormone secreto dal lobo anteriore dell’ipofisi, la cui
funzione specifica consiste nello stimolare la secrezione di numerosi altri
ormoni da parte delle ghiandole surrenali corticali (v. paragrafo successivo).
Per Selye, lo stress non è necessariamente una condizione patologica,
ma è piuttosto uno stimolo fisiologico normale ed in quanto tale, la reazione ad
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esso può essere utile anche nel caso in cui l’azione dello stressor è tanto
prolungata ed intensa, da poter potenzialmente trasformarsi in malattia. Lo
stress assume, dunque, una valenza duplice: sul breve termine, produce
variazioni adattive, mentre sul lungo termine, può essere causa di variazioni
antiadattive.
Fig. 1.1: Schematizzazione del modello dello stress secondo Selye
1.2 Lo stress dal punto di vista neuroendocrino
Selye non aveva a disposizione strumenti molto sofisticati per definire e
misurare gli effetti dello stress sull’organismo, ma anche solo osservando le
modificazioni più evidenti (macroscopiche) degli organi di animali sottoposti a
stress aveva individuato nel sistema endocrino il maggiore attore e agente dello
stress.
Selye aveva osservato un aumento del volume delle ghiandole surrenali,
produttrici di ormoni steroidei come il cortisolo, e una diminuzione delle
dimensioni e della funzione (atrofia) delle gonadi.
La visione più classica e consolidata della risposta dell’organismo allo
stress ruota intorno all’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene.
Secondo questo schema l’ipotalamo, stimolato dalla corteccia, in
condizioni di stress sintetizza e libera un fattore denominato CRH (Corticotropin
Releasing Hormone) che attraverso il sangue raggiunge la ghiandola ipofisi,
Stimoli
fisici
Stimoli
chimici
Stimoli
biologici
Altri
stimoli
Organismo
Attivazione
biologica
aspecifica
STRESS
(Sindrome
Generale di
Adattamento)
Adattamento
Adattamento
mancato
(malattia)