XII
all’Unione Europea, al fine di meglio caratterizzare il mercato del lavoro nazionale.
Nell’ultima parte del capitolo si cercherà di rispondere all’interrogativo relativo al grado di
flessibilità del mercato del lavoro, quantificandolo attraverso l’analisi di quattro indicatori:
lavoro autonomo, rotazione dei lavoratori, ammortizzatori sociali e volatilità
dell’occupazione.
Nel secondo capitolo viene trattato il concetto di flessibilità. All’inizio si descrivono,
sommariamente, le tipologie di lavoro flessibile (temporale, salariale, funzionale, produttiva,
numerica) e successivamente si identificano le diverse forme contrattuali flessibili. In seguito,
si analizzerà in particolare il concetto di flessibilità salariale, ponendo particolare attenzione
soprattutto sui contratti a causa mista (formazione e lavoro e apprendistato) e sugli strumenti
di flessibilità che concorrono a ridurre il costo del lavoro attraverso sgravi contributivi e
incentivi alle imprese; il concetto di flessibilità interna, che sarà approfondito attraverso lo
studio delle cosiddette, new work practices, e dei loro effetti sui mercati del lavoro interni;ed,
infine, verrà posta l’attenzione sulle forme contrattuali che consentono una flessibilità
dell’orario di lavoro ( il contratto di part-time, il job sharing, e le più importanti forme di
lavoro ad orari flessibili come il lavoro straordinario e il lavoro a turni).
Nel terzo capitolo si descrivono le strategie di flessibilità produttiva più utilizzate dalle
aziende (staff leasing e outsourcing) per sopperire alle difficoltà legate ai repentini
cambiamenti del mercato dei beni e viene infine introdotto il concetto di flessibilità in uscita
nel mercato del lavoro italiano.
Nel quarto capitolo, invece, si esaminano le caratteristiche delle richieste di flessibilità che
provengono dall’offerta di lavoro, con particolare riguardo alla posizione delle donne, dei
giovani e degli anziani In particolare si andranno ad esaminare eventuali segmentazioni
occupazionali provocate dall’introduzione dei contratti flessibili.
Nel quinto, e ultimo, capitolo, sono evidenziati i rischi e i problemi sorti, sia per i lavoratori
che per i datori di lavoro, a seguito dell’introduzione della diffusione di rapporti di lavoro
flessibile, con particolare attenzione al concetto di precarietà.
1
CAPITOLO 1: Il mercato del lavoro italiano: caratteristiche e peculiarità
1. Premessa: Una visione d’insieme del mercato del lavoro italiano
Gli anni novanta sono stati cruciali per il mercato del lavoro italiano, che per oltre 40
anni si è fondato su criteri “garantisti - familisti”, per storiche ragioni socio-culturali. La crisi,
nell’ultimo trimestre del 1992, fece però crollare i primi paletti.
L’Italia che aveva meglio cercato di resistere allo shock petrolifero del ’73 con una
perdita di 300 mila posti di lavoro, vent’anni dopo si ritrova a dover lasciare a casa più di 700
mila persone in due anni.
Per molto tempo, infatti, il nostro paese è stato caratterizzato da un tasso di
disoccupazione composto prevalentemente da persone giovani in cerca di prima occupazione
e secondariamente da persone adulte che avevano perso il lavoro. Il tasso di occupazione, al
contrario, era molto alto per le persone avanti con l’età. In tal modo l’onere di sostenere la
disoccupazione si spostava dalla società al nucleo familiare che, grazie all’occupazione
duratura del capo-famiglia, poteva sopportare il peso della inoccupazione diffusa dei giovani
ed il loro tardo ingresso nel mondo del lavoro che veniva visto come una tappa provvisoria
prima di ottenere un lavoro a tempo indeterminato, sicuro e garantito.
Questo modello influenzava il comportamento della società, a cominciare dall’istruzione. Le
famiglie cercavano di investire nel futuro dei figli, per assicurare loro un titolo di studio in
grado di portare la probabilità di occupazione al cento per cento e la stessa formazione
lavorativa avveniva on the job, attraverso la trasmissione delle competenze e dell’esperienza
da parte degli adulti.
In tale contesto socio-economico si sono inseriti i primi provvedimenti per
flessibilizzare il mercato del lavoro come la riforma dei Servizi per l’impiego (SPI) nel
1997
3
, con la quale è stato affidato alle Regioni e agli enti locali il compito di provvedere
all’organizzazione dei sistemi regionali per l’impiego e delle politiche attive per il lavoro,
riservando allo Stato un ruolo di indirizzo, promozione e coordinamento. Questo processo ha
permesso di superare il vecchio sistema improntato sulla semplice erogazione di servizi di
tipo amministrativo che risultava poco efficace nel facilitare, anche attraverso strumenti attivi
di promozione dell’occupazione, l'incontro tra domanda e offerta
4
.
3
Legge 24 giugno 1997, n. 196, Norme in materia di promozione dell'occupazione, anche detta “pacchetto
Treu”.
4
Le nuove strutture, denominate Centri per l'impiego (CPI) e affidate alla gestione delle Province, sono chiamate
ad un nuovo ruolo di azione sul territorio e hanno la finalità di portare a pieno regime la funzionalità di tutti i
servizi entro il 2006. Non solo le regioni ma anche le province ed i comuni vengono chiamati ad intervenire
2
Con la legge 30 del 2003 ed il successivo decreto (D. Lgs. n. 276/2003
5
) sono state introdotte
novità importanti, che permettono ai servizi per il lavoro italiani di raggiungere lo standard
richiesto dall’unione europea grazie all’entrata di nuovi operatori pubblici e privati che
“privatizzano” il mercato del collocamento e del lavoro.
La suddetta legge stabilisce, in particolare, una nuova forma per le Agenzie per il lavoro
6
,
quali soggetti pubblici o privati che possono operare per la gestione e somministrazione di
lavoro nelle diverse modalità contrattuali prevista dalla normativa. Le Agenzie per il lavoro si
differenziano in base all’attività svolta che può essere di somministrazione di lavoro,
intermediazione, ricerca e selezione del personale, supporto alla ricollocazione professionale.
Per quanto riguarda le agenzie di somministrazione di lavoro, la nuova normativa (dlg.
276/2003) ha “eliminato” le agenzie per il lavoro interinale, che erano state introdotte dalla
legge Treu, quali soggetti dediti alla fornitura di lavoro a terzi attraverso contratti di lavoro
interinale, e quindi a tempo determinato, assorbendole a pieno titolo nelle agenzie di
somministrazione. La loro attività sarà quella di assumere direttamente lavoratori che saranno
poi messi a disposizione di soggetti terzi detti utilizzatori, (ora sia a tempo determinato che a
tempo indeterminato) che avranno il potere di stabilire le direttive per lo svolgimento della
loro attività. In concreto i lavoratori verranno pagati dall’agenzia del lavoro, che si assumerà
la responsabilità della prestazione offerta, ma allo stesso tempo lavoreranno presso un
soggetto terzo per il quale dovranno svolgere le loro mansioni.
Le agenzie di intermediazione svolgono il ruolo di intermediario tra domanda e offerta per
favorire l’inserimento nel mondo del lavoro delle persone in cerca di occupazione o già
occupate, rivolgendosi anche a persone disabili e lavoratori svantaggiati. Oltre alla raccolta
dei curricula e alla costruzione di banche dati, l’operazione di intermediazione viene facilitata
dalla progettazione e la somministrazione di attività formative specifiche finalizzate alla
riduzione del gap tra capacità richieste e quelle effettive dei lavoratori.
Le agenzie di selezione svolgono l’annoso lavoro di selezione e ricerca del personale.
Spesso, infatti, le aziende preferiscono delegare alla agenzie di selezione l’opera di ricerca
nell’ambito dei CPI integrandone le funzioni ed i compiti organizzando una molteplicità di servizi; in particolare:
l’istituzione di punti informativi in autoconsultazione, sportelli polifunzionali di prima informazione, uffici per
l'assistenza al cittadino, articolazioni decentrate ecc.
Dopo il 1997, numerosi sono stati gli interventi legislativi che hanno introdotto nuovi elementi nel sistema, sia
innovando servizi preesistenti, sia creandone di nuovi, sia aumentandone la competitività attraverso il contributo
dell’attività di operatori privati.
5
Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276, Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato
del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30.
6
Le agenzie del lavoro erano già state introdotte dal dlg. 196/1997 (pacchetto Treu), che disciplinava però le
sole agenzie per il lavoro interinale. Il nuovo decreto dlg. 276/2003 permette alle agenzie del lavoro di svolgere
anche altre attività quali la selezione, il supporto e l ricollocazione
3
delle candidature più idonee, la valutazione dei candidati, l’eventuale formazione e
l’assistenze durante il primo periodo di lavoro
L’ultimo tipo di agenzia è quella per il supporto alla ricollocazione del personale. Esse
procurano un nuova occupazione al personale che l’azienda committente ha deciso, anche
sulla base di accordi sindacali, di ricollocare. La loro attività è di preparare, formare e
affiancare il lavoratore nel suo nuovo lavoro.
Viene, inoltre, attivata la Borsa continua nazionale del lavoro. Essa è un sistema informatico
nazionale, articolato in un sistema centrale e in diversi sistemi periferici e regionali e
accessibile liberamente
7
da parte di tutti i lavoratori. Essa operando sia a livello nazionale sia
ragionale, definisce gli standard tecnici e gestisce il flusso delle informazioni in modo da
facilitare e permettere l’incontro tra domanda e offerta di lavoro
8
.
La normativa permette inoltre anche ad altri operatori, al di là di quelli già citati, di svolgere
attività di intermediazione
9
. Questi soggetti pubblici o privati vanno ad aumentare la
competitività in un settore fino ad un decennio fa monopolizzato dallo stato, accrescendo
l’offerta di servizi sia per le imprese sia per i lavoratori. La rete di servizi che si sta
sviluppando non svolge solo la funzione di collocamento, ma integra questa attività con quella
di formazione e orientamento lavorativo, offrendo un servizio sempre più personalizzato.
A questi provvedimenti, che hanno avuto come primo risultato una riduzione della
componente giovanile disoccupata e l’incremento dell’occupazione femminile, si è attribuita
la crescita dell’occupazione iniziata nel 1997, che ha visto sempre più aumentare la quota dei
lavoratori temporanei nei confronti di quelli stabili (fig. 1.1)
7
Come specifica il decreto 276/2003 all’art. 15, il sistema è liberamente accessibile da: cittadini occupati e
disoccupati che possono aderire ad offerte specifiche e inserire direttamente e senza necessità di intermediari la
propria candidatura; imprese o datori di lavoro che possono pubblicare direttamente la propria richiesta di
personale; operatori pubblici o privati autorizzati o accreditati che hanno l'obbligo di conferire i dati acquisiti in
base alle indicazioni dei lavoratori e delle imprese
8
la legge 30 prevede inoltre un unico regime autorizzativo per gli operatori pubblici e privati che intendono
svolgere le attività di somministrazione di lavoro, nelle diverse modalità previste (vedi sopra);e la promozione
della rete e del coordinamento tra i soggetti pubblici e privati che operano sul mercato del lavoro;
9
essi sono i comuni, le camere di commercio, gli istituti di scuola secondaria di secondo grado, statale e
paritaria, le associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro firmatarie di contratti collettivi nazionali di
lavoro, le associazioni in possesso di riconoscimento istituzionale di rilevanza nazionale e aventi come oggetto
sociale la tutela e l'assistenza delle attività imprenditoriali, gli enti bilaterali, la fondazione o altro soggetto
giuridico appositamente costituito dall'Ordine nazionale dei consulenti del lavoro
4
Fig. 1.1: Lavoro Stabile e lavoro Temporaneo in Italia - Periodo 1993-2001
12200
12400
12600
12800
13000
13200
13400
13600
13800
14000
14200
1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001
m
g
l
.
d
i
u
n
i
t
à
500
700
900
1100
1300
1500
1700
1900
2100
2300
2500
lavoro stabile
lavoro temporaneo
Fonte: CNEL Rapporto sul mercato del lavoro 1997-2001
Il CNEL fa notare
10
che “il lavoro temporaneo già cresceva per suo conto, quando ancora
l’occupazione stabile crollava e non c’era l’ombra di provvedimenti in materia. (…) si ha
l’impressione che il lavoro temporaneo sarebbe cresciuto comunque, aggirando i divieti o
sfruttando in modo più intensivo la normativa esistente, come è accaduto per i contratti di
collaborazione continuativa”.
2. Il mercato del lavoro italiano: alcuni dati aggregati
Nell’ultimo trimestre del 2004
11
la forza lavoro
12
italiana consisteva in 26 648 000 unità con
un aumento dello 0,7 per cento rispetto al 2003.
Con riferimento alla popolazione in età lavorativa (15-64) il tasso di attività
13
si è attestato al
63,1 per cento con una riduzione di due decimi di punto percentuale rispetto al 2003 . Si
registra inoltre una crescita nel Nord-Ovest di due decimi di punto, controbilanciata dalla
diminuzione nel Sud e del Nord Est. Da evidenziare poi la scarsa percentuale delle donne
attive nel mezzogiorno, pari al 39,2 per cento, nettamente inferiore a quelle del Nord o del
Centro, rispettivamente 56,5 e 58,9 per cento. (tab 1.2)
Tab. 1.2 : tassi di attività 15-64 anni di età in Italia Ripartizione geografica e per sesso
Ripartizioni geografiche Maschi e Femmine Maschi Femmine
Totale 63,1 74,8 51,3
Nord 68,4 77,7 58,9
Nord-ovest 68,2 77,5 58,8
Nord-est 68,6 77,9 59,1
10
Cfr CNEL “Rapporto sul Mercato del Lavoro 1997-2001” 2002
11
fonte dati ISTAT www.istat.it nome file seriestoriche.zip
12
la forza lavoro viene definita come l’insieme delle persone occupate e quelle disoccupate.
13
Il tasso di attività viene definito come il rapporto tra le persone appartenenti alle forze di lavoro e la
corrispondente popolazione di riferimento.
Scala lavoro temporaneo Scala lavoro stabile
5
Centro 65,9 75,6 56,5
Mezzogiorno 54,8 70,7 39,2
Fonte: Istat “Rilevazione sulle forze lavoro IV trim 2004”
Il tasso di attività italiano risulta però uno dei più bassi d’Europa dove la media è del 69,0 per
cento. Ciò può essere dovuto, secondo alcune interpretazioni ottimistiche, al miglioramento
generalizzato del tenore di vita o all’aumento del numero degli iscritti all’università e di
conseguenza alla procrastinazione dell’età della prima occupazione. Le visioni pessimistiche,
invece, reputano cause principali la presenza del fenomeno dell’economia sommersa e la poca
rappresentanza della popolazione femminile soprattutto nel Sud.
Il mercato del lavoro italiano è inoltre da sempre definito rigido. Causa di ciò sembra essere
l’eccessivo grado di rigidità e regolamentazione legislativa che imbriglia il lavoro in un
sistema di lacci e laccioli.
14
Molti economisti hanno puntato il dito su questo fattore strutturale al fine di dare una
spiegazione ad un tasso di disoccupazione, dell’8,2 per cento nell’ultimo trimestre del 2004,
che non si scosta molto dal dato europeo
15
, pari all’8,01
16
per cento, ma si distingue per la
sperequata distribuzione interna e per la stretta connessione con la crescita dell’economia
sommersa. (tab.1.3)
Tab. 1.3: tassi di disoccupazione europea, ripartiti per sesso. EU -2004
Maschi e
Femmine
Maschi Femmine Nazione
Maschi e
Femmine
Maschi Femmine
eu15 8.1 7.1 9.3
Eurozone 8.9 7.6 10.5 Nederland 4.6 4.3 4.8
Belgium 7.8 7.0 8.8 Austria 4.8 4.4 5.4
Chzech Rep 8.3 7.1 9.9 Poland 18.8 18.0 19.7
Denmark 5.4 5.1 5.6 Finland 8.8 8.7 8.9
Germany 9.3 8.7 10.5 Se 6.3 6.5 6.1
Ee 9.2 10.3 8.1 U.K. 4.7 5.1 4.2
Greece 10.5 6.6 16.2 Romania 7.1 8.2 5.9
Spain 11.0 8.1 15.0 Norway 4.4 4.8 4.0
France 9.7 8.8 10.7 Latvia 9.8 9.2 10.3
Italy 8.2 6.6 10.6 Lithuania 10.8 10.3 11.3
Luxemburg 4.8 3.3 6.8 Hungary 5.9 5.8 6.0
Fonte: Eurostat web site http://epp.eurostat.cec.eu.int
Il numero delle persone in cerca di occupazione, pari a 2.019.000, rimane comunque stabile
rispetto alle rilevazioni dell’ISTAT dell’anno 2003 anche se è importante tenere in
14
Cfr MINISTERO DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE “La politica Occupazionale per il
prossimo decennio” Roma 1985
15
per Europa ci si riferisce alla cosiddetta Europa dei quindici. D’ora in poi quando si farà riferimento al dato
europeo sarà sottointeso che si intende EU 15.
16
Fonte EUROSTAT http://epp.eurostat.cec.eu.int
6
considerazione la crescita della componente maschile (+ 2,9 per cento) e la riduzione di quella
femminile, (-2,9 per cento), soprattutto nel Sud
17
(tab.1.4).
Tab. 1.4: persone in cerca di occupazione, in Italia ripartiti geograficamente e per sesso. Anno 2004
Ripartizioni
geografiche
Maschi
Femmine
Maschi Femmine
Maschi
Femmine
Maschi Femmine
Valori assoluti Variazioni su IV trim 03
Totale 2019 962 1057 -0,2 2,9 -2,9
Nord 549 228 320 5,9 6,7 5,3
Nord-ovest 333 144 189 1,2 3,3 -0,3
Nord-est 215 85 131 14,2 13,1 14,9
Centro 318 139 179 -3,2 -5,6 -1,3
Mezzogiorno 1152 594 557 -2,1 3,7 -7,6
Fonte: Istat “Rilevazione sulle forze lavoro IV trim 2004”
Nel Nord Italia, il rapporto tra persone in cerca di occupazione e la forza lavoro totale risulta
pari al 4,5 per cento, al centro pari al 6,5 per cento mentre al Sud esso è del 15,1 per cento. Se
andiamo inoltre a considerare il tasso di disoccupazione per genere, si nota una forte disparità
tra quello maschile del 6,6 per cento contro quello femminile del 10,6 per cento. (tab 1.5)
Tab. 1.5: tasso di disoccupazione italiano ripartito per aree geografiche e per sesso anno 2004.
Ripartizioni
geografiche
Maschi
Femmine
Maschi Femmine
Maschi
Femmine
Maschi Femmine
Valori assoluti Variazioni su IV trim 03
Totale 8,2 6,6 10,6 -0,1 0,1 -0,4
Nord 4,5 3,3 6,3 0,2 0,2 0,3
Nord-ovest 4,7 3,6 6,3 -0,1 0,0 -0,1
Nord-est 4,3 2,9 6,1 0,5 0,3 0,8
Centro 6,5 5,0 8,5 -0,3 -0,3 -0,3
Mezzogiorno 15,1 12,1 20,3 -0,2 0,5 -1,2
Fonte: Istat “Rilevazione sulle forze lavoro IV trim 2004”
Nel quarto bimestre del 2004 il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni di età) è
risultato pari al 24,7 per cento con un minimo del 10,6 per cento nel Nord-Est e un massimo
di 39,2 per cento nel Sud d’Italia a danno soprattutto della componente femminile (tab. 1.6).
In questo caso il dato italiano appare decisamente superiore a quello europeo del 16,6 per
cento. (tab.1.6)
17
questo non significa che le donne siano passate dallo stato di disoccupate a quello di occupate. Si è infatti
registrato, soprattutto per le donne del Sud, una riduzione del 2,2 per cento della forza lavoro e un
consequenziale aumento delle donne inoccupate non facenti parte della forza lavoro
7
Tab. 1.6: tasso di disoccupazione 15-24 anni di età ripartito per aree geografiche e per sesso anno 2004
Ripartizioni
geografiche
Maschi
Femmine
Maschi Femmine
Maschi
Femmine
Maschi Femmine
Valori assoluti Variazioni su IV trim 03
Totale 24,7 22,1 28,1 2,1 1,8 2,6
Nord 13,3 12,2 14,6 1,7 0,9 2,6
Nord-ovest 15,0 14,9 15,2 1,8 2,6 0,8
Nord-est 10,6 7,9 13,8 1,0 -2,1 4,5
Centro 23,1 21,0 25,5 4,7 1,1 8,6
Mezzogiorno 39,2 33,5 47,7 1,7 3,2 -0,6
Fonte: Istat “Rilevazione sulle forze lavoro IV trim 2004”
Tab. 1.7: tassi di disoccupazione giovanile 15-24 anni europei 2004
Nazione Tasso disoccup. Nazione Tasso disoccup. Nazione Tasso disoccup.
Eu15 16.6 Fr 22.0 Pt 15.4
eurozone 17.9 Ie 8.3 Si 14.3
Be 19.8 It 24,7 sk 32,3
Cz 21.1 Cy 10.6 Fi 20.7
Dk 8.2 lv 19.0 se 16.3
De 15.1 Lt 19.9 uk 12.1
Ee 21.0 lu 18.1 bg 24,4
Gr 26,9 hu 14.8 Ro 21.4
Es 22.1 mt 16.7 Tr 19.6
Pl 39,5 nl 8.0 no 11.4
Jp 9.5 at 9.4 us 11.8
Fonte: Eurostat web site http://epp.eurostat.cec.eu.int
Il tasso di disoccupazione italiano di lunga durata, alla fine del 2004 era pari al 3,9 per cento,
molto simile al valore del 2003 (3,6 per cento) e a quello europeo, pari al 3,4 per cento.
(tab.1.8)
Tab. 1.8: tasso di disoccupazione di lunga durata riparto per aree geografiche e per sesso anno 2004
Ripartizioni
geografiche
Maschi
Femmine
Maschi Femmine
Maschi
Femmine
Maschi Femmine
valori assoluti variazioni su IV trim 03
Totale 3,9 2,9 5,5 0,3 0,3 0,3
Nord 1,6 1,0 2,5 0,2 0,2 0,2
Nord-ovest 1,8 1,2 2,8 0,1 0,2 0,1
Nord-est 1,3 0,8 2,0 0,3 0,3 0,4
Centro 2,8 1,9 4,0 0,3 0,0 0,5
Mezzogiorno 8,3 6,1 12,1 0,6 0,6 0,6
Fonte: Istat “Rilevazione sulle forze lavoro IV trim 2004”
Per quanto riguarda invece l’occupazione italiana, nel quarto trimestre del 2004 le rilevazioni
ISTAT registravano 22.630.000 occupati con una percentuale di crescita annua dello 0,7 per
cento, 167.000 unità in più rispetto allo stesso periodo del 2003. Tale aumento rispecchia la
nuova composizione dell’offerta di lavoro italiana influenzata dall’incremento dei cittadini
stranieri oltre al cronico calo degli occupati al Sud. (tab.1.9)
8
Tab. 1.9: persone occupate in Italia, ripartite per macroregioni e per sesso. Anno 2004
Ripartizioni
geografiche
Maschi
Femmine
Maschi Femmine
Maschi
Femmine
Maschi Femmine
valori assoluti variazioni su IV trim 03
Totale 22.630 13.704 8.926 0,7 0,7 0,8
Nord 11.540 6.741 4.799 1,3 1,7 0,7
Nord-ovest 6.701 3.904 2.798 2,5 3,1 1,7
Nord-est 4.839 2.838 2.001 -0,4 -0,2 -0,7
Centro 4.595 2.660 1.935 1,6 0,5 3
Mezzogiorno 6.494 4.302 2.192 -0,7 -0,7 -0,7
Fonte: Istat “Rilevazione sulle forze lavoro IV trim 2004”
Il tasso di occupazione nazionale alla fine del 2004 risulta pari al 57,8 per cento, con grosse
differenze territoriali (al Sud le persone occupate sono il 46,5 della popolazione invece al
Nord sono il 65,2 per cento). (tab.1.10)
Tab. 1.10: tasso di occupazione italiano ripartito per macroregioni e per sesso. Anno 2004
Ripartizioni
geografiche
Maschi
Femmine
Maschi Femmine
Valori percentuali
Totale 57,8 69,8 45,9
Nord 65,2 75,1 55,2
Nord-ovest 64,9 74,7 55
Nord-est 65,7 75,6 55,5
Centro 61,6 71,8 51,6
Mezzogiorno 46,5 62 31,2
Fonte: Istat “Rilevazione sulle forze lavoro IV trim 2004”
Si rileva, inoltre, la presenza di differenze di genere nell’accesso al mercato del lavoro
(gender gap), soprattutto nel mezzogiorno, dove le donne occupate sono solo il 31,2 per
cento, una quota decisamente inferiore alla media europea del 56,08 per cento. Le possibili
cause di tale gap sono da ricercare sia nella lentezza con cui il cambiamento culturale che
vede la donna sempre più protagonista della vita economica-sociale si sta verificando nel Sud,
sia per un diffuso fenomeno di “scoraggiamento” causato dall’insufficienza delle strutture
sociali di sostegno alla famiglia e alla donna in particolare (asili, scuola a tempo pieno..).
Inoltre il dato italiano sull’occupazione risulta, anche in questo caso, inferiore a quello
europeo, pari al 64,7 per cento e al tasso di occupazione dei maggiori paesi europei come
Germania (65 per cento), Regno Unito (71 per cento) e Francia (63,1 per cento) (tab.1.11).
9
Tab.1.11: tasso di occupazione delle nazioni europee. Anno 2004
Nazione tasso occNazione tasso occNazione tasso occ
Eu15 64,70 It 57,80 Si 65,30
Eurozone 63,00 Cy 69,10 Sk 57,00
Be 60,30 Lv 62,30 Fi 67,00
Cz 64,20 Lt 61,20 Se 72,10
Dk 75,70 Lu 61,00 Uk 71,00
De 65,00 Hu 56,80 Bg 54,00
Ee 63,00 Mt 54,10 Hr 54,70
Gr 59,40 Nl 73,10 Ro 57,70
Es 61,10 At 67,80 Tr 46,00
Fr 63,10 Pl 51,70 Is 82,30
Ie 66,30 Pt 67,80 No 75,00
Fonte: Eurostat web site http://epp.eurostat.cec.eu.int
Prendendo in considerazione le diverse tipologie di lavoro, nella media del 2004
l’occupazione dipendente è aumentata rispetto all’anno precedente dello 0,5 per cento e
quella indipendente dell’1,4 per cento. (tab.1.12).
Tab.1.12: occupazione dipendente e indipendente in Italia. Anno 2004
Ripartizioni
geografiche
Lavoratori
dipendenti
Lavoratori
indipendenti
Totale
Lavoratori
dipendenti
Lavoratori
indipendenti
Totale
valori assoluti variazioni su IV trim 03
Totale 16.117 6.287 22.404 0,5 1,4 0,7
perc.sul totale 71,94% 28,06%
Nord 8.244 3.192 11.436 0,6 0,8 0,7
Nord-ovest 4.799 1.810 6.609 0,7 2,8 1,2
Nord-est 3.445 1.382 4.827 0,6 -1,8 -0,1
Centro 3.224 1.313 4.537 1,2 5,8 2,5
Mezzogiorno 4.649 1.782 6.431 -0,3 -0,6 -0,4
Fonte: Istat “Rilevazione sulle forze lavoro IV trim 2004”
Utilizzando l’analisi per macrosettori, il settore industriale e in particolare quello delle
costruzioni, registrano le performance migliori con un incremento del totale degli occupati
rispetto al 2003 del 2,4 per cento, soprattutto nelle regioni di Nord Ovest. (tab. 1.13)
Tab. 1.13: occupati dipendenti e indipendenti ripartiti per aree geografiche. Anno 2004
Settore
economico
Lavoratori
dipendenti
Lavoratori
indipendenti
Totale
Lavoratori
dipendenti
Lavoratori
indipendenti
Totale
valori assoluti variazioni su IV trim 03
Agricoltura 416 574 990 4,4 0,9 2,4
Industria 5.350 1.518 6.868 0,1 2,8 0,7
in senso stretto 4.244 791 5.036 -0,8 -1,4 -0,9
costruzioni 1.106 727 1.833 3,7 7,7 5,2
Servizi 10.351 4.194 14.546 0,5 1 0,6
Fonte: Istat “Rilevazione sulle forze lavoro IV trim 2004”
Questi dati sull’occupazione e disoccupazione italiana confermano quelle che erano nel 2001
10
le considerazioni europee sul nostro mercato del lavoro. Le “raccomandazioni” rivolte dalla
Commissione Europea all’Italia hanno sottolineato che ”nonostante nel gennaio 2001 il tasso
di disoccupazione sia sceso sotto il 10 per cento, il tasso di occupazione rimane sempre al
53,5 per cento, oltre 10 punti al di sotto di quello europeo medio e il più basso fra quelli di
tutta l’Unione Europea. Inoltre continuano ad essere presenti persistenti difficoltà strutturali
quali il basso livello di occupazione giovanile e di attività delle generazioni più anziane,
profonde differenze di genere, squilibri regionali molto marcati”
18
e percentuali troppo elevate
di lavoro sommerso
19
2.1 Il mercato del lavoro italiano è flessibile?
Il mercato del lavoro italiano si fonda fin dagli anni 50’ su criteri di rigidità normativa e
contrattuale dei rapporti di lavoro, al fine di assicurare una durata e stabilità dei rapporti di
impiego
20
. Tuttavia, questa rigidità è stata attenuata da una serie di caratteristiche del mercato
del lavoro quali la presenza del lavoro autonomo, la diffusione del lavoro sommerso, la
presenza degli ammortizzatori sociali, la dimensione medio piccola delle imprese italiane che
consente loro di avere meno vincoli alle assunzioni e ai licenziamenti e l’elevato utilizzo del
lavoro straordinario e del lavoro a turni.
Le rigidità presenti sul mercato del lavoro, quindi, sono concepite sia come “imperfezioni”
rispetto al mondo ideale della libera concorrenza, sia “fisiologiche” perché determinate dalle
condizioni di incertezza reciproca degli attori e dalle caratteristiche proprie del mercato del
lavoro italiano. Non si può affermare che la flessibilità da sola possa cambiare le carte in
tavola, ma quello che pare certo è il carattere benefico “sotto condizione” di talune tipologie.
Prima però di definire e analizzare le diverse forme di flessibilità, pare opportuno cercare di
stimare il grado di flessibilità del mercato del lavoro.
Secondo gli studi del CENSIS e dell’ISTAT sono quattro gli elementi che devono essere
18
cfr. MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI “Libro Bianco sul Welfare” Febbraio
2003
19
Per quanto riguarda il mondo del lavoro sommerso, definito dall’ISTAT come quel lavoro scaturito da “attività
produttive svolte con il deliberato intento di evadere il fisco o di non rispettare le norme contributive, i minimi
salari, l’orario di lavoro e gli standard di sicurezza al fine di ridurre i costi di produzione”, le ultime statistiche
rilevano che il peso nel PIL di suddetta “attività” è di ben 27,8%, un valore estremamente importante se messo a
confronto con il 13 e 15 per cento rispettivamente di Gran Bretagna e Francia. Inoltre, le ultime stime parlano di
una quota di lavoro irregolare sul totale delle unità di lavoro standard pari 20% (4,5 milioni di unità). Questo
dato è poi ancor più sconfortante se messo in relazione al basso tasso di attività e all’elevata percentuale di
lavoro autonomo (da sempre fonte di lavoro sommerso) e a quell’insieme di “lacci e laccioli” che fanno del
nostro sistema lavoro uno dei peggiori in Europa”. Seguendo un ottica di lungo periodo nell’analisi costi-
benefici del sommerso si deve oltretutto considerare che una maggiore volatilità dei redditi e la poca possibilità
di crescita dimensionale sia per l’impresa che per il lavoratore, non fanno altro che inasprire sempre di più il
problema e aumentare il suddetto fenomeno.
20
Cfr REGINI e SABEL (1989)
11
considerati per valutare la flessibilità del mercato (lavoro autonomo, rotazione dei lavoratori ,
ammortizzatori sociali e volatilità dell’occupazione e dei redditi):
Il primo fattore è il lavoro autonomo: la quota di lavoratori autonomi, nel 2002, sul totale
degli occupati risulta (26,7 per cento) nettamente superiore alla media europea che è del 15
per cento (tab. 1.14). Questo è sicuramente fonte di flessibilità per la caratteristica di attività
svolta in maniera autonoma e indipendente e “disciplinata direttamente dal lavoratore, il che
comporta anche minori garanzie e più rischi, ma una capacità immediata di adattarsi e
compiere scelte strategiche di intensificare l’attività in periodi di elevata domanda e di
rallentarla in periodi di bassa”
21
. Allo stesso tempo, però, non va taciuto lo stretto legame tra
lavoro autonomo e evasione fiscale che porta al lavoro sommerso. Liberi professionisti,
coadiuvanti, lavoratori in proprio, imprenditori, sono le categorie che più facilmente possono
sfuggire al controllo fiscale e contribuivo tramite le cosiddette retribuzioni “in nero”.
Tab. 1.14: percentuale di lavoro autonomo rispetto al totale degli occupati, in Italia e in Europa - 2001
Nazione
Occupazione
Indipendente
(occ tot=100)
Danimarca 7,4
Svezia 5,5
Regno Unito 12,1
Finlandia 11,8
Paesi Bassi 15,3
Austria 19,4
Germania 10,6
Portogallo 29,4
Francia 10
Irlanda 19,7
Belgio 18,2
Grecia 45,1
Lussemburgo 7,1
Spagna 17,7
Italia 26,6
Fonte European Commission Employment Europe 2002
Il secondo elemento è la rotazione dei lavoratori: alcune rigidità normative impediscono il
flusso occupazionale in entrate e in uscita dal mercato del lavoro aumentando i costi di
turnover aziendale inteso come selezione del personale, addestramento, costi di inserimento,
costi di licenziamento. Un basso tasso di turnover tende a consolidare il tasso di
disoccupazione soprattutto di lungo periodo, tramite periodi di attesa prolungati per molto
tempo. Esso, inoltre, ostacola il match tra domanda e offerta di lavoro, a causa dei costi
troppo alti da sostenere per la ricerca del miglior lavoratore da parte delle aziende.
21
cfr MINGIONE E. PUGLIESE E. “ Lavoro” Carrocci, Roma 2002, 70
12
Uno degli indicatori utilizzati per valutare l’avvicendamento dei lavoratori è il GWT (tasso di
rotazione dei lavoratori), che misura i flussi di entrata e di uscita dei lavoratori nel e dal
sistema occupazionale, quantificando la flessibilità interna. L’indicatore, infatti, valuta
l’avvicendamento dei lavoratori spesso legato al profilo professionale degli occupati.
Secondo uno studio di Contini (2002), riferito al periodo 1988-1996, il GWT in Italia è pari al
61 per cento, che, pur rimanendo inferiore al 75 per cento del Regno Unito e al 76 per cento
degli USA è maggiore rispetto al 59,6 per cento della Francia, al 47 per cento della Spagna e
al 44 per cento della Germania. L’indicatore denota una forte eterogeneità all’interno delle
fasce di età, con una punta del 125 per cento per la componente giovanile della forza lavoro e
un minimo del 31,3 per gli adulti tra i 44 e i 54 anni di età (tab.1.15).
Se si prende in considerazione il tasso di rotazione per dimensione di impresa, si nota una
grande disparità tra le classi, con un picco del 93,45 per cento tra le piccole imprese sotto i 10
dipendenti e un minimo per le grosse imprese oltre i 1.000 dipendenti. (tab.1.15)
Tab. 1.15: GWT ripartito per classi di età e per dimensione di impresa. Periodo 1986-1996
Classi di età GWT Dimensione d'impresa GWT
15-24 125,10 < 10 93,45
25-34 57,10 10 - 19 70,03
35-44 36,50 20 - 199 53,83
44-54 31,30 200 - 999 35,68
>54 50,55 > 1000 19,97
Fonte studio Contini 2002
Se da un lato lo squilibrio tra diverse classi di età è positivo per i giovani perché significa
maggiore opportunità di crescita, dall’altro l’elevata rotazione nelle piccole imprese è sintomo
di un problema strutturale legato alla scarsa volontà di investimento in capitale umano e di
crescita dimensionale
Se invece si utilizza il tasso di rotazione dei posti di lavoro, GJT, che misura il numero dei
posti creati ed il numero dei posti distrutti dall’economia, si va ad esaminare la flessibilità
esterna, generata dai cambiamenti del mercato o dalle trasformazioni tecnologiche, che danno
vita alla “job creation”.
L’analisi dell’OCSE
22
riferita agli anni 80’ e 90’ mostra come il tasso di job turnover italiano
pari al 23 per cento sia superiore sia a quello tedesco (circa 16 per cento) che a quello
statunitense (15,6 per cento), da sempre considerato il più flessibile, mentre risulta ancora
inferiore rispetto a quello danese (29,4 per cento) e a quello neozelandese (35,5 per cento).
22
cfr OECD “Employment Outlook 1993” 1994
13
Diversi studi
23
sottolineano come le performance flessibili del mercato italiano siano da
attribuire alla realtà produttiva stessa, formata in buona parte da piccole imprese, che possono
“aggirare” l’ostacolo rappresentato dalla protezione del licenziamento individuale (l’articolo
18 dei lavoratori), da lavoratori autonomi e dal lavoro nero o sommerso.
Il terzo elemento utile per caratterizzare il mercato del lavoro è dato dagli ammortizzatori
sociali
24
. Gli strumenti di sostegno del reddito sono un tassello importante della dinamica
occupazionale perché attraverso la loro variegata tipologia e ai diversi soggetti beneficiari,
creano un diverso trattamento che influenza le scelte dei lavoratori e delle imprese. In Italia
sono state introdotte le seguenti tipologie di ammortizzatori sociali:
Il trattamento ordinario di disoccupazione ha per soggetto tutti i lavoratori dipendenti
del settore privato e spetta per tutte le cause di cessazione del rapporto lavorativo. È in
ammontare pari al 40 per cento della precedente retribuzione e per un periodo massimo pari a
180 giorni. Per i lavoratori ultracinquantenni il trattamento può prolungarsi fino a nove mesi.
La Cassa integrazione guadagni (CIG) è un vero e proprio istituto che garantisce la
continuità del rapporto di lavoro con l’impresa per il lavoratore che usufruisce del servizio.
Possono beneficiarne solo i dipendenti dell’industria in senso stretto (imprese non artigiane
con più di 15 dipendenti) e dell’edilizia. È stata istituita anche una Cassa Integrazione
Guadagni Straordinaria con una copertura dell’80 per cento della retribuzione per un anno
(maggiore nel mezzogiorno e crescente con l’età) nel caso di licenziamento collettivo.
L’Indennità di Mobilità, si applica alla stessa tipologia di lavoratori della CIG ma solo
se il rapporto lavorativo è stato interrotto per licenziamento. La durata massima è di 12 mesi
per chi ha meno di 40 anni e risiede nel Centro-Nord mentre è di due anni negli altri casi e di
quattro per gli ultra cinquantenni residenti nel mezzogiorno d’Italia.
I Lavori Socialmente utili (LSU), invece, sono degli strumenti economici per creare
posti di lavoro, dato che i disoccupati vengono impiegati per un periodo limitato in attività di
utilità sociale presso enti locali o regioni. Questo strumento ha visto un coinvolgimento
sempre più ampio verso la fine degli anni ’90 partendo dalle 54.135 unità beneficiarie del
1995 alle 113.251 del 2000 . A beneficiarne sono soprattutto le donne, nel nord, con
percentuali pari al 68,7 per cento nel Nord Ovest e i maschi, nel meridione, con circa il 55,6
per cento, oltre al Sud d’Italia stesso in cui risiedono 86 per cento dei lavoratori socialmente
utili. (tab.1.16)
23
cfr CAPPARUCCI M. “Il mercato del lavoro e la flessibilità. teorie ed evidenze empiriche” ed. Giappichelli
2004 Roma
24
i dati che verranno analizzati hanno come riferimento il testo, già citato, CAPPARUCCI M. “Il mercato del
lavoro e la flessibilità. teorie ed evidenze empiriche” ed. Giappichelli 2004 Roma