2
ristrutturazione d’impresa che li trasformerà in “un esercito di riserva senza
occupazione che gode del “tempo libero” in via obbligata?”
2
.
Ma per comprendere fino in fondo la fase politico-economica in cui stiamo
vivendo è necessario analizzare i nuovi processi di accumulazione e la nuova
rigidità del mercato del lavoro e non affidarsi a semplici e irreali proclami.
La flessibilità è un termine che negli ultimi anni è entrato a far parte del
linguaggio corrente in tema di diritto del lavoro da parte delle istituzioni e delle
"parti sociali" (sindacati, associazioni dei lavoratori).
Con "Flessibilità" s'intendono infatti le misure legislative in grado di rendere il
rapporto lavorativo di tipo subordinato meno oneroso e meno vincolante, senza
però far venir meno i diritti acquisiti del lavoratore.
L'ampio dibattito che si è aperto in Italia sulle possibili soluzioni per favorire
l'occupazione, ha posto in evidenza alcuni dei fattori più gravi, che ostacolano
l'aumento della domanda di lavoro da parte del settore privato.
La Confindustria ha più volte indicato nell'elevato costo del lavoro l'ostacolo
principale alle assunzioni a tempo indeterminato. Gli oneri contributivi e la
pressione fiscale (che comunque gravano anche sui lavoratori) sono tali da
scoraggiare i privati nell'assumere nuovo personale.
D'altra parte, i contratti di lavoro presentano una rigidità tale da rappresentare
quasi un onere quando un'azienda si trova nelle condizioni di dover ridurre il
personale a causa di una diminuzione della produzione. Sempre a causa di questa
rigidità contrattuale, un'azienda ha molte difficoltà nel licenziare quando un
lavoratore/ice non adempie agli oneri contrattuali.
L'adozione di forme contrattuali diverse da quelle del lavoro a tempo
indeterminato cerca di risolvere, anche se solo parzialmente e senza sradicare il
problema alla radice, i punti di cui sopra, per favorire una ripresa della crescita
occupazionale.
2
RIFKIN J., anche sulle nuove frontiere socio-economiche della società informatizzata.
3
I contratti a termine, di formazione, le borse lavoro, il lavoro interinale, i piani
d'inserimento professionale, i lavori socialmente utili o di pubblica utilità hanno
in comune queste caratteristiche, che li distinguono notevolmente dai contratti a
tempo indeterminato, altresì noto come il "posto fisso":
● Possibilità di interrompere il rapporto lavorativo, riducendo una quota
variabile dei dipendenti qualora diminuiscano le vendite e la produzione;
● Facoltà di ridurre l'orario e di ricorrere allo straordinario, quando l'andamento
della produzione lo richieda;
● Possibilità di distribuire come si crede il lavoro nel giorno e nella settimana,
riconfigurando gli orari e alternandone le tipologie: lavoro a turni, settimana
corta (che include i weekend), lavoro a scaglioni, tempo parziale, job sharing,
orario flessibile ecc.;
● Potestà di trasferire i dipendenti da una funzione, da un reparto, un'unità
produttiva, un settore d'attività ad altri, quale che sia la distanza della sede di
partenza da quella di arrivo;
● Per ridurre i costi, inoltre, è prevista la possibilità di affidare una parte sempre
più rilevante della propria attività a ditte esterne: processo di esternalizzazione di
un'attività;
● Possibilità di ridurre al minimo il nucleo di personale assunto con contratto a
orario pieno e tempo determinato, anche al di sotto del 20%, sostituendolo con
personale in affitto e così via;
● Sgravi fiscali e degli oneri contributivi per i contratti di formazione-lavoro e
per il contratto di apprendistato;
● Riduzione degli oneri previdenziali per il contratto di collaborazione
coordinata e continuativa. Eliminazione degli oneri fiscali e previdenziali nei
contratti di prestazione occasionale.
La normativa vigente sul "Lavoro atipico", tuttavia, ha anche un'altra importante
funzione in Italia, oltre quella di favorire la creazione di posti di lavoro.
Queste nuove forme contrattuali perseguono, infatti, anche e soprattutto
4
l'obiettivo di arginare il fenomeno dilagante del "lavoro nero", cui fanno ricorso
molte piccole aziende, artigiani e privati. Il lavoro atipico, pur non assicurando al
lavoratore le garanzie del lavoro a tempo indeterminato, consente tuttavia,
soprattutto nella forma della "collaborazione coordinata e continuativa", il
mantenimento di alcuni diritti fondamentali quali l'assicurazione agli infortuni
sul lavoro e versamento degli oneri previdenziali (seppur minimo).
Oggi siamo in una fase di transizione dal fordismo al cosiddetto postfordismo,
dalla produzione-consumo di massa di sistemi di produzione alla distribuzione
flessibile, ma di tutto questo avremo modo di approfondire nel corso del lavoro.
Tutto questo anche perché le imprese per diminuire il peso degli oneri sociali,
ritenuti responsabili del costo del lavoro eccessivo hanno cominciato ad
utilizzare il cosiddetto “outsourcing”, ossia l’esternalizzazione di interi processi
produttivi per aumentare l’efficienza e la produttività dell’impresa e diminuire i
costi.
Domina, quindi, la produzione snella che assicura direttamente risultati, profitti
mentre tutto il resto viene affidato all’esterno; le imprese tendono sempre più a
limitare costi superflui e accumulare scorte eccessive in una sorta di produzione
in tempo reale, sempre più flessibile. “In sostanza a differenza della produzione
fordista, in cui tempi e modi di produzione erano programmati, nell’epoca
postfordista tutto è affidato alle occasioni che il mercato offre. Nella produzione
snella, la comunicazione, il flusso di informazioni accedono direttamente nel
processo produttivo: comunicazione e produzione si fanno coincidere. Il
programma di produzione è impostato a partire dalle esigenze del mercato. La
delocalizzazione, la frammentazione e la dispersione dei luoghi fisici della
produzione non implicano affatto una diminuzione del potere della grande
impresa capitalistica. Essa continua, proprio grazie alle concentrazioni
finanziarie e al downsizing (dimagrimento), a mantenere il suo potere”
3
.
3
J. C. BARBIER, H.NADEL, La flessibilità del lavoro e dell’occupazione, Donzelli
Editore, 2002, Roma.
5
CAPITOLO I
MERCATO DEL LAVORO E FLESSIBILITÀ IN ITALIA
6
1.1 IL MERCATO DEL LAVORO ITALIANO
L’Italia è rimasta sotto certi aspetti un paese con un mercato del lavoro rigido e
sclerotico. Il confronto istituzionale, ad esempio in alcuni aspetti particolarmente
appariscenti come il famoso art. 18 dello Statuto dei lavoratori, che detta il
reintegro del lavoratore illecitamente licenziato nelle imprese oltre i 15 addetti -
ci vede ancora a un estremo fra tutti i paesi OCSE.
Comunque mercato e organizzazione del lavoro in Italia si stanno evolvendo
con crescente velocità. Mentre non altrettanto avviene però per i rapporti di
lavoro, infatti il sistema regolativo ancor oggi utilizzato in Italia non è più in
grado di cogliere e governare la trasformazione in atto
4
.
In Italia è possibile creare un mercato del lavoro dinamico, efficiente ed equo,
grazie soprattutto alla maggiore correlazione tra crescita del prodotto e crescita
dell’occupazione, senza togliere la maggiore diffusione del lavoro atipico. Tutto
ciò è dovuto soprattutto alle misure di flessibilità introdotte a partire dal 1997, le
quali dimostrano come vi siano le condizioni utili e necessarie per creare,
appunto, un mercato del lavoro valido.
E’ risaputo purtroppo che l’Italia presenta un ritardo pesante rispetto a tutti gli
altri paesi europei, le lacune maggiori sono senza dubbio riscontrabili nel
mezzogiorno
5
, ma anche nelle regioni del Centro-Nord i livelli occupazionali
rimangono inferiori rispetto ai livelli medi dell’UE (59,9% contro 63,3% per il
totale e 48% contro 53,4% per la componente femminile).
Infatti le prospettive dei giovani per un rapido accesso al mercato del lavoro,
pure se migliorate negli ultimi anni grazie alle maggiori flessibilità disponibili,
4
KANE D., JOB SHARING., A Retention Strategy for Nurses, in “Canadian Journal of
Nursing Leadership”, 1999.
5
La causa principale del gap italiano nel Mezzogiorno dista dagli attuali livelli medi
UE di oltre venti punti percentuali sia per il totale sia per la componente femminile.
7
appaiono ancora contraddistinte da difficili processi di transizione dalla scuola al
lavoro, dal lavoro alla formazione e dalla formazione al lavoro
6
.
Questi problemi però non riguardano solo i giovani; infatti anche i lavoratori
anziani, penalizzati dagli scarsi incentivi alla prosecuzione dell’attività
lavorativa e che non appaiono beneficiare delle tipologie contrattuali flessibili
adottate, continuano a ridurre la loro quota ufficiale nella popolazione lavorativa.
L’occupazione femminile nell’ultimo quinquennio è stata più consistente nel
Centro-Nord ma continua comunque a soffrire di una difficile condizione di
accesso e di permanenza sul mercato del lavoro.
Non bisogna dimenticare tra l’altro che in Italia la qualità “non buona” del
lavoro riguarda anche l’ampia fascia di lavoro sommerso, irregolare e
clandestino che contribuisce ancora di più a creare condizioni di esclusione
sociale e di sottoutilizzo di capitale umano
7
.
Per questo motivo la combinazione tra azioni di contesto utili ai processi di
allargamento della base produttiva e di innalzamento della produttività,
introduzione di flessibilità nel mercato del lavoro, fuoriuscita dal sommerso,
appare come una strategia interconnessa, capace di innescare uno sviluppo
economico ed una crescita dell’occupazione regolare.
Alla maggiore impermeabilità del mercato rispetto all’esterno, si è andata via via
sommando anche la progressiva immobilizzazione delle posizioni interne al
lavoro. Il nostro resta infatti un sistema ancora estremamente rigido, con bassi
livelli di mobilità interna, e ciò malgrado sulla carta l’incremento del numero
complessivo dei movimenti interni all’occupazione
8
sembrerebbe dar ragione a
6
Il tasso di disoccupazione di questo segmento è, infatti, pari all’8,3%, mentre la
media europea si posiziona al 4,9%. Ciò testimonia l’inefficacia delle azioni preventive
e il rischio di esclusione sociale da parte di coloro che perdono il posto di lavoro.
7
MINGIONE E. PUGLIESE E. “ Lavoro” Carrocci, Roma 2002.
8
Il tasso di rotazione, vale a dire il rapporto tra i cambiamenti di lavoro o di tipologia
lavorativa e lo stock di occupati ad inizio periodo è passato da 11,5 del 1998 a 14,5 del
2005.
8
quanti si attendevano dall’introduzione di maggiore flessibilità nel sistema anche
una crescita della sua dinamicità interna.
Comunque il punto fondamentale resta senza dubbio migliorare la qualità del
lavoro, e questo è possibile grazie ad un mercato del lavoro flessibile, che oltre a
migliorare la qualità e la quantità dei posti di lavoro, sia capace di rendere più
scorrevole l’incontro tra obiettivi e desideri delle imprese e dei lavoratori e
consentire ai singoli individui di cogliere le opportunità lavorative più proficue,
evitando che essi rimangano intrappolati in situazioni a rischio di forte
esclusione sociale.
1.1.1 Concetto di flessibilità
Il mercato del lavoro italiano necessita, quindi, di importanti modifiche al suo
apparato regolatorio, innanzitutto avanzando coerentemente verso una
modernizzazione dell’organizzazione e dei rapporti di lavoro, auspicabilmente
d’intesa con le parti sociali e, l’introduzione della nuova normativa sul contratto
a termine, rappresenta proprio il primo passo verso queste azioni.
Accenniamo un attimo al significato di flessibilità; questo termine si riferisce ad
un lavoratore che non rimane costantemente ancorato al proprio posto di lavoro a
tempo indeterminato, ma cambia più volte, nell'arco della propria vita, sia
l'attività occupazionale che il datore di lavoro. In un'ottica evolutiva e di
accrescimento, la flessibilità dovrebbe prevedere un costante miglioramento
delle conoscenze del lavoratore e di conseguenza del livello occupazionale
raggiunto, sia per quanto riguarda il versante economico sia per quanto riguarda
quello delle competenze professionali.
Il concetto di flessibilità rischia invece di degenerare nel concetto di precariato
quando il continuo susseguirsi di rapporti di lavoro non è una scelta personale,
mirata ad una ricerca di un costante miglioramento, ma un obbligo derivante
dall'ampia cautela dei datori di lavoro nell'assumere personale a tempo
9
indeterminato, specialmente in settori economici dove il "grosso" delle
commissioni ha periodicità di carattere stagionale.
Spesso il lavoratore si trova in una condizione di totale svantaggio nei confronti
del datore di lavoro, il quale può utilizzare il potere di rinnovo contrattuale come
strumento di pressione nei confronti del dipendente, oppure, dall'altra parte, per
tutelare l'azienda da un lavoratore rivelatosi non adatto al settore d'impiego o che
potrebbe costituire un peso per il bilancio societario.
Affinché ci sia un miglioramento qualitativo del rapporto di lavoro, lo stesso
deve avvenire mediante un uso corretto del contratto di lavoro a tempo
indeterminato, evitando che si diffondano flessibilità in entrata per aggirare i
vincoli o le tutele predisposte per la flessibilità in uscita. Pertanto, appare
importante incentivarne l’utilizzo, con particolare riguardo alla trasformazione
del contratto a termine, nonché superare gli eventuali ostacoli normativi che
frenano il ricorso a questa tipologia contrattuale, senz’altro fondamentale per
garantire una società attiva basata sulla qualità del lavoro.
Interventi correttivi appaiono urgenti per eliminare quegli ostacoli normativi che
ancora rendono complicato l’utilizzo delle tipologie contrattuali flessibili, che
sono state utilizzate in larga misura in tutti i paesi europei senza che questo abbia
comportato situazioni di esclusione sociale o di bassa qualità del lavoro.
In questo ambito, il contratto di lavoro a tempo parziale deve essere reso più
usufruibile, attraverso due punti fondamentali:
1) intervenendo sulle cosiddette “clausole elastiche” cioè quelle clausole che
possono essere stipulate anche per i contratti a tempo determinato, infatti la
disponibilità del lavoratore allo svolgimento di lavoro flessibile ed elastico deve
risultare da un patto scritto e, salve diverse intese fra le parti, è richiesto un
periodo di preavviso di almeno due giorni lavorativi da parte del datore di
lavoro. In assenza delle disposizioni dei contratti collettivi il datore di lavoro e i
lavoratori possono concordare direttamente clausole flessibili ed elastiche;
10
2) Sull’istituto della “denuncia”, cioè il contratto interinale, la cui disciplina
deve essere coordinata con quella del lavoro temporaneo, deve migliorare la sua
funzione di strumento che favorisce l’incontro tra domanda e offerta. Più in
generale, appare opportuno avviare una riforma complessiva della disciplina in
materia di intermediazione di manodopera, anche alla luce dei processi di
esternalizzazione del lavoro e nel rispetto delle condizioni di tutela del lavoro.
E’ importante comunque prevedere nuove tipologie contrattuali che abbiano la
funzione di “ripulire” il mercato del lavoro dall’improprio utilizzo di alcuni
strumenti oggi esistenti, in funzione elusiva o frodatoria della legislazione posta
a tutela del lavoro subordinato, e che, nel contempo, tengano conto delle mutate
esigenze produttive ed organizzative. In questa ottica, si segnala la proposta di
introdurre il “lavoro intermittente”, consentendo a numerosi soggetti di percepire
un compenso minimo per la propria disponibilità, aumentando poi l’effettiva
retribuzione in ragione dell’orario effettivamente richiesto, nonché della
prospettazione del lavoro a progetto, come forma di lavoro autonomo
parasubordinato in cui rileva fortemente il fattore della realizzazione appunto di
un progetto avente precisi requisiti in termini di quantificazione temporale ma
anche di qualità della prestazione
9
. Questi interventi sono finalizzati a bonificare
il mercato del lavoro dalle collaborazioni coordinate e continuative, spesso fonte
di abusi frodatori.
9
TIRABOSCHI M., “Il lavoro a progetto e le collaborazioni occasionali”, 2003.