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IV
INTRODUZIONE
Il presente elaborato si propone di analizzare la tassazione sui redditi delle
persone fisiche nell’ordinamento italiano, dal Regno d’Italia ad oggi, per cercare di
delineare quali potrebbero o dovrebbero essere gli scenari futuri dell’imposta.
In particolare, l’obiettivo è quello di analizzare la situazione normativa evolutiva
dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, come imposta progressiva generale (con
le sue deduzioni e detrazioni), e come imposta proporzionale (come eccezione, o
alternativa all’imposta progressiva generale).
Con un rapporto tra gettito fiscale e prodotto interno lordo, intorno al 43,1%,
l’Italia è nei i primi posti della classifica tra i paesi avanzati con un più alto livello di
pressione tributaria media. Nel confronto tra i quattro principali paesi europei, l’Italia
occupa la seconda posizione per pressione fiscale complessiva, mentre scende alla
terza posizione per pressione fiscale sul lavoro (preceduta da Francia e Germania).
Nel rapporto percentuale che misura la pressione tributaria, sono ricomprese
tanto le imposte quanto i contributi socio-previdenziali che i contribuenti versano ai
fini pensionistici. In linea di principio detti contributi, rappresentano quote di reddito
accantonato nel sistema previdenziale, che il contribuente riotterrà quando maturerà i
requisiti per ottenere il diritto alla pensione. Tuttavia, l’ente pubblico che dovrebbe
garantire questo principio, ha contestualmente in gestione anche l’aspetto
assistenziale; quindi, è facilmente intuibile che il sistema nel suo complesso sia
difficilmente monitorabile nello spazio e nel tempo. Una riforma previdenziale di
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V
divisione netta tra il ruolo previdenziale e quello assistenziale tra gli enti pubblici
sarebbe auspicabile.
Negli anni la distribuzione del peso tra le varie entrate tributarie è variata, da
un’iniziale atteggiamento di propensione verso l’imposizione diretta e di riluttanza nei
confronti delle imposte indirette, considerate inique poiché commisurate
all’ammontare dei consumi e quindi tendenzialmente regressive rispetto al reddito, si
è passati all’analisi di altri fattori come l’efficienza dell’imposizione.
La crisi economico-finanziaria, dell’ultimo decennio, iniziata nel 2007 e la crisi
pandemica in corso, iniziata nel 2020 hanno contribuito ad aumentare le
disuguaglianze economiche sia di reddito, che di mercato del lavoro, che di ricchezza.
In questo contesto il sistema tributario nazionale non deve essere “afflittivo”, ma deve
cercare di essere sempre certo, semplice, equo e perseguire la redistribuzione dei
redditi, evitando “scompensi redistributivi”, per rispondere al meglio ai nuovi bisogni
dei contribuenti, mantenere il benessere migliorando i servizi welfare, e incentivare lo
sviluppo del progresso scientifico-tecnologico.
In questo elaborato dopo l’analisi di un excursus storico della disciplina
dell’imposta sui redditi delle persone fisiche nello stato italiano, ed avere considerato i
limiti di una eccessiva pressione tributaria (attraverso l’analisi della c.d. curva di
Laffer), si prenderanno in considerazione le principali deduzioni e detrazioni legate che
garantiscono la progressività dell’imposta stessa.
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VI
Nel terzo capitolo verranno analizzate alcune criticità del sistema impositivo
italiano, dalla progressività selettiva alla individuazione del soggetto passivo d’imposta
effettivo. Verranno presi in considerazione alcune casistiche specifiche di “distorsione
dell’imposta progressiva”, ed in particolare verrà considerata la disciplina già esistente
della flat tax proporzionale alternativa: sui redditi da fabbricati (c.d. cedolare secca) e
sui redditi finanziari, sui premi e le vincite, sui contribuenti che optano per il regime dei
minimi (c.d. forfetario), sui redditi dei “neo-residenti”, sui redditi per i ricercatori e
docenti che rientrano in Italia, sui redditi delle web companies.
L’ultimo capitolo verrà dedicato esclusivamente alla disciplina della flat tax
come imposta esclusiva sui redditi delle persone fisiche, partendo dai fondamenti
teorici e dagli aspetti positivi e negativi si cercherà di analizzare l’evoluzione della sua
applicazione nel mondo, in particolare in alcuni stati europei, dalla sua istituzione ad
oggi, cercando, per quanto possibile, di verificare l’esistenza di legami cause-effetto
univoci, determinabili e quantificabili.
Verranno poi considerate le proposte applicative specifiche della flat tax in
Italia proposte in particolare nel disegno di legge del 13 luglio 2015, e dall’Istituto
Bruno Leoni, e l’evoluzione che queste proposte hanno avuto successivamente nei
governi italiani, e nella riforma fiscale 2021 che il governo ed il parlamento italiano
stanno per approvare.
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Capitolo I
L’IMPOSIZIONE PERSONALE SUL REDDITO
1.1 La disciplina dell’imposta nel nostro ordinamento. – 1.2 I tributi e le imposte progressive dal Regno
d’Italia al secondo dopoguerra. – 1.3 La nascita dell’imposta sui redditi delle persone fisiche (IRPEF) ed
alcuni dati statistici. – 1.4 I limiti alla pressione tributaria: la curva di Laffer. – 1.5 Analisi della pressione
fiscale in Italia ed in Europa.
1.1 - La disciplina dell’imposta nel nostro ordinamento
L’autorità pubblica trova le risorse necessarie per perseguire il benessere
collettivo dal prelievo coattivo di ricchezza dei privati, ma questo aspetto un fattore
primario e nello stesso tempo costitutivo del concetto stesso di comunità. Il principio
del prelievo forzoso e della legalità dello stesso in materia tributaria, oggi riconosciuta
sia dalla Corte costituzionale (Sentenza n.26 del 10 febbraio 1982) che dalla Corte di
Cassazione (Cass. S.U. Ord. n.1782 del 26 gennaio 2011), trae la sua origine dal sistema
tributario romano e dalle costituzioni imperiali.
L’art. 23 della Costituzione afferma che “nessuna prestazione personale o
patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”. Esiste cioè una riserva di
legge che contiene il principio classico delle democrazie liberali “no taxation without
representation”, previsto già in età diocleziana e nel codice giustinianeo era previsto,
allorquando l’imperatore riservava a sé stesso il potere di istituire nuove imposte,
negando allo stesso tempo alle provinciae qualsiasi autonomia impositiva sui cittadini.
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2
L’art. 53 della Costituzione recita “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese
pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.”, e richiama il principio della
capacità contributiva
1
, le cui origini possono farsi risalire alla riforma di Servio Tullio
2
,
che trasformò un sistema tributario basato su un’imposizione diretta personale (che
gravava in ugual misura su tutti i cittadini, e quindi “iniquo verso i cittadini indigenti”),
in un sistema tributario basato sul tributum ex censu, con degli indici diretti di capacità
contributiva che ogni pater familias doveva dichiarare (il numero dei componenti della
famiglia, dei servi, degli animali, della quantità di oro, argento ed oggetti preziosi, e
l’estensione dei propri terreni), e prevedendo anche un’esenzione dal carico tributario
per la classe dei capitecensi (la sesta ed ultima classe dei contribuenti, quella cioè con
minore capacità contributiva).
Il principio fondamentale della capacità contributiva è presente in quasi tutti gli
ordinamenti costituzionali dei paesi moderni, soprattutto europei
3
. Certo è che una
differenza sostanziale del potere tributario originario romano e quello attuale persiste,
allora lo Stato acquisiva principalmente risorse straordinarie od ordinarie per
1
Il metodo per calcolare la capacità contributiva del contribuente prevede che la base imponibile sia
calcolata secondo il reddito dei contribuenti, chi ha maggiori risorse dovrebbe contribuire
maggiormente alla spesa pubblica. Alcuni teorici ritengono che sia più equo tassare il consumo, in
quanto il reddito dovrebbe essere visto come ciò che il cittadino crea in favore della società, ma ciò
comporterebbe maggiori problemi di equità e di tracciabilità dei consumi stessi.
2
M. Leoni, Il principio della capacità contributiva nella riforma tributaria di Servio Tullio e nella flat tax:
proporzionalità o progressività? Edizione Tabula Fati, 2021.
3
M. Bernasconi, F. Biagi, A. Brugiavini, G. Brunello, L. Corazzini, P. De Ioanna, C. Dosi, L. Greco, M.
Langella, A. Marenzi, V. Rebba, D. Rizzi, N. Sartor, P. Valbonesi, G. Weber, in Evoluzione e Riforma
dell’Intervento Pubblico, Giappicheddi Editore Torino, 2013 si leggono alcuni esempi che possono
rappresentare la quasi universalità di tale principio: a) In Francia l’art. 13:“Per il mantenimento della
forza pubblica e per le spese d’amministrazione, è indispensabile un contributo comune: esso deve essere
egualmente suddiviso tra i cittadini in base alle loro capacità.”; b) In Germania l’art 120, Comma terzo :
“Le imposte sul patrimonio e sui redditi, nonché le imposte indirette dovranno essere proporzionate e
progressive ispirandosi a criteri sociali”; c) in Spagna l’art. 31: Tutti contribuiranno a sostenere le spese
pubbliche in base alla loro capacità economica, attraverso un sistema fiscale equo sulla base dei principi
di uguaglianza e di tassazione progressiva, che in nessun caso potrà arrivare alla confisca.”
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finanziare campagne militari, oggigiorno lo Stato dovrebbe acquisite tributi per
perseguire il processo di sviluppo sociale della comunità. E questo si riallaccia ad
un’altra funzione che lo Stato deve perseguire e far percepire ai cittadini, e cioè quella
della redistribuzione della ricchezza, che non è solo redistribuzione dei carichi fiscali
secondo equità. Se lo Stato riuscisse a garantire un processo di sviluppo sociale
sostenibile e Pareto efficiente, e lo stesso cittadino lo percepisse direttamente, il
concetto di tributo concettualmente potrebbe lasciare a quello di contributo.
Il potere tributario, pertanto dovrebbe avere come fine il perseguimento del
benessere comune, e non essere inteso e visto come “un mero strumento per fare
cassa”, l’obbligazione tributaria non dovrebbe mai perdere la connessione con la
dimensione individuale del contribuente per lasciare il posto ad un’esigenza di mero
equilibrio finanziario. Inoltre, spesso ai fini fiscali possono affiancarsi fini di politica
economica come quelli di stabilità, del pieno impiego e dello sviluppo economico, ed
ecco quindi che il tributo deve rispettare necessariamente anche il principio della
solidarietà.
Affinché la norma tributaria possa fare ciò è anche necessario che la stessa non
sfoci in produzioni normative contorte, con leggi incomplete e sempre più spesso
integrate da risoluzioni e circolari, a volte sintomo di una mancata pianificazione e
programmazione iniziale da parte del legislatore stesso. La chiarezza e la certezza
giuridica deve essere garantita dal legislatore, come sancito dall’art. 3 della
Costituzione che dispone: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini,
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impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”.
Un sistema tributario ideale per definirsi ottimo
4
deve essere: a)
economicamente efficiente, cioè essere in quado di minimizzare gli effetti distorsivi
che esso produce sull’economia
5
; b) amministrativamente semplice, cioè essere di
facile interpretazione e improduttivo di costi diretti ed indiretti; c) flessibile, cioè deve
esser in grado di risponder prontamente ai cicli economici; d) trasparente, cioè il
contribuente deve essere in grado di conoscere le imposte che paga; e) equo, cioè gli
individui identici devono essere trattati allo stesso modo e chi ha maggiore capacità
contributiva deve pagare effettivamente più imposte.
L’eccessiva burocrazia, non è sintomo di semplicità amministrativa, e per le
imprese questa rappresenta un costo in termini di tempo dedicato agli adempimenti
amministrativi (e quindi sottratto alla produzione aziendale), ed in termini di costi da
erogare ai consulenti esterni per l’elaborazione di documenti.
Da un rapporto internazionale della Banca Mondiale e PWC Paying Taxes del
2016
6
viene evidenziato che nel 2014 hanno dedicato 269 ore (più di 11 giorni) per
regolare la propria posizione contributiva a fronte di una media europea di 173 ore (in
Gran Bretagna servirebbero solo 110 ore), ed anche considerando i 14 adempimenti
nazionali, l’Italia ha il primato europeo a fronte di una media europea di 11,5 (in Gran
Bretagna e Spagna sono solo 8).
4
J. Stiglitz, Economia del Settore pubblico, vol.1, Hoepli, 2003.
5
Non deve cioè modificare i comportamenti dei contribuenti persone fisiche (in termini di risparmio, di
consumo, di tempo dedicato al lavoro, di tempo dedicato al tempo libero), delle imprese
(riorganizzazione aziendale o del lavoro) e delle banche (variazione dei piani finanziari).
6
https://www.pwc.com/gx/en/paying-taxes-2016/paying-taxes-2016.pdf.
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5
In uno studio di Assolombarda, del 2015
7
, è stato stimato che il costo medio
della burocrazia sul fatturato tocca il 4% per le piccole imprese (2,1% per le medie),
varia dai € 108.000 per una piccola impresa ai € 710.000 per un’azienda di medie
dimensioni, e gli adempimenti burocratici “costano” alle piccole e medie imprese,
rispettivamente, tra i 45 e i 190 giorni da parte di un collaboratore dedicato.
L’indice della Burocrazia 2020
8
9
vede l’Italia, nella comparazione con gli altri
paesi analizzati, tra i peggiori per quanto riguarda gli ostacoli burocratici (è seconda
solamente alla Spagna). Una piccola-media impresa è costretta a dedicare alla
compilazione di documenti, alle richieste di certificazioni e bolli 312 ore ogni anno. Un
impegno di 2 ore giornaliere per 8 mesi di una risorsa. A tutto ciò devono essere
aggiunti i costi economici relativi all’impiego di eventuali consulenti e al pagamento
delle tasse connesse ai procedimenti amministrativi.
E’ in questa ottica che il sistema tributario deve essere di semplice
apprendimento ed applicazione
10
, e nel contempo poco discrezionale, in questo modo
non si avrebbero degli sprechi di tempo in analisi di pratiche amministrative, la cui
spesa non dovrebbe ricadere sul contribuente, come pure non dovrebbe avere l’onere
di dimostrare a priori la sua buona fede in caso di accertamento, come anche non
7
https://www.assolombarda.it/centro-studi/quanto-costa-la-burocrazia.
8
https://www.competere.eu/indice-della-burocrazia.
9
L’indice prende in considerazione diverse voci: le dichiarazioni relative ai salari dei dipendenti e alla
previdenza sociale, le assunzioni e i licenziamenti e ovviamente gli adempimenti fiscali. Solo per
quest’ultimo settore le PMI sono costrette a impiegare ben 173 ore annuali, mentre l’impiego e la
previdenza sociale costano all’impresa 123,5 ore su 312 totali. In più viene evidenziato che l’Italia fa
molto ricorso ai consulenti esterni e alle certificazioni da parte di enti terzi rispetto agli altri paesi
analizzati.
10
M. Margarita, La proposta – Trasformare la crisi in opportunità, in Ore12 Economia, del 5 giugno 2020,
tra l’altro specifica: “È essenziale, oltre a un profondo miglioramento della rete informatica, una riforma
fiscale che preveda si l’uso della tecnologia, ma con pochi e mirati adempimenti, senza duplicazione di
dati, senza ipotizzare strumenti che portano l’imprenditore allo sfinimento ma da cui non si traggono
reali effetti concreti”.
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dovrebbe essere giudicato da un Giudice Tributario che è espressione dell’ente
accertatore stesso (e quindi con un livello di imparzialità debole).
1.2 – I tributi e le imposte progressive dal Regno d’Italia al secondo dopoguerra
11
Con la nascita del Regno d’Italia, il sistema impositivo era prevalentemente di
tipo gabellare, con una burocrazia elementare, con tributi di immediata e facile
percezione, con l’obiettivo principale di ottenere rapidamente le entrate necessarie
per fronteggiare la spesa pubblica.
Si imponevano “dazi” su ogni scambio di bene, pedaggi in corrispondenza del
transito sui ponti, ed all’ingresso di ogni comune esistevano delle guardiole (la cd
“gabella comunale” che oggi chiameremmo dogana), in cui i funzionari controllavano e
pesavano le merci, in entrata ed in uscita. Il 10% delle entrate tributarie era costituito
dai proventi della tassa sul macinato dei cereali, calcolata sulla quantità di prodotto
macinato, e quantificata in base al tempo di macinatura, alla contabilizzazione del
numero di giri delle macine.
Si ricorreva anche alla richiesta di pagamento di tributi (che oggi chiameremmo
“bollo”) in caso di concessioni, autorizzazioni, permessi, attestazioni provenienti da
pubblici uffici (dalla vidimazione delle scritture contabili obbligatorie, alle carte da
gioco, agli strumenti di pesi e misura). Nacque l’imposta sui domestici
12
, la tassa a
11
T. Lamedica, Le tasse di una volta, Edizione IPSOA Gruppo Wolters Kluwer, 2011.
12
L’imposta sui domestici era fissa e non legata al tenore di vita del padrone, era maggiore per il
domestico uomo rispetto alla domestica donna, non si pagava se i domestici erano addetti al “servizio
esclusivo degli ammalati” (che oggi chiameremmo badanti) o facevano “le balie” (cioè allattavano i
bimbi del padrone in sostituzione delle madri naturali).