La cosa migliore è l’acqua
Pindaro,Olimpiche, I, 1
Introduzione
L’acqua è la matrice della cultura, la base della vita. Oggi, purtroppo, questa preziosa
risorsa è in pericolo: benché il pianeta sia fatto per due terzi di acqua, ci troviamo di
fronte ad una acuta scarsità idrica. La crisi dell’acqua è la dimensione più pervasiva, più
grave e meno visibile della devastazione ecologica della Terra. Il numero di persone che
vivono in paesi privi di una quantità adeguata di acqua salirà, tra il 1990 e il 2025, da 131
milioni a 817 milioni. Si parla di grave crisi idrica quando la quantità disponibile di acqua
disponibile pro capite è inferiore ai 1000 metri cubo l’anno. Al di sotto di questa soglia la
salute e lo sviluppo economico di un paese sono fortemente ostacolati.
Un sostituto di questo liquido prezioso, indispensabile per la sopravvivenza biologica di
animali e piante, semplicemente non esiste. La crisi dell’acqua è una crisi ecologica che
ha cause commerciali ma non soluzioni di mercato. Le soluzioni di mercato distruggono
la terra e aumentano le disuguaglianze. La soluzione di una crisi ecologica è ecologica, e
la soluzione dell’ingiustizia è la democrazia. La cessazione della crisi dell’acqua impone
una rinascita della democrazia ecologica.
A chi appartiene l’acqua? È una proprietà privata o un bene pubblico? Quali diritti
hanno, o dovrebbero avere, le persone? Quali sono i diritti dello Stato? Quali quelli delle
imprese e degli interessi commerciali? Nel corso della storia tutte le società si sono poste
questi interrogativi fondamentali. Oggi ci troviamo di fronte ad una crisi planetaria
dell’acqua, che minaccia di aggravarsi nel corso dei prossimi decenni. Il
peggioramento della crisi è accompagnato da nuove iniziative per ridefinire i diritti
sull’acqua. L’economia globalizzata sta cambiando la definizione di acqua da bene
pubblico a proprietà privata, una merce che si può estrarre e commerciare liberamente.
L’ordine economico globale chiede la rimozione di tutti i vincoli e le normative sull’uso
dell’acqua e l’istituzione di un mercato di questo bene. I sostenitori del libero commercio
dell’acqua vedono i diritti di proprietà privata come unica alternativa alla proprietà statale
e i liberi mercati come il solo sostituto alla regolamentazione burocratica delle risorse
idriche. In tutto il mondo, i diritti idrici hanno assunto la loro forma prendendo in
considerazione contemporaneamente i limiti degli ecosistemi e le necessità della
popolazione. I diritti all’acqua come diritti naturali non nascono con lo stato: scaturiscono
da un dato contesto ecologico dell’esistenza umana. In quanto diritti naturali, quelli
sull’acqua sono diritti di usufrutto; l’acqua può essere utilizzata ma non posseduta. Gli
esseri umani hanno il diritto alla vita e alle risorse che la sostengono, e tra queste c’è
l’acqua. Il suo essere indispensabile alla vita è motivo per cui, secondo le leggi
consuetudinarie, il diritto ad accedervi è stato accettato come fatto naturale, sociale.
L’acqua è un bene comune in quanto rappresenta la base ecologica di tutta la vita e
perché la sua sostenibilità ed equa distribuzione dipendono dalla cooperazione tra i
membri della comunità. Al centro della soluzione per l’inquinamento che propone il
mercato sta il presupposto che esista una disponibilità illimitata di acqua. L’idea che i
mercati possano ridurre l’inquinamento, agevolando una maggiore distribuzione, non
tiene conto del fatto che il prezzo della deviazione dell’acqua in un’ area comporta la
scarsità idrica in un’altra.
Se tutto ciò suona terribile, è perché lo è. Ma la situazione non è senza speranza. Perché
già sappiamo come salvare l’acqua del nostro pianeta: bonificando i sistemi idrici predati;
preferendo l’irrigazione per gocciolamento all’irrigazione per allagamento; operando
manutenzione alle infrastrutture; preservando le fonti d’acqua; introducendo cambiamenti
radicali nei metodi di costruzione e gestione dei bacini idrici, solo per citare alcune
soluzioni. I paesi industrializzati potrebbero garantire a ogni persona di questo pianeta
acqua pulita se soltanto cancellassero il debito del Terzo mondo, e se incrementassero gli
aiuti esteri e imponessero una tassa sulle speculazioni finanziarie.
L’antidoto contro la mercificazione dell’acqua è la sua de-mercificazione. L’acqua
dev’essere proclamata e definita una volta per tutte come proprietà comune. L’acqua
deve essere dichiarata un trust pubblico, e tutti i governi devono legiferare in materia per
proteggere le risorse d’acqua dolce presente nei propri territori. Una cornice
internazionale di leggi è altrettanto, e disperatamente, necessaria. Il punto da cui partire è
la questione politica della proprietà dell’acqua. Diversi passi sono necessari per un futuro
idrico sicuro, inclusa l’adozione di un Contratto mondiale sull’acqua, per una
“sopravvivenza idrica”. E infine una Convenzione mondiale sull’acqua che possa creare
un corpus internazionale di leggi che tutelino il patrimonio idrico mondiale ispirato a due
principi fondanti e inscindibili: conservazione ed equità. Sarà una sfida assai
impegnativa. Ma considerata la posta in palio, faremo bene a esserne all’altezza.
L’acqua è l’essenza della vita.
E’ il sostegno di ogni essere vivente su questo pianeta,
e senza di essa nulla esisterebbe…
Capitolo uno
L’ACQUA E LA FISCALITA’: MONDIALE, EUROPEA,
ITALIANA
1.1. La natura giuridica dell’acqua
Non è un caso che il legislatore incontri costantemente una serie di
difficoltà nel predisporre una disciplina razionale del profilo
dominicale delle acque, le acque possono avere diversi rapporti con il
diritto in generale e con le problematiche di appartenenza in
particolare. L’acqua come potenziale elemento disgregatore non pone
questioni di proprietà, potendo tutt’ al più interessare i settori
ambientali e di protezione civile. L’acqua come risorsa produttiva
presuppone invece la codificazione dei diritti inesistenti su di essa. Lo
schema proprietà pubblica (demanialità). L’acqua come risorsa
alimentare richiede adeguate forme di gestione, ma non indirizza le
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scelte relative ai profili dominicali verso direzioni univoche. L’acqua
come bene ambientale, considerato quindi indipendentemente da
immediate utilità per i soggetti, non impone la pubblicità, ma
esclusivamente la tutela del bene. Compito del diritto dovrebbe
pertanto essere quello di trovare la soluzione più rispondente, anche
per quanto concerne la questione dei diritti reali, alle diverse nature
del bene acqua ed agli interessi pubblici perseguiti. Le acque hanno
infatti una natura giuridica complessa, che impedisce, nel momento in
cui si passa da valutazioni settoriali a valutazioni di carattere generale,
di attribuire ad esse una configurazione unitaria. Le acque sono
suscettibili di essere utilizzate sotto diversi profili in relazione agli
interessi con cui interagiscono, interessi che mutano a seconda dei
diversi settori studiati e delle differenti discipline utilizzate. La natura
giuridica complessa non è peraltro espressa solamente dal sovrapporsi
dell’analisi compiuta nelle tre direzioni corrispondenti ai tre profili,
dominicale, di tutela e di gestione. Tale partizione, nei confronti delle
acque risponde ad un criterio logico-sistematico, secondo il quale
prima occorre individuare i problemi di appartenenza dello stesso. Le
acque sono inserite nelle categoria di diritto positivo dei beni
demaniali e dei beni pubblici, o, da ultimo, nella categoria dogmatica
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dei beni riservati. Le problematiche interessate sono principalmente di
diritto amministrativo, ma si intrecciano anche con problematiche di
diritto privato. La proprietà pubblica delle acque, di per sé sola, non è
comunque sufficiente a garantire un governo razionale delle stesse, ma
si pone quale presupposto, di fronte a tale obiettivo. Integrata la
proprietà pubblica nel complesso degli strumenti di gestione del
settore idrico, essa acquista invece un ruolo attivo anche nel
“governo” delle acque. La portata delle dichiarazione generalizzata di
pubblicità delle acque, analizzata nel contesto della nuova disciplina,
non è pertanto quella di affermare un diritto proprietario in capo a
pubblici poteri, quanto quella di escludere fenomeni appropriativi da
parte dei privati. Questo d’altra parte non significa che i privati, in
quanto tali, non siano titolari di “possibilità giuridiche” nei confronti
delle acque. Anche stabilendo che tutte le acque sono pubbliche, la
natura stessa del bene acqua non consente materialmente rigidi
fenomeni di esclusione dei privati, fenomeni tra l’altro contrari a
criteri di razionalità. Il problema diventa pertanto quello di individuare
i limiti oltre i quali l’intervento non disciplinato dai privati, anche al di
fuori di uno schema proprietario. Eliminare la contrapposizione tra
acque pubbliche e private (e quindi tra pubblica amministrazione e
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privato in qualità di aspiranti titolari di diritti dominicali) non significa
pertanto comprimere la sfera giuridica della collettività, ma ribadire
invece il ruolo servente della pubblica amministrazione nei confronti
degli amministrati. Il concetto di proprietà pubblica non è in questo
caso espressione di un semplice rapporto dominicale tra
amministrazione da un lato e bene dall’altro, ma è invece espressione
del più complesso rapporto tra interessi pubblici, interessi collettivi ed
interessi privati. La proprietà pubblica delle acque rappresenta in
sostanza uno degli strumenti di governo del settore a disposizione dei
pubblici poteri. I mutamenti dei caratteri fondamentali di tali proprietà
sono la conseguenza di una diversa politica delle acque, che sono state
tradizionalmente considerate quali beni, vale a dire cose, suscettibili di
valutazioni economiche, che possono formare oggetto di diritti. La
quantità sempre più limitata delle stesse ha comportato fenomeni di
appropriazione e di esclusione. La difficoltà a fornire una
sistemazione dogmatica delle acque dipende anche dalla evoluzione
costante del dato normativo e del rapporto tra i vari interessi incidenti.
La dichiarazione di pubblicità delle acque dovrebbe garantire, almeno
sotto il profilo dominicale, un momento di certezza. La connotazione
dell’acqua come bene non è più finalizzata come bene, non è più
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