1
INTRODUZIONE
Nell’approcciarmi al seguente lavoro vorrei iniziare con questa frase:
“L’uomo più si avvicina al benessere, più si dimentica di essere uomo”. Non è la
citazione di un economista, o di un filosofo o di qualche noto studioso, ma è una
frase di un uomo anziano, Felice Mangiarano, che da 80 anni vive su una
carrozzella, incontrato in una domenica di marzo, nel CIM di Bisceglie. La sua
fragile condizione, prima ancora che la sua età, lo portano ad affermare di essere
innanzitutto un “uomo”, e tale deve essere nel rispetto per sé stesso e nel rapporto
con gli altri.
Ma cosa c’entra questa affermazione con l’economia? La risposta può
sembrare anche scontata, ma l’economia moderna con il passare degli anni e del
tempo, pian piano si è dimenticata della sua funzione, in quanto “è l’economia che
è al servizio dell’uomo e non viceversa”.
Ma se riflettiamo meglio su questa frase notiamo come si parli di
“benessere”: per lungo tempo, lo studio dell’economia ha fatto riferimento a un
concetto di felicità e ben-essere interamente identificabile e caratterizzabile in ter-
mini di aumento della ricchezza individuale. Parallelamente, a livello macro, la
“società del benessere” incarnava l’idea per cui l’aumento della ricchezza
economica e dei livelli di consumo si sarebbe tradotto nell’aumento del grado di
felicità degli individui e dell’intera società.
1
Alcuni studi recenti, dagli anni ’70 in
particolare con Easterlin, hanno evidenziato il “paradosso della felicità”, cioè
all’aumentare del reddito, il livello di felicità riportato dagli individui aumenta
fino a un certo punto oltre il quale comincia a diminuire.
2
Il dibattito sulla definizione e la misurazione del benessere individuale che
si è sviluppato negli ultimi anni ha raggiunto pieno riconoscimento con la crea-
zione, nel 2008, da parte del presidente Nicolas Sarkozy della “Commissione sulla
Misurazione della Performance Economica e del Progresso Sociale” con
l’obiettivo di evidenziare i limiti dell’utilizzo del PIL quale indicatore del
benessere e formalizzare un set di indicatori e linee guida per la misurazione del
benessere da utilizzare nel momento di policy design e policy evaluation.
3
1
Cfr. VENTURI P., RAGO S., Verso l’economia del benessere, AICCON, Forlì, maggio 2011,
pag. 9
2
Ibidem
3
Ivi, pag. 10
2
Questo interesse e questa attenzione verso il benessere porta a
riconsiderare un aspetto che da anni era stato messo da parte: l’approccio etico
nell’economia. Da qualche anno ormai si sente parlare di etica: le imprese iniziano
ad adottare codici etici, e molte volte si dotano di un comitato etico, si parla di
etica nelle professioni, etica dell’ambiente, etica del diritto, finanza etica (di cui si
parlerà nel seguente lavoro). Se ne parla come se l’etica fosse un qualcosa in più
nell’ordinarietà delle cose e nel nostro caso nell’economia. Forse l’espressione più
giusta è “un ritorno dell’etica”, perché la stessa economia è nata dalla filosofia,
dalla ricerca della buona vita per l’uomo. Il presente lavoro inizia, infatti, con lo
studio sulle teorie etico-economiche, evidenziando come già i filosofi dell’Antica
Grecia riflettevano sul senso dell’agire umano, anche in campo economico. La
domanda socratica “Come bisogna vivere” e l’Etica Nicomachea di Aristotele
hanno ispirato gran parte degli studi successivi sull’economia, fino al Seicento –
Settecento, quando l’agire economico ha iniziato ad avere una sua “autonomia”.
Nel primo capitolo oltre, all’analisi delle teorie che si sono succedute fino
ai giorni nostri, e delle influenze che hanno avuto sull’economia reale, si riflette
anche sulle ragioni che hanno portato al distacco tra l’etica e l’economia, e
successivamente si analizza come la globalizzazione e la conseguente
finanziarizzazione dell’economia abbiano accentuato ancora di più l’urgenza
etica. Si sono creati infatti, scenari, fino ad un secolo fa impensabili, i cui effetti si
sono riversati soprattutto sulla gente più povera, evidenziando man mano quel
divario tra la popolazione ricca, che cresce ma in mano a pochi, e la popolazione
più povera che cresce invece in numero, e non riguarda più solo i paesi “arretrati”
ma inizia ad incidere anche sulla nostra società.
Le crisi finanziarie di oggi, ma soprattutto quella che stiamo vivendo,
iniziata, e se vogliamo conosciuta meglio, dal 2007 sono un campanello d’allarme
sulla realtà moderna dell’economia. L’inquinamento, lo sfruttamento delle risorse,
la speculazione, la deregulation spinta dai mercati finanziari, l’esplosione
dell’indebitamento, il nuovo ruolo assunto dalle banche, la mancanza di identità
delle imprese divenute ormai solo mezzo per il profitto da raggiungere a tutti i
costi, fanno sì che la riflessione si sposti su quale economia oggi può portare
davvero a quel benessere sociale, che possa garantire a noi, alle nostre famiglie
ed all’intera comunità non solo un presente migliore, ma anche di preservare il
futuro delle prossime generazioni. È in questo contesto che nasce e si inserisce
nell’economia mondiale il fenomeno della finanza etica, che cerca di riportare una
cultura che affianchi alla crescita economica, una crescita sostenibile “attenta
all’uomo e al mondo in cui vive.”
Nel secondo capitolo si studia in maniera approfondita questo nuovo
fenomeno, evidenziandone la storia, la legislazione, gli strumenti e la diffusione
sul mercato, con uno sguardo particolare al Socially Responsible Investment.
Quest’ultimo è oggetto del terzo capitolo nel quale si approfondiscono gli
3
strumenti maggiori dello SRI, i fondi etici: la loro diffusione sul mercato europeo
e italiano, le caratteristiche che li differenziano dai fondi comuni tradizionali e
l’andamento sui mercati, in quanto è un fenomeno che negli ultimi anni si è
diffuso notevolmente tra il pubblico degli investitori.
Nel capitolo quarto si parla invece di una realtà italiana, Etica SGR,
appartenente al gruppo Banca Etica, società che offre unicamente fondi
socialmente responsabili. È un caso particolare di studio in quanto, in Italia, la sua
crescita è in controtendenza sia rispetto al mercato italiano dei fondi comuni, che
ai fondi etici presenti sul territorio nazionale. Particolare attenzione verrà posta sul
processo di selezione ESG, e in particolare sul caso delle imprese italiane. Dal
2010, infatti, la società ha adottato una propria procedura interna di valutazione
delle imprese nazionali. Il lavoro termina con l’applicazione pratica di tale
metodologia su di una società, che è un “modello” di impresa socialmente
responsabile, la Sabaf s.p.a., che ha adottato dal 2001 il bilancio integrato, segno
di una maggiore diffusione della sua politica socio-ambientale, oltre che
economica.
4
Capitolo 1
Etica ed Economia
"Nel campo dell'economia, la sovraspecializzazione
è doppiamente disastrosa. Un uomo che è
matematico e nulla più che matematico potrà
condurre una vita di stenti, ma non reca danno ad
alcuno. Un economista che è nulla più che un
economista è un pericolo per il suo prossimo.
L'economia non è una cosa in sè; è lo studio di un
aspetto della vita dell'uomo in società...
L'economista di domani (e talvolta dei giorni nostri)
sarà certamente a conoscenza di ciò su cui fondare i
suoi consigli economici; ma se, a causa di una
crescente specializzazione, il suo sapere economico
resta divorziato da ogni retroterra di filosofia
sociale, egli rischia veramente di diventare un
venditore di fumo, dotato di ingegnosi stratagemmi
per uscire dalle varie difficoltà ma incapace di
tenere il contatto con quelle virtù fondamentali su
cui si fonda una società sana. La moderna scienza
economica va soggetta ad un rischio reale di
Machiavellismo: la trattazione dei problemi sociali
come mere questioni tecniche e non come un aspetto
della generale ricerca della Buona Vita".
(J. Hicks, 1941, p.6)
1.1 Un quadro concettuale
L’economia, oggi è oggetto di numerose discussioni tra gli studiosi e gli
economisti. Un primo campo di studio riguarda il suo “posizionamento teorico”, e
la sua “natura”.
5
L’economia fino al XVIII secolo era trattata unicamente nei corsi di
filosofia morale
4
. Con l’avvento della concezione “positivista”, e quindi dai
classici, ma soprattutto dai neoclassici, l’economia è entrata nell’ottica di una
scienza. Resta da capire in quale ramo della scienza possa rientrare lo studio
economico. Con gli economisti neoclassici lo scopo dell'indagine economica
assume obiettivi di scientificità simili a quelli delle scienze naturali. La visione
positivista di tali economisti consente di introdurre il formalismo matematico
nello studio dei fenomeni economici, per determinare l'esistenza di leggi
economiche deduttive ed universali. Si deve a loro l’introduzione dell’homo
oeconomicus, le cui caratteristiche sono la razionalità perfetta e l’interesse
esclusivo per la cura dei suoi interessi individuali.
Nel corso del Novecento questa “concezione positivista” conosce un
progressivo ridimensionamento, in quanto si sono moltiplicate diverse scuole di
pensiero economico, tra cui la scuola neo-austriaca che introduce forti elementi
critici nei confronti della scientificità dei fenomeni economici, ritenendo questi
ultimi degli eventi storici ed unici, e quindi come invece accade nella fisica, non
è possibile in economia individuare delle leggi universali in grado di spiegare e di
prevedere il futuro.
5
Anche il brano di Hicks citato in epigrafe, si pone in questa
direzione evidenziando la pericolosità di una specializzazione che resta divorziata
da “ogni retroterra di filosofia sociale”.
Attualmente la quasi totalità degli studiosi considera l’economia una
scienza sociale, in quanto deduce il sistema delle sue regole dall'osservazione del
comportamento dell'uomo in un dato contesto sociale. Al centro dello studio
dell'economia, quindi, c'e' l'uomo e il suo comportamento quando e` diretto a
procurarsi i beni o i servizi che gli possono essere utili per soddisfare i propri
bisogni.
6
Possiamo dire quindi che l’economia innanzitutto ha un suo fine: i
bisogni dell’uomo.
Alcune correnti di pensiero vogliono riportare al centro dell’economia
proprio l’uomo, in quanto è l'ultimo ed unico protagonista di qualsiasi sistema
economico è deve essere considerato nella sua interezza (e non quindi solo «homo
oeconomicus»). Secondo questa impostazione qualsiasi sistema economico
decade, si immiserisce e muore se non si alimenta con la valorizzazione
dell'attività spontanea e volontaria dell'uomo stesso. Questa impostazione è critica
nei confronti di quella cultura economica che vuole dare più importanza ad altre
variabili, quali il profitto, evidenziando come il pericolo in questo caso sia di
ottenere una sorta di scambio tra mezzi e fini.
7
Illuminante in questo senso è uno
4
Lo stesso Adam Smith, padre dell’economia moderna, era professore di Filosofia Morale
all’università di Glasgow. Cfr. SEN A. K., Etica ed Economia, Editori Laterza, Bari, 2006, pag. 8
5
Cfr. http://www.okpedia.it/economia-e-le-scienze-naturali
6
Cfr. http://www.dirittoeconomia.it/modulo_1_economia.htm
7
È l’impostazione portata avanti soprattutto dai sostenitori dell’Economia Civile, ma che affonda
le sue origini in una tradizione di pensiero economico e filosofico che ha la sua radice prossima
6
scritto degli inizi del Novecento di Giuseppe Toniolo, professore ordinario di
Economia Politica dell’Università di Pisa, che iniziando il suo Trattato di
Economia Sociale scrive:
“L’ordine operativo segue all’ordine Costitutivo e lo presuppone; perché
l’essere è prima dell’operare, l’organismo è prima della vita, la statica prima
della dinamica; e quello anzi da questo dipende, come il lavoro di una macchina
dal congegno di essa. Ma l’ordine attivo volgendosi non già a preparare colle sue
leggi il benessere materiale e per esso i benefici della civiltà raffigura il legame
fra l’ordine costitutivo e l’ordine finale, e il suo progresso misura direttamente i
gradi dell’incivilimento.”
8
Sotto il profilo del rapporto tra mezzi e fini il mercato si presenta come un
mezzo; l’etica del mercato è quindi un’etica dei mezzi.
9
Ora, se l'economia studia
l'adeguamento dei mezzi ai fini, per la loro stessa natura i fini dell'attività umana
non possono non avere carattere etico. Pertanto l'economia, scienza dei mezzi,
deve trarre dall'etica, scienza dei fini, i necessari orientamenti affinché le sue
conclusioni siano applicabili alla società. Su questo terreno dell’etica dei mezzi
economici si manifesta oggi una ripresa di interesse dell’economia per l’etica.
La questione, quindi, dell’etica in economia è più che mai in primo piano e
per affrontare questo tema, è utile distinguere tra due diversi utilizzi di tale
termine:
• il primo ha a che fare con la correttezza nei comportamenti, improntati al
rispetto delle regole definite in base a obiettivi di efficienza e di equità;
• il secondo prende in considerazione l’etica come preferenza per scelte di
contenuto altruistico; implica che nella funzione obiettivo degli agenti vi
siano anche altri fini oltre al puro interesse egoistico, su cui si basa
l’astrazione dell’homo economicus.
Della prima accezione l’analisi economica si è occupata molto.
L’affermazione del paradigma neoclassico ha oscurato la seconda accezione
perché ha determinato una netta separazione tra l’analisi positiva dell’agire
economico e quella normativa della ricerca di valori. Studi recenti, più aperti alle
interazioni con gli studi psico-sociali, mettono tuttavia in discussione l’espulsione
dell’etica dal campo d’indagine dell’economia, perché in questo modo non si
terrebbe compiutamente conto della rilevanza degli atti umani in ambito
economico: l’agire umano non è guidato solo da obiettivi razionali ed egoistici,
ma anche dalla virtù e dalla coscienza personale. Contano meccanismi di
autostima e senso di colpa; si generano comportamenti altruistici
nell’Umanesimo Civile, e quella più remota nel pensiero di Aristotele, Cicerone, Tommaso
d'Aquino, la scuola francescana. Cfr http://it.wikipedia.org/wiki/Economia_civile
8
Cfr. TONIOLO G., Trattato di Economia Sociale, 1901, pag. 1
9
Cfr. VIGNA C., Introduzione all’etica, filosofia e morale, Vita e Pensiero, Milano, 2001, pag.259
7
indipendentemente dal beneficio che il singolo può trarre o dall’osservazione dei
comportamenti da parte degli altri.
10
1.2 Le origini
Nell’approfondire questo studio è necessario inquadrare lo “strano”
rapporto che unisce l’etica all’economia, iniziando con l’analizzare l’etimologia
delle due parole:
• “Etica”, (dal greco Ethikè e dal latino Èthica) è il costume, la consuetudine, il
fare consueto. L'etica forma quella parte della filosofia che si occupa del
comportamento umano.
• “Economia”, (dal greco oikonomia, “oikos” = casa e “nòmos” = regola, legge,
amministro). Letteralmente si può definire “Amministrazione della casa”.
11
Essa prende in esame il comportamento dell’individuo in una sfera limitata di
rapporti: quelli economici.
12
L’etica è connaturata all’agire umano, ed è quindi “un aspetto con cui gli
esseri umani abitano nel mondo” e si domandano che vita vivere, che condotta
seguire o che tipo di persone essere, cercando sia una giustificazione, cioè una
risposta che dica loro cosa è giusto fare, sia una motivazione, cioè la reale e
concreta ragione o motivo ad agire.
13
Riguardo all’etica, una prima distinzione importante, sulla quale
convergono la maggior parte degli studiosi, è quella che la distingue dalla morale.
Anche quest’ultima significa “costume” (dal latino moràlem da mòs), infatti per il
mondo classico ogni distinzione fra etica e morale risulterebbe arbitraria. Oggi
invece, il linguaggio corrente, forse per l’etimologia più remota e più dotta,
considera l’etica come una disciplina e la morale come una realtà. Questa
distinzione corrisponde sostanzialmente a quella che storicamente si è operata
nella cultura contemporanea con la tendenza a riconoscere nella morale l’oggetto
che l’etica, come disciplina, prende in considerazione. In una parola, la morale si
può intendere come l’“abitare”: abitare la propria coscienza, mettendo in armonia
le facoltà dell’anima – come dice Platone – o autodeterminandosi come essere
libero – come dicono Kant ed Eric Weil – e progettando sé nell’universalità della
10
Cfr. TARANTOLA A.M., Lectio Magistralis Etica, Mercati Finanziari e Ruolo del Regolatore;
Venezia 30 settembre 2011, pp. 3, 4
11
Vedi www.etimo.it
12
Cfr. PALMERIO G., Elementi di Economia Politica, Bari, Cacucci Editore, 2002, pag. 3
13
Cfr. CIAPPEI C., NINCI D., Etica di impresa, considerazioni teoriche ed evidenze cliniche,
Firenze University press, Firenze, 2006, pag. 18.
8
ragione.
14
L’organizzarsi di questo “abitare” come un fatto privato e pubblico
insieme dà origine alla concezione di un diritto naturale, di carattere universale,
che può essere concepito come quel diritto “a cui” ci si “sottomette senza essere
obbligati dal diritto positivo. Nasce da questa esigenza l’etica, che si presenta
come scienza della morale, più rigida della morale stessa, e non è semplicemente
un sapere pratico, capace di fissare delle regole di comportamento: essa è
propriamente un sapere normativo capace di stabilire virtù e norme di valore
assoluto e incondizionato, il cui valore non dipende da norme stabilite da un’altra
scienza pratica.
15
Ritornando al rapporto tra etica ed economia, sembrerebbe che tra
comportamento umano ed “amministrazione della casa”, possa esserci un nesso
che li accomuna. È opinione invece, largamente diffusa, che la riflessione
sull’etica e quella sull’economia abbiano intrapreso diverse strade, spesso
divergenti, già dalla metà del settecento, con l’illuminismo scozzese di
Hutcheson, Hume e Smith.
16
Crocevia di questo distacco è stato individuato in
molti studiosi nella pubblicazione nel 1776 da parte di Adam Smith dell’
“Indagine sulla ricchezza delle nazioni”, che diede inizio allo studio
dell’economia politica.
Ma quali possono essere le ragioni che hanno portato a questo distacco?
Per rispondere a questa domanda c’è bisogno di fare un breve excursus storico.
La nascita della teoria economica ha una storia molto lunga, secondo uno
studio molto interessante di Amartya K. Sen, si può sostenere che abbia avuto due
origini alquanto diverse, entrambe collegate alla politica, ma interessati
rispettivamente all’etica da una parte, e a quella che potrebbe essere chiamata
l’ingegneria dall’altra. La tradizione legata all’etica risale almeno ad Aristotele.
17
All’inizio dell’Etica Nicomachea, Aristotele, collega la materia
dell’economia ai fini umani riferendosi all’interesse di questa scienza per la
ricchezza:
“La vita invece dedita al commercio è qualcosa di contro natura, ed è
evidente che la ricchezza non è il bene che ricerchiamo; infatti essa è solo in
vista del guadagno ed è un mezzo per un qualcosa d’altro”.
18
14
Cfr. GIORDANO G., Filosofia ed etica, Studi in onore di Girolamo Cotroneo, Rubettino, 2005,
pag 439
15
Cfr. LUÑO A.R., Etica, con prefazione di A. Caffarra, Le Monnier, Firenze, 1992, pag. 12
16
Cfr. D’EREDITÀ P., Corso di Etica ed Economia, un lungo sguardo alle spalle di Adam Smith,
per un excursus storico dei rapporti fra etica ed economia nell’Europa occidentale, ovvero quando
l’etica accompagnava l’economia . Dai Greci al Rinascimento, pag. 1
17
Cfr. SEN A. K., op. cit., pag. 9
18
Vedi, ARISTOTELE, Etica Nicomachea, Libro I, 1096a 5
9
Il bene da ricercare è infatti il bene umano “desiderabile anche quando si
riferisce a una sola persona, ma più bello e divino se riguarda un popolo intero e
le città”.
19
E appunto nella felicità consiste il bene più alto per Aristotele. Il bene
non è più, come in Platone, l'Idea o la realtà più alta, ma, molto più
concretamente, "ciò a cui ogni cosa tende". Non per nulla il termine greco per
'felicità' è eudaimonia, che vuol dire letteralmente essere accompagnati 'da un
buon demone', quindi da una sorte propizia.
20
Tale origine introduce due tematiche fondamentali:
• “concezione della motivazione collegata all’etica”, che sottolinea il ruolo
decisivo delle considerazioni di natura etica per le scelte degli individui.
• “concezione del risultato sociale collegato all’etica”, vale a dire la valutazione
dei risultati di alcune affermazioni in termini del raggiungimento del “bene
sociale”.
21
L’altra origine dell’economia è invece quella collegata all’approccio
ingegneristico, legati a quegli studi di economia nati dall’analisi dell’arte di
governo orientata in senso tecnico. Così in quello che fu quasi certamente il
primo libro mai scritto con un titolo simile a quello di “economia” e cioè lo
Arthasãstra di Kautilya (titolo che, tradotto dal sanscrito, significherebbe una cosa
del tipo “istruzioni riguardo alla prosperità materiale) l’approccio logistico all’arte
di governo, ivi compresa la politica economica, è preminente.
22
Nell’antico
documento di Kautilya, contemporaneo di Aristotele, non compaiono ne la
domanda socratica “Come bisogna vivere” né le domande aristoteliche.
L’approccio ingegneristico è caratterizzato dall’interesse per i temi
prevalentemente logistici più che per i fini ultimi. Essendo questi considerati
come dati, l’impegno si riversa nel trovare i mezzi adeguati per raggiungerli,
considerando il comportamento umano basato solo su motivazioni semplici e non
anche di natura etica. Questa impostazione prevalente della teoria economica si
basa su quella che Giusso definisce un’etica minimale (o morale mercantile).
L’etica minimale si esprime sinteticamente in “fiducia e lealtà”, che
rappresentano i due requisiti necessari di un’economia fondata sul contratto e
19
Ivi, 1094b, 9-10
20
Una breve nota storica. L’espressione “eudaimonia” originariamente derivava da “buon
demone”, a indicare che raggiunge l’eudaimonia chi ha un buon demone, una buona sorte. Felicità
e fortuna erano due concetti di fatto identici. Questo significato originario è mantenuto nelle
moderne lingue anglosassoni: in tedesco glück significa sia felicità che fortuna, “happiness” viene
da “to happen”, accadere, capitare. Con Socrate, ma soprattutto con Platone e Aristotele, la parola
eudaimonia si carica di significati nuovi, e si comincia ad affermare che l’uomo con le sue scelte e
con la sua libertà può diventare felice, anche contro la sorte. E la strada per raggiungere la felicità
è una vita buona, una vita virtuosa, le virtù diventano la strada per la felicità, ma le virtù non
possono essere strumentali ma fini in se stesse, dalla cui pratica nasce, indirettamente, la felicità.
(L’economia e i paradossi della felicità, Luigino Bruni)
21
Cfr. CIAPPEI C., NINCI D., op. cit., pag. 169.
22
Cfr. SEN A. K., op. cit., pag. 11.
10
sullo scambio. In sintesi, all’interno di questa categoria di rapporti economici, la
massima utilità dei singoli e, allo stesso tempo, il massimo “benessere” collettivo
sembrano poter essere garantiti sulla sola base della ristretta posizione del “self
interest”.
23
1.3 Etica ed Economia: un excursus storico
1.3.1 L’etica nell’antica Grecia
Le prime fonti di una riflessione sui fini dell’attività umana la troviamo nei
filosofi dell’Antica Grecia. Un periodo caratterizzato dall’espansione delle polis
24
,
e dal fiorire delle loro attività commerciali, in un contesto in cui contava molto
l’uguaglianza dei cittadini e delle loro decisioni politiche, anche se non tutti gli
abitanti erano “cittadini”.
Alle origini dell’etica greca troviamo nei poemi omerici l’affermazione
della superiorità di virtù, quali il coraggio e la pietà verso gli Dei, adeguate alla
vita del guerriero. Particolarmente vivace fu nella cultura ateniese del 5° sec. a.C.
il dibattito sui fini della condotta umana. I primi tra questi furono i “Sofisti”
25
che
sottolinearono l’origine umana e non divina dei valori, riconducibili
all’imposizione o dello Stato o di gruppi di cittadini più forti e, in contrasto con
l’opinione più diffusa, sostennero la tesi dell’insegnabilità della virtù. Non
essendo infatti, per loro, possibile conoscere il Bene in sé, l'educazione era volta a
diffondere i valori più convenienti alla vita civile dell'individuo impegnandosi a
elaborare particolari tecniche retoriche volte a ottenere la persuasione a proposito
della superiorità di determinati valori.
26
23
Cfr. CIAPPEI C., NINCI D., op. cit., pag. 169.
24
Con il termine polis (pl. poleis, in greco πόλις, "città") si indica una città stato della Grecia
antica. La polis fu un modello di struttura tipicamente e solamente greca che prevedeva l'attiva
partecipazione degli abitanti liberi alla vita politica. In contrapposizione alle altre città-stato
antiche, la peculiarità della polis non era tanto la forma di governo democratica od oligarchica, ma
l'isonomia: il fatto che tutti i cittadini liberi soggiacessero alle stesse norme di diritto, secondo una
concezione che identificava l'ordine naturale dell'universo (kòsmos) con le leggi della città.
Ognuno trovava la propria realizzazione nella partecipazione alla vita collettiva e nella costruzione
del bene comune. Da http://it.wikipedia.org/wiki/Polis
25
I sofisti erano maestri di virtù che si facevano pagare per i propri insegnamenti. Per questo
motivo essi furono aspramente criticati dai loro contemporanei, soprattutto da Socrate (che fu
anche accostato a questo movimento filosofico), e poi da Platone e Aristotele, e furono chiamati
offensivamente «prostituti della cultura». I sofisti, a differenza dei filosofi greci precedenti, non si
interessano alla cosmologia e alla ricerca dell'arché originario, ma si concentrano sulla vita umana,
diventando così i primi filosofi morali. Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Sofistica
26
Cfr http://www.treccani.it/enciclopedia/etica
11
La ricerca sulla nozione di bene va considerata, invece, al centro
dell’attività filosofica di Socrate, al quale si fa risalire il primo tentativo di
definire la natura propria della virtù, mettendone in luce la non riducibilità alle
mutevoli nozioni del bene: l’universale è essenzialmente l’universale etico, e cioè
propriamente i concetti con cui si regolano e giudicano le azioni.
Tra i socratici, chi meglio capì l’insegnamento del maestro fu Platone per
il quale il problema morale restò al centro della filosofia. Ma il concetto socratico
trapassò nell’‘idea’, divenendo forma non più soltanto del mondo umano ma
anche di quello naturale; e così l’unità del teorico e del pratico si ruppe. La
frattura assunse forma sistematica nella concezione psicologica che
contrapponeva, nell’anima, la parte razionale, sede della conoscenza, a quella
irrazionale, sede degli affetti.
Il primo a parlare di “etica” fu Aristotele, che nella sua Etica Nicomachea
(ovvero Etica a Nicomaco, dedicata al figlio di Aristotele che aveva preso il nome
dal nonno) distingue le scienze del sapere in tre grandi gruppi: filosofia teoretica
(che studia l’essere in generale o in qualche suo aspetto particolare); scienze
poietiche (che regolano la produzione degli oggetti) e filosofia pratica (o
normativa, che ha per oggetto i principi normativi dell’agire umano)
27
. L’etica è la
“filosofia pratica” per eccellenza e si occupa dell’agire umano necessario per una
vita portata a buon fine all’interno della struttura sociale in cui l’individuo vive;
essa abbraccia sia la prassi domestica (economia) sia la prassi della comunità
(politica). All’interno delle virtù etiche (che concorrono alla scelta del “giusto
mezzo”) Aristotele colloca la Giustizia
28
, che distingue in giustizia distributiva e
giustizia commutativa (o correttiva).
29
Quindi l'etica è vista come politica nella
misura in cui essa può ispirare una legislazione adeguata per promuovere la
felicità collettiva e dunque anche individuale. L'etica per Aristotele è quindi una
scienza pratica, e il sapere è finalizzato all'azione.
Aristotele dà anche una definizione della felicità:
Ciò che è sufficiente in sé stesso è ciò che, pur essendo da solo, rende la
vita sceglibile e non bisognosa di nulla; ora, una cosa di questo genere noi
riteniamo che sia la felicità" che consiste in "un'attività dell'anima razionale
secondo virtù e, se le virtù sono molteplici, secondo la più eccellente e la perfetta.
Dalla felicità, fine ultimo, l'indagine si sposta alla virtù divisa in virtù
dianoetica, propria della parte intellettuale dell'anima, e la virtù etica guidata dalla
parte appetiva dell'anima, classificata come razionale, poiché partecipa alla
27
Vedi MURRONE A., Oltre l’utilitarismo, economia, etica e diseguaglianza nella proposta
neoutilitarista di A.K. Sen, 1998, pp. 1-2
28
Intesa come conformità del comportamento ad una norma (norma che può essere di natura,
divina, positiva…)
29
Intese come conformarsi alle norme che prescrivono l’uguaglianza tra i meriti e i vantaggi o i
vantaggi e gli svantaggi di ciascuno. Ivi, pp. 41-42
12
ragione ubbidendogli.
30
Vediamo come già dai filosofi greci ci fosse una visione
“alta” della vita, e le parole quali “bene” e “felicità” siano alla base delle azioni
degli uomini e della crescita di una società giusta.
1.3.2 L’etica cristiana
Su una concezione religiosa totalmente nuova si fonda l’etica cristiana:
essa è dominata dall’idea, predicata da Gesù di Nazareth, dell’ineffabile paternità
di Dio innanzi al quale gli uomini sono tutti uguali e tutti fratelli. La regola di
condotta evangelica, proprio perché esemplata sulla perfezione divina, si traduce
in comandamento d’amore per gli altri; cade ogni distinzione etnica e sociale e
l’incondizionato amore per il fratello, anche se nemico e peccatore, è il sommo
comandamento. L’etica cristiana è un operoso donare sé stessi, senza nulla
chiedere in cambio, solo in vista dell’attuazione del Regno che è sì dono di Dio,
ma insieme meta cui l’uomo deve tendere. Inserendosi nella tradizione e nella
civiltà del mondo mediterraneo, il cristianesimo doveva necessariamente
misurarsi con la cultura greca e, mentre rivendicava la propria assoluta originalità,
ne veniva assorbendo motivi essenziali per trasformarli e adeguarli alla nuova
concezione della vita e del mondo. Così nei Padri greci e in Agostino il richiamo
all’interiorità e alla trascendenza, pur esprimendosi nei termini del linguaggio
platonico, assume un significato nuovo: nell’‘uomo interiore’ il cristianesimo
scopre non il ricordo di una forma immutabile, ma l’immagine stessa di Dio,
presente a ciascuno con la luce dell’intelletto e della grazia.
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Tra i grandi esponenti dell’etica cristiana abbiamo San Tommaso
d’Aquino, che ritiene incompleta l'etica di Aristotele, la quale riconduce la felicità
dell'uomo alla massima attivazione della conoscenza intellettiva. Egli cerca di
raggiungere una sintesi tra l'intellettualismo aristotelico ed il volontarismo
cristiano. Volontà ed intelletto sono tra di loro strettamente legate, poiché
dall'intelletto deriva la conoscenza del bene a cui la volontà deve tendere. Vi è una
duplice felicità. La prima è quella raggiungibile dall'uomo mediante i suoi soli
mezzi, cioè tramite l'utilizzo delle sue virtù morali ed intellettuali (virtù cardinali).
La seconda forma di felicità, che è suprema e perfetta, risiede nella visione
dell'essenza di Dio ed è raggiungibile mediante l'utilizzo di quei princìpi che Dio
ha concesso all'uomo (virtù teologali).
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30
Vedi, ARISTOTELE, op. cit., Libro 1.
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Cfr http://www.treccani.it/enciclopedia/etica
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Cfr. http://www.ildiogene.it/EncyPages/Ency=DAquino.html