4
Non è, dunque, un caso se la tradizione ebraica abbia da sempre
privilegiato, tra i cinque sensi, l’ascolto
3
, cristallizzando
emblematicamente la figura di Abramo di contro a quella occidentale
di Ulisse, il silenzio di contro ai perché.
Nella convinzione che, però, l’ascolto dovesse essere completato
dall’approccio intellettuale alla verità, Maimonide, come conseguenza
inevitabile del confronto fra Gerusalemme ed Atene, edificò una
summa di religione e filosofia che non scandalizzasse la massa: adottò
come metodo lo «scrivere tra le righe», affinché si svelassero a pochi
quelle verità che i molti non percepivano neanche
4
.
Riuscì, in tal modo, a sfuggire a livello individuale, come libero
pensatore, alla persecuzione cui, invece, fu condannato in quanto
appartenente al popolo ebraico.
Del lungo peregrinare di Maimonide è testimonianza il I capitolo
della tesi: l’intento non è quello di presentare scolasticamente il
filosofo, quanto piuttosto quello di offrire una chiave interpretativa
delle scelte da lui compiute in ambito letterario. Sembra, infatti, che,
componendo la Guida dei perplessi, Maimonide abbia pensato alla
3
Cfr. A. Shear-Yashuv, Yewish Philosophers on Reason and Revelation,
http://www.bu.edu/wcp/Papers/reli/reliShea.htm .
4
Cfr. L. Strauss, Scrittura e persecuzione, Marsilio Editori, Venezia 1990, p. VII.
5
sua vicenda esistenziale, all’esilio già vissuto e scongiurato,
nell’opera, con un apparente silenzio.
E’ questa la genialità della Guida: come si spiega nel II capitolo,
essa è una mappa solo per chi sia in grado di leggerla. Maimonide
ricorre, quindi, ad una forma umile, quale può essere una guida
rispetto ai sistemi filosofici; ma svolge una missione essenziale, nella
misura in cui supplisce indirettamente alla tradizione, concedendo
idee nuove a chi abbia assimilato le prime nozioni filosofiche e non
sappia più a cosa attenersi.
La ricerca prende l’avvio dal perché di una Guida, per poi studiare
l’opera nei suoi argomenti principali: si comincia con la creazione, la
profezia e la provvidenza, fino ad esaminare, nel III e nel IV capitolo,
le prove dell’esistenza di Dio ed i Suoi attributi.
Esposte nella Guida senza alcuna reticenza, a differenza degli altri
temi, le questioni relative all’esistenza e alla predicabilità di Dio
risultano tanto interessanti, quanto anomale: esse seguono un percorso
che non è ebraico, e, rompendo con la tradizione, manifestano
l’atteggiamento rivoluzionario di Maimonide. Il filosofo decide,
6
infatti, di clamare alta voce
5
e di suffragare con la ragione tre verità
fondamentali: il Creatore è, è uno ed incorporeo.
Razionalizzare il dogma dell’esistenza di Dio oppure apportare una
comprensione adeguata degli antropomorfismi biblici è espressione di
una posizione singolare, che presto, però, deve rientrare nel coro:
Maimonide sceglie, perciò, di chiudere le sue prove con un termine
precedente a Dio, e di acquietare la massa con la tesi della negazione
della privazione.
I contenuti della Guida- dimostra il V capitolo della tesi-
influiscono in modo considerevole sul pensiero cristiano del
Medioevo, anch’esso impegnato a sviscerare un corpo estraneo quale
la filosofia. E’ in modo particolare Tommaso d’Aquino che si giova
dell’opera maimonidea, come rivela già la I questione della Summa
Theologiae: rievocando il lavoro esegetico svolto dall’Ebreo, si
riconosce, nella Bibbia, la presenza di un senso spirituale, che
necessita di essere liberato da quello carnale
6
. A dare il senso della
profonda affinità tra i due filosofi saranno, comunque, soprattutto le
questioni affrontate e le motivazioni che li hanno spinti a comporre
un’opera, in cui la ragione affianca la fede.
5
Cfr. Maimonides, Dux seu Director dubitatium aut perplexorum, ed. Augustinus
Justinianus, Paris 1520, rist. an. Minerva, Frankfurt a. M. 1964, I, 34, f. 13 v.
6
Cfr. Tommaso d’Aquino, La Somma Teologica, Salani, Firenze 1964, I, q. 1, a. 10:
«Utrum sacra Scriptura sub una lettera habeat plures sensus».
7
Le ripercussioni della Guida dei perplessi si fanno, però, sentire
anche oltre il Medioevo: Spinoza, Mendelssohn e Strauss attestano il
loro interesse per un autore che è riuscito ad introdurre la ragione
anche quando la fede ebraica imponeva di darle l’addio; essi stessi,
dunque, volgendo lo sguardo al razionalismo premoderno di
Maimonide, non si qualificano come ebrei ortodossi: «un ebreo
ortodosso rimprovererebbe se stesso per i propri dubbi»
7
.
7
Cfr. C. Altini, Leo Strauss.Linguaggio del potere e linguaggio della filosofia, il Mulino,
Bologna 2000, p. 44.
8
CAPITOLO PRIMO
Maimonide:
filosofo errante fino al palazzo del sultano
Maimonide, noto anche come RaMBaM (dalle iniziali delle parole
ebraiche Rabbi Moshè ben Maimon) nasce, nel 1138, a Cordova, dove
il padre Maymon, giudice del tribunale rabbinico, lo inizia allo studio
della Bibbia, del Talmud e dell’astronomia; i maestri arabi, invece,
provvedono a fornirgli conoscenze di storia naturale, filosofia e
medicina.
La biografia di colui che sarà poi chiamato «l’Angelo della
Sinagoga» si interseca ben presto, però, con la storia di un popolo da
sempre costretto ad errare
8
. Nel 1148, infatti, Cordova cade nelle
mani degli Almohadi, che professano il ritorno all’Islamismo puro:
per gli Ebrei, che fino a quel momento sono rimasti fedeli alla loro
tradizione religiosa, grazie al dominio tollerante degli Arabi,
cominciano le persecuzioni.
8
Cfr. M.-R. Hayoun, Maimonide et la pensee juive, Presses Universitaires de France,
Paris 1994, p. 65; la vita di Maimonide verrà significativamente divisa in due parti: la
prima, comprendente infanzia e inizi dell’adolescenza, in Occidente, la seconda in
Oriente.
9
Di fronte all’alternativa, se accettare l’Islam o andare in esilio, la
famiglia di Maimonide abbandona Cordova, dando inizio ad una
lunga peregrinazione fra svariati centri dell’al-Andalus, finché, nel
1160, raggiunge Fez, in Marocco.
La città, però, è anch’essa governata dagli Almohadi: alla famiglia
di Maimonide, come del resto a molti altri ebrei in situazioni
analoghe, non resta che praticare il criptogiudaismo. Si preferisce,
quindi, testimoniare pubblicamente una minima adesione all’Islam,
purché venga garantita la propria sopravvivenza.
Una tale situazione giustifica a pieno la scelta, da parte del padre di
Maimonide, di indirizzare una Lettera di consolazione (in ebraico
Iggeret ha-Nehamah) ai corregionali, che, per necessità, manifestano
una fede diversa dalla propria. La consolazione a cui allude rabbi
Maymon deriva dal sapere che è sufficiente recitare le proprie
preghiere e compiere buone azioni, per restare ebrei.
Sull’esempio paterno, anche Maimonide, a Fez, nel 1162, scrive per
gli ebrei perseguitati una Lettera sull’apostasia (Iggeret ha-Shemad)
o Trattato sul martirio (Maamar Kiddush ha-Shem): l’ebreo non
perde la propria identità ebraica, se la sua conversione è stata dettata
dalla scelta di vita o di morte. Sarebbe opportuno, comunque,
10
abbandonare quei paesi che richiedono di trasgredire la legge divina,
cercando rifugio altrove
9
.
Nel 1165, la famiglia di Maimonide, caduta in sospetto, parte dal
Marocco verso la Palestina. Dopo un mese di navigazione, approda ad
Acri, in terra d’Israele, dove si stabilirà solo per pochi mesi: in
conseguenza della II Crociata, la condizione degli Ebrei è sempre più
precaria.
Si decide, quindi, come meta, il tollerante Egitto e precisamente
Fustat, antico quartiere del Cairo. Qui vive una numerosa comunità
ebraica, indipendente a livello religioso e giuridico
10
. La famiglia di
Maimonide ha, dunque, modo di godere di quella serenità che, per
troppo tempo, le era stata negata: è l’ambiente voluto dal regime dei
Fatimiti a consentirle di prosperare
11
.
Ma, nel 1169, muore, in un naufragio lungo le coste dell’India,
Davide, fratello di Maimonide, mercante in pietre preziose: con lui
viene meno l’unica fonte di sostentamento della famiglia
12
.
9
Cfr. Encyclopedia Judaica (1972), vol. XI, col. 755. Qui si riporta un passo
maimonideo dell’Iggeret ha –Schemad :«Un ebreo dovrebbe restare chiuso in casa finchè
non emigri; rimanendo in un posto in cui è costretto a trasgredire la legge divina, si
macchierà di un grave peccato».
10
Cfr. Maimonide, Lettera sull’astrologia cit., prefazione a cura di Elena Loewenthal,
p.13.
11
O. Leaman, Moses Maimonides, Curzon Press, Richmond 1997, p. 5.
12
Cfr.Enciclopedia Judaica cit., col. 762: in seguito alla morte del fratello Davide,
Maimonide cade in profonda depressione, come attesta la lettera da lui inviata a Japhet b.
11
Consapevole dell’impossibilità di trarre guadagno dalla Torah,
Maimonide, come molti dotti ebrei, si trova obbligato a mettere a
profitto gli studi di medicina, iniziati negli anni giovanili: riesce
gradualmente ad affermarsi, fino a diventare medico ufficiale della
famiglia del Saladino, succeduto ai Fatimiti
13
.
La fama che Maimonide acquista in breve tempo è tale che,
dall’Inghilterra, lo stesso Riccardo Cuor di Leone tenta di chiamarlo
presso di sé. Merito di tanta notorietà è la pratica rivoluzionaria che,
rispetto ai medici del suo tempo, egli introduce, nella misura in cui
ritiene che il corpo non possa essere guarito, se la mente non è in
sintonia con il processo curativo; di qui la difficoltà di un’arte, che
«non è soltanto il lavoro di mani che magliano e tessono, ma deve
essere ispirato dall’anima, ricolmato di comprensione, e fornito del
dono dell’osservazione acuta»
14
.
Ali, per informarlo dell’accaduto: «Non faccio altro che piangere, e non trovo alcun
conforto…mi sento debole».
I consigli che Maimonide medico distribuirà, in relazione al trattamento della malinconia,
porteranno il segno inequivocabile della sua esperienza personale, come spiega David
Novak, The Mind of Maimonides, «First Things», February 1999, n. 27-33,
http://www.firstthings.com/ftissues/ft9902/articles/novak.htm .
13
Cfr. Andrew S. Ehrenkreutz, Saladin’s Egypt and Maimonides, in Perspectives on
Maimonides. Philosophical and Historical Studies, edited by Joel L. Kraemer, The
Littman Library of Jewish Civilization, London, Portland, Or.1996, p. 303: con il
Saladino, si apre una nuova fase nella storia dell’Egitto. Il Saladino raggiunse la fama con
i successi militari contro i Crociati in Siria e Palestina; si preoccupò della salute pubblica,
e diede inizio ad un periodo culturalmente attivo, incrementando i rapporti con giuristi,
teologi, scrittori di altri paesi orientali.
14
Cfr. Mario Sonnino, Maimonide, medico e studioso,
http://www.menorah.it/articoli/Rambam/rambamchi.htm.
12
E’ il 1185, e quella condotta ora da Maimonide è una vita gloriosa,
ma fin troppo intensa.
Egli stesso si lamenta delle sue giornate affannose in una lettera del
1199, destinata a Yehudah ibn Tibbon: dopo aver speso gran parte del
suo tempo nel palazzo del sultano, nella strada di ritorno a casa,
Maimonide è bloccato da gente che si affolla in attesa di un suo
consiglio, di un suo aiuto
15
.
Emerge, in tutta la sua profondità, un paradosso strutturalmente
connesso alla biografia di Maimonide: si è di fronte ad un pensatore
coinvolto in una frenetica vita pubblica, ma pur sempre convinto che
la perfezione umana si raggiunga solo nel più totale isolamento. Più
volte, infatti, Maimonide ricorda che «ogni uomo eccellente resta
frequentemente solo e non incontra nessuno, a meno che non sia
necessario» (Guida dei perplessi, III, 51), ossia in ordine alla sua
sopravvivenza
16
.
15
Cfr. Encyclopedia Judaica (1972), vol. XI, col. 757. Maimonide afferma: «I miei
obblighi nei confronti del sultano sono davvero pesanti. Sono tenuto a visitarlo ogni
giorno; e quando è malato o lo sono i suoi bambini o gli ospiti del suo palazzo, devo
fermarmi lì gran parte della giornata. Capita frequentemente che io sia chiamato ad
attendere la loro guarigione. Non esco dal palazzo fino al pomeriggio. Ma allora trovo
l’anticamera pieno di gente, ebrei e gentili, nobili e persone comuni, giudici e ufficiali,
amici e nemici – una moltitudine mista che aspetta il tempo del mio ritorno…I pazienti si
susseguono fino a notte inoltrata: io converso e prescrivo loro i farmaci di cui
necessitano, fino a quando mi ritrovo tanto esausto da poter a mala pena parlare».
16
Cfr. Steven Harvey, Maimonides in the Sultan’s Palace, in Perspectives on
Maimonides cit., p. 68.
13
Avempace (Ibn-Baggiah)
17
, con la sua Guida del solitario, può aver
esercitato, in tal senso, un’influenza rilevante su Maimonide: egli
sosteneva che la felicità dell’uomo consiste nel suo graduale elevarsi
dalla conoscenza delle cose, fino al congiungimento con l’Intelletto
Attivo
18
. Considerando, però, l’estrema imperfezione della città,
secondo Avempace, la felicità è esclusivamente quella che l’uomo
persegue in assoluta solitudine: le chiacchiere degli abitanti, infatti,
non possono che distrarre il singolo qualificato dal sentiero della
saggezza
19
.
L’obiettivo del filosofo, dunque, spiega Avempace, coincide con la
visione della luce, senza alcun conseguente obbligo di tornare
all’oscurità che avvolge gli abitanti della caverna, impegnandosi nella
vita pubblica: qui la distanza che lo separa da Maimonide,
consapevole, invece, che l’uomo sia, oltre che animale razionale,
anche animale politico
20
.
La vita contemplativa è sicuramente tale da avvicinare l’uomo al
divino, come Aristotele stesso sottolineava all’interno dell’Etica
17
Filosofo nato a Saragozza, nella II metà dell’XI secolo e morto a Fez, nel 1139.
18
Cfr. E. Gilson, La filosofia nel Medioevo. Dalle origini patristiche alla fine del XIV
secolo, La Nuova Italia, Scandicci (Firenze) 1997, p. 431.
19
Cfr. S. Harvey, Maimonides in the Sultan’s Palace cit., p. 70.
20
Cfr. V. Berman, The Ethical Views of Maimonides within the context of Islamicate
Civilization, in Perspectives on Maimonides cit., p. 15.
14
Nicomachea
21
, ma ciò non implica il ritiro dalla società: riconoscere,
infatti, la dignità del biovς qeoretikovς non significa mettere
fra parentesi il bivoς praktikovvς.
L’esistenza di Maimonide, dunque, si svolge all’insegna di una
solitudine, che non può essere un ritiro anti-sociale nel deserto o sulle
montagne: la perfezione materiale e l’associazione politica sono tappe
indispensabili per il conseguimento di quel traguardo superiore, che
consiste nella perfezione spirituale
22
, nello stesso modo in cui la
libertà di Eretz Yisrael è strumento inevitabile per l’eccellenza
intellettuale della nazione
23
.
L’intento del filosofo, quindi, è quello di percorrere la via mediana
tra due fonti arabe radicalmente opposte: la Guida del Solitario di
21
Cfr. Aristotele, Etica Nicomachea, Rusconi, Milano 1996, X, 7 - 8, 1177b 14 – 1178a
12: «Se, dunque, l’intelletto in confronto con l’uomo è una realtà divina, anche l’attività
secondo l’intelletto sarà divina in confronto con la vita umana».
22
Scrive, perciò, Maimoinide che «La Torah, nel suo complesso, si propone due cose: il
perfezionamento dell’anima e il perfezionamento del corpo. Quanto al perfezionamento
dell’anima, esso consiste nel possesso, da parte di tutti gli uomini di idee veritiere,
conformemente alle loro rispettive possibilità …Quanto al perfezionamento del corpo,
esso si ottiene attraverso il miglioramento del modo di vivere degli uomini, gli uni con gli
altri. Questo fine precede il perfezionamento dell’anima nella natura e nel tempo: è
evidente che non si può giungere alla più nobile perfezione dell’anima (l’unica da cui
deriva all’uomo l’immortalità), se non dopo aver ottenuto la prima, essendo impossibile
che un uomo tormentato dal dolore, dalla fame, dalla sete, dal caldo o dal freddo, riesca a
realizzare delle idee» (Guida III, 27): cfr. G. Laras, Mosè Maimonide. Il pensiero
filosofico, Morcelliana, Brescia 1998, pp. 185 – 186.
23
Cfr. I. Twersky, Maimonides and Eretz Yisreal: Halakhic, Philosophic and Historical
Perspectives, in Perspectives on Maimonides cit., p. 278: lo sviluppo culturale e teologico
è chiaramente condizionato dalla situazione politica: solo l’indipendenza e la normalità
sociale permettono il benessere individuale e l’eccellenza nazionale.
15
Avempace e Le idee degli abitanti della città virtuosa di al-Farabi,
che esalta la vita in società e la comunicazione con i simili
24
.
In una lettura che risente dei precetti politici di al-Farabi, in
continuità con Platone, Maimonide, infatti, sagoma l’uomo perfetto
come colui che, in virtù della capacità del suo intelletto, lavora a
favore della città: sa emergere dalla caverna, per poi farvi ritorno e
guidare gli abitanti verso quella felicità che, altrimenti, resterebbe loro
nascosta.
In quest’ottica, l’ascesa di Maimonide corrisponde al tempo in cui
il filosofo, fra i suoi tanti impegni quotidiani, si ritaglia momenti
preziosi di solitudine e contemplazione, che gli offrono la possibilità
di incrementare le sue conoscenze.
Il rapporto costante con la scienza equivale ad un iter di progressiva
prossimità a Dio
25
: «si riesce ad amare Dio solo nella misura in cui ci
si sforza di conoscerLo»
26
, scrive Maimonide nel Mishneh Torah. E’,
quindi, solo dopo aver trascorso parte del suo tempo alla ricerca di
Dio, che Maimonide può tornare da quella moltitudine perplessa che
24
Cfr. Hayoun, I filosofi ebrei nel Medioevo cit., p. 66.
25
Cfr. Harvey, Maimonides in the Sultan’s Palace cit., p. 71. Harvey cita un passo, a
questo proposito, emblematico: «Quando sei solo con te stesso e non c’è nessun altro lì,
puoi approfittare di questo tempo prezioso, per volgere il tuo pensiero a quella attività
intellettuale consistente nella prossimità a Dio» (Guida, III, 51).
26
Cfr. Laras, Mosè Maimonide cit., p. 62.
16
attende una guida: la necessaria discesa del filosofo prende ora la
duplice forma di cura degli altri ed avventura letteraria.
Il pensatore solitario, dunque, cede il passo al profeta, cioè a colui
che ha raggiunto una qualche conoscenza ed intende comunicare alla
comunità il messaggio attinto in forma privata
27
.
In virtù della sua ‘‘vicinanza al sovrano’’, Maimonide viene
nominato Naghid, cioè Capo degli ebrei d’Egitto, detenendo tale
carica fino alla sua morte, avvenuta nel dicembre del 1204, e seguita
da imponenti manifestazioni di cordoglio in tutto il mondo ebraico: a
Fustat, città dove aveva vissuto gran parte della propria vita, fu
indetto un lutto pubblico di tre giorni.
La celebrità di Maimonide si fonda soprattutto sulle opere relative
alla legge: gli ebrei della diaspora, e ancora oggi diverse comunità
orientali, lo hanno conosciuto come giurista e hanno seguito le sue
prescrizioni giuridiche e religiose
28
.
Gli scritti più popolari sono il Commento alla Mishnah ed il
Mishneh Torah: loro destinatari sono i fedeli, immuni da conflitti di
natura razionale, perché abituati ad una vita religiosa scandita dalla
semplice esecuzione dei precetti.
27
Cfr. Leaman, Moses Maimonides cit., p. 46.
28
Cfr. Sirat, La filosofia ebraica medievale, Paideia, Brescia 1990, p. 205.
17
Il Commento alla Mishnah, composto tra il 1158 ed il 1168, si
propone di rendere maggiormente accessibile il senso del testo della
Mishnà, prescindendo dalle lunghe discussioni della successiva
interpretazione talmudica.
Significativamente rilevanti sono le due introduzioni incluse nel
Commento alla Mishnah: l’una al Trattato Avot, conosciuta come
Shemonah Perakim, “Otto Capitoli”, l’altra al Trattato Sanhedrin. La
prima costituisce un lavoro filosofico ed etico, in cui Maimonide
armonizza la dottrina etica di Aristotele con gli insegnamenti
rabbinici; la seconda è un’approfondita dissertazione sui 13 principi
basilari della fede ebraica. Il rispetto degli articoli di fede, codificati
da Maimonide, sancisce, in modo perentorio, l’appartenenza al popolo
di Israele
29
.
Risale, invece, al decennio 1170-1180 il Mishneh Torah,
“Ripetizione della Legge”, testo che esemplifica lo sforzo compiuto
da Maimonide per organizzare la Legge Orale in modo unitario e
razionale.
29
Cfr. Sirat, La filosofia cit., p. 221; ci si serve della traduzione di Sirat, per il brano che
segue: «Se qualcuno mette in dubbio uno di questi principi, si autoesclude dalla comunità
d’Israele e, avendo rigettato la propria fede, diventa un rinnegato, un eretico, un
eterodosso…» (Introduzione al Commento alla Mishnah, Pereq Heleq, 148 - 149).