5
Poi analizzati i contesti storico-filosofici si è ritenuto di ricostruire il mondo del
“pragmatismo italiano”. Prima ricordando la filosofia di Giovanni Vailati [2.1],
maestro ed amico di Calderoni. Successivamente sottolineando la collaborazione-
conflitto di Calderoni con la redazione fiorentina della rivista “Leonardo” [2.2 e
2.3]. Ed infine analizzando i rapporti tra pragmatismi [2.4 e 2.5], tra pragmatismi e
positivismo [2.6] e tra pragmatismi e neo-idealismo [2.7].
Terminata l’analisi del contesto ci si è soffermati sulle caratteristiche
fondamentali della filosofia e successivamente sui concetti fondamentali di teoria
del diritto del nostro autore.
Nelle sezioni dedicate alla trattazione dei caratteri fondamentali della filosofia si è
iniziato con l’introdurre l’idea calderoniana delle “funzioni” della filosofia e delle
relazioni tra filosofia, senso comune e scienze [3.1]. Poi si è continuato, nella
sezione “Conoscenza ed azione” [3.2] con l’affrontare le tematiche del relativismo
conoscitivo [3.2.1], della definizione del concetto di “sensazione” [3.2.2] e della
distinzione tra credenze e valutazioni [3.2.3].
Nelle sezioni successive si è trattato a fondo le tematiche connesse alla nozione di
evoluzione [3.3], alla concezione etica con l’analisi dello scritto fondamentale
“Disarmonie economiche e disarmonie morali” [3.4], le teorie semantiche [3.5] e
l’analisi dei meccanismi mentali della conoscenza umana e dell’attività scientifica
[3.6]. L’analisi delle idee filosofiche si conclude affrontando le tematiche della
Politica [3.7] e sottolineando le critiche calderoniane nei confronti del socialismo
rivoluzionario e del nazionalismo estremo e il tentativo di conformarsi alla via
intermedia del liberalismo moderato.
Il momento conclusivo dello studio è dedicato all’analisi dei concetti e dei
termini fondamentali della teoria di diritto calderoniana. Nelle ultime sezioni sono
sistemati i temi rilevanti ai fini del nostro studio di teoria e di filosofia del diritto e
relativi alla filosofia del diritto ed alla teoria del diritto di Calderoni. La mia finalità
ultima è di descrivere e definire uno dei concetti che Carlos Nino, nel suo Notas de
introducciòn al derecho, classifica tra i concetti fondamentali del diritto: il concetto
di responsabilità. Per descrivere e definire tale concetto si sono estese definizione e
6
descrizione ai concetti filosofici articolati e correlati di libertà/ causazione [4.1.1] e
di volizione [4.2], ed ai concetti giuridici di “imputabilità”, “dolo”, “colpa” e
“conoscibilità del diritto” [4.3]. Inoltre si sono affrontate tematiche schiettamente
giusfilosofiche come i discorsi “classici” sulla sanzione nel “diritto criminale”
[4.1.2], sul metodo della scienza criminale [4.1.3] e sulla distinzione tra scuola
classica e positivisti introdotti in “I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto
Penale”. Da ultimo è stato esaminato lo scritto calderoniano- non ancora analizzato
come meriterebbe- “Forme e criteri di responsabilità”.
Riassunte così ed evidenziate le tematiche giusfilosofiche e di teoria del diritto
occorre dare alcune indicazioni di metodo. Nella ricerca su Calderoni sono stati
combinati due accostamenti diversi.
Da un lato ho utilizzato il metodo di ricostruzione “storica” delle idee e delle teorie
di un autore, metodo attento all’analisi delle derivazioni filosofiche tra autori di
contesto diverso, delle relazioni tra autori all’interno di uno stesso contesto, delle
differenze tra movimenti e correnti filosofiche e dei caratteri fondamentali delle
filosofie.
Dall’altro ho usato il metodo di ricostruzione “analitica” – che è anche il metodo di
Calderoni e Vailati- interessato all’analisi dell’uso dei concetti e dei termini
all’interno di un determinato discorso e all’analisi delle definizioni, all’indicazione
dei “falsi dilemmi” scaturenti da un uso scorretto o dall’indeterminatezza del
discorso e all’identificazione della filosofia come l’unica “cura” delle “malattie
della comunicazione. Da un lato l’analisi del contesto; dall’altra l’analisi del
discorso.
Ho utilizzato sia il confronto tra contesti e il confronto di idee all’interno di uno
stesso contesto; sia il confronto tra concetti e il confronto tra termini all’interno di
uno stesso discorso. L’uno tende a dimostrare la conformità/ difformità di un
discorso all’interno di una tradizione di ricerca (coerenza “esterna”) e l’altro a
dimostrare la coerenza/ incoerenza di termini e concetti all’interno di un discorso
(coerenza “interna”).
7
Questo lavoro anziché aderire all’una o all’altra “tradizione di ricerca” le utilizza
entrambe finalizzandole ad incrementare la “chiarezza” e l’”esaustività” dell’analisi
su Calderoni. Così alcune sezioni [1 e 2] sono state dedicate alla ricostruzione
“storica” del contesto del nostro autore e le rimanenti [3 e 4] all’analisi della
coerenza interna del discorso di Calderoni.
8
1. IL CONTESTO FILOSOFICO ITALIANO DI FINE OTTOCENTO
1. Il pragmatismo americano
La storia della filosofia dell’Ottocento italiano ricalca la storia della filosofia
dell’Ottocento mondiale. L’Ottocento è il secolo in cui l’area di formazione della
filosofia occidentale si estende dal vecchio continente al Nord-America. Una
minuziosa ricerca storico-filosofica sul contesto del pragmatismo italiano di fine
Ottocento deve tenere necessariamente conto delle influenze dell’ambiente nord-
americano, esaminando a fondo conformità e differenze all’interno dei modelli di
evoluzione culturale.
Primo contributo della cultura nord-americana alla storia della filosofia
occidentale è nel 1870 la fondazione del Metaphysical Club. Il pragmatismo
americano non è una corrente filosofica unitaria: nasce con Charles Sanders Peirce e
immediatamente si evolve in senso “utilitaristico” con Williams James ed in senso
“strumentalistico” con John Dewey. Le “sotto-correnti” del pragmatismo
americano
2
sono tre: il pragmatismo “metodologico” di Peirce, il pragmatismo
“utilitaristico” di James, e lo strumentalismo di Dewey.
La nascita del pragmatismo americano – come ho detto- è comune: il Metaphysical
Club ne è la culla. Esistono assunti comuni alle riflessioni filosofiche di Peirce,
2
La distinzione tra modello di Peirce e modello di James, che inciderà in maniera notevole in
Italia sulla relazione tra pragmatismo “logico” e pragmatismo “magico”, è sottolineata da L.
Demartis in Pragmatismo, Milano, Editrice Bibliografica, 1995, 12-13: “La duplice paternità della
corrente si riflette nelle diverse etimologie cui si fa risalire il significato del termine pragmatismo,
dalle quali emergono, fin dall’inizio, due differenti filoni del pragmatismo che fanno capo
rispettivamente a Peirce e a James.Secondo Peirce pragmatismo deriva dalla distinzione operata da
Kant tra praktisch e pragmatisch ed è da intendersi finalizzato ad una nuova teoria logica del
significato… Per James invece il termine deriva dal greco pragma (azione) da cui, precisa l’autore,
proviene il termine prassi… Egli infatti dichiara di voler fare un uso più ampio della dottrina del
significato di Peirce, traducendola in una teoria metafisica e morale della verità per la quale vero è
ciò che da’ luogo a conseguenze pratiche soddisfacenti, relativamente alle esigenze vitali più
profonde degli individui…”. Allo stesso modo afferma N. Abbagnano, in Filosofi e filosofie nella
Storia, Torino, Paravia, 1994, vol. III, 400: “Queste due forme di pragmatismo (il Pragmatismo
“metodologico” ed il Pragmatismo “metafisico”) sono profondamente diverse, poiché la prima
mette capo ad un razionalismo sperimentalistico e fallibilistico (vicino ai procedimenti della
scienza) mentre il secondo sfocia in un irrazionalismo a sfondo metafisico, religioso e (in taluni
casi) politico…”.
9
James e Dewey
3
: anzitutto la critica all’ideale classico di vita meramente teoretica;
l’idea della verità come situazione futura; l’idea che la verità sia una norma
d’azione rivolta al futuro. Mentre all’interno delle filosofie tradizionali antecedenti,
con l’eccezione del marxismo, nella relazione tra conoscenza ed azione sussiste uno
sbilanciamento a favore della conoscenza, nell’America di fine ottocento l’ideale
medioevale della vita “teoretica”, cioè della vita dedita alla meditazione ed alla
ricerca di una verità a-storica, è sostituito con l’ideale della verità come farsi, come
azione, come attività. Con il pragmatismo si assiste ad una rivalutazione
dell’azione. In filosofia, come nella vita, è utile solo ciò che sia idoneo a modificare
la condotta dell’uomo nei confronti delle cose, nei confronti dell’altro nel mondo e
nei confronti di Dio.
La concezione tradizionale della verità come conformità tra cosa ed idea, cioè come
adaequatio tra essere e pensiero, è rifiutata. In base alla rivalutazione dell’azione la
verità si trasforma da stato mentale ad attività, farsi conoscitivo
4
. La verità non è un
dato, ma è la risultante delle attività necessarie alla verificazione. C’è una rilettura
del verificazionismo empirista: metodo di controllo della verità non è la conformità
ad un’esperienza passata o attuale; metodo di controllo, in forma di previsione, della
verità è il riferimento ad un’esperienza futura. Il pragmatismo americano è dottrina
filosofica orientata per così dire verso il futuro, dal momento che considera verità di
un’azione l’effetto futuro dell’azione medesima. Perciò la relazione tra conoscenza
ed azione è relazione normativa. La verità, cioè ciò che è conoscenza certa è idonea
a modificare l’azione futura divenendo così norma all’azione futura; il credere che
una cosa sia vera, suscettibile di uso futuro, influenza indubitabilmente la condotta
futura dell’uomo divenendo una sorta di criterio d’orientamento dell’azione futura.
Sostiene chiaramente Calcaterra:
3
Cfr. L. Demartis, Pragmatismo, cit., 5: “Nonostante le diverse posizioni espresse dagli autori che
in qualche modo si riferirono e riferiscono al movimento pragmatista, si può cogliere tra queste un
comune denominatore nell’interesse per l’esperienza come processo in atto che coinvolge uomo e
natura, la conseguenze interdipendenza tra oggetto e soggetto, mente-corpo, teoria-pratica,la
considerazione della verità di una conoscenza in relazione alle azioni che essa rende possibili…”.
4
Per un’analisi sistematica delle teorie aletiche si veda F. D’Agostini, Disavventure della verità,
Torino, Einaudi, 2002, passim.
10
“La definizione della credenza come principio guida delle inferenze… volge ad
accantonare definitivamente la classica questione della ricerca dei fondamenti
assoluti della conoscenza… Peirce osserva innanzi tutto che, al di là della validità
formale ed anche effettiva di un’inferenza, il passaggio dalle premesse alle
conclusioni di un ragionamento è sempre guidato da un qualche contenuto del
pensiero, ovvero da un’opinione che si è stabilita dal pensiero e che funziona
appunto come suo principio guida. Più propriamente, ciascuna… credenza
costituisce un abito mentale…”
5
.
Successiva è la distinzione, introdotta da Peirce medesimo, tra pragmatismo
jamesiano e pragmaticismo
6
. Peirce introduce un modello di filosofia critico-
razionalistica fondato sulla ricerca di un metodo utile a determinare il senso dei
concetti intellettuali; James un modello di filosofia irrazionalistica fondato su una
teoria metafisica e morale della verità. Analizzate le tendenze comuni è necessario,
riprendendo la distinzione di Peirce tra “pragmaticismo” peirceiano e
“pragmatismo” jamesiano, esaminare in maniera distinta le due “sotto-correnti”: da
un lato il pragmatismo “metodologico” di Peirce e dall’altro il pragmatismo
“metafisico” utilitaristico di James.
Occorre delimitare chiaramente il nostro contesto di ricerca. Ci interesseremo in
estrema sintesi esclusivamente delle riflessioni filosofiche di Peirce e di James
immediatamente connesse alle idee e ai concetti del pragmatismo italiano di
Calderoni e Vailati: la tematica della conoscenza; la definizione del concetto di
credenza, l’idea della verità. Delineeremo in entrambi una teoria della conoscenza.
Di Peirce non introdurremo le ricerche “faneriche” e sulla natura del cosmo; mentre
di James trascureremo la filosofia della mente in senso stretto e l’analisi dei concetti
“metafisici” di Dio come ente finito e di universo come struttura non monistica
7
.
5
Cfr. R. M. Calcaterra, Il Pragmatismo americano, Bari, Laterza, 1997, 19-20.
6
Cfr. C.S. Peirce, What Pragmatism is, in “Monist”, 1905, vol XV, 161-181 ovvero in “Collected
Papers”, vol. V, 411-437, trad. it. di G. Gilardoni, in “Pragmatismo e Pragmaticismo”, Liviana,
Padova, 1969.
7
Per un’analisi sistematica dei temi non direttamente trattati si vedano R. M. Calcaterra, Il
Pragmatismo americano, cit., passim e A. Santucci, Storia del Pragmatismo, Bari, Laterza, 1992,
passim.
11
Peirce fonda la sua riflessione filosofica in materia di conoscenza sul concetto di
credenza. La credenza è, infatti, la base della razionalità umana. La filosofia della
conoscenza di Peirce nasce dalla critica “concretistica” all’idea cartesiana di un
“dubbio universale”. Per Peirce il motore della ricerca viene considerato un “dubbio
reale e vivente”, non un “dubbio universale”. E’ il “dubbio reale e vivente” che
conduce l’uomo a formarsi determinate credenze. Il dubbio cartesiano, inteso come
idoneità dell’uomo a mettere in discussione sistematicamente ciò che non è
intuitivamente evidente è ben diverso dal dubbio di Peirce. Per quest’ultimo il
dubbio è uno stato mentale di insoddisfazione e di frustrazione che l’uomo tende a
trasformare in stato d’animo calmo e certo con l’introduzione di nuove credenze. Il
dubbio cartesiano è un metodo di controllo su ciò che non è evidente; il dubbio in
Peirce è uno stato mentale caratteristico dell’uomo. Mentre Cartesio
8
indirizza
l’uomo verso il dubbio individuale ed indica il dubbio come fonte accessoria di
conoscenza insieme all’intuizione; Peirce indirizza l’uomo alla credenza ed indica
come fonte unica di conoscenza l’abbandono dell’irritazione scaturente dal dubbio.
“Pensare”, cioè uscire lottando dallo stato di irritazione connaturato al dubbio, vuole
dire creare credenze (stati mentali di calma e sicurezza), o, in altri termini, creare
una correlazione infinita di inferenze tra credenze; la credenza nuova si motiva in
base alla credenza antecedente e così via all’infinito, riconoscendo l’esistenza
necessaria di una credenza iniziale non verificata. L’ammettere l’eventuale
esistenza di una credenza iniziale non verificata, non necessariamente vera, e
suscettibile di emenda, riconduce la riflessione di Peirce a riconoscere il
“fallibilismo” del metodo scientifico.
8
Cfr. Cartesio, Discorso sul metodo, in G. Brianese, Il discorso sul metodo di Cartesio e il
problema del metodo nel XVII secolo, Torino, Paravia, 1988, 67. Cartesio nel Discorso sul metodo
scrive: “In tal modo non intendevo imitare gli Scettici, che dubitano solo per dubitare e si
compiacciono di mostrarsi sempre irresoluti, ma, al contrario, il mio progetto mirava soltanto a
farmi acquistare la certezza e a rimuovere la terra mobile e la sabbia per ritrovare la roccia o
l’argilla. Ciò, mi pare, mi riusciva abbastanza bene; infatti cercando di scoprire la falsità o
l’incertezza delle proposizioni che esaminavo… non ne incontravo nessuna tanto incerta che non
mi fosse possibile trarne sempre qualche conclusione abbastanza sicura, non fosse altro che questa:
che quella tale proposizione non conteneva nulla di certo”. Prima Cartesio introduce l’idea di
dubbio universale e successivamente la critica in un modo molto simile al modo in cui introdurrà il
concetto “je pense, donc je suis”.
12
Non esiste un unico modo di stabilire credenze: vi è il metodo della tenacia, che
consiste nel non mettere in discussione credenze; il metodo dell’autorità, che
consiste nel vietare le credenze difformi; il metodo della metafisica, che consiste nel
costruire ed ordinare credenze in sistemi; il metodo scientifico. I tre metodi iniziali
(tenacia; autorità; metafisica) hanno la caratteristica comune di non tollerare
l’errore; tenacia, autorità e metafisica stabiliscono credenze senz’ombra di
fallimento. Il metodo scientifico rinuncia all’infallibilità; la scienza stabilisce
credenze non necessariamente vere ma emendabili. La nozione di credenza – come
visto – è centrale all’interno della filosofia conoscitiva del Peirce. La credenza è
norma all’azione futura. Pensare vuole dire creare una correlazione infinita di
inferenze tra credenze. Ed è una credenza antecedente ad indirizzare la serie di
inferenze (abduttive) idonee a fondare nuove ed ulteriori credenze. Peirce analizza –
come farà successivamente in Italia Vailati- la struttura dei meccanismi inferenziali
riconoscendo come attività inferenziali dell’uomo le attività di deduzione, induzione
ed abduzione
9
. L’induzione è una deduzione inversa, mentre l’abduzione è una
induzione meno certa. E’ vero che nel pensiero umano deduzione ed induzione
hanno un ruolo fondamentale, ma – secondo Peirce – nella creazione di abitudini
mentali/ credenze non esiste meccanismo inferenziale efficace come l’abduzione.
9
E’ difficile rendere conto del vastissimo dibattito sulla struttura dei meccanismi inferenziali dal
momento che il tema esula dalla nostra discussione e la letteratura in materia è davvero sterminata.
Limitiamoci a definire sommariamente con l’ausilio dell’Enciclopedia Garzanti di filosofia,
Milano, Garzanti, 1981 i concetti di deduzione, induzione ed abduzione:
a] deduzione: la deduzione è “ nel significato più ampio, il rapporto di derivazione che lega, in un
ragionamento, la conclusione alle premesse…Aristotele identifica la deduzione con il sillogismo e
ne specifica il significato in senso stretto come ragionamento che procede dall’universale al
particolare… Il concetto aristotelico di deduzione attraversa tutto il medioevo e si trasmette al
pensiero moderno…”. Per una estesa analisi del concetto di deduzione si veda V. Girotto, La
deduzione, in “Psicologia del pensiero”, a cura di V. Girotto e P. Legrenzi, Bologna, Il Mulino,
1999,11-39.
b] induzione: “In logica, forma di ragionamento che dall’esame di uno o più casi particolari giunge
a una conclusione la cui portata si estende al di là dei casi esaminati…”.
c] abduzione: “Ragionamento sillogistico che si differenzia dall’induzione e dalla deduzione per la
sua minore capacità dimostrativa… sillogismo in cui la premessa maggiore è certa, quella minore è
incerta; la conclusione ha dunque una certezza inferiore o uguale alla premessa minore…”.
13
Mentre infatti deduzione ed induzione non introducono alcunché di nuovo,
l’abduzione è fonte di idee/ concetti nuovi. La serie di inferenze che fonda nuove
credenze sotto la direzione di una credenza antecedente è una serie inferenziale
abduttiva. Analizzati i meccanismi mentali di formulazione delle credenze Peirce
sostiene che l’utilità di una credenza nella vita è variabile della verificabilità della
credenza medesima. La verificabilità di un’azione - secondo Peirce- è l’effetto
futuro dell’azione medesima
10
. Una credenza è vera nel momento in cui sussista
conformità tra effetti attesi dalla credenza ed effetti realizzati; una credenza è falsa
nel momento in cui non sussista tale conformità. Nel momento in cui sia vera, la
credenza è norma d’azione utile; nel momento in cui non lo sia, è una norma
d’azione non utile ad incidere sulla condotta umana.
Peirce tuttavia non intende allo stesso modo di Cartesio la verità come se fosse
l’esito individuale del confronto tra credenza ed effetti futuri scaturenti dalla
credenza. La verificazione in Peirce è un evento individuale; la verità è un evento
comunitario:
“L’opinione finale, sulla quale, fatalmente, tutti coloro che indagano si troveranno
d’accordo, è ciò che intendiamo con verità, e l’oggetto rappresentato in questa
opinione è il reale. In questo modo io spiegherei la realtà…”
11
.
10
Cfr. L. Demartis, Pragmatismo, cit., 19: “Peirce è in grado di stabilire la regola, o massima
pragmatica, per rendere chiare le nostre idee: “Consideriamo quali effetti che potrebbero
concepibilmente avere conseguenze pratiche noi concepiamo che gli oggetti della nostra
concezione abbiano. Allora, la nostra concezione di quegli effetti è la totalità della nostra
concezione dell’oggetto”…”.
11
Cfr. AAVV,Charles S. Peirce. Le leggi dell’ipotesi, a cura di M. A. Bonfantini, R. Grazia, G.
Proni, Milano, Bompiani, 1984, 124 richiamato in R. M. Calcaterra, Il Pragmatismo americano,
cit., 23.
14
La verità è l’insieme delle attività di verificazione della comunità scientifica come
la realtà è l’accordo della comunità sulla verità. Peirce si dimostra fiducioso del
cammino trionfale della scienza verso la verità, senza tuttavia trascurare – come
osservato – l’idea di fallibilità della conoscenza scientifica
12
. Le idee della verità
come “collaborazione” comunitaria e dell’Amore/ Dio come motore evolutivo
dell’universo formano in Peirce un’etica della solidarietà.
Per ciò che concerne il meccanismo conoscitivo, James
13
conferisce alla nozione
di credenza una funzione accessoria. E’ senza dubbio elemento costitutivo della
razionalità umana, ma non ne è condizione necessaria e sufficiente. Per James – allo
stesso modo che in Peirce- il dubitare è il motore della ricerca. “Dubitare” vuole
dire tradursi da uno stato mentale di incertezza ad uno stato mentale di certezza e
rilassamento. La razionalità è innanzitutto sensazione emotiva soddisfacente,
derivata dal conformarsi del mondo interno al mondo esterno. Il tradursi dell’uomo
dalla incertezza alla certezza è – come in Peirce- credenza. Ma la credenza non è
unica base necessaria alla razionalità umana. E’necessario riconoscere l’incidenza
del desiderio sulla credenza. “Pensare” vuole dire introdurre una catena infinita di
inferenze tra credenze, senza tuttavia escludere l’influenza benefica e normale del
desiderio (interesse/ valutazione) sulla catena di inferenze.
12
Cfr. A. Santucci, Storia del Pragmatismo, cit., 47: “La ricerca deve procedere
indefinitivamente… senza pregiudizi ed esclusioni. Il Pragmatista logico o pragmaticista ne aveva
fornito le regole, aveva mostrato come si fissano le credenze e si rendono chiare le idee, come la
conoscenza consista in un’interpretazione e l’ipotesi v’abbia una parte preminente.Con esse egli
proponeva un modo nuovo di fare filosofia, libero dalle tradizioni ingombranti e dall’autorità delle
scuole, ben deciso a respingere le manipolazioni del sapere da parte del sistema industriale e
produttivo… Peirce indicava nella comunità degli scienziati il luogo in cui era possibile sottrarsi
alla corruzione del potere e all’alienazione. Poteva allora accadere che questa apologia della
scienza ne compromettesse l’elemento fallibile e cedesse all’idea di un suo progresso irreversibile,
alla visione di un universo sulla via di diventare tutto razionale e trasparente…”.
13
Cfr. E. Oggioni, Filosofia e Psicologia nel pensiero postromantico, Bologna, Patròn, 1955, 117:
“James deve essere considerato fra tutti i filosofi dell’età postromantica il migliore e il più
progredito, perché quello che meglio ha inteso che il gran problema della coscienza
contemporanea, il problema critico e gnoseologico del rapporto tra fatto e valore, fra la contingente
irrazionalità e soggettività spontanea dell’essere umano… e l’oggettività e normatività del pensiero
giudicante, non può essere risolto appellandosi ad un’evidenza di ordine razionale ed
intellettuale… bensì alle forze irrazionali della soggettività, cosicché la verità non può essere
concepita che come un mito ideologico, in cui si crede non già perché lo si trova evidente, ma che
si trova evidente, appunto perché, preliminarmente, si decide di credervi. La deficienza più grave
del pensiero di James è l’assenza in lui di una mentalità storicistica…”.
15
Ma in James la credenza non è esclusivamente un’inferenza tra credenze ulteriori:
decidere è frutto di una creazione, dovuta all’incidenza sulle inferenze della
selezione tra sensazioni diverse. E la selezione tra sensazioni è una valutazione,
scaturente da una situazione emotiva. Nella vita dell’uomo vi sono necessariamente
due modalità di ottenere la verità. L’una obiettiva, incentrata sulla introduzione di
credenze interamente verificabili, razionale in senso stretto, normale; l’altra
subiettiva, incentrata sull’influenza dell’emozione individuale sulle credenze,
inverificabile, razionale in senso lato, eccezionale. Scrive James:
“La nostra natura passionale non soltanto può legittimamente, ma deve, decidere
nella opzione tra più affermazioni, quando è un’opzione genuina che non può per
sua natura essere decisa su basi intellettuali; perché, in tale circostanza, “non
decidere, ma lascia aperta la questione” è anch’essa una decisione passionale –
proprio come decidere per il sì o per il no – ed è soggetta allo stesso rischio di
perdere la verità…”
14
.
Nel momento in cui non sia realizzabile una decisione interamente razionale, cioè
fondabile su una credenza interamente verificabile, il limitarsi a non decidere o a
decidere tardivamente sarebbe dannoso. Anche laddove manchi una credenza
verificabile è interesse dell’uomo decidere. Il non decidere a causa della mancanza
di una credenza fondata non ha valore diverso dal decidere non avendo una
credenza. In entrambi i casi sussiste una decisione. Nell’una sussiste la decisione di
decidere senza credere; nell’altra la decisione di non decidere. La decisione di non
decidere rimane una decisione senza credenza fondata.
La chiarificazione del dualismo credenza/ desiderio è accennata nello scritto
jamesiano del 1884 “The Dilemma of Determinism”. Per James il dilemma libertà/
determinismo non trova e non troverà mai soluzione nel “metodo scientifico”,
essendo un dilemma metafisico. Laddove il “metodo scientifico” non si dimostri
efficace, rimane l’unica via della decisione arbitraria. La scelta a favore dell’una
16
libertà) o dell’altro (determinismo) non avviene in base a credenze, ma a seconda
delle emozioni di ciascun individuo. Ecco che il will to believe jamesiano è un
metodo accessorio, in momenti eccezionali della vita, al “metodo scientifico”
15
.
Se in Peirce la verità di una credenza è frutto di una verificazione successiva e
comunitaria (nel senso di comune alla comunità scientifica), James intende il
criterio di validazione delle credenze come un meccanismo “convalidativo”
individuale. L’accettazione individuale è fonte di convalidazione di una credenza.
Per James - in date circostanze- sono vere le credenze che ci servono, non sono vere
le credenze che non ci servono. James sembra invertire drasticamente l’assunto
metodologico di Peirce “sono utili le credenze che sono vere, sono inutili le
credenze che non sono vere”.
L’incidenza delle riflessioni di Peirce e di James su Mario Calderoni – come
vedremo- è elevata, ed è altrettanto evidente l’influenza del pragmatismo americano
nei confronti del pragmatismo italiano.
14
Cfr. W. James, La volontà di credere, a cura di G. Graziussi, Principato, Messina, 1953, 27,
richiamato in R. M. Calcaterra, Il Pragmatismo americano, cit., 56.
15
Cfr. A. Santucci, Storia del Pragmatismo, cit., 77: “Certo è che il clamore sollevato da
Pragmatism avrebbe indotto il suo autore a difendersi e a reagire, a confidarsi con Perry su certi
scritti del Bourdeau: “Quando sostengo che a pari condizioni la concezione moralmente più
soddisfacente verrà ritenuta dagli uomini più vera delle altre, mi citano come se dicessi che
qualsiasi cosa moralmente soddisfacente può considerarsi vera, per insoddisfacente che sia dal lato
della coerenza logica con ciò che sappiamo o crediamo vero circa gli eventi fisici e naturali”…”.
17
2. Il contesto filosofico italiano di fine ottocento: orientamenti e tendenze
Precedentemente abbiamo analizzato l’influenza dell’ambiente culturale nord-
americano sul contesto filosofico italiano di fine Ottocento. Ora è necessario
sottolineare brevemente le relazioni intercorrenti tra ambiente filosofico italiano di
fine Ottocento e pragmatismo italiano. Come affermato all’inizio, il contesto
filosofico italiano di fine Ottocento ricalca la storia della filosofia dell’Ottocento
mondiale; con l’unica eccezione del neo-idealismo italiano di Benedetto Croce e
Giovanni Gentile, niente di radicalmente innovativo sembra nascere dal contesto
filosofico italiano, in crisi con la crisi del positivismo.
Il mio intento scrivendo tale sezione è di rendere conto brevemente della vita
culturale italiana di fine ‘ottocento. Due sono i motivi che ne rendono necessari il
“ricordo” e la rivisitazione. L’uno è che dobbiamo riconoscere e sottolineare la
normale influenza su Calderoni – oltre che di Peirce e di James- direttamente dei
positivisti e del neo-idealismo ed indirettamente dell’intero ambiente culturale
italiano ottocentesco (“trascendentismi”; “idealismo meridionale”; futurismi ante
litteram; modernismo; etc…). L’altro è che una corretta analisi dell’ambiente
culturale di fine ottocento ci è utile ad intendere un secolo ricco di diritto e di
avvenimenti – checché se ne dica anche culturali- come il secolo scorso.
Due sono i momenti decisivi nella storia della filosofia italiana di fine ottocento:
dalla metà alla fine del secolo XIX c’è il momento dell’ascesa del positivismo in
Italia; tra il XIX e il XX secolo il momento della crisi del positivismo. Una breve
analisi della storia dei positivisti italiani è utile ad intendere l’ambiente filosofico
italiano di fine ottocento. Con la seconda metà dell’Ottocento si assiste in Italia
all’ascesa filosofica del positivismo. Il positivismo italiano si innesta in un contesto
filosofico dominato dal trascendentismo cattolico e dal neohegelismo.
Le interessanti meditazioni di Antonio Rosmini e di Vincenzo Gioberti sono
vanificate – secondo Garin
16
- dalla scarsa accortezza filosofica del “successore”
Terenzio Mamiani. Mamiani, e i di lui modesti allievi Augusto Conte e Augusto
16
Cfr. E. Garin, Cronache di filosofia italiana, Bari, Laterza, 1966, vol. I, 1-2.
18
Alfani, lontani dai tentativi di fondare la conoscenza umana sull’intuizione
(Rosmini) o di subordinare all’essere trascendente-divino l’intera realtà fenomenica
(Rosmini e Gioberti), si abbandonano a sterili discussioni sull’arte oratoria e a
inutili sermoni moralistici. Tanto da sembrare vuoti retori anziché filosofi. Le
caratteristiche comuni al trascendentismo cattolico di fine ottocento sono: un
interesse morboso verso la letteratura moralistico-edificante; un’accettazione a-
critica delle verità rivelate della dottrina cristiana; un cercare conforto all’ombra del
senso comune cattolico, rinunziando alla severità scientifica ed alla curiosità della
libera ricerca filosofica.
D’altro canto la seconda metà dell’Ottocento è dominata dal c.d. “idealismo
meridionale” di Francesco De Sanctis, di Bertrando Spaventa e di Antonio Labriola
(con contaminazioni marxiste), culla del neo-idealismo di Croce e Gentile. La
tradizione storicistica vichiana dell’intellettualismo meridionale si travasa
nell’ottocento italiano all’interno dell’idealismo hegeliano. De Sanctis, maestro di
Croce in materia di Estetica, sebbene rivaluti la concezione hegeliana della storia
come totalità e successione necessaria di momenti similmente razionali volta alla
liberazione dell’immanente umano dal trascendente divino, tende nella sua Storia
della letteratura italiana a riconoscere come valido, contro l’idealismo
estremizzato, l’intento anti-metafisico delle nuove dottrine realiste
17
. Spaventa tenta
di ricondurre la filosofia italiana alla tradizione filosofica continentale (e
massimamente alla filosofia idealistica tedesca), vincendo la tendenza del
trascendentismo cattolico alla chiusura culturale. Labriola, massimo studioso del
marxismo nell’Italia di fine ottocento, introduce in Italia la rivalutazione marxiana
dell’idealismo tedesco. La relazione tra idealismo meridionale ottocentesco e neo-
17
Garin, in E. Garin, Cronache di filosofia italiana, cit., vol. I, 15 e 16, non riconosce in toto a
Francesco De Sanctis il titolo di “idealista” hegeliano: “De Sanctis, a dire il vero, non può
senz’altro venire ricondotto a Hegel, anche se l’impostazione teorica della sua Storia, ed il suo
modo di concepire lo sviluppo della cultura italiana, ci pongono innanzi ad un preciso disegno…”;
e successivamente: “E’ (quello di De Sanctis), si badi, un realismo sorto dal seno dell’idealismo; è,
diremmo, una rigorosa interpretazione dell’idealismo come operosa fedeltà al limite concreto,
come umana opera nel mondo contro ogni evasione astrattamente moralistica e retorica…”.
19
idealismo novecentesco - secondo Garin
18
- è biunivoca. Così l’idealismo italiano
ottocentesco contribuisce, con l’inizio del secolo successivo, alla fondazione del
neo-idealismo italiano di Croce e di Gentile; come il neo-idealismo italiano
novecentesco contribuisce alla riconsiderazione culturale delle “dimenticate”
riflessioni filosofiche dell’idealismo ottocentesco.
Il positivismo è introdotto in Italia dall’ex canonico Roberto Ardigò. Dal
positivismo di Herbert Spencer Ardigò mutua l’esaltazione della scienza, la
concezione della storia e la concezione meccanicistica della natura. Il tema
dell’esaltazione della scienza è - secondo l’idea di Garin- non tanto causa di vanto,
ma fonte di condanna del positivismo italiano. Infatti l’esaltare la ricerca scientifica
in maniera acritica, senza intendere a fondo né un metodo scientifico né un metodo
filosofico, non conduce certamente a favorire un vero scambio culturale tra
scienziati minuziosi e filosofi seri
19
. La concezione meccanicistica della storia e
della natura, intese come un divenire ascendente costante e necessario
deterministicamente fondato in formulazioni matematiche, e la conseguente
concezione della non-autonomia dell’uomo, subordinato al divenire meccanicistico
della storia e della natura riconducono il naturalismo ardigoiano, come il
positivismo tutto, ad una nascosta metafisica della natura. Una metafisica della
natura non coerente con le annunciate tendenze iniziali anti-metafisiche. Il
positivismo italiano successivo, intuita l’incoerenza di fondo delle idee dello
sfortunato maestro, tende a moderare il naturalismo meccanicistico con un accorto
umanesimo riducendo il positivismo da dottrina a mero metodo scientifico-
filosofico.
18
Cfr. E. Garin, Cronache di filosofia italiana, cit., vol. I, 18: “… se De Sanctis e Spaventa furono
fattori importantissimi della formazione di Croce e di Gentile, essi figurano tra le componenti più
notevoli della coscienza italiana del ‘900 attraverso il ripensamento e la diffusione che se ne ebbero
sotto il segno, appunto, del Croce e del Gentile…”.
19
Secondo E. Garin nelle citate Cronache di filosofia italiana, vol. I, 8: “Fu anzi un curioso destino
dei positivisti italiani di gridare alte le lodi di scienze di cui erano in genere modesti orecchianti,
incontrandosi con scienziati del tutto digiuni di una seria preparazione filosofica, e contribuendo
così, pur senza volerlo, a quel totale divorzio fra scienza e filosofia tanto dannoso alla nostra
cultura, i cui veri responsabili furono, non già gl’idealisti, come certi ottusi ripetitori ricantano, ma
proprio quei positivisti sprovveduti che con le loro generiche illazioni determinarono la sfiducia
degli scienziati più avveduti e le critiche dei filosofi più accorti…”.