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Introduzione
Non è intenzione del presente lavoro prendere in esame l‟intero albero della
filosofia del popolo Akan. Non si desidera neppure esplorare le implicazioni
antropologiche, sociologiche, religiose e storiche della speculazione filosofica e della
cultura propria di questo popolo radicato nella costa occidentale dell‟Africa. Di che
cosa si tratta allora?
Questo è il tentativo di indagare un ramo della grande “pianta del sapere” degli
Akan, circoscrivendo il perimetro della ricerca, considerato il carattere non esaustivo
proprio di una tesi di laurea magistrale, alla sola filosofia della persona e, più in
dettaglio, alla sua concezione morale, così come è stata elaborata, sviluppata e
tramandata nella cultura di questo popolo.
Occorre osservare che, a prima vista, il tema scelto potrebbe profilarsi come
insolito. In un corso di laurea in filosofia, infatti, è consuetudine proporre riflessioni
su teorie e ambiti di studio appartenenti alla storia del pensiero occidentale oppure,
nei casi in cui ci si voglia allontanare da quest‟ultima, spesso si volge lo sguardo
verso Oriente, battendo i sentieri dell‟India o della Cina.
La scelta, invece, di dedicare la fase conclusiva dei miei studi filosofici al
concetto di persona del popolo Akan costituisce, da un lato, un ardimento giovanile
dettato dalla curiosità e dallo stupore per una tradizione di pensiero africana finora
poco indagata nel panorama filosofico italiano, dall‟altro l‟idea temeraria che la
globalizzazione abbatta sì le distanze geografiche ma dovrebbe anche spingerci verso
la scoperta e la conoscenza di speculazioni filosofiche in territori meno noti che
permettono, però, al seme dell‟intercultura di germogliare e crescere.
Prima di illustrare in estrema sintesi i contenuti di questa tesi, ritengo utile
precisare come sono giunta a questo tema e la metodologia che ho seguito. La ricerca
ha preso le mosse da una consultazione dell‟Enciclopedia filosofica della Stanford
University. La sua versione online è stata una sorta di passe-partout che mi ha aperto
numerose porte tanto sulla cultura, storia e tradizione degli Akan quanto, più nello
specifico, sulla concezione di persona di questa comunità. L‟esplorazione di
quest‟ultimo terreno è stata possibile attraverso un approfondimento delle riflessioni
dei due filosofi Akan contemporanei che hanno fornito i principali contributi in
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questo ambito, Kwasi Wiredu e Kwame Gyekye. Il confronto tra le loro opere e il
dibattito che scaturisce dalle loro diverse interpretazioni (oggetto del terzo capitolo) è
stato fondamentale per delineare i cardini concettuali e morali della filosofia della
persona Akan. Va precisato, infatti, che l‟approccio a tale filosofia presenta una serie
di problematiche metodologiche (oggetto del primo capitolo) date primariamente
dall‟assenza di una tradizione filosofica scritta e dalla presenza di fonti orali che
spaziano dai proverbi ai miti, dalle massime ai racconti popolari, da cui si estraggono
i significati che costituiscono le basi del sapere Akan tradizionale. Spesso, però, è
difficile individuare il vero significato di queste fonti, che possono essere interpretate
in modi diversi e possono rivelarsi in molti casi ambigue e misteriose.
Secondariamente, nel prendere in esame i prodotti scritti di questa filosofia,
appartenenti alla fase contemporanea di quest‟ultima, si riscontra una traduzione
inglese che non rende giustizia al significato profondo dei concetti espressi nella
lingua Akan, problema che accompagna qualsiasi opera di traduzione, a maggior
ragione in una comunità dalla radicata oralità. Questa traduzione determinata
dall‟uso della lingua inglese da parte dei filosofi Akan contemporanei conduce,
infine, al frequente rischio di utilizzare categorie, termini e strumenti concettuali
tipici del pensiero occidentale e totalmente estranei dalla riflessione filosofica di
questa comunità. Per tali motivi si è rivelata utile, per approfondire e chiarire tutti i
nodi problematici della questione trattata, anche la consultazione dei lavori svolti da
altri studiosi africani, che testimoniano la presenza di un ricco pluralismo di idee e
punti di vista nell‟attività filosofica di questa collettività.
E‟ mio dovere, però, ammettere che il risultato di tale ricerca mi ha sorpreso. Non
nascondo, infatti, che prima di approfondirne gli aspetti più significativi temevo che
le teorie e riflessioni filosofiche di questa comunità Akan e dei suoi pensatori si
rivelassero troppo semplicistiche, rudimentali ed elementari rispetto ai sistemi di
pensiero occidentali. E‟ stata, dunque, un‟inaspettata e felice rivelazione la scoperta
della profondità di speculazione che caratterizza non solo i concetti fondamentali
della filosofia Akan della persona, ma anche l‟intero sistema morale di tale società.
Ho scoperto, inoltre, interessanti affinità e richiami di alcune idee riscontrate in
questo sistema di pensiero con quelle occidentali comunemente studiate.
11
La filosofia Akan della persona presenta, infatti, dei temi che sono tipici di ogni
concezione riguardante l‟individuo elaborata dai filosofi occidentali, come i concetti
di destino, libero arbitrio e responsabilità individuali (oggetto del sesto capitolo) o
come le riflessioni sui valori che devono regolare il sistema morale e su come
l‟individuo si rapporta ad essi (oggetto del secondo capitolo). Questa visione della
persona, tuttavia, contiene anche tematiche peculiari e distintive, come la presenza di
una riflessione sull‟essenza ontologica e sulla funzione degli elementi che la
tradizione Akan assume come componenti dell‟individuo (oggetto del quarto
capitolo) o l‟esistenza di un aspetto normativo che da un lato implica una concezione
della persona come status da acquisire gradualmente, dall‟altro distingue nettamente
la persona dall‟individuo (oggetto del quinto capitolo).
Proprio quest‟ultimo aspetto, ovvero la presenza di una distinzione tra l‟individuo
inteso come essere umano e l‟individuo inteso come vera e propria persona
rappresenta il motivo per cui si parla di filosofia Akan della persona e non di una
concezione dell‟individuo in generale. Per questo popolo, infatti, è la persona e la sua
precisa relazione con la comunità a costituire l‟oggetto d‟interesse della riflessione
morale e del presente lavoro.
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Capitolo 1: Gli Akan e il sistema di pensiero africano: considerazioni
e premesse per una migliore comprensione della filosofia Akan della
persona
1.1 La comunità Akan
La parola “Akan” ha un duplice riferimento: da un lato essa indica un gruppo di
lingue interconnesse tra loro e parlate prevalentemente nell‟area occidentale del
continente africano, dall‟altro le persone e le comunità in cui queste lingue sono
diffuse. I gruppi e le tribù che rientrano nella denominazione “Akan” occupano
principalmente l‟area del Ghana e alcune zone della Costa d‟Avorio. Essi
rappresentano la comunità più numerosa ed estesa in entrambi i Paesi, arrivando a
una cifra di circa venti milioni di persone. In Ghana essi abitano soprattutto nella
zona meridionale e centrale, mentre in Costa d‟Avorio essi vivono nella parte
orientale e centrale del Paese, rappresentandone circa il 42% della popolazione
complessiva. Gli Akan comprendono diversi sottogruppi al loro interno: Ashanti,
Fante, Akwapim, Akim, Denkyra, Kwahus, Brongs e Nzema. Essi sono raggruppati
all‟interno della comunità Akan poiché condividono la stessa cultura matrilineare e
lo stesso substrato tradizionale a un livello specifico e non superficiale, oltre che una
stessa lingua, declinata in forme dialettali tra loro diverse. La lingua Akan appartiene
alla famiglia delle lingue kwa, un sottogruppo delle lingue tano centrali, anche dette
lingue del Niger-Congo, ovvero le lingue parlate nelle coste dell‟Africa occidentale.
In particolare la lingua Akan è parlata da circa il 58% della popolazione del Ghana e
dal 30% circa della popolazione della Costa d‟Avorio. Quella Akan è una tra le
poche comunità africane che hanno mantenuto le loro lingue indigene e tradizionali e
che non hanno subito una radicale influenza occidentale. Per quanto concerne le loro
origini si ritiene che essi siano migrati nelle zone attualmente occupate dal deserto
del Sahara e dalla regione di Sahel durante l‟undicesimo secolo. Gli Akan si
considerano una nazione, l‟identità di quest‟ultima è da loro espressa con il termine
Akanman, il cui secondo elemento che lo compone, la parola ɔman, significa “città,
comunità, nazione”. L‟espressione Akanman, infatti, è spesso stata tradotta con il
termine inglese Akanland, che testimonia una precisa concezione da parte degli Akan
13
di costituire una comunità di persone così vasta e coesa da poter essere paragonata a
una vera e propria nazione.
1.2 Precisazioni terminologiche
Quando si affronta un tema come quello della filosofia Akan e della sua
concezione della persona, ovvero un tema che si trova all‟interno di un contesto in
cui il riferimento alla situazione antropologica africana è necessario, occorre
effettuare una premessa concettuale. Nel discutere gli aspetti di un pensiero
filosofico appartenente a una comunità del continente africano bisogna tener presente
che quest‟ultimo ha un importante passato storico tale da condizionare, spesso
involontariamente, molte delle scelte terminologiche nelle argomentazioni che si
effettuano. Pertanto è necessario, prima di iniziare qualsiasi analisi, ricordare una
lezione importante derivante dall‟antropologia riguardante la realtà africana: la
consapevolezza dell‟inadeguatezza e dell‟invenzione colonialista del concetto di
etnia. Quest‟ultima rappresenta una categoria che è il prodotto artificiale del
colonialismo africano, una nozione che non possiede alcun corrispettivo nella realtà
africana, della cui invenzione e irrealtà occorre essere sempre ben consapevoli
quando si affrontano tematiche inerenti a tale concetto. Per questa ragione ho ritenuto
più corretto non utilizzare mai il termine “etnia” per descrivere o riferirsi agli Akan e
ho preferito usare termini meno controversi come “società” o “gruppo”, ma
soprattutto la mia preferenza si è focalizzata sul termine “comunità” per l‟importanza
che la dimensione comunitaria assume nell‟organizzazione sociale e nel sistema
morale Akan.
Il contesto africano è caratterizzato da una situazione in cui i diversi gruppi che
occupano il territorio non possono essere tra loro separati nettamente e distinti
nitidamente. Ognuno di questi gruppi è profondamente connesso con gli altri, vi sono
delle relazioni estremamente dinamiche, tanto che si è recentemente usata, in
opposizione al concetto di etnia, l‟immagine di catene di società, che, in quanto
ritengo possa rispecchiare anche la realtà degli Akan, ho scelto di condividere e
riproporre. Quest‟immagine, proposta dall‟africanista Jean-Loup Amselle,
rappresenta una visione del rapporto tra le comunità africane come il prodotto di
14
continui contatti e scambi culturali tra le diverse società. Tale interpretazione si
oppone a quella basata sul tentativo di classificare e ripartire le comunità in una serie
di etnie separate tra loro e propone, al contrario, che tenendo presente il contesto
storico, nella realtà delle società africane vi sia un meticciato originario di base in cui
a prevalere sono le connessioni dinamiche e non le separazioni artificiali tra i vari
gruppi di persone.
Per quanto concerne il caso degli Akan essi non sono esclusi da questo discorso
di connessioni. L'inesistenza di gruppi etnici separati rigidamente gli uni dagli altri è
provata anche dal loro caso. In Ghana, ad esempio, Nzema e Ashanti, due
sottogruppi degli Akan, sono considerati dagli studiosi e scrittori non ghanesi come
un gruppo separato, mentre in realtà entrambi sono parte della comunità Akan, in
quanto condividono esperienze culturali comuni agli altri gruppi Fante, Akwapims e
Akims. Inoltre vi sono gruppi talmente ridotti che le loro culture sono state
inevitabilmente influenzate in modo profondo da quei gruppi confinanti più ampi,
tanto da arrivare a condividere la loro cultura e il loro sistema di pensiero. Anche in
merito a ciò gli Akan costituiscono una prova evidente. Uno studioso Akan, Joseph
Hanson Kwabena Nketia
1
, afferma in riferimento al suo popolo: «Not only is their
language the most widely spoken throughout the country but also their culture has
influenced those of several ethnic groups within the borders of Ghana»
2
. Il caso degli
Akan è un esempio anche di quelle connessioni tra società che oltrepassano le
divisioni tra Stati e i confini tra i territori. Infatti, oltre ad aver prodotto una categoria
irreale e inventata come quella di etnia, il colonialismo si è spinto fino
all'introduzione di confini arbitrari, artificiali e incongruenti con la realtà, che hanno
portato alla scissione sul territorio di società che oggi si trovano in Stati distinti, ma
che appartengono allo stesso sostrato culturale e condividono il medesimo sistema di
pensiero. Ciò spiega perché gli Akan non possono essere identificati con un'etnia
coincidente con un preciso Stato: vi sono Akan in Ghana, nella Costa d'Avorio e,
seppur in presenza minore, anche in Togo. Tutto il continente africano mostra una
serie di dislocazioni e trasferimenti risultanti dall'introduzione di confini che hanno
1
Hoseph Hanson Kwabena Nketia (1921) è principalmente un musicologo ghanese che è stato
professore di musica alla UCLA e ha pubblicato opere principalmente focalizzate sullo studio dell‟arte
musicale africana e Akan
2
Kwabena Nketia, J.H. (1977), Traditional Festivals in Ghana, in Sankofa, Accra, Vol. 1, p. 14
15
separato artificialmente comunità profondamente connesse tra loro da una cultura, un
sistema di pensiero e una lingua comuni. La comunità africana è, quindi, un gruppo
dinamico, che non può essere rigidamente separato dalle altre società e confinato nel
concetto di etnia, i suoi confini possono modificarsi, subire cambiamenti, ampliarsi o
restringersi secondo il contesto e le questioni economiche, storiche e sociali.
Il medesimo approccio e rifiuto verso ogni tipo di categorizzazione fissa e statica
è applicabile anche allo stesso concetto di persona che costituisce l'oggetto dei
capitoli successivi. Anche la concezione della persona è soggetta ai cambiamenti
derivanti dalle dinamiche storiche, economiche e sociali. Le visioni della persona e le
interpretazioni sulla sua costituzione da parte di una comunità non sono delle
costanti, così come la filosofia della persona tradizionale non è la stessa rispetto a
quella contemporanea. Quest‟ultima certamente deriva ed è collegata alla concezione
della persona tradizionale, ma è costituita da punti di vista ed elaborazioni nuove e
moderne, da parte di filosofi contemporanei che hanno riflettuto sulla visione
tradizionale, arricchendo e modificando quest‟ultima con idee, riflessioni e concetti
diversi e innovativi. Come sostiene Didier Kaphagawani in un‟analisi culturale sulla
filosofia africana: «Analysis of the ways in which various African peoples talk of
persons and their capacities equally reveals that representations of personhood shift
within the context of discourse without negating or diminishing the importance of
other views that are not in equal focus at any given time and discourse form»
3
.
Anche tra gli stessi pensatori Akan vi sono alcuni che definiscono la loro filosofia
e cultura manifestando un punto di vista che richiama il concetto di connessioni tra
società. Essi sostengono un‟interpretazione in cui oltre che di filosofia Akan si può
legittimamente parlare, più in generale, di filosofia africana. E' principalmente
Kwame Gyekye
4
, un pensatore Akan che rappresenterà, insieme a Kwasi Wiredu
5
, la
principale fonte cui attingere per un esame del concetto di persona di questa
3
Kaphagawani, D.N. (2000), Some African Conceptions of Person: A critique, in (a cura di) Karp, I.,
Masolo, D.A., African Philosophy as Cultural Inquiry, Bloomington e Indianapolis:Indiana University
Press, p. 68
4
Kwame Gyekye (1939) è un filosofo Akan contemporaneo, attualmente professore di filosofia alla
University of Ghana. E‟, insieme a Kwasi Wiredu, uno dei pensatori contemporanei più importanti in
ambito morale. Il suo contributo principale riguarda la sua interpretazione del concetto Akan di
personhood
5
Kwasi Wiredu (1931) è uno dei filosofi africani contemporanei più importanti e più conosciuti, è
stato per molti anni professore alla University of Ghana ed è attualmente professore alla University of
South Florida a Tampa. Ha fornito anche lui, come Gyekye, un contributo importante alla filosofia
Akan della persona
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comunità, a spiegare questo legame molto forte tra le diverse società africane che
consente la legittimità del concetto di filosofia africana:
«Is the idea of African philosophy intelligible? One answering these
questions in the negative would, I suspect, prefer to talk rather of Akan,
Yoruba, Kikuyu, Bantu or Mende philosophy. But it should be noted that in
addition to Western philosophy, one can speak as well of American, British,
French, and German philosophy, and similarly of Chinese, Japanese, Korean,
and Indian philosophy in addition to Oriental philosophy. [...] If it makes sense
to talk of Western or Eastern philosophy, would it not make sense to talk of
African philosophy too? »
6
L‟idea è che le caratteristiche comuni, l'assenza di una rigida separazione tra le
società africane e quelle connessioni che si trovano tra le loro culture e sistemi di
pensiero rendono legittima l'esistenza di una filosofia africana. Questo non significa
sostenere che sia presente un‟uniforme e unica prospettiva filosofica in Africa, ma
semplicemente che esiste un corpo di problemi, questioni e temi comuni che sono
condivisi, interpretati e analizzati dalle società africane e dai loro pensatori attraverso
modalità e punti di vista peculiari. Pertanto l'attributo "africana" accompagnato alla
filosofia non intende suggerire il fatto che quest'ultima sia un insieme di teorie e
riflessioni appartenente esclusivamente al continente africano. L'uso di
un'espressione come "filosofia africana" e l'uso che ne fa Gyekye nella precedente
citazione ha lo stesso significato di espressioni come "filosofia occidentale" o
"filosofia orientale". In svariati ambiti si possono riscontrare dei concetti inerenti sia
al pensiero filosofico più propriamente detto sia alla vita quotidiana e pragmatica
sufficientemente condivisi da diverse società africane da costituire un sistema
filosofico che può essere ragionevolmente chiamato "africano", dove tale attributo
non indica che ogni singolo africano e ogni singola comunità aderiscano ad esso
completamente, ma che tale sistema filosofico deriva e perciò è essenziale alla vita e
al pensiero africani. Questa possibilità di riscontrare delle connessioni orizzontali tra
le culture e i sistemi di pensiero delle diverse società africane non intende
rappresentare una negazione di quel pluralismo culturale che è inevitabilmente
presente nel continente. Nonostante le ovvie diversità culturali e teoriche, è
comunque presente un'affinità sottostante, una serie di legami tra le credenze, i
6
Gyekye, K. (1995), An Essay on African Philosophical Thought. The Akan Conceptual Scheme,
Philadelphia: Temple University Press, p. 189
17
costumi, i valori, i sistemi di ordine sociale, le pratiche e le istituzioni che rendono
impossibile ogni tentativo di rigida separazione tra le società africane. Indicazioni
sulla presenza di un sostrato comune di idee e pratiche basilari sono fornite dai più
svariati ambiti, da quello religioso dove si è sottolineata la presenza di una identità
sottostante a tutta l'africa sub-sahariana, all'ambito linguistico, in cui le lingue
dell'africa occidentale come quella Akan sembrano derivare da un unico ceppo
comune, quello delle lingue tano centrali, all'ambito che sarà oggetto dei successivi
capitoli, quello morale, in cui si riscontrerà la presenza di un numero non indifferente
di concetti e punti di vista comuni, nella concezione di un'etica umanistica e
comunitaria, nell'importanza della collettività come nucleo fondante l'ordine sociale e
l‟essenza della vita umana stessa, nella pratica di devozione agli antenati o, infine,
nell'uso del proverbio come fonte di sapere e conoscenza. Questi sono solo degli
esempi che mostrano il motivo per cui un pensatore Akan come Gyekye, nel compito
di autodefinire la cultura e la filosofia della sua società, inserisce quest'ultima in un
quadro più ampio di connessione con le altre comunità, invece che segregarla nella
separatezza delle sue peculiarità che, seppur esistenti, derivano da un fondamento
basilare che trae la sua origine da un insieme di credenze, concetti e visioni
estendibili a tutto il continente africano.
1.3 Esiste una filosofia africana Akan?
La filosofia è certamente un'attività umana universale, che è stata e continua a
essere perseguita da persone appartenenti a culture e contesti diversi, poiché
rispecchia quell'umana propensione e tendenza a riflettere e ad assumere un punto di
vista sulla propria esperienza ed esistenza. Gli enigmi relativi a queste ultime e le
limitazioni su ciò che l'uomo può conoscere e raggiungere attraverso la sua
intelligenza sono ciò che conduce pensatori dal diverso background culturale a porsi
domande molto simili se non identiche tra loro e, spesso, a fornire risposte
estremamente affini. Pertanto anche nella comunità Akan i pensatori, sulla base della
loro esperienza e del loro sistema culturale, hanno riflettuto e sollevato questioni
importanti sull'origine del mondo, sull'esistenza di un Dio, sulla natura umana, sulla
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libertà, sul destino, sul bene morale, sulla causalità, ovvero su ambiti che non sono
peculiari del sistema filosofico di questa comunità, ma che contraddistinguono
universalmente ogni cultura e ogni società, indipendentemente dalle loro differenze.
Pertanto non s‟intende affermare che tali questioni concettuali siano uniche e
distintive della filosofia Akan, al contrario s‟intende esclusivamente sottolineare che,
proprio per l'universalità di queste problematiche e la loro presenza in ogni cultura
che abbia elaborato una riflessione filosofica non si può negare l'esistenza di una
filosofia Akan o, in generale, di una filosofia africana.
Il problema della legittimità e dell'identità della filosofia africana ha
rappresentato una delle tematiche principali su cui si sono focalizzati molti pensatori
e filosofi africani moderni per due ragioni: in primo luogo per l'assenza di una
filosofia tradizionale scritta e di un sistema di pensiero indigeno trasmesso attraverso
fonti scritte, che non permetteva loro di avere una guida e un punto di riferimento
nelle questioni sulla natura della filosofia africana. La mancanza di una letteratura
filosofica scritta ha fatto sì che la riflessione dei pensatori indigeni del passato sia
rimasta parte delle loro tradizioni orali. Tali riflessioni, tuttavia, possono essere
riscoperte attraverso un‟analisi dei concetti e delle idee che si sono conservate nei
proverbi, nei racconti popolari, nei miti, negli idiomi, nei costumi, nelle credenze e
nei rituali appartenenti alla tradizione, che sono fortemente presenti, condivisi e
rispettati ancora oggi. In secondo luogo, molti di questi filosofi moderni hanno
ricevuto una formazione accademica tipicamente occidentale, pertanto sono stati
influenzati, nel loro modo di pensare e nei concetti di cui dispongono, da un tipo di
sapere filosofico estraneo all'essenza della filosofia africana indigena e tradizionale.
Questa assenza di una eredità filosofica scritta ha indotto alcuni pensatori a ritenere
che una filosofia africana debba ancora essere formata e prodotta, altri a sostenere
che essa sia ancora un work in progress, come sostiene Wiredu nel descriverla come
una filosofia still in the making, altri ancora, in una posizione più drastica, a negare
che si possa parlare concretamente di una vera e propria filosofia africana. Tuttavia,
come si analizzerà in seguito, la mancanza di una base di fonti scritte che
testimoniano il pensiero africano tradizionale non sembra essere una causa
abbastanza forte e sufficiente per negare una legittimità e un'esistenza alla filosofia
africana. Tale visione finirebbe con il rifiutare il fatto che la filosofia sia una