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INTRODUZIONE
L’oggetto di studio del presente lavoro si pone l’obiettivo di porre in prima
analisi la definizione del concetto di filiera all’interno del complesso sistema
agroalimentare italiano, con particolare focus al settore olivicolo che, assieme al
settore vitivinicolo, rappresentano tra i principali comparti in grado di saper
esprimere il valore delle produzioni del Made in Italy nel mondo.
La trattazione di tale analisi seguirà un modello concentrico, vale a dire
dapprima un inquadramento del contesto nazionale, per poi, in seguito,
concentrarsi in merito alla descrizione di una realtà regionale ed infine, allo
scopo di fornire una base empirica circa le dinamiche territoriali, si è scelto di
analizzare uno specifico caso aziendale.
Nella prima parte dell’elaborato, dopo aver esposto il concetto di filiera da un
punto di vista strettamente teorico, verranno messi in evidenza taluni elementi
di rilievo rispetto all’organizzazione della filiera dal punto di vista dell’offerta
rispetto alle diverse fasi che la compongono, ossia produzione, trasformazione
e distribuzione non dimenticando il valore e il significato dell’evoluzione della
domanda di olio.
Nella seconda parte, a fronte di un’analisi di contesto da un punto di vista
macroterritoriale, si cercherà di mettere in evidenza il carattere tradizionale
nonché le caratteristiche principali dell’olivicoltura all’interno della regione
Veneto, mostrando come, pur in presenza di quantitativi modesti, si cerchi di
mettere in primo piano il valore dell’eccellenza della produzione.
Un particolare focus, in seguito, verrà posto rispetto al ruolo del soggetto
istituzionale in oggetto, vale a dire il consorzio Olio Veneto DOP, come
importante attore di riferimento rispetto alle politiche strategiche di prodotto,
nell’ottica di un’adeguata promozione volta a far emergere il valore della
certificazione nonché della tracciabilità.
Successivamente, nell’ultima parte dell’elaborato, allo scopo di mettere in luce
quanto perseguito da un punto di vista regionale, si è deciso di analizzare le
sfide di un soggetto locale, il Frantoio Bramini, situato nella zona est della
3
provincia di Verona. Si cercherà, in seguito, di analizzare, inoltre, le politiche
strategiche di impresa di tale soggetto, cercando di far emergere l’importanza
del binomio prodotto-territorio come importante leva per superare le difficoltà di
un mercato per competitivo.
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1. LO SCENARIO DI RIFERIMENTO DELLA FILIERA
OLIVICOLO – OLEARIA IN ITALIA
1.1 Introduzione al concetto di filiera agroalimentare
“La filiera agroalimentare è l'insieme degli agenti economici, amministrativi e
politici che, direttamente o indirettamente, delimitano il percorso che un
prodotto agricolo deve seguire per arrivare dallo stadio iniziale di produzione a
quello finale di utilizzazione, nonché il complesso delle interazioni delle attività
di tutti gli agenti che determinano questo percorso”
1
. Operare in un’ottica di
analisi di filiera permette di individuare in maniera puntuale le dinamiche in atto
all’interno di un dato settore di riferimento. Attraverso questa metodologia è
possibile delineare una successione ordinata delle fasi produttive, concatenate
da una serie di relazioni tecniche caratterizzate da una forte disomogeneità tra
gli attori coinvolti circa il potere di mercato, la concentrazione finanziaria e la
capacità di accumulazione.
Utilizzare tale approccio permette di interpretare la complessità di quell’insieme
interdipendente di organizzazioni, risorse ed istituzioni coinvolte, consentendo
l’identificazione dei segmenti strategici, valutando contestualmente l’efficienza
economica e l’analisi strutturale della distribuzione del profitto tra i singoli attori.
Prima di attribuire valori economici specifici, occorre innanzitutto individuare
l’insieme degli operatori che, a titolo diretto e indiretto, fanno parte della filiera
agroalimentare. A tal proposito, è necessario porre in essere una distinzione
preliminare tra gli attori che operano direttamente nella filiera (attori interni) e gli
operatori che pur non appartenendo alla medesima intrattengono con essa
operazioni economiche (attori esterni).
Gli attori interni possono essere a loro volta distinti in due fasi
2
:
a) La fase produttiva all’interno della quale si colloca l’agricoltura (produttrice di
materie prime e prodotti freschi per il consumo) e l’industria alimentare (trasfor-
________________________________
1
SACCOMANDI V., “Economia dei Mercati Agricoli”, Il Mulino, Bologna, 1999.
2
ZAGHI A., BONO P., “La distribuzione del valore nella filiera agroalimentare italiana”, Agriregioneuropa,
n. 27, 2011.
5
mazione delle materie prime in prodotti per il consumo finale);
b) La fase distributiva e commerciale, individuata come fase a valle, in cui
rientrano rispettivamente:
Il commercio all’ingrosso di prodotti agricoli e alimentari, che rappresenta
il passaggio intermedio sia tra le singole fasi produttive, che tra la fase
produttiva e commerciale;
Il commercio al dettaglio, corrispondente ai diversi canali che servono i
consumi domestici: il dettaglio tradizionale specializzato (es. macellerie,
fruttivendoli, pescherie ecc.); la distribuzione non specializzata, in cui la
Distribuzione Moderna rappresenta il 50% dei punti di vendita, ma più del
90% del fatturato;
La ristorazione (ristoranti, bar, mense e catering) per i consumi
extradomestici, caratterizzati da un ulteriore processo di preparazione e
servizio.
Alla formazione dei prezzi alimentari al consumo contribuiscono in maniera
rilevante anche i costi sostenuti dagli attori della filiera agroalimentare nel
reperire i beni e servizi offerti da attori esterni indispensabili allo sviluppo della
filiera.
Si tratta di operatori che svolgono funzioni relative alla fornitura di: mezzi tecnici
per l’agricoltura; additivi, ingredienti e preparati per l’industria alimentare;
energia elettrica e altri servizi (acqua, gas ecc.); tecnologie e beni
strumentali/accessori (macchinari, packaging, ecc.); servizi di trasporto e
logistica; altri servizi (comunicazione/promozione, consulenziali, certificazione).
Un ulteriore attore esterno di rilievo è la pubblica amministrazione che, a fronte
dei servizi offerti (infrastrutture, sicurezza, giustizia ecc.), costituisce un costo
per la filiera agroalimentare in termini di pagamento di imposte dirette e
indirette.
Una rappresentazione schematica della complessità dei rapporti qui individuata
è riportata nella figura 1.1.
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Fig.1.1: La mappa degli operatori della filiera agroalimentare
Fonte: Nomisma, XI Rapporto sull’agricoltura italiana. La competitività dell’agricoltura italiana di fronte ai
nuovi scenari evolutivi, Edagricole Il Sole 24 ore, Bologna, 2008.
Come si può comprendere dalla rappresentazione grafica, l’aspetto più
problematico che si tende qui ad evidenziare è come la definizione del valore
del consumo alimentare risulti essere influenzata dalla numerosità dei soggetti
coinvolti, ognuno portatore di specifici interessi.
Il settore agroalimentare assume nello specifico un grado di esposizione
sempre più rilevante in termini di concorrenza tra attori che determinano in
maniera rilevante le dinamiche di consumo finali.
Per comprendere ancor meglio la definizione di come il valore del consumo
alimentare risenta particolarmente della frammentazione dei processi in atto, si
propongono i risultati di uno studio Nomisma in merito alla ripartizione del
valore dei consumi.
7
Fig.1.2: Ripartizione del valore dei consumi alimentari tra le voci di costo della
filiera (valori per 100 euro di spesa)
Fonte: Nomisma su dati Istat, 2008.
Ciò che emerge chiaramente è l’estrema sottigliezza dell’utile di filiera di
competenza di tutti gli azionisti/imprenditori che, una volta dedotti tutti i costi,
risulta pari al 3% del totale della spesa alimentare.
Tale risultato è la dimostrazione concreta di quanto la dinamica dei costi sia un
aspetto estremamente importante da valutare in funzione della composizione
della filiera, vale a dire come la molteplicità degli anelli di cui quest’ultima è
composta, incida in termini non secondari nella formazione del prezzo al
consumo. Il fattore costo, quindi, risulta essere la diretta risultante della
diversità dei rapporti dei soggetti assunti all’interno della filiera. Per dovuta
precisione, tuttavia, la quota di utile spettante all’agricoltura è dettata in maniera
8
determinante da aiuti comunitari. Per poter influenzare la dinamica dei prezzi al
consumo è necessario agire congiuntamente sia in merito alla riduzione
dell’incidenza dei costi esterni che in riferimento ai costi interni. All’interno dei
primi una quota importante è attribuibile a costi sostenuti per l’acquisizione di
prodotti e servizi offerti da imprese esterne alla filiera agroalimentare (servizi di
trasporto e logistica, acqua ed energia, ecc), su cui gli attori interni hanno solo
un limitato potere di intervento e controllo. Dall’altro lato, al fine di riuscire a
compensare adeguatamente la ristretta azione di intervento rispetto ai costi
esterni, diviene essenziale potenziare l’efficienza per ridimensionare il
sostenimento dei costi interni. Nella filiera agroalimentare, tuttavia, data una
spiccata polverizzazione, in particolare modo sotto il profilo produttivo, che
impedisce di fatto il ricorso ad economie di scala, viene particolarmente limitata
l’adozione in maniera diffusa di nuove tecniche produttive e tecnologie in grado
di ridurre i costi unitari. Tutto ciò causa inevitabilmente una maggiore incidenza
dei costi di lavoro, capitale e finanziamento causando serie difficoltà in termini
di competitività dell’intero comparto. Adottare, quindi, un’ottica di filiera significa
congiuntamente ampliare il raggio di osservazione dei differenti comportamenti
assunti dai diversi operatori economici, mettendo in luce una vera e propria
scomposizione del sistema agro-alimentare in senso verticale con particolare
attenzione alla dinamica costi e formazione del prezzo finale, nonché utilizzare
un metodo di suddivisione del sistema produttivo. Grazie all’utilizzo di questo
modello, si possono individuare analiticamente le diverse relazioni tra i differenti
stakeholder
3
, migliorando, quindi, la capacità di analisi a valenza strettamente
operativa, utile alla redazione dei cosiddetti piani di settore.
.
1.2 Le prospettive della filiera olivicola
1.2.1 Le strutture produttive
La filiera olivicolo - olearia in Italia si caratterizza per una struttura piramidale
_______________
3
Il termine “stakeholder” (letteralmente “to hold a stake”) significa “possedere” o portare un interesse. Lo
stakeholder è un soggetto (una persona, un'organizzazione o un gruppo di persone) che ritiene di
detenere un "titolo" per entrare in relazione con una determinata organizzazione. Un soggetto le cui
opinioni o decisioni, i cui atteggiamenti o comportamenti, possono oggettivamente favorire od ostacolare il
raggiungimento di uno specifico obiettivo dell'organizzazione.
9
significativamente presente: a fronte di un’amplissima base produttiva che con-
ta circa 780.000 produttori che gestiscono una superficie di 1,1 milioni di ettari,
si determina una fase di trasformazione primaria costituita da circa 5000 frantoi,
a valle dei quali si pongono un ristretto numero di operatori industriali e
commerciali (35 imprese di trasformazione secondaria - raffinazione e sansifici
e 220 industrie confezionatrici) e un ristrettissimo gruppo di acquirenti per conto
delle strutture distributive
4
.
Le olive da olio rappresentano mediamente il 98% della produzione
complessiva dell’olivo, e conseguono una resa di trasformazione in olio di
pressione appena inferiore al 18 % (anno 2011). La produzione nazionale
annuale di olio di oliva, nel periodo 2005-2009, escludendo l’olio di sansa, è
oscillata dalle 656.000 alle 520.000 tonnellate di olio. ottenuta grazie alla
molitura di un quantitativo di olive oscillante dai 3 ai 3,5 milioni di tonnellate.
Le varietà che caratterizzano l’olivicoltura italiana sono state censite e risultano
essere superiori a 350: tale patrimonio costituisce la base dell’eccellenza
qualitativa del prodotto italiano ma, nello stesso tempo, tende a limitare la
possibilità di definire adeguatamente sistemi razionali ed economici.
La strutturale frammentazione produttiva dettata da una dimensione media delle
aziende italiane al di sotto della media europea, si presenta come un ostacolo
per un’adeguata promozione del prodotto in relazione alla cultura del territorio e
alla società.
Nonostante tali debolezze, “a livello europeo l’Italia detiene il primato delle
tipicità riconosciute in ambito comunitario con 37 Dop e 1 Igp: queste tipicità
rappresentano il 43% delle denominazioni di origine relative agli oli di oliva
riconosciute dall’UE”.
5
Per quanto riguarda l’analisi territoriale relativa ai dati del 2008 si evidenzia una
forte concentrazione della superficie olivicola nel Mezzogiorno (78,8% del totale
nazionale) a fronte di una discreta presenza nel Centro (18,8%) e di talune
nicchie olivicole nel Nord con una percentuale pari al 2,4.
__________________________________
4
Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestale, Piano Olivicolo-Oleario, Roma, 2010.
5
Registro delle denominazioni di origine protette e delle indicazioni geografiche protette (Reg. CEE n.
2081/92 del Consiglio del 14 luglio 1992).
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Nel Mezzogiorno le principali regioni olivicole sono Puglia, Calabria e Sicilia, nel
Centro primeggiano Toscana e Lazio, mentre al Nord le uniche presenze
consistenti riguardano rispettivamente Liguria e Veneto. Se dal punto di vista
della superficie occupata le regioni meridionali si trovano in una posizione di
netta prevalenza, in realtà, rispetto al numero di aziende, il Mezzogiorno pesa
poco più del Nord con un numero di aziende con olivo che raggiungono un
valore complessivo per l’anno 2010 a livello nazionale pari a 570.000 unità. In
relazione alla zona altimetrica, la maggior concentrazione della filiera si
riscontra nelle aree collinari ove è concentrato ben l’81,7% degli olivicoltori; il
79,7% della superficie, l’80,1 dei trasformatori e il 77,1% degli impianti di
trasformazione.
Con rifermento all’indagine sulla struttura delle aziende agricole è emerso che,
tenuto in considerazione il valore complessivo della SAT
6
secondo il
Censimento Istat per l’anno 2010, ammontante a 19,6 mio ha e di SAU pari a
13,2 mio ha, la superficie olivicola coltivata, equivalente a 1,1 mio ha,
rappresenta percentualmente una quota esigua rispetto all’ammontare
complessivo del territorio a disposizione. I conduttori presentano un’età media
elevata, a conferma della problematica della senilizzazione dell’agricoltura
italiana; infatti ben il 45,7% di essi ha almeno 65 anni mentre solo il 5,9% ha
meno di 40 anni. Relativamente al titolo di studio, i capi azienda con licenza
media o elementare costituiscono il 71,7% del totale; dato che, invece, deve
essere letto con accezione strettamente positiva riguarda la presenza di donne,
le quali hanno raggiunto il 33,7% sul totale.
7
Tali dati a disposizione permettono
di inquadrare in maniera adeguata uno schema di sintesi circa gli aspetti
peculiari più facilmente riassumibili:
aziende aventi una dimensione media di poco superiore all’ettaro di
superficie, cui si correla un elevato grado di frammentazione
un ordinamento policolturale diffuso, cui si aggiunge un’accentuata
caratterizzazione multi varietale
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6
La SAT (Superficie Agricola Totale) è comprensiva di superfici produttive e improduttive, mentre la SAU
(Superficie Agricola Utilizzata) comprende seminativi, orto famigliare, arboreti e colture permanenti, prati e
pascoli,
7
ADUA M., “Una foto del mondo dell’olio di oliva italiano scattato dall’ISTAT”, L’arca olearia, n.19, 2010