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Introduzione
Nella mia tesi affronto il tema della femminilità, prendendo in esame alcune
fondamentali teorie psicoanalitiche sullo sviluppo psicosessuale femminile e
sull’acquisizione dell’identità di genere da parte della donna. L’attenzione è
rivolta soprattutto alla relazione madre-figlia e alle modalità attraverso le quali la
femminilità può venire trasmessa dall’una all’altra.
Nel primo capitolo ripercorro brevemente il pensiero di Freud per quanto
concerne, appunto, lo sviluppo psicosessuale della bambina e l’importanza della
relazione con la madre. Passo poi in rassegna le teorie delle maggiori
psicoanaliste donne, allieve di Freud, sullo sviluppo della femminilità. Viene
messa in luce la contrapposizione tra le allieve che seguono il pensiero freudiano
in maniera ortodossa (Lampl-de Groot, Mc Brunswick, Deutsch) e quelle che,
invece, per alcuni aspetti se ne discostano apertamente (Horney, Klein). Ho
inoltre esposto contributi delle maggiori autrici che negli anni ’60 hanno
approfondito alcuni temi cruciali dello sviluppo femminile (Luquet-Parat,
Chasseguet-Smirgell, Torok). Per concludere questo capitolo, che potremmo
definire storico, non potevano mancare alcuni accenni sull’opera di Irigaray. La
pubblicazione di “Speculum” (1974) determina infatti una svolta epocale
all’interno del pensiero psicoanalitico per quanto riguarda la concezione della
femminilità.
Nel secondo capitolo entro nel vivo della relazione madre-figlia, proponendo i
punti di vista delle autrici che, dagli anni ’80 ad oggi, si sono occupate di tale
argomento. Dopo un paragrafo introduttivo che rimanda al significato della
relazione madre-figlia nella mitologia, analizzo la filiazione della femminilità nei
suoi aspetti principali: l’importanza delle fantasie inconsce della madre per
quanto riguarda l’investimento della figlia; il processo che porta all’acquisizione
dell’identità di genere (identificazione primaria e secondaria); quanto della
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femminilità rimane non trasmissibile, come lo sviluppo psicosessuale della
bambina può portare all’accettazione o al rifiuto dell’anatomia femminile. Infine
approfondisco i cambiamenti e i possibili, purtroppo sempre più frequenti,
problemi, che caratterizzano l’adolescenza femminile. In tale periodo, infatti,
riemergono i conflitti legati alla formazione dell’identità di genere e personale; la
spinta alla differenziazione coesiste con la necessità di riconoscersi uguale alla
propria madre. Si fa inoltre sentire con tutta la sua forza la nostalgia per quel
legame fusionale,preedipico, che univa figlia e madre, quel furioso attaccamento
che già Freud (1901) aveva riscontrato in Dora.
Infine nel terzo capitolo approfondisco l’influenza dei cambiamenti socio-
culturali sulla concezione della femminilità. Riporto il pensiero di alcune autrici
che mostrano come le nuove mete, aspettative, richieste, che la società impone
oggi alle donne, rendano più complessa l’acquisizione dell’identità di genere
femminile, favorendo la scissione tra femminilità e maternità. Questi fattori
ambientali determinano profondi conflitti nel modo di vivere l’esperienza della
maternità (in certi casi voluta ad ogni costo, in altri rifiutata più o meno
consciamente) e quella dell’allattamento. In ultimo, accenno al ruolo svolto dalla
religione nel proporre un’immagine di madre nettamente separata dall’immagine
di donna desiderata e desiderante.
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Capitolo 1
La femminilità nel pensiero psicoanalitico
1.1 Sigmund Freud
Nel pensiero di Freud il femminile assume fin dagli esordi un’importanza
centrale, sebbene venga da lui definito il “continente nero” della conoscenza.
Non è possibile trascurare il fatto che la psicoanalisi prende avvio dalla relazione
terapeutica che Freud instaura con le pazienti isteriche. Secondo Cosnier (1990),
fu la continua corrispondenza di Freud con altri uomini (Breuer e poi Fliess) che
gli permise di empatizzare con la sofferenza di queste donne e rese possibile
l’identificazione isterica. “La passione per l’ignoto, l’inconscio, fa pensare alla
compenetrazione con il corpo materno, a all’isteria, come linguaggio enigmatico,
linguaggio del corpo che stimola la passione per l’enigma del volere femminile”
(ivi, p. 29). L’interrogativo posto da Freud rimanda all’impossibilità di soddisfare
completamente il desiderio materno. La donna nella madre è pertanto fonte
d’angoscia di morte, in quanto richiama prepotentemente la rivalità con il padre.
A tal proposito, nel sogno delle “Tre Parche” Freud (1899) raffigura la madre
come dispensatrice allo stesso tempo di vita e di morte, tema che viene poi
ripreso ne “Il motivo della scelta dei tre scrigni” (1913). E’ la femminilità della
madre ad essere distruttiva, dal momento che implica la separazione dovuta alla
colpa del figlio. La scissione tra la madre e la tata Nannie rimanda alla scissione
madre-donna e permette così a Freud di mantenere un’immagine idealizzata della
madre.
Per quanto riguarda lo sviluppo sessuale della bambina, già nei “Tre saggi
sulla teoria sessuale” (1905) Freud afferma l’esistenza del monismo sessuale
fallico, che permane fino alla pubertà in entrambi i sessi. Viene preso in
considerazione solo l’organo sessuale maschile e il clitoride costituisce il suo
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equivalente nella bambina. Lo sviluppo sessuale femminile è quindi interpretato
soltanto alla luce di quello maschile. Il complesso di castrazione è presente sia
nel bambino che nella bambina, ma in quest’ultima si manifesta anche l’invidia
del pene. Ne “L’organizzazione genitale infantile” (1923) Freud desidera
completare quanto affermato nei “Tre saggi”. Sostiene che nella fase fallica il
bambino è convinto che anche le femmine siano dotate di un pene e quelle che
non ne sono provviste sono state punite con la castrazione, ciò lo porta a temere
di essere castrato a sua volta. Quando si rende conto che le donne non hanno il
pene può subentrare nel bambino un forte disprezzo. Maschile e femminile
coincidono quindi con fallico e castrato. La vagina non è riconosciuta quale
organo genitale femminile. Ne “Il tramonto del complesso edipico” (1924) Freud
distingue il superamento dell’Edipo nel maschio e nella femmina. La bambina si
rivolge al padre nel tentativo di ottenere da lui il pene che le manca. Al desiderio
del pene subentra poi, grazie a un’equivalenza simbolica, il desiderio di avere un
bambino dal padre. Il complesso di castrazione e l’invidia del pene introducono
quindi la bambina nell’Edipo, invece che determinarne la fine. Inoltre, poichè
nella bambina non è presente l’angoscia di castrazione (sostituita dall’angoscia di
perdita dell’amore dell’oggetto), l’uscita dall’Edipo è più lenta e la formazione
del Super-Io risulta più blanda. In “Alcune conseguenze psichiche della
differenza anatomica tra i sessi” (1925) Freud ribadisce che nella bambina il
complesso edipico costituisce una formazione secondaria al complesso di
castrazione e che il Super-Io femminile risulta perciò meno inesorabile.
Dopo la morte della madre Amalia, Freud scrive “Sessualità femminile”
(1931) e “La femminilità” (1932), scritti nei quali si sofferma sull’importanza
dell’attaccamento preedipico della bambina nei confronti della madre ai fini dello
sviluppo psicosessuale. “La cognizione di un’antica epoca preedipica nella
femmina ha provocato in noi una sorpresa simile a quella che, in un altro campo,
ha suscitato la scoperta della civiltà minoico-micenea precedente alla civiltà
greca. Tutto, nell’ambito di questo primo attaccamento alla madre, mi sembrò
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difficilissimo da afferrare analiticamente, grigio, remoto, umbratile, arduo da
riportare in vita, come se fosse precipitato in una rimozione inesorabile” (Freud,
1931, O.S.F. 11, p. 64). Freud attribuisce tale sua difficoltà al fatto stesso di
essere un uomo, che favoriva un transfert paterno da parte delle sue pazienti;
ritiene, perciò, che le analiste donne siano favorite nel comprendere questa realtà.
Riprendendo la lettera di Freud a Zweig del 2 giugno 1932, Veggetti Finzi
(1992) scrive che Freud raccolse le chiavi del faustiano regno delle madri ma si
fermò sulla soglia. “Secondo Freud, quando Breuer fuggì di fronte al parto
isterico di Anna, aveva in mano le chiavi che gli avrebbero aperto la strada verso
il faustiano regno delle madri, ma le lasciò miseramente cadere. Se consideriamo
la metafora di Goethe come equivalente della fase preedipica infantile, possiamo
dire che sì, Freud raccolse quelle chiavi prematuramente abbandonate. Ma seppe
poi usarle per aprire la porta e attraversare quel regno? No, Freud si fermò sulla
soglia, preferendo passare le chiavi alle analiste donne affinché se la
sbrogliassero tra di loro” (ivi, p. 26-27). Il suo contributo, sebbene non completo,
fu però fondamentale per permettere le riflessioni future sull’argomento, alcune
in accordo con la tesi del monismo sessuale fallico, altre in forte contrasto.
Freud sostiene che nella donna la bisessualità, quindi la compresenza delle
componenti maschile e femminile, si manifesta più apertamente, dal momento
che possiede due organi sessuali: la vagina e la clitoride, quest’ultima analoga al
pene maschile. La vagina non viene presa in considerazione e non produce
stimoli fino alla pubertà, perciò la genitalità infantile si sviluppa esclusivamente
in relazione alla clitoride. Lo sviluppo psicosessuale della femmina risulta quindi
diviso in due fasi: la prima ha carattere maschile, la seconda prettamente
femminile. “Originariamente, per Freud, entrambi i sessi sono maschi come
struttura anatomica di base; ma, mentre i genitali del bambino sono sia
embriologicamente che anatomicamente maschili, la bambina è anatomicamente
ed embriologicamente bisessuale in quanto, dal punto di vista dell’embriogenesi,
il clitoride sarebbe un organo maschile mentre la vagina sarebbe femminile. Ma
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la bambina freudiana non avrebbe alcuna consapevolezza della vagina; e solo il
clitoride sarebbe determinante nelle prime fasi dello sviluppo” (E. Piccioli, 1996,
pp. 13-14).
Anche per quanto riguarda la relazione con l’oggetto d’amore la bambina deve
affrontare un difficile cambiamento, in quanto il primo oggetto d’amore, come
per il bambino, è la madre; poi, però, per la bambina deve subentrare il padre e
quindi un mutamento del sesso dell’oggetto. “In effetti il contenuto principale
dell’evoluzione che porta alla femminilità è modellato dal trapasso dei legami
affettivi dall’oggetto materno a quello paterno” (Freud, 1931, O.S.F. 11, p. 68).
Freud ritiene inoltre che il complesso di evirazione, il quale può portare a tre
diverse direzioni dello sviluppo (abbandono totale della sessualità, complesso di
mascolinità, strutturazione normale della femminilità), sia un motivo specifico di
distacco dalla madre da parte della figlia. Come viene ripreso anche nello scritto
“La femminilità” (1932), la bambina rimprovera la madre di non averla dotata di
un pene e, quando si accorge che neanche la madre ne è provvista, la donna perde
valore ai suoi occhi. Pertanto, almeno in un primo momento, la bambina si
rivolge al padre spinta dal desiderio del pene, che poi diventa il desiderio di un
bambino. Per quanto riguarda la vita sessuale, Freud afferma che è dominata da
un’alternanza di maschile e femminile; sebbene la libido sia unica e maschile, in
quanto attiva. In quest’ottica la frigidità viene considerata in rapporto a una
maggiore repressione della libido, a beneficio di altre funzioni tipicamente
femminili. Freud afferma inoltre che il narcisismo appartiene in misura maggiore
alla femminilità e che esso determina la scelta oggettuale della donna. Viene poi
ribadita l’importanza dell’attaccamento preedipico, anche ai fini
dell’identificazione della bambina con la propria madre. “Nell’identificazione
della donna con sua madre è possibile distinguere due livelli: quello preedipico,
che è basato sul tenero attaccamento alla madre e che prende quest’ultima come
modello, e quello successivo, risultante dal complesso edipico, che vuole
eliminare la madre e mettersi al suo posto presso il padre. E’ certo che rimangono
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molte tracce di entrambi i livelli nella vita successiva e che nessuno dei due viene
superato in misura adeguata nel corso della sviluppo. Ma la fase del tenero
attaccamento preedipico è quella decisiva per il futuro della donna; è qui che si
prepara la lenta maturazione di quelle qualità che le consentiranno più tardi di
essere all’altezza del suo ruolo nella funzione sessuale e di far fronte ai suoi
inestimabili compiti sociali. E’ in questa identificazione, inoltre, che la donna
acquista le sue attrattive al cospetto dell’uomo il cui attaccamento edipico alla
madre divampa in una nuova passione” (ivi, pp. 239-240). Freud (1932) ammette,
però, i limiti della sua teoria e afferma che la psicologia non è in grado di
sciogliere l’enigma della femminilità. Definisce incomplete e frammentarie le
proprie parole su tale argomento e conclude pertanto lo scritto con un invito: “Se
volete saperne di più sulla femminilità, interrogate la vostra esperienza, o
rivolgetevi ai poeti, oppure attendete che la scienza possa darvi ragguagli meglio
approfonditi e più coerenti” (ivi, p. 241).
In “Analisi terminabile e interminabile” (1937) Freud s’interroga su due temi
connessi alla differenza tra i sessi: l’invidia del pene nella donna e la ribellione
dell’uomo per la propria impostazione passiva nei confronti di un altro uomo.
“Abbiamo spesso l’impressione che con il desiderio del pene e con la protesta
virile, dopo aver attraversato tutte le stratificazioni psicologiche, siamo giunti
alla roccia basilare, e quindi al termine della nostra attività. Ed è probabile che
sia così, giacchè per il campo psichico, quello biologico svolge veramente la
funzione di una roccia basilare sottostante. In definitiva il rifiuto della
femminilità non può essere che un dato di fatto biologico, un elemento del
grande enigma del sesso” (ivi, p. 535).
Relativamente alla relazione madre-figlia, tra i testi clinici sono rilevanti
“Dora. Frammento di un’analisi d’isteria” (1901) e “Psicogenesi di un caso di
omosessualità femminile” (1920). L’amore omosessuale di Dora per la Signora
K. e il transfert materno non risolto vengono poi ripresi da Freud in un secondo
momento (1923), quando viene rivalutata la componente identificatoria nel