2
Il genere fantastico, inoltre, si presta particolarmente a rappresentare il
timore verso una scienza che, alla maggioranza delle persone, appare
incomprensibile o, comunque, non facile da decifrare, a causa di procedure e
termini spesso oscuri per i non addetti.
Quindi, come tutto ciò che sembra inspiegabile e inaccessibile, spesso desta
sentimenti come dubbio, incertezza, disorientamento e turbamento.
2
Nella letteratura, ma anche nel cinema, possiamo notare che è più frequente
una visione negativa della figura dello scienziato: viene ritratto spesso come
un personaggio che lavora soprattutto in solitudine e in laboratori isolati, e
l’oggetto delle sue ricerche appare segreto e pericoloso.
Nel complesso, il personaggio dello scienziato nella letteratura rispecchia il
ruolo svolto dalle scienze e dalla tecnologia nei vari contesti sociali e nelle
diverse epoche, illustrando quindi i mutamenti d’atteggiamento del pubblico
nei confronti delle ricerche scientifiche.
Analizzare le diverse opere che hanno avuto per argomento il superamento
dei limiti del conoscibile e l’aspirazione a un potere quasi divino, significa
portare alla luce il timore di dover vivere, un giorno, in un mondo che possa
cadere nel caos, in cui il futuro possa essere solo il nulla.
2
C. Benedetti, L’enunciazione fantastica come esperienza dei limiti, in La narrazione fantastica di
R.Ceserani, L.Lugnani, G.Goggi, C.Benedetti, E.Scarano, Nistri-Lischi, Pisa, 1983, pp. 289-354.
3
CAP. 1: PAURA E FASCINAZIONE NEL CORSO DEI SECOLI.
La percezione e il ruolo della scienza, collegata alla ricerca di sempre più
ampie conoscenze, ha subito, nelle varie epoche, numerosi cambiamenti.
Ammonizioni riguardo al perseguimento di un sapere pericoloso possono
essere rintracciate già nel Vecchio Testamento.
Nel Medioevo, la condanna degli studi rivolti alla trasformazione della
natura rispecchia l’ostilità della chiesa cattolica nei confronti dell’alchimia
portata in Europa dagli arabi, vista come attività stregonesca e paragonata al
simbolo biblico del serpente e del frutto proibito.
Per secoli lo stereotipo del personaggio che ricerca continuamente nuove
conoscenze è quello di Faust, il mago che pratica magia nera e che ha stretto
un patto col diavolo, sfidando le leggi divine.
3
Tra il XVIII e il XIX secolo, il potere degli scienziati diventa però più concreto
e tangibile, volto a modificare oggettivamente la natura, oltre che a
promettere di accrescere il benessere dell’umanità sfruttando la natura a suo
profitto.
In quegli anni si avverte comunque il pericolo d’eccessi, e nell’immaginario
letterario nascono personaggi come Frankenstein, il dottor Moreau, dottor
Jekyll e mister Hyde.
Nei nostri tempi la scienza arriva a conquistare un potere sorprendente e
terribile, soprattutto in seguito allo scoppio della bomba atomica a
Hiroshima e allo sviluppo delle ricerche sulla genetica.
La produzione di H.G.Wells e di A. Huxley rivela l’angoscia collettiva
provocata da una scienza che, si teme, possa perdere ogni controllo.
3
R. D. Haynes, op.cit, p. 4.
4
1.a. Gli alchimisti e Faust: la ricerca di un sapere superiore.
Si possono riscontrare diverse similarità tra la figura dell’alchimista
medievale e quella dello scienziato moderno, in particolare nelle motivazioni
che li spingono ai loro studi, nella ricerca sperimentale dei misteri della
natura e nel tentativo di trasmutare la materia.
Entrambe le figure inoltre sono circondate da un’aura di mistero data dalla
segretezza con cui svolgono i loro studi, causando sospetto nelle persone e,
soprattutto, spesso sono accusate d’irreligiosità e di voler sfidare le leggi
divine.
Lo stesso Newton, per sua ammissione, non smise mai di studiare l’alchimia.
Come già accennato, lo studio dell’alchimia fu portato in Europa dagli arabi,
che, dopo la loro progressiva cacciata da parte dei cristiani, lasciarono i loro
manoscritti nelle università che avevano fondato in Europa (soprattutto in
Spagna e in Sicilia).
La Chiesa però associò ben presto questi studi con le pratiche di magia nera e
gli alchimisti furono sospettati d’essere legati da un patto col diavolo,
credenza favorita dal timore medievale verso una conoscenza raggiunta
senza l’ausilio di testi sacri.
Probabilmente, la persecuzione della Chiesa fu uno dei motivi per cui gli
alchimisti furono costretti a portare avanti i loro studi in segreto, a vivere
isolati e a usare un linguaggio cabalistico.
Nella letteratura i fini a cui gli alchimisti tendevano, come l’eterna
giovinezza, il moto perpetuo e la creazione della vita sotto forma di
homunculus, ritorneranno anche quando si dovranno descrivere gli scopi
degli scienziati moderni.
4
Il sogno di creare una vita artificiale può essere rintracciato in molte
leggende e testi letterari, ed era percepito come un tentativo di sfidare la
prerogativa divina del generare esseri viventi.
4
R.D. Haynes, op.cit., pp.10-11.
5
Il primo testo a parlare dell’homunculus sono le Omelie di Clemente di Roma
(c.a. 250 d.C.), dove la sua creazione viene attribuita a Simon Mago.
Agli inizi del XVI secolo si pensa che Paracelso abbia creato un homunculus,
da una mistura di seme e sangue.
La stessa leggenda ritorna col Golem di Praga e con la figura del dottor
Faust.
Spesso, però, alla creazione di una vita artificiale si pensa dia seguito il senso
di colpa per avere sfidato una prerogativa divina.
Il dottor George Faust è veramente esistito e sarebbe nato verso il 1480,
probabilmente nella città tedesca di Knittlingen, ma la sua figura, a partire
dal secolo successivo entrerà nella leggenda in diverse opere.
Diventerà simbolo di una curiosità insaziabile, del desiderio di acquisire un
sapere superiore, anche a costo di dannarsi l’anima.
La prima versione scritta della leggenda del Faust la troviamo nel 1587,
nell’anonima edizione Spieß, che riuniva le diverse versioni in tedesco e in
latino della storia e che prendeva il suo nome dal tipografo Johann Spieß, il
primo a pubblicarne la versione a stampa; essa verrà ripresa da Marlowe nel
suo dramma The Tragical History of Doctor Faustus del 1604, che riprenderà ed
enfatizzerà il tema della curiosità intellettuale dell’originale tedesco.
Il suo Faust è, per tutta l’opera, diviso tra il desiderio (tipicamente
rinascimentale) di superare i limiti del conoscibile, e il timore (ancora
medievale) che questo desiderio lo porti alla perdizione.
Rinnega lo studio della teologia (frustrante per chi desidera sconfiggere la
morte), ma anche quello della medicina, perché, come in seguito sarà anche
per Frankenstein, essa non può portare alla scoperta della vita eterna.
Decide, in cambio, d’abbracciare gli studi magici.
6
Faust incarna, inoltre, l’associazione medievale tra l’arroganza intellettuale e
la rivolta di Lucifero contro Dio, perché il fine della sua ricerca è un sapere
che gli dia dei poteri simili a quelli divini.
Questo suo desiderio d’eguagliare Dio emerge fin dal suo primo monologo:
A sound magician is a demi-god.
Here, tire my brains to get a deity.
5
Un mago pienamente padrone dell’arte sua è quasi un dio! Qui, qui voglio mettere alla
prova il mio cervello per conquistarmi la divinità!
6
Alla fine però la figura di Faust, con i suoi contrasti e con la sua tragica
condanna, diventa eroica, un simbolo prometeico dell’uomo che cerca
disperatamente d’asserire i propri diritti di fronte a un potere tirannico che lo
schiavizza.
Per questo motivo il suo personaggio susciterà, allo stesso tempo, paura e
fascinazione, diventando un esempio dei pericolo morali e spirituali causati
da grandi aspirazioni intellettuali e dall’orgoglio.
D’altra parte, il fatto che gli alchimisti venissero visti come figure diverse e
isolate dalle persone ordinarie faceva pensare che avessero poteri
sovrannaturali, spesso satanici, quindi pericolosi per l’umanità.
7
Concludendo, nella letteratura gli alchimisti e gli scienziati sono spesso
accomunati dalla stessa percezione che si ha dei loro fini, la sensazione cioè
che il voler raggiungere il benessere dell’umanità sia solo un modo per celare
il desiderio di gloria e potere.
5
C.Marlowe, Doctor Faustus, in The Plays, Oxford University Press, Londra, 1971, p.337.
6
C. Marlowe, Dottor Faustus, in Teatro, traduzione di Maria Antonietta D’Ovidio, UTET, Torino,
1981, p. 198.
7
R.D. Haynes, op.cit., p.22.
7
1.b. Dal periodo illuminista a quello romantico: esaltazione e critica della
figura dello scienziato.
La figura di Newton sarà fondamentale per il mutare del modo in cui veniva
percepito il ruolo dello scienziato che, dopo essere stata a lungo guardato con
sospetto, viene considerato uomo di genio, colui che, più di ogni altro,
rappresenta il massimo utilizzo della ragione.
Newton fu un personaggio che, durante tutto il XVIII secolo, fu ammirato e
onorato, quasi mitizzato; questa tendenza si rifletterà anche nella produzione
letteraria dell’epoca, in cui appariranno diverse odi a Newton.
8
Le procedure meccanicistiche e razionalistiche usate da Newton, e spiegate
nei Principia, distruggono, nell’opinione pubblica, la visione faustiana dello
scienziato, ma a questo contribuisce anche il pensiero cartesiano, basato su
una visione matematica e scientifica del mondo naturale e della società.
9
Ma non spariscono le posizioni antirazionalistiche, così come i timori che il
successo della scienza possa portare alla distruzione della fede e dei valori
cristiani, a favore del sorgere dell’ateismo e dell’amoralità.
Per esempio, Alexander Pope, che aveva celebrato con dei versi Newton,
ammonisce nel The Dunciad gli scienziati dal voler tentare di rimpiazzare Dio
con le leggi naturali; anche Jonathan Swift, nei Gulliver’s Travels, fa un’aspra
satira sugli scienziati.
Ma sarà soprattutto in epoca romantica che l’immagine dello scienziato sarà
di nuovo messa in discussione.
Gli scrittori romantici si pongono come oppositori di una visione
meccanicistica del mondo che, invece, aveva caratterizzato la scienza nell’età
8
Cito i titoli di alcune poesie dedicate a Newton, come Poem sacred to the Memory of Sir Isaac
Newton di James Thomson, Ode to the Illustrious Man, Isaac Newton di Edmund Halley e l’anonimo
A Philosophic Ode to the Sun and the Universe, in R.D. Haynes, op.cit, pp 58-60.
9
R.D. Haynes, op.cit, pp.50-65.
8
illuministica, accusata di limitare l’individualità, negando il ruolo delle
emozioni, dell’esperienza irrazionale e spirituale.
Questa visione negativa del ruolo dello scienziato, appare nelle opere di
Blake, Wordsworth, Percy Shelley, Dickens, Balzac, Hoffman e Hawthorne.
D’altra parte, la ripresa di Goethe della figura di Faust sembra un tentativo di
riabilitare la figura dello scienziato, anche se viene presentata una scienza
non di tipo meccanicistico newtoniano, ma una Naturphilosophie romantica,
un desiderio cioè di totale fusione con la natura.
La definizione cartesiana dei corpi animali come macchine complesse, porta
inoltre a pensare che anche gli umani non facciano eccezione.
Infatti, Julien Offray de La Mettre, filosofo francese, pubblica nel 1747
L’Homme machine, arriva ad asserire che tutti gli animali, inclusi gli umani,
siano solo “complesse macchine-animali”;
10
John Locke, seguace della Royal
Society e ammiratore di Boyle e Newton, afferma che la conoscenza derivi da
un processo meccanicistico.
I romantici, da parte loro, propongono, in alternativa alla visione newtoniana
dell’universo, una scienza vitalistica che sia in contatto con la forza vitale
attraverso la quale l’uomo comunica con l’universo.
In quegli anni, inoltre, la scienza, nell’opinione pubblica, pare riavvicinarsi a
quelli che erano gli scopi dell’alchimia; gli esperimenti con l’elettricità di
Benjamin Franklin in America e di Galvani in Italia sembrano rivelare un
mondo non lontano da quello magico.
In particolare, gli esperimenti di Galvani, fatti applicando elettricità a zampe
di rane morte, procurando in loro degli spasmi, sembrano poter portare, un
giorno, ad abbattere le barriere tra vivi e morti.
È quindi in quegli anni che s’incomincia veramente a temere che l’unicità
dell’universo e dell’individuo venga abbattuta.
10
R.D. Haynes, op.cit, pp.74-75.
9
1.c. L’Inghilterra del XIX secolo: romanzo gotico, Rivoluzione Industriale e
darwinismo.
Nell’Inghilterra del XIX secolo, si fa sentire maggiormente il timore verso la
preponderanza che la scienza sta avendo nella società, a causa del maggior
sviluppo che vi ha avuto la Rivoluzione Industriale, legata alle innovazioni
tecnologiche e al progresso scientifico.
Per questo motivo questo sarà il secolo in cui, in Inghilterra, verranno create
figure di scienziati letterari (come Frankenstein e Jekyll) che rimarranno
nell’immaginario pubblico, propri di un clima caratterizzato da crescenti
paure riguardo alla decadenza nazionale, sociale e psichica: la nascita del
gothic novel è legata a questo contesto.
Il gotico infatti è stato spesso ritenuto un genere che riemerge con particolare
forza durante periodi di crisi culturale, che serve ad affrontare le ansie del
tempo, lavorando con esse in una forma dislocata, espressa attraverso
immagini perturbanti che si ricollegano all’inconscio degli individui.
11
Perciò il gothic novel inizia a svilupparsi in un’epoca in cui le forze
dell’industrializzazione si stanno trasformando in strutture della società;
proprio perché nasce in un clima d’improvvisi cambiamenti, che appaiono
destabilizzanti, quello gotico è un genere legato al caos, all’eccesso e
all’esagerazione, che sembra il prodotto dell’inciviltà e del selvaggio.
Si pone, quindi, come opposto al moderno, connesso al barbarico e alla
crudezza, invece che alla civiltà e all’eleganza.
Il gotico diviene, in questo modo, il genere dell’”autocosciente irrealismo”
(diretto cioè a rivelare l’inconscio), arcaico, pagano e contrario a una civiltà
ben ordinata.
12
11
D. Punter-G. Byron, The Gothic, Blackwell, 2004, Oxford, p.39.
12
D. Punter, The Literature of Terror I, Longman, London-New York, 1996, pp.4-5.
10
Questo ritorno all’irrazionale è quindi da imputare al collasso del sistema
sociale tradizionale, nel momento in cui nuovi mestieri e nuovi ruoli
vengono stabiliti.
L’emergere del capitalismo porta a un crescente senso d’isolamento e
alienazione, così come la meccanizzazione dell’industria separa i lavoratori
dal prodotto del loro lavoro, mentre i centri urbani li allontanano dal mondo
naturale; il concetto di umano viene, in questo modo, disturbato dalla
meccanizzazione della società.
Questo timore dello smembramento dell’individualità, trova il suo riflesso in
Frankenstein di Mary Shelley, in cui l’orrore della creatura artificiale mostra
come l’umano possa essere rimpiazzato da un automa creato da frammenti.
Inoltre, le scoperte delle scienze servono solo ad aggravare il senso
d’alienazione, disturbando ulteriormente la nozione d’identità umana.
Verso la fine del XVIII secolo la metafisica tradizionale e l’investigazione
teologica intorno al significato della vita cominciano ad essere sostituite dalla
secolare e materialistica esplorazione sull’origine della vita e sulla natura;
molti scienziati rimangono comunque riluttanti ad accettare una teoria che
faccia dipendere la vita umana dal mondo vegetale, perché l’idea che la vita
possa essere iniziata e dipenda da cause materiali sconvolge tutte le credenze
tradizionali riguardo all’unicità della posizione dell’uomo nell’universo.
Risale al 1814 il dibattito sul “principio della vita”, in cui si scontrano le
differenti posizioni di John Arbenety (presidente del Royal College of
Surgeons) e del suo allievo William Lawrence.
Lawrence si fece portavoce di una posizione strettamente materialistica,
mentre Arbenety voleva mantenere alcuni elementi metafisici, attinenti alle
credenze religiose, affermando che concetti come “materia”,
“organizzazione” e “funzione” non potevano da soli spiegare la vita, poiché
11
era necessario un “sottile e attivo principio vitale”, l’esistenza quindi di
un’anima immortale.
13
Quando la scienza comincia a disturbare la nozione di umano, diventa un
tema di particolare interesse per gli scrittori.
Il dibattito sul principio e sui meccanismi della vita influenza infatti il
Frankenstein della Shelley.
Probabilmente l’autrice aveva avuto modo di leggere Lectures on Physiology,
Zoology and the Natural History of Man di Lawrence (pubblicato nel 1819),
entrando in contatto con la sua posizione materialistica.
Lawrence era stato, nel frattempo, sospeso dal Royal College of Surgeons, e
aveva dovuto ritirare dalla pubblicazione il suo libro (considerato “ostile alla
naturale e rivelata religione”), ma il testo era stato spesso oggetto di pirateria
e riprodotto.
Ma la teoria scientifica che, probabilmente, destò maggiori controversie e
timori nell’Inghilterra della seconda metà del XIX secolo, fu quella
darwiniana.
Nel 1859 viene, infatti, pubblicato On the Origin of Species by Means of Natural
Selection di Charles Darwin, in un clima in cui, da un lato, si temeva un
ribaltamento sociale e una possibile rivoluzione, dall’altro si percepiva la
perdita della fede religiosa tradizionale.
La teoria darwinana sull’evoluzione della specie infatti non è che la naturale
conseguenza delle scoperte nell’astronomia e nella geologia, che davano
all’umanità uno spazio limitato all’interno di un universo alieno,
inconcepibile nella sua immensità.
Nel clima vittoriano, d’altra parte, per molti non è semplice accettare una
teoria che tolga all’uomo il ruolo di superiorità rispetto alle altre creature.
13
D. Punter-G. Byron, op.cit, p.21.
12
Anche l’astronomia rivela un mondo governato dal caso, così come gli studi
geologici scoprono remoti cataclismi sulla terra, aumentando le angosce nei
confronti del futuro dell’umanità.
Di conseguenza, si sente la perdita dei valori cristiani di libero arbitrio, colpa
e redenzione.
Mentre si sviluppa una corrente realista nella letteratura (collegata al
materialismo scientifico), tendente a impadronirsi del linguaggio, delle
motivazioni e delle tecniche scientifiche, permane e ha un ampio sviluppo
una letteratura che fa proprie le angosce verso un mondo che pare governato
solo dal caso, che si teme votato alla distruzione.
Si percepisce nuovamente la collisione tra scienza e religione, facendo
riemergere lo stereotipo medievale dello scienziato “senza Dio”, in contrasto
con l’autorità della Chiesa.
14
Il darwinismo, in quanto concomitante al forte sviluppo urbano, favorisce la
nascita di nuove scienze che studiano le devianze della personalità, compresa
la figura del criminale: nasce infatti in quegli anni l’antropologia criminale.
La vera natura della civiltà viene posta in questione, quando queste scienze
cominciano a identificare le vestigia del passato con la società del presente.
Cesare Lombroso, antropologo criminale, nel 1876 identifica il criminale in
colui che sviluppa la sua parte atavica, riproducendo nella sua persona gli
istinti feroci dell’umanità primitiva e degli animali.
15
Queste teorie evoluzionarie, che attribuiscono l’emergere della civiltà a un
precedente stato selvaggio, hanno influenzato R.L. Stevenson nella scrittura
del suo Doctor Jekyll e Mr. Hyde, dove però il processo da evolutivo diviene
involutivo.
14
R.D. Haynes, op.cit, pp.118-119.
15
D. Punter-G. Byron, op.cit, p.22.
13
La scienza quindi non solo non è in grado di dare risposte rassicuranti
all’uomo, ma viene vista come una forza trasgressiva e distruttiva, che sfida
la stabilità e l’integrità dell’individuo.
L’horror gotico, nel periodo di decadenza, diventa quindi un genere adatto a
rappresentare la dissoluzione della nazione, della società e dello stesso
soggetto umano.
16
Il darwinismo porta al risorgere, nella letteratura, dello stereotipo dello
scienziato socialmente irresponsabile, privo di valori, freddo e amorale,
fornendo i presupposti dell’immagine che se ne avrà nel XX secolo,
dell’uomo arrogante, privo di sentimenti e indifferente alle eventuali
sofferenze che le sue ricerche potrebbero causare.
Nasce così un paradosso per cui, in una società nella quale l’uomo sembra
aver ampliato come mai prima le sue conoscenze, acquisendo un maggior
controllo del mondo che lo circonda, lo strumento attraverso il quale ciò è
stato possibile (ossia la scienza) sembra poterlo, un giorno, sopraffare.
1.d. Dalla fine del XIX secolo ai giorni nostri: la realtà che pare superare la
fantasia.
Verso la fine del XIX secolo, si inizia a percepire come la macchina stia
diventando la base di tutto il sistema sociale, comincia a formarsi un’ideale
di società fondata su concetti come “ordine”, “stabilità” ed “efficienza”.
17
Proprio questo culto dell’efficienza e del conformismo provoca delle proteste
contro un mondo, che pare voler schiacciare il valore del singolo individuo.
Mentre si diffonde il principio della supremazia dell’osservazione oggettiva
come metodo di conoscenza della realtà, si sviluppa, in alcuni, il timore dello
svilimento dei principi morali ed estetici; si fa sentire più forte, in questo
modo, il divario tra individuo e società.
16
D. Punter-G. Byron, op.cit, p.43.
17
R.D. Haynes, op.cit, p.143.
14
Oltre al timore che, in futuro, l’uomo possa essere asservito alla macchina, la
maggior ansietà riguarda il fatto che l’essere umano venga considerato un
semplice meccanismo, anche a causa delle scoperte biologiche e gli studi
psicologici del tempo.
Nasce, quindi, una letteratura che tratta di scienziati creatori di macchine
indistinguibili dalle persone (come nel Maelzel’s Chess-Player di E.A. Poe);
questi scienziati sono sempre arroganti e noncuranti delle conseguenze dei
loro lavori.
Vengono poste così le basi per lo stereotipo dello scienziato del XX secolo,
incapace di controllare le sue invenzioni.
La concezione dell’intelletto, delle emozioni e dell’anima come complessi
meccanismi trova il suo riflesso letterario nel The Strange Case of Dr. Jekyll and
Mr. Hyde di Stevenson; d’altra parte, l’idea dell’uomo meccanizzato (questa
volta per scopi erotici) si trova nell’automa dell’ Eve future di Villiers de
l’Isle-Adam.
Una diversa tendenza, che prenderà il sopravvento tra gli inizi del XX secolo
e la seconda guerra mondiale, è quella di vedere lo scienziato come figura
positiva, precorritrice dei tempi.
Questa tendenza si riscontra, in particolar modo, nelle opere di Jules Verne.
Il pessimismo e i timori vengono così soppiantati da una fede nel progresso e
nel trionfo della tecnologia.
Si diffonde la convinzione che la scienza porterà al benessere dell’umanità,
soprattutto nella giovane America, non legata, come invece lo è l’Europa, alle
tradizioni e ai valori del passato, ma fiduciosa negli ideali di progresso e
avventura.
In questo contesto, gli scienziati diventano dei nuovi eroi.
In particolare, viene esaltata la figura dell’inventore, incarnata perfettamente
da Thomas Edison, creatore di numerose invenzioni, come il fonografo,
l’illuminazione a elettricità e il telefono, che fonda una vera e propria
15
industria; in quanto simbolo dello spirito d’intraprendenza americano,
diventa protagonista di numerosi racconti e romanzi.
18
Durante la prima guerra mondiale, inoltre, gli scienziati vengono visti come
patrioti al servizio della patria; in seguito, si diffonde la convinzione che le
ricerche scientifiche siano fondamentali per rendere gli stati invulnerabili da
eventuali successivi conflitti, portando allo sviluppo di una scienza a scopi
militari,
19
infatti negli anni Trenta, gli studi sul potere atomico non suscitano
ancora timori, anzi portano a un diffuso ottimismo ed euforia.
20
Esistono però significative eccezioni al clima ottimistico del tempo, come
A. Huxley con il suo Brave New World (1932), e tutta l’opera di H.P. Lovecraft.
In Brave New World, infatti, Huxley esprime una visione estremamente
pessimistica della società futura, interamente dipendente dal progresso, del
tutto priva delle libertà fondamentali e dei valori umani.
Lovecraft, da parte sua, è il primo a intuire l’abisso d’incognite e incertezze
che l’avanzare delle scoperte scientifiche apre nel nostro futuro; l’idea di un
universo di pura scienza, dove prevale una concezione materialistica,
introduce infatti la possibilità di orrori sopranaturali.
Perciò nelle sue storie, colui che ricerca un sapere proibito è inevitabilmente
destinato alla morte o alla pazzia.
Nel cinema, inoltre, riscuote successo la figura dello “scienziato pazzo”; basti
pensare al Gabinetto del Dottor Caligari e ai numerosi film su Frankenstein.
Questo perché la figura dello scienziato, nell’immaginario pubblico, ha
mantenuto sempre un’aura di mistero, e le sue ricerche sono state spesso
viste come finalizzate ad acquisire poteri superiori a quelli delle persone
ordinarie.
18
Cito, tra i tanti, Edison’s Conquest of Mars di Garrett P. Serviss (1898), citato da R.D. Haynes,
op.cit, p. 164.
19
R.D. Haynes, op.cit., pp.172-173.
20
Basti pensare a romanzi come Atomic Power di Don A. Stuart (1934), dove lo scienziato eroico
riesce a riscaldare una Terra, ormai congelata, grazie all’energia atomica, citato R.D. Haynes, op.cit,
p. 175.