In definitiva, dalla trattazione da me è effettuata, emerge in maniera evidente
come il sistema delineato dal legislatore del 1942 per disciplinare la figura
dell’imprenditore non brilli certo per linearità e chiarezza, comportando per
questo motivo non pochi problemi applicativi, e che tale sistema sia costruito,
soprattutto, intorno alla figura dell’imprenditore commerciale, cosa che è
chiaramente dimostrata dal fatto di aver previsto una specifica disciplina per tale
categoria di imprenditore, in aggiunta allo statuto generale.
CAPITOLO 1
LA FIGURA DELL’IMPRENDITORE
1.1 Il sistema legislativo che regola l’imprenditore
Nel nostro sistema giuridico la disciplina delle attività economiche ruota intorno
alla figura dell’imprenditore, del quale il legislatore dà una definizione generale
nell’articolo 2082 del codice civile.
Tale disciplina non è però identica per tutti gli imprenditori.
Il codice civile distingue, infatti, diversi tipi di imprese e di imprenditori in base a
tre criteri di selezione, operanti su piani diversi:
a) l’oggetto dell’attività, che determina la distinzione fra imprenditore agricolo
(art. 2135) e imprenditore commerciale (art. 2195);
b) la dimensione dell’impresa, che serve ad enucleare la figura del piccolo
imprenditore (art. 2083) e, di riflesso, quella dell’imprenditore
medio-grande;
c) la natura giuridica del soggetto che esercita l’impresa, che determina la
ripartizione legislativa fra impresa individuale, impresa costituita in forma
di società e impresa pubblica.
L’incidenza di tali distinzioni sulla disciplina dell’attività di impresa non è
tuttavia omogenea.
Il codice civile detta innanzitutto un corpo di norme applicabile a tutti gli
imprenditori e sono le norme che fanno riferimento all’imprenditore o all’impresa
senza ulteriori specificazioni. È questo lo statuto generale dell’imprenditore che
comprende parte della disciplina dell’azienda (artt. 2555-2562) e dei segni
distintivi (artt. 2563-2574), la disciplina della concorrenza e dei consorzi (artt.
2595-2620) e alcune disposizioni speciali in tema di contratti sparse nel quarto
libro del codice civile (artt. 1368, 1510, 1722).
Applicabile a tutti gli imprenditori è anche la disciplina a tutela della concorrenza
e del mercato introdotta dalla legge 287/1990.
E poi identificabile uno specifico statuto dell’imprenditore commerciale
(integrativo di quello generale), pur se taluni istituti che lo compongono trovano
applicazione anche nei confronti di imprenditori non commerciali (società) ed altri
non trovano applicazione nei confronti di determinati imprenditori commerciali
(piccoli e pubblici). Comunque, rientrano nello statuto tipico dell’imprenditore
commerciale: l’iscrizione nel registro delle imprese (artt. 2188-2202) con effetti
di pubblicità legale; la disciplina della rappresentanza commerciale (artt. 2203-
2213); le scritture contabili (artt.2214-2220); il fallimento e le altre procedure
concorsuali (r.d. 16-3-1942, n. 267 e d.lgs. 8-7-1999, n. 270).
Poche e scarsamente significative sono invece le disposizioni del codice civile
specificamente riferite all’imprenditore agricolo e al piccolo imprenditore. Infatti,
nel sistema del codice la qualifica di imprenditore agricolo o di piccolo
imprenditore ha rilievo essenzialmente negativo in quanto serve a delimitare
l’ambito di applicazione dello statuto dell’imprenditore commerciale.
Imprenditore agricolo e piccolo imprenditore anche commerciale sono infatti
esonerati dalla tenuta delle scritture contabili e dall’assoggettamento alle
procedure concorsuali, mentre l’iscrizione nel registro delle imprese,
originariamente esclusa, è stata oggi estesa anche a tali imprenditori, sia pure con
rilievo diverso per l’imprenditore agricolo e per il piccolo imprenditore (artt.
2136, 2202, 2214, 2221 e art. 1 legge fall.).
Anche la distinzione soggettiva fra impresa individuale, società e impresa
pubblica rileva essenzialmente al fine di definire l’ambito di applicazione dello
statuto dell’imprenditore commerciale. Infatti, le società diverse dalla società
semplice (definite società commerciali) sono tenute all’iscrizione nel registro
delle imprese, con effetti di pubblicità legale, anche se l’attività esercitata non è
commerciale (art. 2200). Inoltre, le società non sono mai considerate piccoli
imprenditori (art. 1, 2° comma, legge fall.) e perciò sono sempre esposte al
fallimento se esercitano attività commerciale. Gli enti pubblici che esercitano
impresa commerciale sono, all’opposto, sottratti in misura più o meno ampia alla
disciplina dell’imprenditore commerciale (artt. 2093 e 2201). In ogni modo non
sono mai esposti al fallimento.
1.2 Nozione generale di imprenditore
L’articolo 2082 del codice civile stabilisce che «È imprenditore chi esercita
professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o
dello scambio di beni o di servizi».
Si tratta di una nozione che, in maniera evidente, si richiama al concetto
economico di imprenditore. Ciò accade in quanto, nel definire un fenomeno della
realtà economica, il legislatore non poteva non ispirarsi alla ricostruzione dello
stesso operata dagli economisti (c.d. metodo dell’economia). La derivazione
economica della nozione di imprenditore non significa, però, che vi debba essere
piena coincidenza fra nozione giuridica e nozione economica, in quanto il compito
dell’economista è diverso da quello del legislatore e del giurista.
L’economista analizza la funzione svolta dai diversi attori della vita economica e
la loro reciproca posizione nel sistema di produzione e distribuzione della
ricchezza. Ed appunto in termini di funzioni tipicamente svolte gli economisti
descrivono la figura dell’imprenditore, identificandola nel soggetto che nel
processo economico svolge funzione intermediaria fra chi dispone dei necessari
fattori produttivi e chi domanda prodotti e servizi. Nello svolgimento di tale
funzione l’imprenditore coordina, organizza e dirige, secondo proprie scelte
tecniche ed economiche, il processo produttivo (funzione organizzativa)
assumendo su di sé il rischio relativo; il rischio cioè che i costi sopportati non
siano coperti dai ricavi conseguiti (rischio di impresa) per la mancanza di
domanda o per la situazione di mercato. L’esposizione al rischio d’impresa
giustifica poi il potere dell’imprenditore di dirigere il processo produttivo e
legittima l’acquisizione da parte dello stesso dell’eventuale eccedenza dei ricavi
rispetto ai costi (profitto). E proprio nell’intento di conseguire il massimo profitto
si ravvisa il tipico movente dell’attività imprenditoriale.
Il legislatore, invece, ha il compito di fissare i requisiti minimi necessari e
sufficienti che devono ricorrere perché un dato soggetto sia esposto alla disciplina
dell’imprenditore. Questo compito è stato assolto dal legislatore con l’articolo
2082, nel quale sono stati fissati i requisiti necessari per l’acquisto della qualità di
imprenditore.
Pur senza trascurare i contributi delle altre scienze, è perciò sulla base di tale
nozione legislativa che va tracciata la distinzione fra chi e chi non è imprenditore,
al fine di stabilire se siano o meno applicabili ad un dato soggetto le norme del
codice civile che all’impresa e all’imprenditore fanno riferimento. E dall’articolo
2082 si ricava che l’impresa è un’attività (serie coordinata di atti unificati da una
funzione unitaria) caratterizzata sia da uno specifico scopo (produzione o scambio
di beni o servizi) sia da specifiche modalità di svolgimento (organizzazione,
economicità, professionalità). Altri requisiti non sono espressamente richiesti.
Tuttavia si discute se ciò sia sufficiente oppure se altri requisiti (pur non enunciati
espressamente) siano necessari perché si abbia attività di impresa ed acquisto della
qualità di imprenditore. È in particolare controverso se siano altresì indispensabili:
a) l’intento dell’imprenditore di ricavare un profitto dall’esercizio dell’impresa
(c.d. scopo di lucro);
b) la destinazione al mercato dei beni o servizi prodotti;
c) la liceità dell’attività svolta.
Si tenga infine presente che i requisiti posti dall’articolo 2082 sono i requisiti
rilevanti ai fini della nozione civilistica di imprenditore; ai fini cioè
dell’applicazione delle norme di diritto privato che fanno riferimento all’impresa e
all’imprenditore o a figure qualificate.
Requisiti solo tendenzialmente coincidenti con quelli autonomamente fissati da
altri settori dell’ordinamento nazionale (ad esempio, legislatura tributaria) o
internazionale (ad esempio, legislazione dell’Unione Europea) e rilevanti per
l’applicazione di altre e specifiche normative che all’impresa fanno riferimento
(diritto tributario, diritto comunitario, ecc.).
Non deve perciò sorprendere se le nozioni giuridiche di impresa e di imprenditore
elaborate in altri settori del diritto non coincidono puntualmente con quella fissata
dall’articolo 2082 del codice civile.