2
dell’evoluzione della materia dalla pubblicazione del libro di Vladimir Propp
Morfologia della fiaba (1928) a oggi - che tocca unicamente i temi più importanti e
prende in considerazione solo pochi studiosi significativi.
Il secondo capitolo introduce alla figura di Tim Burton e ne ripercorre le tappe più
importanti della carriera. Vengono velocemente esaminati tutti i suoi lavori, dal
primo conrtometraggio Vincent (id., 1982) al recentissimo Big Fish (id. 2003), allo
scopo di mettere in luce quelle che sono le tematiche maggiormente care al regista e
gli aspetti visivi che rendono le sue opere originali e assolutamente personali.
I restanti capitoli sono dedicati alla figura vera e propria dell’antagonista. A Tim
Burton è stata spesso mossa la critica di privilegiare i cosiddetti “cattivi” lasciando i
personaggi principali sullo sfondo della vicenda narrata. Discorso che vale
soprattutto per i due film sull’uomo pipistrello nei quali sembra, paradossalmente,
essere addirittura l’antagonista il vero motore dell’azione; pare occupare lui il posto
privilegiato che compete, solitamente, all’eroe. La cosa, a mio parere, non dovrebbe
essere vista come negativa. La sensibilità del regista verso tutto ciò che è oscuro e
malefico è innegabile e ha dato vita, sullo schermo, a diversi villain molto
interessanti. Gli stessi protagonisti burtoniani hanno spesso un lato ambiguo che
sporca il loro essere eroi e che li pone quasi in concorrenza, e non contro,
l’antagonista.
Di questa figura ho individuato tre tipologie: quella dell’antagonista diegetico,
dell’antagonista culturale e dell’antagonista culturale mascherato da diegetico.
Il termine diegetico è usato, in un’accezione particolare, per indicare un
personaggio reale e fisico. In sostanza si intende una persona, o meglio, un essere
vero, visibile e toccabile. Che occupa uno spazio e interagisce con gli altri
personaggi della storia. Si considera il ruolo, insomma, nel senso proppiano del
termine. L’analisi verterà, soprattutto, sulle figure del Joker in Batman (id., 1989) e
del Pinguino in Batman Returns (Batman – Il ritorno, 1992), che già erano, diciamo
così, diegetiche in fumetto e rimangono tali sul grande schermo.
Per quanto riguarda l’antagonista culturale il riferimento è alle pellicole Edward
scissorhands (Edward mani di forbice, 1990) e Ed Wood (id., 1994). Da prendere in
3
considerazione è, in questo caso, un nemico senza caratteristiche materiali e fisiche,
che non è percepibile attraverso i cinque sensi. Il vero avversario di Edward è la
società che prima lo usa, incuriosita dalla sua eccentrica bizzarria, e poi lo rifiuta
spaventata dalla sua diversità. Allo stesso modo Ed(ward) Wood deve lottare contro
il mondo della cinematografia ufficiale per poter dar luce al suo lavoro, per poter
esprimere se stesso e, quindi, essere se stesso.
L’ultima categoria, quella dell’antagonista culturale mascherato da diegetico, si
riferisce a Mars Attacks! (id., 1996) e Sleepy Hollow (Il mistero di Sleepy Hollow,
1999). L’antagonista diegetico è presente, ma è una sorta di maschera, un simbolo.
È un antagonista culturale che si fa forma, che diventa visibile. Il nemico fisico ne
nasconde, in realtà, uno, immateriale. I cattivissimi marziani che invadono la terra
rappresentano una forza che elimina le persone, almeno per Burton, prive di valori.
Sono una sorta di epurazione morale che permetterà a chi ne è degno di rifondare
l’umanità. Il cavaliere senza testa che terrorizza il villaggio di Sleepy Hollow è,
invece, l’incarnazione della superstizione e della magia. È il soprannaturale in
eterna lotta contro la ragione incarnata da Ichabod Crane, il bizzarro procuratore
interpretato da Johnny Depp.
4
1.
MORFOLOGIA DEL RACCONTO:
CENNI DI NARRATOLOGIA DALLA FIABA RUSSA A
HOLLYWOOD
“I francesi – con il loro entusiasmo etimologico di recente
acquisizione - hanno coniato la parola narratologia per indicare
lo studio delle strutture narrative. Gli intellettuali anglo-
americani diffidano, forse a ragione, dell’uso troppo libero
delle parole in –logia. La discutibilità del termine tuttavia non
dovrebbe essere confusa con la legittimità dell’oggetto”
Seymour Chatman
Storia e discorso: la struttura narrativa nel
romanzo e nel film
Nella sua Introduzione all’analisi strutturale dei racconti Roland Barthes scrive che
“la narrativa nasce insieme alla storia stessa dell’umanità. Non esiste nessun
popolo in nessun luogo senza narrativa”
1
. Essa si manifesta in variegati modi, si
presenta nelle forme più svariate ed è sempre presente. Fedele ci accompagna, tiene
per mano l’uomo nel suo cammino attraverso il tempo e la storia. La narrativa
svolge un ruolo importante e va studiata. La cosa può sembrare scontata, ma non lo
è. Se già Platone e Aristotele hanno cominciato, in antichità, a porsi il problema di
come si debba analizzare una narrazione è solo da circa cent’anni che sono fioriti gli
studi più interessanti ed esplicitamente dedicati alla materia. È nel ventesimo secolo
che nasce la cosiddetta narratologia, cioè lo studio della forma e del funzionamento
della narrativa. Una disciplina che “esamina ciò che, dal punto di vista
1
Roland Barthes, Introduction à l’analyse structurale du récit in AA.VV., L’analyse structurale du
récit, numero speciale di « Communications », 8, 1966 (trad. it. Introduzione all’analisi strutturale
dei racconti, in AA.VV., L’analisi del racconto, Milano, 1969), p. 7.
5
narratologico, tutti i racconti hanno in comune e ciò che li caratterizza come
narrativamente diversi”
2
.
1.1 Vladimir Propp e il concetto di funzione
Se narratologia è un termine coniato dai francesi soltanto negli ultimi trent’anni
(narratologie
3
), il vero pioniere di questi studi è russo. Nel 1928 viene pubblicata
Morfologia della fiaba di Vladimir Propp, opera con la quale si vogliono porre le
basi dello studio della favola come mito. Il problema è quello della somiglianza di
questo genere letterario in tutto mondo.
Come spiegare la presenza della favola della principessa-ranocchia in Russia, in Germania,
in Francia, in India, in America tra i pellerossa e nella Nuova Zelanda, quando l’esistenza
dei rapporti tra questi popoli è storicamente indimostrabile?
4
si chiede Propp nel primo capitolo del suo lavoro. Egli è convinto che le opere di
narrativa popolare abbiano una caratteristica particolare: le loro parti componenti
possono essere interscambiabili. Sono queste l’oggetto principe del suo lavoro:
morfologia è, infatti, nient’altro che lo studio delle forme e quindi delle componenti,
delle parti. Propp lamenta la mancanza di un adeguato sistema di classificazione in
questo campo, un sistema simile a quello usato in ambito scientifico e matematico.
Quelli compiuti fino ad allora erano studi essenzialmente genetici, che
contemplavano cioè soltanto l’analisi delle origini di una data narrazione, o
stilistici
5
. Il suo è invece un approccio formale all’opera di narrativa che sceglie di
usare come materiale di ricerca, che è quello della fiaba russa. “È chiaro che prima
2
Gerald Prince, Narratology: the form and functioning of narrative, Walter de Gruyter and Co.,
Berlin, 1982 (trad. it. Narratologia: la forma e il funzionamento della narrativa, Pratiche, Parma,
1984), p. 10.
3
Il termine è stato proposto da Tzvetan Todorov nel 1969.
4
Vladimir Propp, Morfologjia Skazki, Leningrad, 1928 (trad. it. Morfologia della fiaba, Einaudi,
Torino, 1966), p. 23.
5
Si veda V. Savcenko, Russkaja narodnaja skazka [La fiaba popolare russa], Kiev, 1913.
6
di chiedersi donde abbia origine la favola bisogna chiarire in che cosa essa
consista”
6
. Concetto forte che esce dalla ricerca di Propp è quello di funzione, cioè
ciò che i protagonisti di una narrazione fanno, “l’operato di un personaggio
determinato dal punto di vista del suo significato per lo svolgimento della
vicenda”
7
. Nei racconti compaiono spesso le stesse azioni. Sono queste azioni gli
elementi costanti su cui lo studioso russo può fondare la sua analisi. Le funzioni
sono le unità costitutive della favola e i personaggi hanno il solo compito di
sostenerle: “è quindi importante che cosa fanno i personaggi e non chi fa o come fa,
problemi, quest’ultimi, di carattere accessorio”
8
. Propp ne individua, in tutto, non
più di trentuno, condensa ognuna di esse in un solo termine e le dota di un segno di
codice. In tal modo si può ottenere, da ogni favola, una formula molto simile a
quelle chimiche. Esempio di funzione proppiana può essere l’imposizione all’eroe
di un divieto, oppure il suo infrangerlo. Può essere la caduta dell’eroe in un
inganno, o il suo ritorno a casa. Tutto quello che in un racconto non è funzione è,
come lo definisce Claude Levi-Strauss nelle sue Riflessioni su un’opera di Vladimir
Ja. Propp, una sorta di materia residua
9
divisibile in due categorie non funzionali: i
raccordi e le motivazioni. I primi servono a stabilire un rapporto immediato tra
personaggi o tra oggetti e personaggi, le seconde sono qualità del personaggio
espresse in atti. La favola parte sempre da una situazione iniziale e si sviluppa
attraverso le varie funzioni fino a una conclusione. Le funzioni sono, come detto,
sostenute da un certo numero di personaggi che ne possono riunire anche più di una.
Per Propp i protagonisti si riducono a sette. Tra questi sette c’è anche quello che a
noi sta più a cuore e cioè l’antagonista, figura assolutamente fondamentale nella
struttura di una favola. Il suo ruolo è quello di turbare la pace della famiglia felice,
provocare sciagure danni e menomazioni. L’antagonista si contrappone all’eroe,
rompe l’equilibrio della sua esistenza, lo sfida e ingaggia con lui una lotta dalla
6
Vladimir Propp, Morfologjia Skazki, op. cit., p. 9.
7
Ivi, p. 27.
8
Ivi, p. 26.
9
Claude Levi-Strauss, La struttura e la forma: Riflessioni su un’opera di Vladimir Ja. Propp in
Vladimir Propp, Morfologjia Skazki, Leningrad, 1928 (trad. it. Morfologia della fiaba, Einaudi,
Torino, 1966), p. 174.
7
quale uscirà sconfitto. Diverse funzioni proppiane che riguardano l’antagonista si
applicano al meglio alle strutture narrative di molti film di Tim Burton
10
.
Gli altri personaggi sono l’eroe, il falso eroe, il donatore, l’aiutante magico, il
personaggio cercato e il mandante.
1.2 A. J. Greimas: gli attori e gli attanti
Il pensiero di Propp rimane molto vicino a quello della scuola formalista russa
11
ormai in crisi che ha il suo quindicennio di fioritura tra il 1915 e il 1930.
Nonostante ciò da esso non possono prescindere gli studi di narratologia che
intraprenderanno molti teorici legati allo strutturalismo nella seconda metà del
secolo come Claude Levi-Strauss, Roland Barthes, Tzvetan Todorov, Gerard
Genette e A. J. Greimas. Quest’ultimo rielabora la teoria dello studioso russo
cercando di non soffermarsi su un solo tipo di racconto, il suo è un tentativo di
costituire una sorta di grammatica narratologica universale. Universali sono le
forme narrative e di questo egli è certo poiché lo dimostrerebbero innumerevoli
studi folkloristici
12
. È convinto che la narratività sia il principio stesso
dell’organizzazione del discorso. Ogni racconto è organizzato in una grande
struttura sintagmatica. Al suo centro c’è un’azione principale, il compito da
svolgere, quello che Greimas chiama performanza, parente stretta della funzione
proppiana. Il modello proposto dallo studioso lituano è ben più complesso però di
quello del pioniere russo. Comprende anche altri concetti come quello di
manipolazione, di sanzione e di competenza. Prima di tutto è necessario, però,
spiegare un altro dei cardini della teoria di Greimas che è quello della distinzione tra
10
Per esempio la funzione definita danneggiamento può benissimo essere riferita all’uccisione dei
genitori di Bruce Wayne da parte del criminale che diventerà il Joker in Batman. Indica il danno o
la menomazione che l’antagonista arreca al protagonista o a uno dei membri della sua famiglia. La
più presente rimane quella della lotta, nella quale il protagonista e l’antagonista si affrontano e
combattono, che è riscontrabile in Batman, Batman-Il ritorno e Il mistero di Sleepy Hollow.
11
Per maggiori informazioni sulla scuola formalista russa si veda Victor Erlich, Il formalismo
russo, Bompiani, Milano, 1966.
12
Si veda Georges Dumézil, Mythe et Epopée, Paris, Gallimard, 1968 (trad. It. Mito e Epopea. La
terra alleviata, torino, Einaudi, 1982).
8
attori, “riconoscibili nei discorsi particolari in cui si trovano manifestati”
13
, e
attanti, che “appartengono a una sintassi narrativa”
14
. In modo molto semplicistico
si potrebbe dire che i primi sono i personaggi e i secondi i ruoli. Il concetto di
attante è di natura sintattica
15
insomma, mentre quello di attore non dipende dalla
sintassi, ma dalla semantica
16
. Greimas propone l’individuazione quindi di quelli
che egli chiama ruoli attanziali, e se vogliamo trovare la figura dell’antagonista è
qui che dobbiamo cercarla. La problematica narrativa di questa divisione, però,
mostra una certa complessità e non è esente da difficoltà. “Ci si è accorti che la
relazione fra attore e attante, lungi dall’essere un semplice rapporto di inclusione
di un’occorrenza in una classe è duplice”.
17
In altre parole un attore può
rappresentare nello stesso momento molti attanti alla volta e un attante può
manifestarsi in molti attori
18
. Tornando alla performanza essa è, come detto, la
“prova”, il “compito difficile” che l’eroe è tenuto a compiere. Concetto che
richiama subito quello di competenza, e cioè il “saper fare” del soggetto, la sua
“qualificazione”. C’è una distinzione, quindi, tra soggetto competente e soggetto
performante che “non sono soggetti diversi, bensì due istanze di un solo medesimo
attante”
19
. Il soggetto deve acquisire una certa competenza per divenire un soggetto
performatore.
Le radici di questa analisi, come si è detto, sono ancora gli studi pionieristici di
Vladimir Propp, ma il passo avanti compiuto da Greimas è notevole sia dal punto di
vista della complessità, sia da quello della varietà.
13
Algirdas Julien Greimas, Du Sens II – Essais sémiotiques, Editions du Seuil, Paris, 1983 (trad. it.
Del senso 2: narrativa, modalità, passioni, Bompiani, Milano, 1985), p. 45.
14
Ibidem.
15
La sintattica è quella parte della semiotica che studia i rapporti tra i segni facendo astrazione dal
loro significato.
16
Parte della semiotica che, trascurando le implicazioni sociologiche e psicologiche del linguaggio,
analizza il rapporto tra segno e referente.
17
Algirdas Julien Greimas, Du Sens II – Essais sémiotiques, op. cit., p. 45.
18
In Mars Attaks! vedremo, per esempio, la mancanza di un solo protagonista e di un solo
antagonista, ma diversi eroi o anti-eroi e una schiera di cattivissimi marziani.
19
Algirdas Julien Greimas, Du Sens II – Essais sémiotiques, op. cit., p. 49.
9
1.3 I tre livelli della narrazione di Gerard Genette
Gerald Genette propone uno studio che verte essenzialmente sul “racconto nel
senso più corrente, cioè sul discorso narrativo”
20
. Importante è specificare cosa egli
intenda per “racconto nel senso più corrente”: non soltanto insieme di azioni e
situazioni considerate in sé o semplici avvenimenti descritti. L’atto stesso di
raccontare è azione, è racconto. La sua è una teoria che si preoccupa dei problemi
dell’enunciazione narrativa. Storia e narrazione esistono solo per l’intermediario del
racconto e, viceversa, il discorso può essere narrativo solo quando narra una storia.
Sono tre in definitiva i livelli che Genette individua: quello della storia (l’insieme
degli avvenimenti raccontati), quello del racconto (il discorso, orale o scritto, che li
racconta) e quello della narrazione (l’atto reale o fittizio che produce tale discorso,
il fatto stesso di raccontare insomma). Lo studio delle relazioni tra questi tre livelli
dà l’analisi del discorso narrativo. Punto di partenza è la suddivisione proposta nel
1960 da Tzvetan Todorov. Egli classificava i problemi del racconto in tre categorie.
In quella del tempo si esprime il rapporto tra il tempo della storia e del discorso, in
quella dell’aspetto si esplicita come la storia è percepita dal narratore e in quella del
modo si analizza il tipo di discorso usato dal narratore. Genette rielabora queste tre
categorie e propone tre classi fondamentali di determinazioni: tempo, modo e voce.
La prima è pressoché uguale a quella di Todorov. Significa studiare l’ordine
temporale di un racconto, cioè
operare un confronto fra l’ordine di disposizione degli avvenimenti o segmenti temporali
nel discorso narrativo e l’ordine di successione che gli stessi avvenimenti o segmenti
temporali hanno nella storia.
21
20
Gerard Genette, Figures III, Editions du Seuil, Paris, 1972 (trad. it. Figure III: discorso del
racconto, Einaudi, Torino, 1986), p. 74.
21
Ivi, p. 83.
10
La categoria del modo narrativo si riferisce invece al narrare secondo vari punti di
vista.
L’informazione narrativa ha i suoi gradi; il racconto può fornire al lettore maggiori o
minori particolari, e in maniera più o meno diretta e sembrare così a più o meno grande
distanza da quel che esso racconta.
22
È una categoria che dipende quindi dalle modalità della rappresentazione narrativa.
Per quanto riguarda la categoria della voce essa dipende
dal modo in cui la narrazione stessa si trova implicata nel racconto e viene dunque a
coincidere con la situazione o istanza narrativa, e con essa i suoi due protagonisti: il
narratore e il suo destinatario reale o virtuale.
23
È il caso tipico in cui un soggetto, per esempio, non è solo colui che compie o
subisce un’azione, ma anche chi la riferisce. E’ insieme personaggio e narratore
all’interno della storia.
La moderna analisi del racconto è cominciata (con Propp) ed è continuata (con
Greimas) con studi basati sulla storia in sé e per sé, senza considerare
particolarmente il modo in cui essa veniva narrata. Genette è uno dei primi studiosi
a porre l’accento anche su quest’ultimo altrettanto importante aspetto.
22
Ivi, p. 208.
23
Ivi, p. 79.
11
1.4 Seymour Chatman: la narrativa tra storia e discorso
L’americano Chatman si rifà al lavoro narratologico svolto dagli strutturalisti
francesi cercando di dare un aspetto più moderno alla materia. Alla base sta
l’assunto che quelle narrative siano strutture indipendenti da qualsiasi medium. Le
storie sono, per così dire, “trasportabili”. E’ negli anni ottanta che viene pubblicato
Storia e discorso: la struttura narrativa nel romanzo e nel film. Finalmente il
termine film è posto in primo piano, il linguaggio cinematografico è allo stesso
livello della parola scritta. Cardine della teoria di Chatman è la dicotomia tra un
cosa un come, e cioè tra storia e discorso. L’obbiettivo è quello di “costruire una
griglia di possibilità tramite l’individuazione di tratti costitutivi minimi della
narrativa”
24
. Ciò che, a partire da Propp, hanno fatto tutti i teorici in materia
insomma: studiare le strutture narrative per determinare quello che la narrativa è di
per sé. Già i formalisti russi avevano fatto una distinzione utilizzando i termini
fabula, cioè il materiale narrativo di base (somma degli eventi riferiti), e intreccio,
la storia come è realmente narrata nel collegarsi degli eventi. Gli strutturalisti la
precisarono parlando proprio di storia, ciò che viene rappresentato in una narrativa,
e discorso, come il tutto è rappresentato. Per Chatman la narrativa è una totalità
perché costituita da “elementi che sono di natura differente da ciò che nel loro
insieme costituiscono”
25
. Questi elementi, isolati e distinti, sono gli eventi e gli
esistenti. I primi sono contenuti nel tempo della storia, sono azioni o avvenimenti e
costituiscono una serie chiamata “intreccio”. Sono cioè dei cambiamenti di stato e si
connettono per formare una narrazione. Non solo hanno una connessione logica, ma
anche una gerarchia. I più importanti sono detti nuclei, i meno importanti satelliti.
La dimensione degli esistenti è invece lo spazio. Potremmo anche chiamarli
“personaggi” di una storia. Chatman sostiene che “una teoria funzionale dovrebbe
mantenersi aperta e considerare i personaggi come esseri autonomi e non come
24
Seymour Chatman, Story and discourse: narrative structure in fiction and film, Cornell
University Press, Ithaca – London, 1978 (trad. it. Storia e discorso : la struttura narrativa nel
romanzo e nel film, Pratiche, Parma, 1994), p. 14.
25
Ivi, p. 17.
12
pure funzioni dell’intreccio”
26
. Egli rimprovera infatti a Propp di vedere i
personaggi solo come il risultato di ciò che la fiaba richiede loro di fare. Anche i
francesi li consideravano più “mezzi “ che “fini” della storia e per questo assume
una posizione critica anche verso di loro. L’esistente, per Chatman, consiste in un
paradigma di tratti psicologici, cioè in un paradigma di “qualità personali
relativamente stabili e costanti”
27
. Gli eventi e gli esistenti sono il corpo della
storia, cioè una struttura narrativa sul piano del contenuto. Il discorso è invece una
struttura narrativa sul piano dell’espressione. Il piano dell’espressione è l’insieme
degli enunciati narrativi che possono variare da arte ad arte. Siamo ora nell’ambito
del come, del modo in cui si manifesta la narrativa. Enunciato può essere una certa
inquadratura di un film, il paragrafo di un libro o una certa posizione in un balletto.
Chatman, in proposito, prende in considerazione e studia in modo particolare il
ruolo del narratore. Il terreno d’indagine non è certo vergine visto che già Greimas
e Genette, tra gli altri, si erano impegnati in un’analisi di questo tipo. Il narratore è
la “fonte della trasmissione” e può essere considerato una “spettro di possibilità,
che vanno dai narratori che sono meno udibili e quelli che lo sono in massimo
grado”
28
. Rifacendosi quindi sia alla narratologia formalista russa, sia a quella
strutturalista francese, Chatman propone un modello di studi assolutamente
personale. Egli proietta la materia in un universo più attuale e moderno, dove il
medium privilegiato non è più solo la parola scritta. Anche il cinema, insieme ad
altre forme d’arte, è portatore importante di narratività.
26
Ivi, p. 123.
27
Ivi, p. 130.
28
Ivi, p. 154.