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Introduzione
«Avere un nemico è importante non solo per definire la nostra identità ma
anche per procurarci un ostacolo rispetto al quale misurare il nostro sistema
di valori e mostrare, nell’affrontarlo, il valore nostro. Pertanto, quando il
nemico non ci sia, occorre costruirlo»
1
.
Questa riflessione di Umberto Eco, presente nel saggio Costruire il
nemico, offre la possibilità di un’interessante analisi circa un concetto
importante nella retorica politica contemporanea: quello di “nemico”.
L’autore ritiene che l’individuazione di un nemico sia essenziale per la
determinazione del successo di una nazione; non a caso, afferma che l’Italia
abbia risentito nel passato recente dell’assenza di una tale figura
2
.
Successivamente, passa in rassegna diversi esempi in una breve analisi
diacronica, per dimostrare come l’iter di demonizzazione del nemico sia una
prassi ricorrente nel tempo.
Seguendo una simile interpretazione, questo studio si propone di
sviscerare la suddetta figura nel passato più recente, osservando i vari
processi di produzione del nemico da parte della politica. Un’analisi
trasversale nel tempo e nello spazio che, partendo dal Terzo Reich,
passando per l’America della Guerra Fredda e terminando con la retorica
populista odierna, cerca di evidenziare similitudini e differenze nello
sviluppo di questo tema.
Nel primo capitolo viene presentata la costruzione del nemico
ebraico nella Germania del Terzo Reich. Dopo un breve richiamo alla teoria
del Politico di Carl Schmitt, giurista padre della dicotomia amico/nemico e
iscritto al Partito Nazionalsocialista, vengono analizzate le origini e i tratti
caratteristici dell’antisemitismo nazista, colonna portante della stessa
1
Umberto Eco, Costruire il nemico e altri scritti occasionali, Milano, Bompiani, 2011, p.10
2
Ibidem
4
ideologia. A tale scopo si sviscera la questione partendo dal Mein Kampf di
Adolf Hitler e dagli studi di Hannah Arendt. Successivamente, ci si propone
di analizzare le tecniche propagandistiche e manipolatorie che hanno
contribuito all’innesto della figura del nemico giudeo nella rappresentazione
collettiva.
Il secondo capitolo è dedicato all’esamina della concezione del
nemico sovietico nell’America della Guerra Fredda. Dopo una breve
introduzione di carattere storico, dedicata alla genesi del conflitto, ci si
concentrerà su due particolari casi studio. Seguendo un criterio cronologico,
ci si focalizzerà in primo luogo sul periodo maccartista, caratterizzato da un
paranoico stato di sospetto e repressione figlio della paura rossa, per
dimostrare gli importanti effetti destabilizzanti della crociata anticomunista.
Successivamente, si analizzerà la retorica del Presidente Ronald Reagan,
particolarizzata dall’epiteto evil empire che riservò all’Unione Sovietica. In
tale frangente si evidenzierà la contrapposizione dicotomica proposta, nella
quale si esaltano i valori patriottici, democratici e cristiani.
L’ultimo capitolo è riservato a un’indagine inerente alla costruzione
del nemico all’interno delle democrazie contemporanee. Lo scopo
dell’ultima sezione sarà quello di inquadrare il suddetto tema nella
comunicazione politica attuale, dedicando particolare attenzione al
fenomeno del populismo e alla sempre più impiegata narrazione del
migrante in quanto nemico, emblematico protagonista della retorica del
capo espiatorio.
È opportuno e doveroso premettere che la dinamica dell’elaborato
terrà costantemente conto delle indiscutibili divergenze tra gli esempi
prescelti, i quali indubbiamente differiscono tra loro per contesto storico,
sociale, ideologico e soprattutto politico-istituzionale. Sarà quindi di vitale
importanza anteporre un’adeguata e consona contestualizzazione a ogni
caso studio, in modo tale da comprenderne le specificità e le peculiarità, al
fine di evitare fuorvianti generalizzazioni. Mantenendo questo presupposto
lungo la totalità dell’analisi, si cercherà di individuare un filo rosso, una serie
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CAPITOLO I: IL NEMICO NELLA GERMANIA NAZIONALSOCIALISTA
1.1 Amico/Nemico: il Politico di Carl Schmitt
Prima di analizzare l’emblematico caso tedesco, può risultare
opportuno un breve rimando ad un autore che offrì un importante contributo
allo studio del concetto di “nemico”: Carl Schmitt. La sua teoria può rendersi
utile nell’ essenzialità che riserva alla suddetta figura; inoltre, l’importante
giurista tedesco non solo fu coevo del nazionalsocialismo, ma presentò
addirittura importanti connessioni con il Terzo Reich.
Tra le opere più note di Carl Schmitt trova sicuramente spazio Il
concetto di “politico”, saggio che risale al 1932. Lo scritto presenta
l’esplicazione di alcuni concetti che hanno reso celebre l’autore tedesco, tra
cui la dicotomia amico e nemico.
Secondo Schmitt, il “politico”, o “das Politische”, è il presupposto
fondamentale del concetto di Stato
3
. La definizione di esso non è chiara:
spesso viene utilizzato come contrapposizione ad altri concetti antitetici,
come l’economia, la morale, il diritto. Risulta più semplice definire piuttosto
cosa non sia. Altrettanto spesso viene confuso con l’aggettivo “statale”. La
definizione è possibile solo tramite individuazione di una dicotomia
squisitamente politica, fondativa dell’insieme dell’agire politico. Questa
distinzione si identifica nel rapporto tra amico (Freund) e nemico (Feind)
4
.
Una coppia concettuale corrispondente al rapporto dicotomico che
intercorre tra bello e brutto nell’ estetica, tra buono e cattivo nella morale.
Essa non presenta tratti contenutistici, ma è puramente logica ed autonoma
da qualsiasi altro ambito.
Il nemico non viene identificato nel classico inimicus privato, bensì
nell’ hostis pubblico. Questa contrapposizione risulta la più potente e
3
Carl Schmitt, Le categorie del “politico”: saggi di teoria politica, Bologna, Il Mulino, 2013,
p. 101
4
Ivi p.108
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polarizzante; non a caso, rappresenta l’origine della politica stessa. La
quale ha quindi per Schmitt un valore fortemente polemico e conflittuale.
Ogni raggruppamento politico si crea in antitesi a un’altra fazione di esseri
umani. Il nemico non ha particolari caratteri predeterminati; non è
necessariamente moralmente cattivo o esteticamente brutto. È
semplicemente l’altro, il diverso, lo straniero (der Fremde). Chiunque, in
base alla contrapposizione, può ragionevolmente esserlo.
Lo stato, per definizione, deve costantemente possedere la capacità
di scindere e identificare chiaramente l’amico dal nemico. Una distinzione
che deve operare tanto all’esterno quanto all’interno dei propri confini. Lo
ius belli statale presuppone la facoltà di chiedere al popolo di morire e di
uccidere in un eventuale scontro col nemico. L’ordine nazionale è frutto del
conflitto, della guerra civile, e del continuo controllo mirato all’esclusione del
nemico interno. La “lotta”, insieme ai concetti di amico e nemico, è riferita
alla verosimile facoltà di eliminazione fisica. Nonostante ciò, la guerra non
rappresenta l’obiettivo ultimo, ma una latente possibilità, che condiziona
l’agire politico. Un punto talmente estremo la cui sola probabilità è fonte di
tensione
5
.La teoria schmittiana non è né bellicista né pacifista; tantomeno
identifica nemici eterni nel tempo.
Il politico può essere rafforzato da contrapposizioni provenienti da
altre sezioni della vita umana; difatti, non indicando un settore particolare,
rappresenta solo l’estrema intensità associativa o disgregativa. È quindi
l’unità decisiva e ultima per un qualsiasi raggruppamento amico-nemico.
Un popolo non può sottrarsi alla suddetta distinzione dicotomica.
Qualora una parte di esso dichiarasse di non riconoscere alcun nemico, si
schiererebbe di conseguenza dalla parte dello stesso. La
concettualizzazione fondativa del politico causa necessariamente il
pluralismo statale nel mondo. Un’ entità politica presuppone un coesistente
simile che permetta l’identificazione reciproca. Una supposta universalità
precluderebbe l’essenza del politico stesso. Non potrà mai esistere uno
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Ivi p.116
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“Stato” mondiale comprendente l’intera totalità di esseri umani e l’intero
globo. Per la stessa ragione, l’umanità intesa nel suo insieme non può
quindi condurre alcun conflitto, in quanto tale concezione escluderebbe a
priori qualsiasi nemico appartenente alla specie umana.
Come anticipato, la figura del giurista tedesco risulta rilevante anche
per questioni biografiche. Le strade di Schmitt e del nazismo si incontrarono
formalmente nel 1933, quando aderì al partito nazionalsocialista. Il rapporto
che si instaurò fu tutt’altro che lineare: dopo i primi mesi ricchi di
soddisfazioni personali, tra cui la direzione del Deutsche Juristen Zeitung, il
Giornale dei Giuristi Tedeschi, e la presidenza della Lega dei giuristi
nazionalsocialisti, iniziò un periodo colmo di ostilità e attacchi da parte di
altri membri del partito, che lo portò a un progressivo allontanamento
dall’epicentro del regime. Negli stessi anni, Schmitt tentò di adattare la
propria produzione teorica al nazionalsocialismo, cercando inoltre di
giustificarlo politicamente, storicamente e concettualmente. Tutto ciò venne
ripagato con accuse di opportunismo, di eccessivo cattolicismo e di
reazionarismo da parte di intellettuali del Reich.
Le teorie di Schmitt furono oggetto di critica in quanto associate al
nazismo. Risulta sicuramente inevitabile un’associazione dovuta al
coinvolgimento istituzionale del giurista. Tuttavia, sarebbe riduttivo limitare
l’importante produzione teorica ad una mera etichettatura di facciata, in
quanto il rapporto col regime necessiti di un’adeguata contestualizzazione.
L’individuazione di un nemico interno, specificatamente biologico, fu un
concetto centrale nell’ideologia e propaganda nazista; un’idea
drammaticamente concretizzata in una tragedia che rappresenterà per
sempre una ferita aperta nella storia dell’umanità.