2
sicurezza e, prima ancora, della prevenzione, fondata sulla conoscenza,
sull’informazione, sulla programmazione, sulla valutazione dei rischi e sulla loro
eliminazione e, soprattutto, sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione della
sicurezza ( art. 3, D. LGS. 626/94). La tutela deve essere di tipo combinato: deve cioè
riguardare sia l’aspetto della prevenzione oggettiva, intesa come predisposizione di
mezzi tecnici, di misure e dispositivi idonei a eliminare e neutralizzare le fonti di
rischio presenti nei luoghi di lavoro, sia come prevenzione soggettiva, intesa come
informazione ed educazione degli operatori, al fine di renderli consapevoli dei pericoli
e di impedire condotte tali da determinare un aggravamento dei rischi.
La normativa previgente del nostro paese ha sempre privilegiato l’aspetto oggettivo,
al contrario la normativa comunitaria, (quindi, anche il conseguente D. LGS. 626/94),
ha perseguito la valorizzazione della prevenzione soggettiva, fino a porre al centro
dell’attività prevenzionale i lavoratori, trasformandoli da soggetti passivi ad operatori
attivi, insieme ai datori di lavoro nella parte di informatori e promotori della cultura
della prevenzione.
Lo stato si pone quindi, in una duplice veste: non più solo semplice controllore del
rispetto delle norme antinfortunistiche, ma partner del datore di lavoro e, di
conseguenza, del lavoratore nell’organizzazione degli strumenti di tutela dell’attività
lavorativa.
Nel presente lavoro, oltre ad una rapida panoramica della disciplina esistente in
materia, si è voluto prendere in considerazione il settore della Pubblica
Amministrazione, ed in particolar modo si è focalizzata l’attenzione su una delle figure
più importanti nel contesto creato dalla nuova normativa in materia di sicurezza e
salute nei luoghi di lavoro, e cioè sul datore di lavoro pubblico. In alcune branche di
questo settore, infatti, l’individuazione del datore di lavoro ai fini della tutela
prevenzionale, suscita ancora numerose diatribe. Attraverso l’analisi di alcuni
orientamenti giurisprudenziali, adottati dalla Suprema Corte, inerenti a varie realtà del
settore pubblico, ma soprattutto esaminando il modo in cui alcuni Enti Locali hanno
affrontato, e risolto, il problema dell’organizzazione aziendale della sicurezza, si è
cercato di offrire un panorama il più possibile completo, circa il reale stato di
applicazione della normativa in oggetto nell’Amministrazione Pubblica.
3
CAPITOLO 1
LA PROTEZIONE DELL’AMBIENTE DI LAVORO
4
1.1 CRISI DEL SISTEMA PREVIGENTE IN ITALIA
Le otto direttive emanate dall’Unione Europea in materia di sicurezza del lavoro e
recepite nell’ordinamento italiano con il D. LGS. 19 sett. 1994 n°626, si sono inserite
nell’articolato e complesso corpus normativo di cui il nostro paese si era dotato già
dagli anni ’50.
Per un insieme di ragioni, non ultima quella per cui nessuna legge, per quanto precisa
e puntuale, può individuare tutti i possibili rischi da fronteggiare e i conseguenti rimedi
riferibili ad ogni singola a azienda e unità produttiva, la nostra legislazione si era
rivelata esemplare solo in apparenza, nonostante la presenza essenziale delle c.d. <<
norme di chiusura >> che non imponendo adempimenti determinati fissano solamente
particolari obiettivi di tutela, lasciando all’obbligato e all’organo di vigilanza, la scelta
delle misure da adottare al fine di conseguirlo.
Nell’ordinamento italiano, l’art. 2087 cod. civ. svolgeva questa funzione, essendo una
norma dalla formulazione ampia, che determina gli obblighi di carattere generale e
racchiude al suo interno gli obiettivi di tutela perseguiti dal legislatore in materia di
sicurezza e igiene sul lavoro.
È purtroppo accaduto che gli obblighi di carattere generico, essenziali per assicurare
effettive condizioni di sicurezza sono rimasti nella sostanza inattuati e la maggior parte
dei soggetti obbligati si è limitata ad attuare soltanto adempimenti specificamente
previsti dalla legge. Anche il sistema sanzionatorio si è rilevato rigido: si è avvertita la
mancanza di istituti o procedure che potessero dare alla disciplina la necessaria agilità
per adottarsi alla variegata realtà di riferimento: assente la graduatoria delle sanzioni,
assente la tolleranza nel corso della prima infrazione, mancante l’esistenza tecnica e
l’agevolazione economica per imprese che volessero mettersi in regola.
In conclusione, la generale inattuazione delle misure prevenzionali ha comportato un
altissimo numero di infortuni e malattie professionali, nonché un gran numero di
condanne di imprenditori e responsabili dopo il verificarsi degli eventi dannosi in
questione.
5
1.2 LA TUTELA DELLA SALUTE E DELLA SICUREZZA:
L’INTERESSE PUBBLICO
In anni più recenti, questo sistema normativo fu ulteriormente arricchito dal
recepimento di alcune direttive dell’Unione Europea della penultima generazione.
Il nostro ordinamento, sin dal periodo codicistico, ha mostrato un notevole interesse
per la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori in azienda. Un’esigenza
coincidente con un precipuo interesse pubblicistico che ha poi assunto, con lo
stratificarsi degli interventi legislativi in materia, una rilevanza specifica che supera
quella attribuita al generico diritto alla salute, riconosciuto e tutelato, in sede
costituzionale (Art. 32 Cost.) che individua nel bene della salute, non solo un interesse
della collettività, ma soprattutto un diritto fondamentale primario e assoluto
dell’individuo, operante nei rapporti tra privati.
1
.
Del resto, la tutela particolarmente rafforzata del diritto alla salute ed alla sicurezza
sul luogo di lavoro, riconosciuta al lavoratore dipendente sembra corrispondere a
ragioni peculiari, e trova giustificazione sul piano giuridico nella rilevanza che questa
figura assume nel nostro ordinamento: oltre agli art. 1 e 4 Cost. dai quali emerge, il
valore essenziale attribuito dai Costituenti al lavoro per lo sviluppo ed il progresso
della società, vanno ricordati anche gli art. 35, 38 e 41 dai qual risulta la volontà di
tutelare i lavoratori attraverso qualsiasi intervento di carattere preventivo,
previdenziale ed assistenziale.
E’ evidente che il lavoratore dipendente opera in locali, in un ambiente all’interno di
una organizzazione che non ha concorso a determinare e di cui non conosce rischi e
insidie (c.d. alienità organizzativa), nell’ambito del quale è obbligato a operare, dal
contratto di lavoro, secondo schemi e modalità prestabilite (c.d. costrittività
organizzativa).
Il diritto alla tutela della salute e della sicurezza appare manifesto, e d’altronde non
trova limitazioni davanti alle esigenze organizzative dell’impresa e delle logiche di
mercato, considerato il suo rango superiore rispetto al valore costituzionale, che pure
potenzialmente gli si contrappone, della libertà di iniziativa economica privata.
1
Cfr Corte costit. ,27 luglio 1979, n.88 in Giust. Civ. 1979, III p. 121.
6
Il vantaggio apportato dal lavoro dei singoli lavoratori, quindi non solo al datore di
lavoro, ma all’intero sistema economico e di conseguenza alla collettività, e così pure
l’interesse a garantire che esso si svolga in condizioni di sicurezza e salubrità, assume,
dunque, rilevanza pubblicistica e particolare dignità sociale.
È pertanto dovere dello Stato intervenire e imporre regole e vincoli inderogabili
innanzitutto al datore di lavoro, vale a dire al soggetto che ha il potere di determinare e
organizzare i beni immobili, beni mobili e l’attività stessa, in sostanza l’ambiente di
lavoro.
1.3 LAVORO, SALUTE, AMBIENTE NELL’ARMONIZZAZIONE
COMUNITARIA
È ormai acquisito che la tutela dell’ambiente di lavoro è divenuta l’occasione per una
sperimentazione più avanzata delle tecniche comunitarie di “armonizzazione coesiva”,
ed ha costituito un simbolo importante e significativo dell’ integrazione e di una
“dimensione sociale” dell’ Europa comunitaria. A partire dai principi contenuti nelle
direttive particolari di cui all’art. 16 e allegato della direttiva 89\391 che servono ad
orientare la legislazione comunitaria tecnica o di dettaglio, e a fornire i principi
inderogabili che le legislazioni di attuazione degli ordinamenti nazionali debbono
rispettare, possiamo affermare che si è intrapresa la strada della cd. “nuova cultura
della prevenzione”. Volendo riassumere i rilevanti principi contenenti nella direttiva
89\391, possiamo fare riferimento:
- a) all’art. 2 riguardante l’ambito di applicazione della direttiva quadro, che possiamo
definire “principio dell’obbligatoria generalizzazione delle strategie di prevenzione“:
in questa norma è prevista l’obbligatoria estensione del sistema del sistema di
sicurezza e prevenzione a tutti i settori d’attività, inclusi i servizi e le pubbliche
amministrazioni (eccezion fatta per le forze armate, polizia, protezione civile di cui al
c. 2). Sembrerebbe, da ricerche effettuate sullo stato d’attuazione nei paesi della
Comunità Europea, che benché includa anche le P.A. (notoriamente meno pronte ed
7
efficienti nell’adeguarsi) questa sia la disposizione che ha prodotto un effetto
conformativo più generale ed omogeneo.
- b) la “nozione integrale di salute” comprendente sia il benessere fisico che psichico:
in pratica il principio dell’adeguamento del lavoro all’uomo, una concezione nata nei
paesi Scandinavi che si è estesa anche all’Europa continentale;
- c) il “ collegamento, ormai considerato, organico tra tutela dell’ambiente esterno e
tutela dell’ambiente interno ” da cui si potrebbe trarre la direttiva di evitare il conflitto
tra valori costituzionalmente rilevanti, quali il diritto al lavoro e alla salute, e nel caso
di comparazione, la prevalenza del secondo sul primo.
- d) il “ principio di prevenzione assoluta ” (art. 5 direttiva-obbligazione generale di
sicurezza), e la previsione di una serie di strumenti funzionali tendenti alla graduale
riduzione dei rischi, attraverso lo sviluppo tecnologico, ma anche tramite il
coinvolgimento dei destinatari delle strategie di prevenzione attraverso l’informazione
e alla formazione.
Per conformarsi all’ordinamento comunitario gli stati membri hanno dovuto riadattare
o riscrivere ex novo il proprio diritto interno: come ben sappiamo la legge di
attuazione italiana è il D. LGS 626/1994, come modificato dal decreto legislativo
242/1996. La comunitarizzazione della disciplina e l’ordinamento di tipo
sovrannazionale che ne consegue, permettono di occuparsi della tutela dell’ambiente
di lavoro, ben oltre i recinti dell’art. 2087 c.c. e della disposizione costituzionale di
riferimento, svolgendo una funzione di << rispecchiamento >>, di << mirror >> dei
principi generali comunitari contenuti nella direttiva quadro, legge fondamentale di
attuazione di principi di ordine pubblico comunitario.
Un altro elemento importante riguarda le tecniche d’armonizzazione in materia di
promozione di ambiente di lavoro, utilizzate dal legislatore comunitario.
Una tecnica, inizialmente basata su strumenti normativi piuttosto forti (direttive,
regolamenti, decisioni) tendenti ad uniformare gli ordinamenti nazionali, che già a
partire dalla seconda metà degli anni‘80, mise in evidenza l’insufficienza del metodo
dell’armonizzazione legislativa, portando quindi all’utilizzo di strategie istituzionali
più leggere: la cd. soft law.
8
A questo punto si ebbe come contraccolpo la devoluzione di funzioni regolative
(norme di dettaglio) a soggetti privati (come per esempio l’agenzia per l’ambiente),
facendo quindi ricadere la competenza riguardante la specificazione dei dettagli tecnici
su meccanismi gestiti da << voluntary standard - making institutions >> ( Cen,
Cenelec, ecc ).
1.4 IL PROCESSO DI ARMONIZZAZIONE NEI DIVERSI STATI
DELL’UNIONE EUROPEA
Analizziamo ora l’adeguamento normativo nei diversi contesti nazionali, dopo
l’entrata in vigore della direttiva 89/391. Appare chiaro, da analisi effettuate che le
reazioni all’impulso di armonizzazione siano state differenti nei vari ordinamenti
nazionali.
Superando una prima distinzione tra paesi in difficoltà per l’adeguamento, dovuto a
sistemi di sicurezza interni già precedentemente evoluti, (parliamo naturalmente di
paesi come la Svezia, l’Olanda,la Danimarca, la Germania ed in parte la Francia,
l’Austria e la Gran Bretagna) e quelli come l’Italia, la Spagna e la Grecia che avevano
tutto da guadagnare dal processo di armonizzazione, possiamo fare una distinzione
sulla base di due modelli :
- a) ordinamenti che hanno adattato al sistema preesistente le innovazioni introdotte
dall’ordinamento comunitario, parliamo di quegli stati che hanno ispirato le riforme
comunitarie, la cui armonizzazione si è rivelata indolore (paesi del Nord Europa e
dell’Europa continentale);
- b) paesi che invece, hanno subito l’impatto innovativo del modello comunitario
cambiando profondamente il sistema preesistente (paesi dell’Europa meridionale, ad
eccezione della Francia, che si colloca in posizione intermedia) .
Da analisi effettuate nei paesi membri, emerge una sostanziale omogeneità sia
nell’applicazione e nel recepimento della direttiva quadro, che delle direttive tecniche
e dell’apparato regolatorio.
La Commissione europea ha varato nel 2002, il V Programma relativo alla salute e alla
sicurezza del lavoro valido fino al 2005, insieme ad una nuova Raccomandazione sulla
9
strategia comunitaria. Programma e Raccomandazione dovranno tenere conto degli
orientamenti assunti al Vertice di Nizza (7-9 dicembre 2000), tramite l’adozione
dell’Agenda sociale, la quale ha individuato la necessità di promuovere un’interazione
positiva e dinamica fra le politiche economiche, sociali e dell’occupazione,
considerando la politica sociale un fattore di competitività, oltre che di tutela
dell’individuo, e l’aumento quantitativo e qualitativo dei posti di lavoro la chiave per
garantire competitività e integrazione sociale. In particolare l’attenzione della
Commissione è rivolta, a partire dal 2001, alle seguenti tematiche: l’analisi della
conformità delle misure nazionali finalizzate a garantire l’applicazione della Direttiva
quadro 89/391 e delle direttive particolari.
La Commissione ha già denunciato due casi alla Corte di giustizia per la non
conformità della trasposizione della Direttiva quadro: Germania e Italia per la mancata
definizione delle competenze professionali del Responsabile del servizio prevenzione
e protezione. Il Belgio per la non conformità alla Direttiva 89/655 e, ancora, l’Italia
per la Direttiva 90/270 (riguardante la definizione di “videoterminalista”)
2
.
La Commissione sta, inoltre lavorando ad un Rapporto sulla attuazione pratica delle
direttive negli Stati membri; lavori ostacolati dal fatto che non tutti i Paesi membri,
inviano i Rapporti nazionali, che sono invece di grande importanza per capire dove
indirizzare le future iniziative comunitarie, sia sul piano legislativo che su quello del
sostegno per l’applicazione delle direttive.
L’Italia, purtroppo, è, insieme all’Irlanda, tra i Paesi che hanno inviato il minor
numero di rapporti.
2
Questione risolta con l’emanazione dell’art. 21 della Legge n. 422/2000 (cosiddetta Legge Comunitaria).