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INTRODUZIONE
Il primo articolo della Carta delle Nazioni Unite, firmata il 26 giugno 1945, stabilisce che lo scopo
principale dell'Organizzazione è di mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Proprio nel
mantenimento della pace, l’Italia assume un ruolo di primaria importanza sia in termini quantitativi
che qualitativi: il paese è l’8 maggior finanziatore, con il 3,75%
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, sostenendo un impegno poliedrico
in una vasta gamma di attività, ognuna delle quali risulta essere cruciale per il successo delle
operazioni di mantenimento della pace.
L’attività italiana è basata fondamentalmente su tre pilastri:
1) intervento sul campo;
2) formazione (CoESPU);
3) supporto logistico (UNLB).
Nello specifico il CoESPU (Centro di eccellenza per le Unità di polizia di stabilità) è un centro di
formazione dell’Arma dei Carabinieri, istituito il 1 ° marzo 2005 presso Vicenza come parte di un
più ampio piano d'azione della comunità internazionale per l'espansione delle capacità di supporto
per la pace, con particolare attenzione ai paesi africani. Il CoESPU, in quanto struttura nazionale
aperta ai contributi internazionali, è un centro di studi avanzati e un hub dottrinale, che funge da
centro di riflessione e formazione che opera principalmente in cooperazione con il Dipartimento
delle operazioni di mantenimento della pace (DPKO) delle Nazioni Unite, oltre che con altre
organizzazioni internazionali.
La seguente tesi verterà principalmente sul ruolo che l’Arma assume nelle missioni di pace
all’estero. I Carabinieri, in quanto corpo di polizia militare, sono impiegati nel territorio italiano per
mantenere l’ordine pubblico e giudiziario oltre che come garanzia di protezione nazionale, di
servizio nelle aree disastrate e di aiuto alla popolazione locale.
Dal 2006, l'Italia è al primo posto tra i paesi occidentali in quanto fornitore di caschi blu e
all’undicesimo in termini assoluti. Il personale militare italiano, a differenza di molti altri
contingenti, gode di autonomia logistica e operativa e quindi non incide direttamente sulle risorse
dell'ONU (i rimborsi delle Nazioni Unite coprono solo una piccola parte dei costi).
Il contributo dell'Italia al mantenimento della pace delle Nazioni Unite non consiste solo in una
presenza sul terreno, ma anche nella definizione delle linee strategiche e più in generale delle
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Fonte dati: https://peacekeeping.un.org/en/how-we-are-funded
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politiche da attuare. Sia nei contatti con il Segretariato, sia nei dibattiti presso le varie sedi
istituzionali, come il Consiglio di Sicurezza, l'Italia partecipa in prima linea al processo di riforma
della pace, dimostrandosi spesso come paese guida in questo settore.
La Task Force italiana sembra infatti essere adatta a rispondere al mandato “culturale” di un
intervento internazionale di mantenimento della pace, godendo di un ampio sostegno politico
interno e allineandosi perfettamente agli obiettivi di politica estera del paese, per i seguenti quattro
motivi:
1) è un'unità ibrida e multitasking in grado di svolgere ruoli militari, civili e di polizia; tutti aspetti
cruciali nel contesto del cultural peacekeeping (CPK);
2) è una forza addestrata e attrezzata per essere rapidamente impiegata ad operare in ambienti
complessi e instabili;
3) è un corpo esperto nella valorizzazione, conservazione e protezione culturale;
4) può contare sul sostegno di un sistema nazionale - il governo italiano, le sue forze politiche e
l'opinione pubblica in generale - che valorizza fortemente la cultura, la protezione culturale e pone
la diplomazia culturale tra le sue priorità di politica estera. In effetti, gli investimenti politici e il
lavoro diplomatico del governo italiano nella promozione dell'iniziativa del CPK, sono stati
riconosciuti dall'UNESCO.
I "tutori della pace culturale" potrebbero essere rappresentati come "invasori" che occupano e
violano un paese straniero. Il CPK può infatti rischiare l'accusa di "missione civilizzatrice",
specialmente se coinvolge contingenti occidentali la cui storia passata di dominio coloniale, viene
prontamente messa in evidenza. La lunga esperienza italiana nel mantenimento della pace
internazionale e le caratteristiche principali della sua Task Force, verranno discusse
dettagliatamente in questa tesi per comprenderne al meglio le caratteristiche, focalizzandosi in
modo particolare sul ruolo militare e diplomatico assunto dall’Arma dei Carabinieri.
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CAPITOLO 1: La Scienza Diplomatica
1.1 Cenni storici
Le relazioni diplomatiche, altrimenti definite interstatali, sono relazioni che vengono stabilite e
portate avanti da rappresentanti diplomatici per conto del proprio paese. La tradizione di
cooperazione tra Stati ha, in primo luogo, il fine di sviluppare una cooperazione reciprocamente
vantaggiosa. La pratica di creare missioni diplomatiche allo scopo di negoziare, è antica quanto la
storia stessa. La parola "diplomazia" deriva infatti dalla parola "diploma" - così nell'antica Grecia
venivano chiamati i documenti che legittimavano l’ambasciatore a trattare per nome del proprio
sovrano. Fonti scritte confermano poi che le relazioni diplomatiche tra le città-stato greche
esistevano anche per scopi privati. Allo stesso modo, anche gli antichi romani sono stati riconosciuti
quali maestri eccezionali nello stabilire e mantenere relazioni diplomatiche, tuttavia né questi ultimi
né i Greci hanno cercato di sviluppare un approccio sistematico nelle relazioni diplomatiche.
Fu solo nel XIII secolo che le prime missioni permanenti straniere cominciarono ad assumere un
aspetto moderno. La storia mostra che le relazioni diplomatiche ai tempi dell'Impero Romano erano
portate in essere da un'istituzione, i Feziali (la cui pratica ha dato origine alla legge ius fetiale,
responsabile della correttezza e della legittimità degli atti relativi alle relazioni internazionali).
La maggior parte degli storici crede che il fondatore della diplomazia professionale sia stato
l'Impero Bizantino, che stabilì anche missioni permanenti oltre confine. I bizantini istituirono
inoltre un organismo ufficiale, paragonabile al moderno Ministero degli Affari Esteri, per condurre
relazioni commerciali internazionali. Si ritiene che la cosiddetta "arte della diplomazia" sia nata
proprio in questo periodo, nel quale sono state identificate le qualità e le caratteristiche più
importanti che i diplomatici devono possedere: essi, in quanto figure significative e influenti,
devono necessariamente essere persone colte e perspicaci.
Il XVI secolo l’Europa fu caratterizzata dalla rapida crescita dell'attività diplomatica, diventata
ormai fondamentale. Nelle menti delle classi dominanti, si rafforza infatti la consapevolezza di
questa realtà, che permette di stabilire relazioni amichevoli tra i paesi e di raggiungere i propri
obiettivi evitando l’uso della forza.
Tuttavia, la fase più importante nello sviluppo della diplomazia riguarda il XIX secolo, grazie
all’accelerazione dei progressi tecnologici nell’ambito delle comunicazioni.
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Verso la fine del 1800, l'Istituto inglese di diritto internazionale fece il primo tentativo di codificare
la legge diplomatica, adottata sulla base delle disposizioni di Cambridge e rivista in seguito, nel
1929. Si può sostenere che nel IXX secolo i principi e le regole di base delle relazioni diplomatiche
interstatali erano chiaramente definite.
Nel secolo successivo, la diplomazia si sposta su un nuovo livello molto più avanzato,
principalmente legato allo sviluppo e all'adozione di vari accordi interstatali che culminano nella
Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 1961.
L'essenza e la natura dello sviluppo della diplomazia durante il XX secolo possono essere divise in
due fasi principali:
1) il periodo che precede la fondazione dell'ONU (prima guerra mondiale e Società delle
Nazioni);
2) il periodo successivo alla fondazione delle Nazioni Unite.
Basandosi su questa divisione, si può affermare che durante la prima guerra mondiale non si è
verificato alcun evidente sviluppo delle relazioni diplomatiche, fino al momento della firma del
trattato di pace (altrimenti noto come Trattato di Versailles) concluso nel 1919 e configuratesi come
un trattato di "diplomazia transitoria" dallo stato di guerra alle relazioni di pace. È bene notare che
l’obiettivo principale dell'istituzione della Società delle Nazioni, non era di impedire
completamente il verificarsi di conflitti militari, ma di rendere questi conflitti più “umani” e
“civili”.
L'unica disposizione della Carta della Società delle Nazioni che rappresentava la risoluzione delle
questioni in ambito non politico era l'articolo 23, lettera “e”, che recitava: “Prenderanno
provvedimenti per assicurare e mantenere la libertà di comunicazione e di transito, e un equo
trattamento al commercio di tutti i membri della Società; saranno tenute presenti, a questo riguardo,
le speciali necessità delle regioni devastate dalla guerra del 1914-1918”.
Sebbene il trattato di Versailles abbia tentato di stabilire la pace, la Società delle Nazioni non riuscì
tuttavia ad impedire lo scoppio della seconda guerra mondiale, configurandosi pertanto come un
totale fallimento.
Con l'avvento dell’ONU, si aprirono nuove prospettive per la diplomazia internazionale grazie ad
obiettivi ben diversi rispetto a quelli della Società delle Nazioni: le Nazioni Unite sono state infatti
fondate come un'organizzazione creata specificamente per mantenere la pace attraverso lo sviluppo
socio-economico generale. Tra tutte, spiccano le questioni relative ai diritti umani, alla
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decolonizzazione e alla cooperazione economica internazionale. Il successo dell'ONU nel
raggiungere i suoi obiettivi può essere valutato se si osserva da vicino l'atteggiamento di rispetto
portato dai paesi membri nei confronti di questa organizzazione universale.
Va sottolineato che la diplomazia moderna ha subito cambiamenti significativi rispetto ai due secoli
passati. L’attività diplomatica è oggi caratterizzata dalla complessità e multidimensionalità, e si
basa fortemente su norme giuridiche che respingono l'uso della forza. Un’azione diplomatica
efficace richiede una chiara comprensione delle complessità dei vari interessi nazionali, regionali e
internazionali. Un diplomatico moderno, tenendo conto delle condizioni specifiche e della natura
dei compiti da risolvere, deve possedere una profonda conoscenza di diverse materie, tra cui la
geografia, la storia, le relazioni economiche, il diritto internazionale e le relazioni internazionali, le
tecniche di negoziazione e i metodi di prevenzione dei conflitti. Un diplomatico dovrebbe inoltre
essere una persona molto astuta, cortese e tollerante, con ampie vedute culturali.
Successivamente alla fondazione delle Nazioni Unite, furono concluse due Convenzioni di Vienna:
la prima sulle relazioni diplomatiche nel 1961, e la seconda sulle relazioni consolari nel 1963.
Questa codificazione consente ancora oggi di regolare in modo omogeneo l’azione diplomatica. La
diplomazia moderna si concentra dunque sulla creazione di solide condizioni per le quali si instauri
o si mantenga una quanto più ampia rete di relazioni internazionali e pacifiche.
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“In 1961, the opening of the first general international conference on diplomatic relations and immunities,
the outcome of which was the Vienna Convention on Diplomatic Relations”
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Prima conferenza generale sulle relazioni e le immunità diplomatiche, con relativa didascalia. Fonte:
https://twitter.com/UN_Photo
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1.2 Ruolo della Diplomazia
Nei libri di testo e nei manuali di diplomazia, quest’ultima viene spesso definita come "scienza
delle relazioni estere" e "arte della negoziazione", e questo ovviamente ha un senso: un'analisi
equilibrata della situazione mondiale e la corretta considerazione dell'equilibrio delle forze
nell'arena internazionale sono le condizioni più importanti per lo sviluppo di raccomandazioni
veramente scientifiche e profondamente radicate nel campo della politica estera. È necessario
studiare attentamente lo sviluppo dei processi storici, tenere pienamente conto delle varie direzioni
e tendenze nelle relazioni internazionali, essere in grado di attrarre alleati al proprio fianco e cercare
di isolare i circoli più aggressivi e ostili. In realtà, è possibile contare sul successo solo se la
diplomazia agisce in linea di principio e allo stesso tempo in modo pragmatico e flessibile, evita il
dogmatismo e il settarismo e non teme compromessi che alla fine avvantaggino gli interessi
nazionali. Da qui l'importanza di padroneggiare appieno i dati di un certo numero di scienze: la
storia dei singoli paesi e delle relazioni internazionali, il diritto internazionale, il complesso di
scienze legate allo studio dell'economia mondiale e dell'economia dei singoli paesi, diritto pubblico
comparato, filosofia, psicologia, ecc. In breve, la diplomazia dovrebbe essere basata sulle leggi
della vita pubblica e tener conto delle conclusioni delle scienze pertinenti. La diplomazia in quanto
tale non costituisce un argomento di scienza speciale, sebbene ci siano molte informazioni utili
nelle conclusioni e nelle raccomandazioni di illustri studiosi occidentali, come Philip Quincy
Wright e Hans Morgenthau, che vedono la diplomazia come scienza delle relazioni internazionali.
Secondo Morgenthau, ad esempio, la diplomazia intesa come scienza nel suo senso più ampio si
basa su quattro componenti fondamentali:
1) la diplomazia deve essere privata dello spirito dogmatico;
2) gli obiettivi della politica estera devono essere definiti in termini di interesse nazionale e
devono essere sostenuti attraverso un adeguato utilizzo del potere;
3) la diplomazia deve guardare alla scena politica dal punto di vista delle altre nazioni;
4) le nazioni devono essere disposte a scendere a compromessi su tutte le questioni che non
sono strettamente vitali.
A questi si aggiungono poi 5 prescrizioni riguardanti il compromesso:
1) non essere troppo ideologici;
2) non mettersi mai in una posizione dalla quale non ci si può ritirare in modo pulito e dal
quale non si può avanzare senza correre grandi rischi;
3) non permettere mai a un alleato debole di prendere le decisioni per tuo conto,
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4) tenere a mente che le forze armate sono lo strumento della politica estera, non il suo
padrone;
5) tenere a mente che il governo si trova a capo dell'opinione pubblica.
Ovviamente, una diplomazia che valuti in modo sobrio lo stato delle cose nelle relazioni
internazionali, fissando obiettivi che tengano conto o almeno non contraddicano il funzionamento di
leggi oggettive, il corso dello sviluppo sociale, le caratteristiche di ogni momento storico, può
essere considerata scientificamente valida. Ma, naturalmente, l'applicazione delle conclusioni
raggiunte sulla base di un'analisi scientifica all'attività diplomatica pratica, non può essere
paragonata all'applicazione di un teorema scientifico a dati precedentemente stabiliti. I metodi e i
mezzi corrispondenti della diplomazia sono infatti applicati in un ambiente in costante evoluzione e
non formano alcun insieme tradizionale di regole standard applicabili a tutte le situazioni della vita.
Come risultato di una lunga esperienza storica, i metodi dell'attività diplomatica, quando applicati,
sono adattati in modo creativo per riflettere i cambiamenti specifici nell'ambiente e, ovviamente,
dipendono in larga misura dal modo di pensare e di agire. In questo senso, si può dire che la
diplomazia è un'arte che non può essere ridotta alle qualità soggettive di un diplomatico, ovvero le
caratteristiche mentali e caratteriali. E anche se queste qualità, le abilità di un diplomatico, svolgono
talvolta un ruolo significativo, l'importante è prendere abilmente in considerazione specifiche
condizioni storiche e il raggiungimento degli obiettivi di politica estera per i quali la diplomazia è
stata progettata.
"L'arte della diplomazia", ha osservato Morgenthau, è l’arte del compromesso, che azzera le
differenze ideologiche, e che necessita di figure diplomatiche le quali, consapevoli degli interessi
nazionali, propri e altrui, portano avanti l’attività negoziativa.
Nelle relazioni internazionali ci sono due principali mezzi di interazione tra gli attori: la diplomazia
e la violenza militare. Sebbene ogni giorno nel mondo si versi del sangue e si commetta violenza, le
migliaia di interazioni internazionali quotidiane sono per lo più non violente. Il principale mezzo di
comunicazione internazionale è pertanto la diplomazia, non la guerra.
A riprova di ciò è sufficiente constatare che l’azione militare, il più delle volte, segue il fallimento
di una precedente azione diplomatica. Allo stesso modo, spesso accade che le ostilità cessino grazie
a un processo negoziale che porta ad un accordo.
La diplomazia è pertanto la principale modalità di interazione tra gli stati, nella quale questi ultimi
cercano di ottenere i propri interessi nazionali senza ricorrere alla forza militare. Nonostante tutto, è
bene specificare che spesso il confine tra diplomazia e uso della forza militare è molto sottile; si