2
caratteristiche fondamentali, e rivestendo sempre il suo ruolo di forma di
espressione e di espansione della personalità, di attività creativa e originale,
libera e spontanea, dotata di una finalità soggettiva e spesso inconsapevole. Una
forma di espressione e di attività che ha la propria origine, il proprio fine, la
propria norma in se stessa. Ludico è l’atteggiamento di chi, in una società
industrializzata e tecnologica, s’ingegna per puro diletto a compiere attività
artigianali, usando strumenti ritenuti arcaici, ma che permettono di eseguire
un’opera precisa e raffinata, da “amatore”. Ludico è l’atteggiamento di chi sa
trovare la gioia di camminare, di sentirsi vivere nel movimento, compiendo
escursioni a volte impegnative, perché ne sente il bisogno o il desiderio e non per
ottenere un vantaggio secondario. Sulla natura e il significato del gioco sono state
enunciate molteplici teorie ma l’attività del gioco è diventata oggetto d’interesse
da parte di molti studiosi (filosofi, psicologi, pedagogisti) soprattutto per merito
di Schiller
2
, che considerava l’istinto del gioco come il fondamento dell’attività
artistica, e per merito di Fröbel
3
, che indicava nel gioco l’attività propria del
fanciullo, «il più alto grado dello svolgimento infantile... il prodotto più puro e
spirituale dell’uomo nel periodo dell’infanzia». In psicologia hanno particolare
importanza ancora oggi gli studi di Karl Groos
4
, autore di due opere
fondamentali riguardanti i giochi degli animali e degli uomini. Tradizionalmente
il gioco veniva interpretato come svago e ricreazione, come riposo dal lavoro: ma
si è notato che i bambini giocano indipendentemente dalla fatica, si stancano
giocando e quando sono stanchi smettono di giocare. Si è proposto di considerare
quindi il gioco come sprigionamento di energie esuberanti (Spencer), come
residuo di tendenze primitive (Stanley Hall), come catarsi che libera da tendenze
2
Schiller, Lettere sull’educazione estetica, 1795
3
Fröbel, Educazione dell’uomo, 1826
4
Karl Groos, I giochi degli animali, 1896 e I giochi degli uomini, 1899
3
inaccettabili e da istinti antisociali (gli psicoanalisti), come esercizio preparatorio
alla vita (Gross).
Il gioco è un’azione, un’occupazione volontaria, compiuta entro certi limiti
definiti di tempo e di spazio, secondo una regola volontariamente assunta, e che
tuttavia impegna in maniera assoluta, che ha un fine in se stessa; accompagnata
da un senso di tensione e di gioia, e dalla coscienza di “essere diversi” dalla “vita
ordinaria”.
Queste brevi considerazioni hanno permesso di introdurre il tema che andrò ora a
trattare.
4
CAPITOLO I
1. DIMENSIONE STORICO-CRITICA
1.1. Il Gioco fondamentalmente attitudine umana
Il gioco, nella sua ricchezza fenomenica,
nella sua molteplicità di espressioni e
articolazioni e nella sua intrinseca
complessità problematica, si sottrae a
definizioni univoche, onnicomprensive,
unilaterali, riduttive, poiché libero,
spontaneo e disinteressato esercizio delle
energie fisiche, psichiche e spirituali,
con elevate connotazioni di plasticità,
duttilità e adattabilità, caratteristiche che
condivide con l’attività fantastica e
immaginativa in genere. Al tempo stesso attività fittizia, improduttiva e
autorimunerativa e quindi sostanzialmente anomica, il gioco è sinonimo di
spontaneità gratuita, schietto entusiasmo, regno della libertà e dell’autonomia.
Per il soggetto in formazione il gioco è un’esperienza totale, che coinvolge la
persona nella sua unità bio-psichica e spirituale, fonte di gioia e di intima
gratificazione. Il vero gioco, quando non interdetto da distrofie muscolari e
neuro-corticali o da altri impedimenti oggettivi, di natura fisica e psichica, si
manifesta in concomitanza col maturare delle facoltà immaginative e delle
capacità di astrazione. Si può, anzi, asserire che la comparsa del gioco coincide
5
con la nascita dell’intelligenza e del consolidarsi delle facoltà superiori della
psiche.
Secondo Claparède
5
il gioco, impulso istintuale, è al pari della fiaba, un bisogno
vitale dell’infanzia. I bambini giocavano alla guerra tra le macerie di Beirut o di
Sarajevo semidistrutte non meno che tra le rovine di Bagdad sconvolta dai
bombardamenti nel corso della “Guerra del Golfo”. In queste tragiche
circostanze, l’infanzia mostra una straordinaria capacità di adattamento, la sua
inesauribile creatività non conosce impedimenti, né confini. Attinge al mondo
adulto e alla realtà che la circonda, per quanto drammatica e brutale, materiali,
modelli e ispirazioni da trasfigurare nella finzione ludica. Impossibile interdire ai
bambini di giocare: sempre trovano modo di esplicare questa loro insopprimibile
esigenza, nelle forme più ingegnose e con i materiali più poveri e impropri. Da
sempre l’infanzia partecipa in forma ludica, attraverso comportamenti imitativi e
riproduttivi, ai momenti più tristi e tragici della storia di un popolo e di una
civiltà. Come i bambini palestinesi giocavano all’“intifada” nei territori arabi
occupati, i loro coetanei ateniesi di 2.500 anni fa sciamavano a frotte per le
strette vie della capitale dell’Attica intenti al gioco della “caccia al persiano” e, a
ridosso dell’Anno Mille, i bambini delle tre repubbliche marinare, ideavano la
“guerra al saracino”, parallelamente a mostre, tornei e giochi spettacolari sul
medesimo tema promossi dal mondo adulto. Proprio perché specchio e riflesso di
tale mondo, attraverso meccanismi di imitazione e di identificazione, si può
asserire che giochi e giocattoli raccontano la storia di un popolo, documentano il
suo livello di civiltà, le sue usanze, le sue credenze religiose, gli avvenimenti lieti
o tragici che ne hanno punteggiato il cammino.
5
Claparède Edouard, nato nel 1873 e morto nel 1940 a Ginevra, fu professore di psicologia sperimentale
a Ginevra e nel 1912 fondò l’istituto J. J. Rousseau, dedicato alle ricerche di psicologia infantile.
6
1.2. Il gioco nella storia dell’umanità
Nelle sue più remote origini, il gioco infantile in molte sue espressioni è
riconducibile a funzioni rituali e significati magico-religiosi, iniziatici e
propiziatori, come evidenziato da Lévy-Bruhl
6
. Mosca cieca (“munda” presso i
Romani) sembra da ricondurre a festività pagane e forse anche a un rito comune
alla religione greca e fenicia, di cui si sono perse le tracce. Il girotondo deriva da
pantomime pagane e ha come diretto ascendente una danza in tondo eseguita
attorno all’altare sacrificale. Strumenti musicali come sonagli e nacchere avevano
originariamente lo scopo di allontanare gli spiriti maligni, molte delle canzoncine
ritmate per bambini erano in origine formule magiche. Presso gli antichi Maya ed
alcune popolazioni dell’Africa sahariana occidentale, il gioco della palla veniva
celebrato in alcune stagioni dell’anno, come cerimonia propiziatoria per la caduta
della pioggia e il buon esito delle coltivazioni. Le culture primitive
incoraggiavano giochi funzionali all’acquisizione di abilità e tecniche
indispensabili alla sopravvivenza del singolo e del gruppo e di modalità
comportamentali atte ad assicurare l’ordinata e pacifica convivenza all’interno
della comunità. Il nascondino era conosciuto e praticato dai Greci come “gioco
della fuga”. Di origine egiziana sembra fosse la bambola, di ininterrotto uso
nell’infanzia sino ai giorni nostri e in tutte le culture: ne sono stati reperiti
artistici esemplari anche in antichissimi sepolcri peruviani. Nell’antichità e nel
Medioevo giochi e giocattoli erano spesso indifferenziati per bambini e adulti,
seppur con finalità diverse, così come non esisteva una specifica letteratura per
ragazzi, faticosa conquista dell’età moderna. Tra gli adulti dell’antica Roma era
diffusa l’abitudine ad intrattenersi con giochi durante e dopo i banchetti, ed era
6
Lévy-Bruhl Lucine, nato nel 1857 e morto nel 1939 a Parigi, fu filosofo, sociologo ed etnologo francese.
7
viva la passione per i giochi pubblici, promossi in età imperiale dai vari Cesari,
corrispettivo del nostro sport-spettacolo di massa.
Si può ipotizzare una relazione, insieme di corrispondenza e di opposizione, fra
gioco e rito, nel senso che essi intrattengono entrambi un rapporto col calendario
e col tempo, ma questo rapporto è, nei due casi, inverso: il rito fissa e struttura il
calendario, il gioco, al contrario, lo altera e lo distrugge. Benveniste, partendo
dalle conclusioni degli antropologi, ha approfondito la relazione fra gioco e rito,
cercando non solo ciò che li accomuna, ma anche ciò che li oppone. «La potenza
dell’atto sacro -scrive Benveniste
7
- risiede precisamente nella congiunzione del
mito che enuncia la storia e del rito che la riproduce. Se a questo schema noi
paragoniamo quello del gioco, la differenza appare essenziale: nel gioco, solo il
rito sopravvive, e non si conserva che la forma del dramma sacro, in cui ogni
cosa è di volta in volta posta daccapo. Ma è stato dimenticato o abolito il mito,
l’affabulazione in parole pregnanti che conferisce agli altri il loro senso e la loro
efficacia». Queste considerazioni forniscono a Benveniste gli elementi di una
definizione del gioco come struttura: «Esso prende origine nel sacro di cui offre
un’immagine capovolta e spezzata. Se il sacro si può definire attraverso l’unità
consustanziale del mito e del rito, potremo dire che si ha gioco quando solo una
metà dell’operazione sacra viene compiuta, traducendo solo il mito in parole e
solo il rito in azioni ». La connessione inversa fra gioco e sacro si rivela esatta.
Giocando, l’uomo si scioglie dal tempo sacro e lo “dimentica” nel tempo umano.
In un passo de La pensée sauvage, a proposito dei riti di adozione degli indiani
Fox, Lévi-Strauss
8
etnologo francese, ha stretto l’opposizione fra rito e gioco in
una formula esemplare. «Mentre il rito - egli scrive - trasforma degli eventi in
strutture, il gioco trasforma delle strutture in eventi». Svolgendo questa
7
Benveniste, Le jeu et le sacre, in Deucalion, n.2, 1947. Benveniste Emile, linguista francese, cattedra di
grammatica comparata al Collegio di Francia
8
C. Lévi-Strauss, La pensée sauvage, Paris, 1962 (trad. it. Il pensiero selvaggio, Saggiatore, Milano,
1962)
8
definizione alla luce delle considerazioni precedenti, si può affermare che il
compito del rito è quello di comporre la contraddizione fra passato mitico e
presente, annullando l’intervallo che li separa e riassorbendo tutti gli eventi nella
struttura sincronica. Il gioco offre invece un’operazione simmetrica e opposta:
esso tende a spezzare la connessione fra passato e presente e a risolvere e
sbriciolare tutta la struttura in eventi; ogni gioco contiene una parte di rito e ogni
rito una parte di gioco, che rendono spesso disagevole distinguere l’uno
dall’altro.
In epoca più recente l’attività ludica, incentivata anche dalla crescente
produzione di giocattoli su scala industriale, è incoraggiata e favorita, almeno in
ambito domestico; seppur contrastata dal perdurante pregiudizio nei confronti del
gioco come attività minore e improduttiva, distogliente dallo studio non meno
che dal lavoro. Nell’età contemporanea, con l’inarrestabile progresso della
scienza e della tecnologia, il gioco assume forme e manifestazioni
fenomenologiche sempre più sofisticate e complesse. Col miglioramento delle
condizioni di vita e con la progressiva tutela dell’infanzia, sottratta alle fatiche
dei campi, delle miniere e delle fabbriche, il gioco cessa di essere una prerogativa
delle classi sociali privilegiate, assumendo carattere più democratico. Nuovi
giocattoli come la bicicletta, i pattini a rotelle e simili dilatano le opportunità
ludiche di movimento, peraltro nelle grandi città progressivamente ristrette
dall’avanzata del cemento e dalla sistematica distruzione delle aree verdi,
propizie alla spontanea organizzazione infantile e giovanile in gruppi. Nuovi
avvenimenti storico-bellici, culturali, sportivi, scientifici e tecnologici, divulgati
dai mass media, forniscono continua e rinnovata ispirazione ai giochi infantili.
Ora proliferano nuovi giochi in scatola, spesso ispirati a programmi televisivi,
che si affiancano ai più tradizionali tombola, monopoli e scarabeo.
9
1.3. Gli interessi ludici nell’età evolutiva
Secondo la teoria epigenetica di Piaget
9
, i giochi ludici di esercizio propri delle
fasi iniziali o meglio dello stadio preverbale dello sviluppo precedono ogni altra
consapevole attività ludica, con accentuato carattere di instabilità e di ripetitività.
Hanno come unico scopo quello di permettere al bambino di “esercitare”, senza
più modificarlo, uno schema motorio che egli ormai già possiede. L’esercizio di
tali attività sarebbe accompagnato da un “piacere funzionale” (piacere
dell’afferrare per l’afferrare) e dal “piacere d’esser causa” (tirare un cordone per
far dondolare un giocattolo). Più tardi, l’attività di sperimentazione sulle cose si
prolunga in attività di gioco, ad esempio: riempire un secchiello di sabbia e
vuotarlo, fare con la sabbia un mucchietto e poi disfarlo; andare lungo un balcone
toccando ad una ad una le sbarre del parapetto; allacciare e slacciare un bottone.
Secondo Piaget, sono giochi d’esercizio, sia il divertirsi a chiedere ogni volta
“perché?”, sia il raccontare una storia senza né capo né coda, combinando
semplicemente insieme parole o idee disparate. In una fase ancora di
indifferenziazione tra l’Io e il mondo esterno, le prime manifestazioni ludiche
consistono in una reazione impulsiva e quasi automatica ad uno stimolo esterno,
per poi evolversi gradualmente in giochi di tipo prevalentemente senso-percettivo
e motorio, tesi alla conoscenza del proprio corpo e di quello della figura materna.
Seguono i giochi immaginativi o simbolici, che solitamente compaiono già
intorno al secondo anno di vita: giochi anche detti di finzione, che si richiamano
9
Piaget Jean, nato nel 1896 a Neuchâtel, Svizzera e morto nel 1980, fu allievo di Claparède, e suo
successore nella direzione dell’Istituto Rousseau (vedi nota 5), ha contribuito al processo di
chiarificazione dei problemi della psicologia genetica. Un risultato è stata la constatazione dell’esistenza
di differenze fra le strutture mentali che corrispondono a fasi iniziali di un processo di sviluppo e le
strutture che corrispondono a fasi finali e della possibilità di seguire le modalità con le quali le
trasformazioni strutturali si verificano. In secondo luogo, la possibilità di mettere in evidenza le strutture
corrispondenti alle diverse fasi dello sviluppo mentale ha permesso a Piaget di chiarire i rapporti fra una
forma di conoscenza quale la logica formale e la psicologia dello sviluppo intellettuale.
10
al principio del “fare finta di” o “come se” e che, implicano il pensiero
rappresentativo, consistendo in una sospensione della realtà, ricreata ad altro
livello di significazione. Infine, in uno stadio più maturo dello sviluppo, verso il
termine della seconda infanzia (6-7 anni), si affacciano i giochi di regola o
regolamentati, governati da una norma interna al gioco, talora negoziata,
comunque liberamente accettata e intimamente condivisa. La regola è quindi
espressione di una sintesi di volontà diverse, che per mezzo di essa, diventano
per certi aspetti omogenee. Secondo Piaget, le regole dei giochi differiscono
radicalmente dalle regole imposte dall’adulto, che si riferiscono al divieto di
toccare o al dovere di sedere in modo quieto. In primo luogo esse vengono
stabilite dal bambino stesso, sono le sue regole, come dice Piaget, ed egli le
chiama regole di autolimitazione e di autodeterminazione. Il bambino dice a se
stesso come deve comportarsi durante il gioco. Il primo stadio dello sviluppo di
regole esterne (ciò che è permesso e ciò che non lo è) produce “realismo morale”,
cioè una sorta di confusione, nel bambino, tra regole morali e regole fisiche.
I giochi regolamentati, che presuppongono e al tempo stesso preparano
un’organizzazione sociale e una disciplina collettiva, si consolidano lungo tutto
l’arco della fanciullezza, coincidente con la fase operatoria concreta, fino a
sfociare, con l’adolescenza, nei giochi intellettuali astratti. Integrando in una
sintesi organica teorie e contributi osservativi, è possibile ricostruire un preciso e
articolato quadro delle condotte ludiche lungo l’arco dell’età evolutiva. Infanzia:
nel lattante, gioco e fantasia s’identificano, secondo M. Klein
10
, in una sorta di
attività fantastica (o più correttamente fantasmatica), già presente nel feto, e il
bambino verrebbe quindi al mondo già dotato di un patrimonio fantastico
inconscio. Il neonato non è capace di vero gioco intelligente, il gioco (detto
10
Klein Melanie, nata a Vienna nel 1882 e morta a Londra nel 1960, si dedicò alla psicoanalisi dei
bambini e pose le sue basi circa la tecnica fondata sull’interpretazione del gioco, pur rimanendo legata
alla Società psicoanalitica internazionale per quel che riguarda i principi fondamentali.