8
Ci è sembrato interessante al riguardo effettuare un’analisi di natura
territoriale, partendo dal presupposto che, se il fenomeno della bassa
fecondità investe tutto il paese senza eccezioni, esistono sicuramente
differenze culturali, economiche, sociali in grado di condizionare i
comportamenti riproduttivi. E ciò è tanto più vero in un paese come l’Italia
da sempre caratterizzato da profonda eterogeneità.
La scelta è stata per un’indagine macro-trasversale sulla fecondità,
avente ad oggetto dati medi provinciali. Abbiamo ritenuto la provincia,
infatti, una dimensione territoriale sufficientemente adeguata a cogliere la
diversità dei contesti locali.
Dopo aver evidenziato che il dato medio italiano di fecondità è il
prodotto, dunque, di situazioni territoriali assai diversificate, obiettivo
finale della nostra analisi vuole essere un confronto su dati aggregati di
come agiscano alcune delle variabili socio-economiche nell’influenzare i
livelli di fecondità nelle diverse province.
In particolare, il presente lavoro si divide in due parti.
La prima parte, di carattere teorico, intende tracciare un panorama
generale sul tema della fecondità.
Il capitolo 1 riassume quella che è oggi la situazione della fecondità
in Italia e la pone a confronto dapprima con quella nazionale degli anni
passati, poi con quella odierna degli altri paesi, in special modo europei.
Il capitolo 2, invece, richiama il ruolo della fecondità in demografia,
ricordandone le principali definizioni teoriche, nonché i fondamentali
strumenti di misurazione e quantificazione.
Il capitolo 3 da un lato ripercorre i più noti contributi teorici che, nel
passato, hanno tentato di dare spiegazioni della fecondità. Dall’altro fa
cenno dei principali assunti del dibattito odierno sulla fecondità, o meglio
sulla bassissima fecondità che oggi caratterizza l’Italia, cercando appunto
9
di sintetizzare quelle che gli studiosi ne considerano le fondamentali cause
e le inevitabili conseguenze.
La seconda parte, invece, di carattere empirico, comprende i risultati
della nostra analisi macro-trasversale dei dati italiani sulla fecondità,
ripartiti a livello provinciale.
Il capitolo 4 si apre con un confronto sulla situazione della fecondità
nelle diverse province italiane, a partire dai dati rilasciati dall’Istat e
facendo riferimento ai due principali indicatori demografici della fecondità:
il tasso di fecondità totale e l’età media della madre al parto.
Dopo aver esaminato i dati recenti sulla fecondità e averli confrontati
con quelli del passato, punto di arrivo è un’analisi statistica di come la
particolare situazione socio-economica di ciascuna provincia influenzi il
relativo dato territoriale della fecondità.
In particolare, attraverso l’utilizzo di software statistici, abbiamo
applicato un modello di regressione multipla allo scopo di evidenziare quali
tra i principali fattori socio-economici intervengano maggiormente nel
condizionare i tassi di fecondità, spiegandone la variabilità a livello
provinciale.
Si intende in questo modo verificare, attraverso un confronto
territoriale su dati aggregati, se, a livello macro, variabili quali ad esempio
il reddito, l’occupazione, il grado di istruzione ecc. siano realmente in
grado di influenzare i comportamenti riproduttivi e in che modo li
influenzino. L’intenzione non è certamente di stabilire quali teorie
interpretino meglio le relazioni di causalità nell’ambito della fecondità, ma
semplicemente di cercare dei legami e delle regolarità a livello territoriale.
Tutto ciò, infine, è circoscritto alla situazione italiana degli ultimi
anni e non implica che nel futuro tali relazioni potranno non modificarsi.
10
CAPITOLO 1
IL DECLINO DELLA FECONDITA’ IN
ITALIA
11
1.1 Un quadro storico: la fecondità in Italia dal dopoguerra
a oggi
Dagli ultimi dati Istat
1
, possiamo rilevare che il numero dei nati in
Italia nel 2004 è stato di 562.599, quasi 40.000 in più rispetto al 1995, anno
in cui si è registrato il minimo storico delle nascite e della fecondità, e circa
la metà dei nati del 1964, anno in cui si ebbe l’apice del cosiddetto baby
boom.
Parlando in termini di tasso di fecondità totale o numero medio di
figli per donna si è passati dunque da 2,70 nel 1964 a 1,19 nel 1995, per
risalire a 1,33 nel 2004.
Sembrerebbe dunque che il trend negativo avviatosi a partire dagli
anni ’70 vada subendo, tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo,
un’inversione di tendenza, ma si rimane ancora ben al di sotto del livello di
rimpiazzo di 2,1 figli per donna.
1
Istat, Natalità e fecondità della popolazione residente: caratteristiche e tendenze recenti – Note
informative – Periodo di riferimento: Anno 2004 – Diffuso il 01/08/2006 -
http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20060801_00/
12
Fig.1.1 Nati vivi della popolazione residente in Italia. Anni 1952-2004
Fonte: Istat
2
Nel tentativo di evidenziare le vicende della fecondità e di
individuarne i fattori determinanti, si sono succeduti numerosi contributi di
ricerca.
Tuttavia, prima di affrontare le cause determinanti e i singoli fattori
interessati, è necessario fornire un breve quadro storico della situazione in
Italia almeno dal secondo dopoguerra fino ad oggi.
Dalla fine della seconda guerra mondiale fino alla metà degli anni
settanta la fecondità italiana si mantenne sopra la soglia di due figli per
donna, assicurando in questo modo il pieno ricambio delle generazioni.
Fu alla metà degli anni ’60 che si raggiunse il massimo storico delle
nascite superando i 2,5 figli per coppia. In seguito abbiamo assistito ad una
2
Istat, Natalità e fecondità della popolazione residente: caratteristiche e tendenze recenti –
Note informative – Periodo di riferimento: Anno 2004 – Diffuso il 01/08/2006 -
http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20060801_00/
13
lenta ma inesorabile diminuzione, finché nel 1977 la fecondità italiana è
scesa sotto la soglia dei 2 figli per donna, senza accennare a fermarsi negli
anni successivi. Verso il 1986 la fecondità sembra stabilizzarsi intorno a
1,2 - 1,3 figli per donna e da allora, se si esclude il dato minimo di 1,19 del
1995, si sono avute solo piccole oscillazioni tra tali due valori.
Per meglio capire che cosa ha provocato i suddetti dati vediamo più
in dettaglio cosa è accaduto negli anni passati, in correlazione anche con le
vicende storico - politiche del nostro paese
3
.
Come è ormai noto, la fine della guerra aveva portato una ripresa
delle nascite al punto che nel 1946 se ne registrarono 1.036.000, il valore
più alto dal 1945 ad oggi, avvicinato solo dal 1.016.000 del 1964.
Ovviamente questa situazione risultò del tutto eccezionale poiché fu il
frutto di un rinvio dei concepimenti avvenuto durante gli anni del conflitto
e un chiaro segno della volontà di riprendere una vita normale e di
ricostituire i nuclei familiari dopo gli sconvolgimenti bellici. Ciò fu
dimostrato anche dallo straordinario aumento della nuzialità, dovuto alla
celebrazione di tutti quei matrimoni che non era potuta comprensibilmente
avvenire durante gli anni della guerra.
Il forte aumento delle nascite non ebbe però grosse ripercussioni
sull’incremento della popolazione italiana in quanto contemporaneamente
si ebbe una forte ripresa delle emigrazioni che, negli anni antecedenti,
erano state ostacolate dal regime fascista.
I dati mostrano che tale eccezionalità si esaurì con l’inizio degli anni
’50 e il ritorno ad una situazione di normalità che prevedeva, come già
accennato, un tasso di fecondità intorno ai 2,5 figli per donna. A livello
3
Dati storici presenti in questo paragrafo tratti da: Baldi Stefano, Cagiano de Azevedo
Raimondo, La popolazione italiana. Storia demografica dal dopoguerra ad oggi, Il Mulino, Bologna,
2000, 2° ed.
14
regionale sussistevano però forti disparità tanto che, mentre nelle regioni
meridionali il numero medio di figli per donna era superiore a 3, nelle
regioni centrali e settentrionali, ad eccezione del Nord-Est, già non si
raggiungeva il livello di rimpiazzo (2,1)
4
.
Gli anni ’60 iniziarono con una nuova forte ripresa della natalità,
tanto da essere ricordati come gli anni del baby boom, oltre che del
miracolo economico. Furono dunque anni di espansione e di crescita sotto
tutti gli aspetti.
In realtà i tassi di fecondità crebbero solo fino al 1964, quando si
raggiunse il picco di 2,7 nati per donna ed inoltre l’incremento riguardò
soprattutto le regioni settentrionali e centrali, che hanno sempre avuto i
tassi più bassi, mentre ebbe dimensioni modeste nel meridione.
Se confrontiamo, poi, la situazione italiana con quella coeva degli
altri paesi dell’Europa, possiamo notare che i nostri tassi di fecondità
restavano pur sempre inferiori a quelli di Francia, Gran Bretagna, Paesi
Bassi, Spagna, Portogallo e Irlanda. Così l’eccezionale valore di 2,7 nascite
per donna raggiunto nel 1964 rimase inferiore a quelli massimi raggiunti in
Francia e Gran Bretagna nello stesso anno, ossia 2,9, e a quello di 3,2
raggiunto dai Paesi Bassi nel 1961.
E’ necessario sottolineare che gli alti tassi del decennio sembravano
essere garantiti anche da una legislazione apparentemente propensa alla
difesa della natalità e tesa a sostenere la crescita della popolazione. In
merito possiamo ricordare che vigevano norme penali che consideravano
reato la propaganda e la vendita di mezzi anticoncezionali e l’interruzione
4
“…Ogni 100 bambine nascono 106 bambini circa, quindi occorre che 100 donne mettano al
mondo – per “rimpiazzare” se stesse e i loro compagni virtuali – 100 bambine e 106 bambini. Cioè 206
figli per 100 donne, ovvero 2,06 a testa. Inoltre le popolazioni sviluppate attuali, benché ad altissima
sopravvivenza, hanno una mortalità pur minima nelle età infantili e giovani: ecco perché, all’incirca, si
pone il livello di rimpiazzo a 2,1 figli per donna.”, Livi Bacci Massimo, Errera Giovanni, Intervista sulla
demografia. Sviluppo, stato sociale, migrazioni, globalizzazione e politica, Etas, Milano, 2001, p.80
15
volontaria di gravidanza. Si è parlato di legislazione apparentemente
natalista in quanto, d’altra parte, la scarsezza degli assegni familiari, la
mancanza di strutture e di norme che favorissero in qualche modo le madri
lavoratrici, nonché una certa tolleranza nei confronti degli aborti
clandestini, mostravano un atteggiamento assai più ambiguo.
Gli anni ’70 videro, accanto al rallentamento del progresso
economico conseguente alla crisi petrolifera e a forti contrasti sociali,
anche una netta diminuzione delle nascite che accentuò la tendenza
decrescente avviatasi già nella seconda metà del decennio precedente. Ben
presto si passò dai 901.000 nati in un anno nel 1970 ai 670.000 nel 1979.
Notiamo che in quegli anni anche il tasso di nuzialità, mantenutosi
sostanzialmente stabile dagli anni del dopoguerra, subì un netto calo,
passando dal 7,4°/oo del 1970 al 5,7°/oo del 1980. Ciò rifletteva in qualche
modo quella liberalizzazione dei costumi che sembrò essere favorita da una
serie di provvedimenti legislativi di notevole importanza, quali la legge sul
divorzio del 1970, la sentenza della Corte Costituzionale del 1971 che rese
possibile la propaganda dell’uso di anticoncezionali e la legge del 1978 che
depenalizzò l’interruzione volontaria della gravidanza.
Tutto ciò portò, durante il corso degli anni ’70, ad un tasso di
fecondità totale dell’Italia al di sotto della soglia di rimpiazzo di 2,1 figli
per donna, prima al Nord (1975), poi al Centro (1976), con un netto ritardo
al Sud (1983).
La preoccupazione per tale calo delle nascite fu tale da dare avvio
nel 1979 alla “Prima indagine nazionale sulla fecondità e sul suo controllo”
(sinteticamente INF-1), che si inserì nell’ambito di un più vasto progetto di
studio dei comportamenti riproduttivi, denominato “World Fertility
Survey”, condotto su scala mondiale, negli anni 1974-’84, dall’ Istituto
Internazionale di Statistica in collaborazione con le Nazioni Unite e
16
l’Unione Internazionale per lo Studio Scientifico della Popolazione. I
principali risultati dell’indagine italiana
5
mostrarono non solo che la
fecondità era scesa sotto il livello minimo di sostituzione, ma anche il
perdurare di una scarsa informazione sulle caratteristiche della vita fertile e
sui metodi contraccettivi. Tale scarsa informazione comportava peraltro un
persistente ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza anche in
situazioni di stabilità coniugale e in presenza di figli già nati.
Il calo della fecondità si accentuò progressivamente nel corso degli
anni ’80 fino a raggiungere un valore di circa 1,35 nati per donna alla fine
del decennio, più di una unità in meno rispetto al 1970.
Contemporaneamente si consolidò la tendenza ad un aumento dell’età
media delle donne al primo figlio e ad un allungamento della vita
riproduttiva, con un recupero di fecondità in età matura. L’età media al
primo parto passò nel corso del decennio da 25,1 a 26,7 anni.
E’ interessante notare che da varie indagini, svolte in questo periodo,
emerge come, a differenza che nel passato, i figli non siano più considerati
come un investimento, bensì come un onere, non solo dal punto di vista
economico, ma anche in termini di indipendenza e realizzazione personale.
Accanto a questi motivi che inducono a ridurre soprattutto le gravidanze di
ordine superiore al secondo, ci sono poi anche i timori per il futuro, la
paura di non essere in grado di assicurare ai propri figli un avvenire
migliore del proprio.
5
De Sandre Paolo (a cura di), Indagine sulla fecondità in Italia 1979. Rapporto generale. Vol. I -
Metodologia e analisi, Bologna, Tecnoprint, 1982
17
Tab. 1.1 Tasso di fecondità totale in Italia 1955-1995
Anno Tasso di fecondità totale
1955
1960
1965
1970
1975
1980
1985
1986
1987
1988
1989
1990
1991
1992
1993
1994
1995
2,33
2,41
2,67
2,43
2,21
1,68
1,45
1,37
1,35
1,38
1,35
1,36
1,33
1,33
1,26
1,22
1,19
Fonte: Istat
6
E’ stato infine negli anni ’90 che il calo della natalità è sceso a
livelli preoccupanti, portando, per la prima volta nel 1993, ad un saldo
naturale
7
della popolazione italiana negativo. Tutto ciò, tuttavia, non ha
condotto alla diminuzione della popolazione italiana, grazie ad un saldo
migratorio
8
crescente. Tale situazione, del tutto nuova, si presentava in
maniera opposta rispetto a quaranta anni prima, quando il saldo naturale,
non solo compensava quello migratorio, ma rappresentava la totalità della
crescita della popolazione.
6
Dati tratti da Istat, Annuario Statistico Italiano 2005 (http://www.istat.it/dati/catalogo/asi2005/)
e da Baldi Stefano, Cagiano de Azevedo Raimondo, La popolazione italiana verso il 2000. Storia
demografica dal dopoguerra ad oggi, Il Mulino, Bologna, 2000, 2° ed.
7
Il saldo naturale è dato dalla differenza tra il numero delle nascite e quello delle morti. Cfr.
Blangiardo Gian Carlo, Elementi di demografia, Il Mulino, Bologna, 1997, p. 45
8
Il saldo migratorio è dato dalla differenza tra il numero di immigrazioni e quello di
emigrazioni. Cfr. Blangiardo Gian Carlo, Elementi di demografia, Il Mulino, Bologna, 1997, p. 45
18
E’ stato a partire dagli anni ’80, infatti, che l’Italia, tradizionalmente
paese di emigrazione, si è trovata per la prima volta ad affrontare il
problema di consistenti flussi di immigrati provenienti dai paesi in via di
sviluppo, attirati dall’emergere di una segmentazione nel mercato del
lavoro e dalla mancanza di una regolamentazione in materia di
immigrazioni, almeno fino al 1986. E’ poi nel corso degli anni ’90 che il
fenomeno dell’immigrazione è andato sempre più accentuandosi, dando
luogo ad un saldo migratorio in costante aumento.
Dobbiamo arrivare al 1995 perché l’Italia raggiunga il suo minimo
storico nei livelli di natalità: 515.000 nati, con una media di 1,19 figli per
donna. Un valore che ha condotto rapidamente l’Italia a diventare uno dei
paesi con il più basso tasso di fecondità, insieme alla vicina Spagna, che
raggiunge invece il suo minimo storico nel 1997 con 1,15 figli per donna.
I sostenitori della teoria della transizione demografica affermano che
si tratterebbe del compimento definivo di una transizione che ha condotto
l’Italia da una situazione di alti livelli sia di mortalità che di fecondità a una
graduale progressiva riduzione degli stessi, fino a riportare la popolazione
ad un tasso di incremento prossimo allo zero o addirittura negativo.
Non a caso è proprio alla fine del 1995 che viene dato avvio alla
“Seconda indagine nazionale sulla fecondità” (in breve INF-2), stavolta
nell’ambito del progetto “Fertility and family surveys” delle Nazioni Unite
e volta a studiare le tendenze più recenti nel quadro dei comportamenti
coniugali e riproduttivi. Ciò mette in evidenza la particolarità dell’Italia
rispetto agli altri paesi europei, in quanto la netta diminuzione della natalità
avviene in un quadro di sostanziale tenuta dell’istituzione matrimoniale e di
scarsa diffusione delle unioni consensuali e delle nascite naturali
9
.
9
De Sandre Paolo, Ongaro Fausta, Rettaroli Rosella, Salvini Silvana, Matrimonio e figli: tra
rinvio e rinuncia. Seconda indagine nazionale sulla fecondità, Il Mulino, Bologna, 1997
19
L’Italia, dunque, si presenta alla fine del XX secolo con una
popolazione che ha nettamente ridotto il suo tasso di crescita a causa del
saldo naturale negativo e che appare fortemente invecchiata dato il
progressivo diminuire dei tassi di fecondità e l’allungamento della vita
media che ha raggiunto i 74,9 anni per gli uomini e gli 81,3 per le donne
nel 1997.
Tasso di fecondità totale e età media delle donne al parto in Italia 1995-
2005
10
Anno
Tasso di fecondità
totale
Età media madre al
parto
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
1,19
1,20
1,23
1,21
1,22
1,26
1,25
1,27
1,29
1,33
1,32
29,8
30,0
30,1
30,3
30,3
30,4
30,5
30,6
30,8
30,8
30,9
Fonte: Istat
11
10
A fine anni ’90 si sono avute importanti modifiche nelle tecniche di rilevazione delle nascite.
Mentre dal 1926 al 1998 l’ISTAT ha raccolto informazioni sulle nascite da fonte Stato Civile e relative
dunque alla popolazione presente, dal 1° gennaio 1999 la rilevazione avviene da fonte Anagrafe.
11
Dati Istat tratti da:
Annuario Statistico Italiano 2005 (http://www.istat.it/dati/catalogo/asi2005/)
Natalità e fecondità della popolazione residente: caratteristiche e tendenze recenti -
Note informative – Periodo di riferimento: Anno 2004 – Diffuso il 01/08/2006 -
http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20060801_00/
Tavole statistiche 1997-1998 (http://www.demo.istat.it/altridati/natid1d2/)
Tavole statistiche 1999-2005 (http://www.demo.istat.it/altridati/IscrittiNascita/)
20
Nell’ultimo decennio (1996-2005), al contrario, è stato possibile
osservare un trend lievemente crescente nel tasso di fecondità totale
italiano che è passato dal minimo storico del 1995 di 1,19 figli per donna
ad un valore di 1,32 per il 2005. Tale incremento è però il risultato di
opposte dinamiche territoriali che hanno consentito un riavvicinamento tra
Nord, Centro e Sud d’Italia. Infatti mentre al Nord e al Centro, dove
tradizionalmente i tassi di fecondità sono più bassi, si è registrato un
significativo aumento negli stessi, al Sud, dove la natalità è sempre stata
maggiore, i tassi hanno continuato a scendere.
Nel 2004 il saldo naturale della popolazione è tornato ad assumere
valori positivi, con più nascite che morti. Si è trattato però solo di una
situazione temporanea dato che già nel 2005 si è tornati ad un saldo
naturale negativo.
Le più recenti analisi della filiazione in Italia, infine, hanno rilevato
tre caratteristiche principali.
La prima è data dalla posticipazione dell’esperienza riproduttiva.
Come si può vedere dalla tab. 1.2, l’età media delle madri al parto è passata
dai 29,8 anni del 1995 ai 30,8 del 2004, esattamente un anno in più.
Secondo alcuni studiosi, tale rinvio nel calendario della maternità potrebbe
essere una delle spiegazioni dell’abbassamento della natalità negli anni ’70
e ’80 e del recupero a partire dalla seconda metà degli anni ’90.
Un secondo elemento da sottolineare risulta dall’aumento del numero
di figli da genitori non coniugati. La percentuale di nati da non coniugati è
passata dall’8,1 del 1995 al 13,7 del 2004, un fenomeno strettamente
connesso con il calo del tasso di nuzialità e il diffondersi di nuove forme di
unione. Si tratta di trasformazioni comportamentali però molto più
accentuate nel Nord che nel Sud del paese, molto probabilmente per ragioni
di natura sia socio-culturale sia economica.