iv
d’arte, giungendo persino a dedicare una rubrica ai più piccoli.2 Lo studio
degli interventi mira a connotare la Favilla “per la sua volontà di porsi quale
elemento mediatore tra civiltà italiana, tedesca e slava, facendosi banditrice
dei valori romantici e di una cultura non oziosamente arcadica e
retoricheggiante, bensì attenta ai nascenti problemi nazionali, agli aspetti
istituzionali della vita letteraria ed artistica, alle questioni poste dal
progresso tecnico.”3 Un periodico, dunque, che, a partire dal 1836, accanto
alla nuova Trieste economica e commerciale che saluta l’Ottocento, vuole
testimoniare il risveglio anche e soprattutto culturale della moderna
borghesia.
L’apertura dei favillatori accoglie fra le pagine della rivista non poco e
non ovvio materiale letterario europeo. Ci è parso quindi significativo, in
appendice, vedere nello specifico il caso di due racconti brevi di Dickens
qui pubblicati nel 1845, quasi sicuramente le prime versioni italiane ad
essere date alle stampe.
2
A partire dal gennaio 1844 fino al termine del ’45, la Favilla riserva nei suoi
Supplementi uno spazio Ai fanciulli.
3
F. SALIMBENI, Variazioni storiografiche e culturali su una città “nuova”: Trieste tra
Sette e Ottocento, in “Archeografo triestino” LII, serie IV, 1992, p. 35.
PARTE PRIMA
11. L’AMBIENTE STORICO-SOCIALE
La mescolanza di riti, di lingue, d’abiti e di costumi, come non
nuoce al buon ordine e alla lealtà de’ commerci così non dovrebbe
turbar la concordia degli animi, anzi prepararli a quella funzione
che è lecito di sperare quandochessia.*
*
[F. DALL’ONGARO], Del Rispetto dovuto agli Stranieri, Fav. I (dec. II), 20 (17 maggio
1846).
31.1 La stampa periodica triestina fra Sette e Ottocento
L’attività tipografica sorge a Trieste relativamente tardi. È necessario
risalire al 1624 per conoscere la figura di un primo stampatore, Antonio
Turrini, del quale ci restano gli Statuta Inclytae Civitatis Tergesti in latino con
testo italiano a fronte ed altri cinque volumi, tutti di pregevole ed accurata
fattura. Ma con il 1645, anno della morte del Turrini, sulla stampa e sugli
stampatori a Trieste cade il silenzio; il Comune per molti anni deve ricorrere a
Graz, a Vienna o ad Udine al fine di stampare i propri atti.
Solo qualche decennio dopo la proclamazione del Portofranco (1719) si
avverte il risveglio tipografico di Trieste, a cui dà impulso il conte Nicolò
Hamilton, Presidente dell’Intendenza Commerciale, convocando alcuni
tipografi tedeschi per la stampa bilingue delle patenti, ordinanze, regolamenti,
bandi del nuovo emporio. Il primo nome di “i. r. stampatore privilegiato” che
si incontra negli archivi è quello di Joseph Zentz; lo seguono nel 1756 il nobile
Johann Thomas Trattner, famoso tipografo viennese che nella capitale
d’Austria possedeva un grande stabilimento di trentadue torchi e ben cinque
filiali e ventisei librerie nelle principali città degli stati ereditari, ed il genero di
quest’ultimo, Francesco Mattia Winckowitz.
E ci muoviamo verso il 1775, anno in cui l’arte della stampa conosce la
sua vera e propria affermazione. È il momento in cui, sotto la protezione e
l’impulso austriaco, un gruppo di padri armeni mechitaristi,1 staccatisi dalla
casa madre di Venezia e richiamati dal dinamismo del Portofranco, apre una
stamperia con caratteri orientali ed occidentali e cura eleganti edizioni di libri
in latino, italiano, tedesco, francese, greco moderno e armeno. L’attività
1
Per un approfondimento a riguardo, O. CUPPO, I padri mechitaristi a Trieste, in “La
Porta Orientale”, a. VIII, n. 3-4, 1938, pp. 132-172.
L’ambiente storico-sociale
4
perdura fino al 1810, quando, in seguito all’arrivo dei Francesi, i padri si
trasferiscono a Vienna e allora vendono parte del materiale tipografico in loro
possesso a Gaspare Weis, nativo di Strigno in Valsugana e a Trieste dal 1794.
Sullo scorcio del secolo erano pure attive a Trieste la tipografia di
Giacomo Tommasini, filiale di quella goriziana, intestata a quest’ultimo ma
gestita da Coletti; quella di Giovanni Battista Sperandio, veneziano, che dopo
la Restaurazione ha come successore Antonio Maldini; infine la stamperia di
Giovanni Marenigh, trasportata nel 1825 a Trieste da Firenze, che stampava in
italiano, tedesco, francese, sloveno ed ebraico.
Il quadro delle tipografie note fra Sette e Ottocento fin qui tracciato, è da
considerarsi già ricco per una città come Trieste, dove, mancando un’industria
editoriale in grande stile, l’arte tipografica è costretta a campare sui margini
dell’attività commerciale. Il giornalismo triestino, infatti, si trova a dover
lottare fin dalle sue origini con certo non poche e non facilmente sormontabili
difficoltà: una popolazione relativamente esigua innanzitutto;2 un certo
indifferentismo politico comparato alle larghe tradizioni politiche di altre città
italiane quali Venezia, Genova o Milano e la carenza di quelle esplosioni
giornalistiche che si hanno altrove con il dilagare delle idee della rivoluzione
francese; in ultimo il pugno di ferro austriaco, che si esercita con la censura, il
bollo e tutti quegli ostacoli atti a tenere imbrigliata l’opinione pubblica.
Ciononostante, esso riesce ad affermarsi, timidamente dapprima, sempre più
2
Prima del Portofranco, entro le vecchie mura la popolazione oscillava fra i tre e i
cinquemila abitanti, millecinquecento circa ne contava il territorio. Con il 1719 e la
trasformazione economica di Trieste, si nota un aumento prima tenue poi sempre
più rapido della popolazione. All’alba dell’’800 il numero è quintuplicato: nel 1808
supera addirittura i 25.000 abitanti nella sola città, diminuisce di un quinto nel
1813 (causa la caduta verticale dei commerci a seguito del Blocco continentale) per
poi risalire immediatamente e raggiungere i 50.000 abitanti già intorno al 1835 (cfr.
COMUNE DI TRIESTE, Ripartizione VIII – Statistica, Sviluppo storico della popolazione di
Trieste dalle origini della città al 1954, Trieste 1955).
La stampa periodica triestina fra Sette e Ottocento
5
decisamente poi: il primo periodico triestino, di cui ora andiamo a vedere le
origini, viene alla luce nel 1781.3
Dal gennaio 1777, è in uso pubblicare settimanalmente dal Magistrato di
Sanità le note dei bastimenti e delle merci in arrivo nel porto e quindi
distribuirle ai commercianti. Del numero sempre crescente delle persone
interessate al movimento del porto, si preoccupa per primo il viennese
Christian Hieronimus Moll che, non nuovo alle lettere, decide di fondare un
periodico mercantile bisettimanale redatto in tedesco, e lo fa uscire il 28
febbraio 1781 dalla Stamperia Trattner col titolo Triester Welt-Korrespondent. In
appendice al suo Almanacco Mercantile di Trieste per l’anno 1782, Moll si mostra
determinato a pubblicare nel suo giornale “notizie che riguardano il
3
Cfr. C. PAGNINI, I Giornali di Trieste dalle origini al 1959, Trieste 1959; G. GAETA,
Formazione del giornalismo triestino, Trieste e la Venezia Giulia”, Roma 1951, pp. 85-
105; G. COMELLI, L’arte della stampa nel Friuli Venezia Giulia, Udine 1980, pp. 191-
238; E. LIPOTT, Da Gutenberg alla fotocomposizione. Appunti per una storia dell’arte
tipografica triestina, Trieste 1982, pp. 35-73. Per una bibliografia particolareggiata
completa delle pubblicazioni periodiche triestine dalle origini fino al 1860, si veda
C. PAGNINI, I giornali triestini fino al 1860 (Saggio bibliografico), in “Archeografo
triestino” VIII-IX, serie IV, 1945, pp. 141-175.
Figura 1.1 Testata del Triester Welt Korrespondent. (C. PAGNINI, I Giornali…, p. 16)
L’ambiente storico-sociale
6
commercio e la statistica, ed oltre ciò versare sulla recentissima letteratura
italiana”: pensiamo sia bene fare attenzione a questo accenno alla letteratura
italiana, di fronte al silenzio circa le altre letterature, quella tedesca compresa,
come indice importante dell’orientamento e dei bisogni della città. La stampa
periodica triestina infatti, non percepisce unicamente le necessità dell’emporio
in rapida e continua ascesa, bensì sembra nutrire le prime velleità letterarie.
Il giornale non continua oltre il 1782 ed il Moll si allontana dalla città per
non più ritornarvi. La sua iniziativa viene tuttavia ripresa due anni dopo dalla
stessa Libreria Trattner che, scrupolosa nell’unire utile generale e interesse
privato, fornisce un giornale commerciale ed in pari tempo politico, il Triester
politische und Handlungs-Zeitung. I collaboratori, uomini esperti e di talento,
condurranno con fedeltà il programma iniziale della testata, ossia mettere gli
stati ereditari in una vera e propria comunicazione commerciale. Non
sappiamo dire con certezza la sua durata, ma è probabile che alla fine del
Triester abbia concorso la nascita dell’Osservatore Triestino , uscito il 3 luglio
1784. Ed è proprio da questo momento fino al 1848 che va il periodo di
preparazione ad un maturo giornalismo triestino.
Direttore della Tipografia Tommasini, il romano Giuseppe de Coletti -
fanatico per le lettere e la cultura fin da giovanissimo e fondatore prima
dell’Accademia degli Arcadi Romano-Sonziaci a Gorizia, poi, a Trieste,
dell’Accademia degli Arcadi Triestini - è il tenace iniziatore dell’Osservatore,
quel giornale italiano che “desiderandosi da molte persone dedite alla
letteratura e al commercio, in questa città e fuori,” si propone di contenere “le
notizie più rimarchevoli riguardo alla legislazione, al commercio ed alla
letteratura.”4 Che di un notiziario italiano si sentisse il bisogno nella Trieste di
fine Settecento, appare più che probabile; lo si desumeva già dal succitato
La stampa periodica triestina fra Sette e Ottocento
7
avviso pubblicato dal Moll. A conferma di ciò sta il fatto che l’Osservatore
resista benissimo proprio i primi anni della sua vita, quando è meno mercantile
e più politico letterario e filosofico, ospite dei versetti e delle prose d’Arcadia.
Del resto, il grande emporio triestino era ogni giorno più vitale ed esigente: si
leggeva molto e l’Osservatore si trovava a dover sostenere il confronto con
moltissimi periodici e giornali anche stranieri, disponibili alla lettura - previo
un tenue canone - negli accoglienti luoghi di ritrovo, di riflessione, di
conversazione quali erano le botteghe del Caffè del centro cittadino: dalla
Gazzetta di Firenze al Times, dalla Rivista d’Italia alla Revue des deux Mondes alla
Antologia.
Fra le notizie locali, l’Osservatore riserva comunque spazio maggiore al
movimento delle navi e delle merci, rappresentato dalle cosiddette portate, la
cui pubblicazione, essendo un privilegio esclusivo dell’Ufficio di Sanità, dà
origine peraltro ad una interessantissima controversia che coinvolge anche una
terza testata tedesca - il Nachrichten und Vorfallenheiten der See-und Handelsstadt
Triest - che dal 1786 le stampava nelle sue colonne forse con troppa
abbondanza di particolari. Il risultato del reclamo è la proibizione intimata
soltanto all’Osservatore Triestino di pubblicare quei dati.5 Tale disposizione
governativa non serve certo a fiaccare il giornale, che anzi dal 14 ottobre 1813,
nel riprendere il suo vero nome dopo uno dei mutamenti imposti dalle
4
Così il manifesto di propaganda uscito in data 15 maggio 1784 (vd. C. PAGNINI,
L’Osservatore Triestino ed i giornali del periodo napoleonico, in “La Porta Orientale”, n.
10-12, 1947, p. 186-187.
5
Leggiamo in C. PAGNINI, L’Osservatore Triestino..., p. 188: “(...) il Coletti per
qualche giorno attenuò la specificazione delle merci, ma poi riprese l’antica
precisione senza che l’Ufficio di Sanità elevasse ulteriori doglianze. Questa
arrendevolezza del Cancelliere di Sanità, unico interessato alla cosa, autorizza a
supporre che il reclamo mirasse a colpire il giornale tedesco e non altro, perché il
Cancelliere (...) era buon amico del Coletti, suo collega d’Arcadia.” Evidentemente
“chiuse un occhio e l’Osservatore continuò la sua via a dispetto delle disposizioni
del Governo.”
L’ambiente storico-sociale
8
contingenze dell’ultima occupazione francese,6 si fregerà dell’aquila asburgica
e vivrà vita lunghissima in veste di foglio ufficiale del governo.
Pur nella sua ufficiosità, l’Osservatore dovrà assumere una speciale
importanza nella formazione dell’opinione pubblica locale negli anni che
vanno dal 1843 al 1848, quando cioè sarà Pacifico Valussi ad esserne il
direttore: sotto la sua guida, l’Osservatore, che non aveva lettori se non per gli
atti ufficiali e le notizie legali, ne acquista un gran numero, in tutte le città
d’Italia dove non era proibito. Esso abbraccia anche la politica internazionale,
informa i lettori sugli avvenimenti più importanti relativi ai governi
costituzionali e riporta articoli da giornali che affermano il trionfo delle idee
liberali; nello stesso tempo dà il resoconto della vita economica e culturale e
specialmente di quanto accade nel campo teatrale e musicale.
Pari opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica verso problemi
concernenti più specificamente l’archeologia, la statistica, la storia, la
6
Il 27 marzo 1797 lo vede uscire sotto il nome di Gazzetta di Trieste per riprendere
quello di Osservatore il 26 maggio seguente. Lo stesso dal 18 novembre 1805 al 5
gennaio 1806 e così anche nel corso della terza occupazione napoleonica, ma solo
dal 19 marzo 1809 al 19 giugno successivo quando riprende il nome usuale.
Volgendo infatti la guerra a favore degli avversari, esso deve rettificare il suo
atteggiamento e avvicinarsi al governatorato francese.
Figura 1.2 Testata del primo numero dell’Osservatore. (C. PAGNINI, I Giornali…, p. 27)
La stampa periodica triestina fra Sette e Ottocento
9
topografia della regione, svolge
l’Archeografo triestino di Domenico Rossetti,
nobile uomo politico oltre che erudito e
critico letterario, primo iniziatore d’ogni
attività culturale a Trieste. Sorto nel 1829, l’
Archeografo non trova un terreno uso agli
studi storici e neppure a quelli letterari: a
coprire un campo per così dire umanistico
infatti, prima di esso si ha soltanto, tra il
febbraio 1790 e il febbraio 1791, il
settimanale Giornale medico e letterario di
Trieste. Eppur l’Archeografo risveglia la
tradizione e dà a Trieste la consapevolezza
della propria individualità storica. «Il
passato debbesi avere a maestro del
presente», scrive il Rossetti nell’Introduzione al primo numero: e in questo
concetto è lecito riscontrare anche il suo preciso intento politico, ossia la
strenua difesa dell’autonomia contro le manovre accentratrici di Vienna, e la
lotta inesauribile per la riconquista dei diritti tradizionali della municipalità.7
Rossetti rappresenta in fondo il chiuso particolarismo dell’ambiente culturale
della vecchia Trieste patrizia, “sordo ancora, quasi del tutto, alle sollecitudini
della cultura europea.”8 L’affermazione stessa di un carattere nazionale italiano
proprio di Trieste, è assolutamente priva di quelle implicazioni politiche che ci
si potrebbe aspettare e “vale […] a negare il carattere cosmopolitico della città,
che, come paventavano i vecchi patrizi [appunto], avrebbe rischiato di far
7
Per una interpretazione complessiva del pensiero di Rossetti si veda in
particolare il capitolo a lui dedicato in G. NEGRELLI, Comune ed Impero negli storici
della Trieste asburgica, Milano 1968, pp. 67-113.
8
Ibidem, p. 85.
Figura 1.4 L’Archeografo triestino di
Domenico Rossetti. (Bibl. Civica “A.
Hortis”, Trieste)
L’ambiente storico-sociale
10
perdere di vista le antiche tradizioni municipali.”9 Un particolarismo dunque
quello di Rossetti, che applicato allo studio storico della città di Trieste, fa sì che
dalle pagine dell’Archeografo risalti spesso un’aura di freddo archeologismo.
Poco prima che la Favilla esca alla luce (1836), un ruolo di rilievo è
ricoperto dall’azienda del Lloyd Austriaco, che volendo mettere a frutto
l’enorme messe d’informazioni e di notizie che le deriva dal suo grande giro
d’affari e dai suoi corrispondenti dislocati nei mercati più importanti, elabora il
progetto di una pubblicazione bisettimanale sul tipo del londinese Lloyd’s List,10
in cui possano trovar posto tutte le notizie di maggiore utilità ai commercianti
di Trieste e di fuori. La realizzazione dell’iniziativa giunge il 31 gennaio 1835,
quando il Giornale del Lloyd può uscire col suo primo numero. I fondatori del
Lloyd tanto aspiravano a creare un vero e proprio organo pubblicitario per
l’emporio di Trieste che si spinsero anche oltre, ideando due edizioni straniere
del Giornale, in lingua francese e tedesca:11 in questo modo, poteva essere capito
9
Ibidem, pp. 92-93.
10
Per una storia esaustiva del più famoso e originale mercato assicurativo a livello
mondiale, suggeriamo T. SOFONEA, La suggestiva storia dei Lloyd’s di Londra, Trieste
1981, pp. 19-27.
11
Le due edizioni settimanali in lingua straniera vengono deliberate nel novembre
del 1835. Per mancanza assoluta di abbonati, viene subito sospesa quella francese
e il Lloyd si accontenta di pubblicare solamente la tedesca, che nel ’37 peraltro si
amplia e si concretizza nel Journal des Oesterreichischen Lloyd. Condurrà però vita
stentata, impotente a reggere la concorrenza dei grandi quotidiani austriaci e
tedeschi all’estero, inutile doppione del foglio italiano a Trieste. Nel 1840 quasi
tutti i caffè triestini erano abbonati al giornale italiano e appena tre a quello
Figura 1.3 Il prodotto editoriale nonché forte organo pubblicitario dell’azienda del Lloyd
austriaco. (C. PAGNINI, I Giornali…, p. 82)
La stampa periodica triestina fra Sette e Ottocento
11
in tutti i territori dove si espandevano i commerci triestini, e cioè negli Stati
austriaci, in Germania e nel Levante.12 Nel corso dei primi anni ’40 oltretutto, il
Lloyd può vantare l’appalto delle stampe governative, curate presso la neo “I.
Papsch e Co.-Tipografia del Lloyd”: alle nuove iniziative direttamente
controllate dal Lloyd stesso - l’Osservatore con la direzione del Valussi e la
rivista storico-archeologica Istria di Pietro Kandler13 - si sommano le iniziative
personali, quali strenne letterarie e musicali e altre riviste come il Caleidoscopio14
del favillatore Adalberto Thiergen (noto con lo pesudonimo anagrammato di
Tito Delaberrenga). Tali realizzazioni testimoniano una crescente vivacità di
interessi culturali - intrisi peraltro dei fermenti dell’attualità politica - in una
città che per troppo tempo ne era rimasta estranea: in risposta quindi alla
nuova domanda intellettuale triestina e sul modello del Conciliatore milanese e
dell’Antologia fiorentina, la primissima Favilla di Madonizza e Orlandini è
condotta su di un terreno certamente non arido.
tedesco. Il 24 settembre 1848, col n. 222 appare così per l’ultima volta a Trieste, per
uscire in formato ingrandito e nella nuova veste di giornale politico a Vienna.
12
Accanto a Ignazio Papsch, nel 1839 viene chiamato come secondo redattore del
Journal Giacomo Löwenthal, già editore e proprietario dal 1838 dell’Adria,
Süddeutsches Zentrablatt für Kunst, Literatur und Leben (foglio centrale della
Germania meridionale per l’arte, la letteratura e la vita). Evidenziamo il fatto in
quanto l’Adria, occupandosi delle principali manifestazioni culturali triestine e
annoverando fra i suoi collaboratori i più bei nomi della lirica romantica in lingua
tedesca, si proponeva di neutralizzare l’influenza della Favilla, imitandone fra
l’altro veste e testata. Non godrà che un anno di vita.
13
L’Istria esce il 3 gennaio 1846 per spegnersi sei anni dopo, il 27 dicembre del ’51.
Fatta eccezione per il periodo quarantottesco, in cui vuole assumere un certo
atteggiamento politico, il settimanale - per volere di Kandler stesso - esclude la
sola politica e riesce “un vasto e prezioso magazzino per la storia civile, militare,
religiosa, artistica ed economica non solo di Trieste e dell’Istria propriamente
detta, ma anche dell’Alpe Giulia, della Carsia, d’Aquileia e del Goriziano” (G.
QUARANTOTTO, Pietro Kandler commemorato nel XL anniversario della morte, in
“Archeografo triestino” IX, serie III, 1921, p. 14).
14
Pur uscendo a Venezia (1842-1847), il Caleidoscopio si può ritenere a tutti gli
effetti triestino, in quanto perlopiù triestini sono gli argomenti che tratta, così
come i suoi collaboratori. Il giornale ha un carattere popolare, quasi grossolano a
volte, ed avanza spesso la pretesa, pur sempre nel pieno rispetto, di fare la parodia
alla Favilla.
L’ambiente storico-sociale
12
Con il 1848, possiamo ritenere chiuso il periodo di preparazione del
giornalismo triestino.15 Anche Trieste è terreno fertile per movimenti di idee e
polemica quotidiana: i progressi tecnici, ma soprattutto il progresso della vita
politica nella misura in cui questa coinvolge l’opinione pubblica - non a caso il
primo quotidiano, il Daily Court, sorge a Londra già nel 1702, traendo impulso
dalle grandi conquiste politiche raggiunte dall’Inghilterra nel secolo precedente
- fanno sentire impellente il bisogno dell’informazione quotidiana. Trieste, che
dopo Il Telegrafo Triestino di Giuseppe Sardi sorto sotto la spinta del regime
napoleonico nel 1809, non ha avuto altri quotidiani, ne vanta nuovamente uno,
l’Osservatore Triestino, trisettimanale fino al primo aprile 1848. Nel breve
periodo di abolizione della censura, nascono vari giornali liberali, tra cui Il
Costituzionale e La Gazzetta di Trieste del ferrato e schietto polemista Giulio
Solitro, cui si contrappongono altri, come il lloydiano Diavoletto, di tendenze
austrofile. Citeremo inoltre il primo giornale del ’48 triestino di una certa
solidità, La Guardia Nazionale, e, quale capostipite dei grandi giornali politici
italiani, Il Telegrafo della Sera. Ma nel quadro della stampa triestina del 1848 e
’49, un posto di assoluto rilievo lo ricopre Il Giornale di Trieste,16 fondato da un
gruppo di redattori della Gazzetta ed uscito per la prima volta il 22 ottobre.
Tratta di economia e politica, critica la Magistratura, biasima chi è troppo
servile verso l’Austria, specie se sono i giornalisti a farlo: così facendo,
perfeziona e porta a maturazione la coscienza nazionale e l’idea
annessionistica.
15
Per un quadro completo della stampa triestina quarantottesca, si veda C.
PAGNINI, Risorgimento e irredentismo nella Venezia Giulia, Gorizia 1994, pp. 37-91; G.
GAETA, Panorama del giornalismo triestino durante la rivoluzione del 1848, in “La Porta
Orientale”, 1948, n. 3-4, pp. 74-84; n. 9-10, pp. 259-264; n. 11-12, pp. 323-328.
16
Oltre ai riferimenti bibliografici già indicati sulla stampa quarantottesca, si cfr.
G. GAETA, Il “Giornale di Trieste” nel quadro della stampa triestina del 1848-49, Trieste
1943.
La stampa periodica triestina fra Sette e Ottocento
13
Il fallimento dei moti rivoluzionari e quindi il mutare delle condizioni
politiche, tuttavia, sono la causa prima che porta alla soppressione del Giornale
di Trieste nel gennaio del ’49, come pure, nel volgere di pochi mesi, a quella di
quasi tutti le nuove testate quarantottesche. Riescono a sopravvivere soltanto i
giornali più moderati e quelli che si adattano a divenire tali come La Guardia
Nazionale, che dura fino al 1850.
È possibile valutare a pieno dalla pur essenziale analisi fin qui tracciata,
“la profonda opera di cultura, di volgarizzazione e di educazione svolta da
Figura 1.5 Alcune testate quarantottesche dalla breve ma intensa vita. (C. PAGNINI, I
Giornali…, p. 83 e p. 94)