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PRIMA PARTE
Capitolo 1
Femminismo e Femminismi
1.1 Storia di donne e di femministe
Sulla storia delle donne e del femminismo, le giovani generazioni hanno ricevuto gli
stereotipi più volgari e contraddittori, da quello della militante che odia tutti gli uomini a
quello della femminista che rimpiange mitici poteri femminili e odia la modernità; mentre
è ormai tramontata l’immagine della donna emancipata negli affari e nella politica, che si
comporta seguendo modelli maschili.
Alle origini c’è il problema di tramandare una tradizione che non vuole presentarsi né
come autoritaria né come immediatamente autorevole, ma piuttosto come la consegna di
un messaggio rimasto in sospeso. Il dialogo è essenziale per sviluppare una storia della
soggettività e dell’intersoggettività quale è quella delle donne negli ultimi decenni e in
particolare dei loro movimenti.
Il tema della soggettività è centrale rispetto al problema della trasmissione: esso informa il
mutuo riconoscimento di sé e dell’altra come soggetti in senso pieno nel rapporto di
comunicazione anche dispari, tra madre e figlia, tra maestra e allieva, tra generazioni
diverse, negli affetti e nell’intellettualità. Accettata l’esistenza delle disparità, passo
fondamentale per le donne nel recente passato, riconoscersi a vicenda come soggetti vuol
dire avviare un processo verso la piena libertà di parola e di critica, nel rispetto reciproco e
nel contrasto pacifico.
La soggezione, storica e non naturale, delle donne rispetto agli uomini costituisce, per J.S
Mill, lo scandalo principale del mondo moderno, il quale nelle società e culture più
avanzate ha riconosciuto l’uguaglianza naturale dei diritti di ciascun essere umano.
Come egli stesso afferma: “La subordinazione sociale delle donne si configura come un
fatto unico nelle istituzioni sociali moderne; una rottura isolata di quella che è divenuta la
4
loro legge fondamentale; l’unica reliquia di un vecchio mondo di pensiero e di pratica che
è esploso in ogni altro aspetto.”
1
Se gli uomini non vogliono che le donne considerino il matrimonio un inferno e il marito
un despota, devono anche loro favorire la liberazione delle donne dall’attuale soggezione e
consentire a esse l’accesso a tutto ciò che finora è stato possesso esclusivo degli uomini:
istruzione superiore, gestione dei patrimoni privati, accesso alle libere professioni, diritto
di voto in tutte le sedi. Quindi un femminismo liberale che chiede per le donne gli stessi
diritti degli uomini e che lotta affinché vengano riconosciuti tali diritti e sia messa in
pratica l’uguaglianza tra ogni essere umano, indipendentemente dal suo sesso.
1.2 La “prima ondata” del femminismo
Si fa iniziare con una “dichiarazione” di Elisabeth Stanton, stesa alla prima assemblea di
rivendicazione dei diritti delle donne tenutasi vicino New York nel luglio del 1848, la
nascita del movimento femminista, che nello stesso anno in forme diverse comincia ad
affermarsi anche in Europa. All’assemblea erano presenti oltre trecento donne. La
dichiarazione della Stanton sostiene che: “Tutti gli uomini e le donne sono creati uguali;
essi sono dotati di certi diritti inalienabili fra cui vi sono la vita, la libertà, il perseguimento
della felicità; per assicurare questi diritti sono istituiti i governi. Ogni qualvolta una forma
di governo diventa distruttiva di questi fini, è diritto di quelli che ne soffrono rifiutare
obbedienza a esso e di insistere per l’istituzione di un nuovo governo. La storia
dell’umanità è una storia di ripetute offese e usurpazioni da parte degli uomini verso le
donne, aventi come obiettivo diretto l’istituzione di una tirannia assoluta verso di esse.”
2
Il movimento delle donne nato e affermatosi negli ultimi decenni dell’Ottocento e nei
primi anni del Novecento (c.d. Prima ondata) si è ispirato a queste tesi liberali e ugualitarie
intese appunto come richiesta di uguaglianza di diritti secondo la legge. Tale movimento
otterrà in parte, ma non la totalità, dei diritti richiesti quali il diritto di voto, la gestione
dell’eredità, l’accesso all’istruzione superiore e l’accesso alle professioni.
1
J.S. Mill, The Subjection of Women, London, Savill, Edwards and Co. printers, Chandos Street, Covent
Garden, 1869, pp. 263-264.
2
M. Schneir, The Vintage Book of Historical Feminism, London, Vintage, 1996, pp.77-78.
5
Tali conquiste si ottengono all’indomani della prima guerra mondiale, in Gran Bretagna
negli Stati Uniti e nell’Unione Sovietica. È in questo periodo che alcune pensatrici si
pongono interrogativi molto seri su ciò che le donne hanno fatto e ottenuto con le loro lotte
dirette a conquistare l’uguaglianza di diritti e l’uguaglianza di condizioni materiali rispetto
agli uomini. Le pensatrici che con maggiore impegno hanno affrontato questa
problematica sono Virginia Woolf e Simone De Beauvoir, le quali hanno aperto la strada
per una “rifondazione teorica” del femminismo.
Per la Woolf la differenza delle donne rispetto agli uomini deve essere vista in positivo e
non in negativo sostenendo che “l’istruzione impartita alle donne non deve essere una
‘copia’ di quella maschile ma deve costruire una cultura ‘differente’. La cultura maschile
forma alla guerra, quella delle donne deve formare alla pace.”
3
Ne Il secondo sesso, invece, la De Beauvoir colloca la problematica della donna, della sua
condizione di subordinazione e oppressione in una prospettiva dichiaratamente
esistenzialistica dichiarando che: “ogni essere umano è essenzialmente libero e la sua vita è
nelle sue mani; ogni essere umano può scegliere la via della ‘trascendenza’ cioè della
trasformazione del mondo che lo circonda, o la via della ‘immanenza’ cioè
dell’accettazione delle cose e del mondo così come sono. La prima via è quella intrapresa
da chi vive nel ‘per sé’, la seconda da chi vive nell’ ‘in sé’. Questa condizione ‘essenziale’
dell’essere umano è comune a tutti gli uomini.”
4
L’opera della De Beauvoir, apparsa nel 1949, ha subito una larga diffusione presso le
donne colte e urbanizzate d’Europa e degli Stati Uniti, la cui condizione sociale subisce un
rapido cambiamento durante gli anni cinquanta. Entrate in massa a sostituire gli uomini nel
lavoro extradomestico durante la guerra, con il ritorno di essi dal fronte vengono
gradualmente rinviate a casa e invitate a occuparsi esclusivamente dei mariti, dei figli e
della propria abitazione. Le giovani donne vengono sollecitate a sposarsi presto, a trovare
una sistemazione definitiva nel matrimonio, ad abbandonare gli studi e realizzare
l’autentica natura “femminile” cioè marito, figli e casa.
Ma come afferma Betty Friedan nel suo libro La mistica della femminilità, una raccolta di
interviste a ragazze che avevano preferito abbandonare studi e carriere per “realizzarsi”
come donna di casa: “ben presto questa condizione finirà per non essere più accettata dalle
3
V. Woolf, Una stanza tutta per sé, Guaraldi editore, Rimini, 1978, p.749.
4
S. De Beauvoir, Il Secondo Sesso, Parigi, Galimard ed., 1949, p.188.
6
donne; non possiamo più ignorare quella voce interiore che parla nelle donne e dice che
vogliono qualcosa di più del marito, dei figli e della casa.”
5
Questa “mistica della femminilità” viene imposta non solo alle donne ma a tutta l’opinione
pubblica. Le proposte di emancipazione per far uscire le donne da questa condizione sono
molto modeste da parte dello stesso movimento femminista. La Friedan ritiene che per
curare la “malattia” provocata dall’accettazione della mistica della femminilità (marito,
casa, figli) la donna deve trovarsi un lavoro fuori casa, senza rinnegare la famiglia, cioè
deve coniugare lavoro e famiglia.
1.3 La “seconda ondata” del femminismo
Alla fine degli anni sessanta è un’altra generazione che rimette in moto la lotta per la
liberazione femminile. Sono prevalentemente studentesse universitarie che hanno
partecipato ai nuovi movimenti progressisti; nati negli Stati Uniti, sono movimenti
antirazzisti, studenteschi e di oppositori alla guerra in Vietnam, a favore di una
liberalizzazione dei paesi del terzo mondo dal dominio delle metropoli imperialistiche.
La “seconda ondata”, quindi, è composta in misura prevalente da studentesse e laureate che
si domandano perché permane immutata, nonostante il riconoscimento ufficiale della parità
in ampi settori della vita sociale, la loro condizione di subordinazione rispetto agli uomini.
Il nuovo movimento è dato da una somma di piccoli circoli di donne, prevalentemente
bianche, colte, di classe media, eterosessuali, che praticano l’esperienza della discussione-
confessione di gruppo e dove al centro delle loro riflessioni viene messa la sfera della
sessualità.
In questa sfera esse trovano la risposta alla domanda sull’origine e natura dell’inferiorità
della donna e del suo ruolo subordinato all’uomo nel sistema di potere da lui istituito
(potere patriarcale). Nella prima fase del movimento prevale l’accentuazione della
dicotomia uomo-donna vista come una condizione in cui tutti gli uomini sono oppressori di
tutte le donne, cioè una visione che rende difficilmente praticabili alleanze e strategie
comuni con gli uomini, consentite invece nella prima ondata del femminismo liberale.
5
B. Friedan, La mistica della femminilità, Edizioni di Comunità, Milano, 1964, p. 27.
7
Le nuove femministe partono da zero e dicono: “Non possiamo fondarci sulle ideologie
esistenti, in quanto sono tutte prodotti della cultura a supremazia maschile. Le donne sono
una classe oppressa e tale oppressione è totale, investe ogni aspetto delle nostre vite. Siamo
sfruttate come oggetti sessuali, come genitrici, serve domestiche, lavoro a basso costo.
Questa oppressione ha una causa ben precisa: gli uomini.”
6
Non la razza, non la classe, ma il sesso, quindi, sta alla base della “politica”, cioè dei
rapporti di potere e di dominio nella società e tra gli individui. Ma da dove proviene questa
supremazia maschile sulle donne? È in qualche modo eliminabile?
La donna, oltre a concepire nell’atto sessuale assieme all’uomo, genera, allatta e accudisce
per un periodo molto lungo i figli. Nei mesi della gravidanza o negli anni di cura dei
bambini la donna si trova in condizioni oggettive di debolezza. Quindi, è la natura che la
pone in condizioni di inferiorità e le è necessario l’aiuto dell’uomo. Tale aiuto e protezione
si sono trasformati in dominio e supremazia da parte dell’uomo.
Se la natura, quindi, ha creato le condizioni di inferiorità della donna, la cultura e le
rivoluzioni economico-sociali possono porre le basi per una sua liberazione.
La prima condizione della liberazione della donna consiste nella separazione della
sessualità dalla riproduzione cioè nell’estendere l’uso di contraccettivi che consentano una
sessualità libera, non drammatizzata dalla “paura” di una gravidanza non voluta. Inoltre, la
funzione di cura dei figli sarà socializzata e collegata a una serie di servizi sociali che
restituisca alle madri la libertà che questa condizione ha sempre negato loro.
Quindi, la tecnologia, i servizi sociali, la nuova collaborazione armonica tra uomo e donna,
libereranno l’intera società.
In questi anni, tra il 1968 e il 1970, avviene anche in Francia la nascita del movimento
femminista che avrà come massima esponente a livello mondiale Luce Irigaray, che nel
1974 con la sua opera Speculum. L’altra donna, afferma che: “L’uomo non vede la donna
così com’è ma come una mancanza, un’assenza, un buco cioè come il contrario di sé.
L’uomo vede come un ‘pericolo’ la diversità ‘positiva’ della donna e del suo organo
genitale, in quanto questa diversità mette in crisi il suo ‘immaginario’ determinato
esclusivamente dal fallocentrismo.”
7
6
M. Schneir, The Vintage Book of Femminism, cit., pp.127-29.
7
L. Irigaray, Speculum. L’altra donna, Feltrinelli, Milano, 1976, p. 24.
8
Quindi, per la Irigaray, compito della critica femminista è quello di “decostruire” il
linguaggio in tutte le discipline “umane” mostrandone gli aspetti “fallocentrici”.
Compito delle donne è anche quello di costruire un “altro” linguaggio, portatore di valori
diversi, non falsamente neutri ma specificamente femminili.
1.4 La “terza ondata” del femminismo
Gli ultimi venti anni vedono differenziarsi in maniera notevole il panorama politico delle
aree del mondo occidentale nelle quali è nato il femminismo; il movimento femminista
entra in crisi, come movimento organizzato, quasi dappertutto, ma la sua eredità politica e
teorica non si disperde. Anzi, conquista nuove generazioni e affronta altri problemi come
la lotta alla pornografia o alle molestie sessuali sui luoghi di lavoro.
Se entra in crisi il movimento femminista, non entra in crisi il movimento più generale di
liberazione delle donne, che trova sempre modalità e obiettivi nuovi per affermarsi e per
solidarizzare con situazioni di lotta (nei paesi dei “fondamentalismi” religiosi) e
riconquistare spazi di realizzazione raggiunti già da tempo nei paesi occidentali.
Altra caratteristica di “solidarietà” femminista internazionale è la traduzione sempre più
frequente di scritti e contributi nelle diverse aree linguistiche e nazionali, maggiore,
rispetto a quella maschile. Questo permette uno scambio più rapido e fecondo di idee e di
orientamenti teorici e critici che porta ad avere come protagoniste pensatrici femministe a
livello internazionale.
I motivi centrali che hanno animato originariamente le teorie e le pratiche del movimento
femminista, cioè la parità dei diritti tra uomini e donne, non vengono abbandonati ma
rimangono in campo perché questi diritti sono oggetto di continua minaccia in molti paesi
e lo sono ancora come conquista in altri.
Il generale peggioramento della condizione sociale delle donne, in alcuni paesi, offre
nuovo vigore all’istanza della differenza sessuale come luogo dell’oppressione femminile
sia nella sfera pubblica sia in quella privata.
9
1.5 Fra diritti ed etiche “differenti”
Il tema dei diritti e della differenza sessuale viene affrontato nei primi anni ottanta da Carol
Gilligan, psicologa e insegnante a Harward, riconosciuta come la fondatrice del
femminismo differenzialista. L’autrice è il punto di riferimento delle teorie della differenza
non solo statunitensi, ma anche francesi e italiane, che la discutono e la citano. Gilligan
sostiene che negli studi psicologici sullo sviluppo morale non viene riscontrata l’esperienza
femminile, in quanto occultata da un modello androcentrico. Tale modello sarebbe
dannoso per le donne in quanto lo sviluppo femminile non risulterebbe adeguato agli
standard della moralità. Nel suo testo più famoso, In a Different Voice, vuole mostrare
l’esistenza di una voce diversa femminile, che è altrettanto matura di quella maschile, ma
che utilizza un tipo di moralità differente. Lei afferma che esistono due visioni del mondo
irriducibili: una maschile e una femminile, il che significa che tanto lo sviluppo
psicologico, quanto la morale, con i suoi risvolti politici, sono diversi negli uomini e nelle
donne. Secondo Gilligan vi è un’attitudine femminile particolarmente positiva della donna:
la definizione di sé a partire dalle proprie relazioni interpersonali. Tale virtù femminile trae
la sua origine dal “posto della donna nel ciclo della vita dell’uomo”: nutrice, governante,
collaboratrice, dispensatrice di cure e tessitrice di una rete di rapporti. Quindi se reputa
positive le caratteristiche femminili che si sono sviluppate in relazione alla sua funzione
nel ciclo della vita dell’uomo, è chiaro che la donna, per Gilligan, trae beneficio dal posto
assegnatole in questo ciclo. Non troveremo nella sua opera, infatti, alcuna critica alla
divisione sessuale del lavoro, al predominio degli uomini nelle sfere decisionali, al numero
esiguo di donne nei lavori più remunerati e con status elevati.
1.6 La questione del soggetto e dell’identità
Per il periodo che va dalla metà degli anni ottanta a oggi è molto difficile parlare di
femminismo al singolare visto il nascere e il consolidarsi di teorie assai differenti tra loro
che il più delle volte non dialogano e spesso muovono accuse e controaccuse, a fronte di
attacchi espliciti alle conquiste e alle idee delle donne da parte dei governi. Attacchi che
verranno documentati, nel 1992, da un importante volume di Susan Faludi dal titolo Il
contrattacco. La guerra non dichiarata contro le donne, e che vedranno in primo piano,
10
talvolta, alcune autrici dichiaratamente antifemministe con libri di grande successo come
Camille Paglia con Persone Sessuali.
In questo quadro avviene la “accademizzazione” del pensiero femminista, il quale si
configura gradualmente come attività di ricerca e di riflessione non collegata a un
movimento di donne politicamente organizzato, come era stato negli anni settanta.
Le pensatrici saranno quasi tutte docenti universitarie, impegnate quasi esclusivamente in
un lavoro di ricerca accademico. Il loro lavoro teorico risponde a esigenze molto diverse
dal femminismo dei precedenti venti anni. Loro non devono preparare gli strumenti teorici
per una lotta politica organizzata ma cercano di chiarire questioni filosofiche di fondo su
concetti quali “identità”, “soggettività” o “sessualità”.
Il testo che forse meglio testimonia questo cambiamento di clima teorico è il saggio Un
manifesto per cyborg pubblicato nel 1985 da Donna Haraway, studiosa di biotecnologie,
che vivendo nell’area più informatizzata del mondo ( la Silicon Valley in California) vede
il presente e il futuro caratterizzati dalla crescente presenza dell’informatica, che sta
trasformando tutti gli esseri umani in Cyborg cioè in esseri metà umani e metà macchine.
Muovendo da questa premessa la Haraway afferma che è impossibile oggi definire la
donna come “identità”, è meglio sostituire questo concetto con quello di “affinità”.
“La donna è stata ‘costruita’ come oggetto del desiderio maschile, non come identità
autonoma, e quindi se si rifiuta quella costruzione maschile, la donna non c’è.”
8
8
D. Haraway, Un manifesto per cyborg. Scienza, tecnologia e femminismo socialista nel tardo ventesimo
secolo, in Id., Manifesto Cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, a cura di L. Borghi,
introduzione di R. Braidotti, Feltrinelli, Milano, 1995, p. 40.
11
Capitolo 2
Differenza di genere ed etica della cura
2.1 Sesso e genere: il dibattito
La complessità della realtà sociale, l’alto grado di differenziazione e di scelta per il
soggetto creano nuovi problemi per la definizione e la costruzione dell’identità personale e
sociale.
Ci si è chiesto, e si continua a farlo, se la nostra identità, compresa ovviamente l’identità di
genere, dipenda da come nasciamo, da come ci educano, o da quello che desideriamo di
essere. Siamo uomini o donne perché nasciamo con determinate caratteristiche piuttosto
che altre? O siamo uomini o donne perché “diventiamo” l’uno o l’altro nel corso della vita,
sulla base di educazione ricevuta e scelte fatte?
Si può tentare di rispondere, analizzando ciò che porta allo sviluppo dell’identità personale,
ma se si vuole ottenere un risultato accettabile lo sforzo deve essere profuso secondo verità
e non secondo arbitrio.
La teoria del gender, o meglio, l’ideologia gender, (vedremo in seguito il perché di questa
precisazione) sorta a seguito di eventi e di ragioni di varia natura, ha provato ad essere
d’aiuto nell’ottenimento delle risposte alle domande sull’identità, ma si è dovuto convenire
che ciò che suggeriva fosse pura e semplice utopia. La sua proposta ossia la totale
equiparazione tra uomo a donna al punto di annullare la realtà biologica della differenza
sessuale, basata sull’accettazione che l’essere umano fosse solo ciò che “diventa” è stata
dichiarata da più parti inaccettabile, in quanto ignorava volutamente e anzi incitava a
sovvertire l’ordine naturale delle cose, facendosi promotrice dell’idea che la naturalità sia
irrilevante. Una vera e propria sfida antropologica al fondamento culturale di tutte le
società umane.
Ci si è ritrovati pertanto a considerare l’ideologia gender come una delle tante derive che
aveva preso il concetto di uguaglianza, in quanto faceva leva sull’inesistenza di differenze
reali nel genere umano, arrivando ad un esito estremo del pensiero decostruzionista, la
negazione dell’esistenza della natura stessa. Ideologia estremamente infondata quindi e a
tratti pericolosa.
12
Analizzando la parola genere notiamo come essa abbia diversi significati: a livello
grammaticale indica in italiano la distinzione tra maschile e femminile (in altre lingue,
esiste anche il genere “neutro); a livello concettuale indica una categoria che ingloba
cose/persone con caratteristiche rilevanti simili (e caratteristiche meno rilevanti dissimili),
come ad es. il genere umano. Ma vi è anche un terzo significato di genere, che si può
cogliere solo richiamandosi all’originale significato nella lingua inglese, in
contrapposizione a sex. La dicotomia sesso/genere si inscrive nella più ampia
contrapposizione fra natura e cultura, fra ciò che “è” e ciò che “diventa”: il termine sesso,
ossia la natura, fa riferimento alla condizione biologica, fisica, dell’essere uomo o donna
(caratteristiche fisiche interne ed esterne: cromosomi, caratteri sessuali, apparato
riproduttivo); il termine genere, dunque la cultura, fa invece riferimento alla condizione
meta-biologica
9
, ai caratteri di mascolinità e femminilità che si acquisiscono a dispetto
della natura; sessualità, ossia dato naturale da riconoscere, contrapposta al genere, cioè
categoria convenzionale da attribuire. Il pensiero gender, i gender studies prendono le
mosse nelle riflessioni sulla costruzione dell’identità, affermando come il sesso che siamo
può non coincidere con il genere che possiamo diventare.
La categoria genere è stata oggetto di studi, di dibattiti, di teorizzazioni, che l’hanno
definita in modi diversi: dapprima come rappresentazione psicologica, ossia una
manifestazione di comportamenti derivati dall’introiezione dell’educazione ricevuta;
successivamente il genere è stato descritto come una costruzione storico-sociale e
antropologico-culturale, per arrivare infine alla teoria secondo cui il genere è
assolutamente il prodotto esclusivo della volontà dell’individuo.
“Se la differenza sessuale è un’evidenza anatomica difficile da negare, più complessa è la
questione della rappresentazione di questa differenza, ossia l’immagine sociale che se ne
dà, come proiezione di sentimenti e fonte di comportamenti.”
10
Carmelo Vigna ci dice che: “la differenza sessuale si può e si deve certamente distinguere
dal differire del gender, ossia dalla maniera in cui un essere umano vive e coltiva la propria
identità di genere. Qui si passa dalla natura alla cultura, e si sa che la cultura ‘impiega’ la
9
L. Palazzani, Ideologia gender: presupposti filosofici e implicazioni giuridiche, in “Iustitia”, n.2, Aprile-
Giugno, 2011.
10
M. T. Russo, Il corpo incorporeo della cultura attuale. Una lettura antropologica, in Etica del corpo tra
medicina e estetica. Rubettino, Soveria Mannelli, 2008, p. 26.
13
‘natura’ a partire dalla libertà e dunque, mentre la ‘impiega’ anche la ‘piega’ fino a mutarla
di significato.”
11
Natura vs cultura, scontro che vede prevalere quest’ultima nella visione che le gender
theories danno di questa dicotomia. “La differenza uomo/donna, lungi dall’essere un dato
naturale – così esse affermano – assume un significato storico e socio-culturale: mentre il
sesso indica una immutabilità costante nel tempo e nello spazio, il genere è l’insieme di
quelle caratteristiche, di quei comportamenti sorti come esigenza della vita sociale, sempre
più esposta alla fluidità e al cambiamento della propria identità, a cui deve partecipare
l’avventura del genere, cifra emblematica dell’autodeterminazione individuale, a
prescindere dal dato naturale della propria sessualità.”
12
Le gender theories affermano
quindi che sia da considerare prioritaria la cultura sulla natura, che l’identità di genere
abbia una rilevanza maggiore dell’identità sessuale, cioè naturale; il genere è visto da
queste teorie il mezzo con cui affrancarsi dal “destino biologico”, dai limiti e confini
imposti dalle caratteristiche sessuali.
Alcuni femminismi leggono, di conseguenza, nelle gender theories la conferma a quello
che si sospettava fosse la causa del sistema patriarcale, il motivo per cui le donne si
trovano in una condizione di assoggettamento rispetto agli uomini, ossia i limiti imposti dal
sesso. Questi infatti sono visti come qualcosa di dannoso, come ciò che fissa ruoli sociali
dai quali non ci si riesce a svincolare e che relegano la donna in una condizione di
subordinazione, con il matrimonio come istituzione che esplicita la gerarchizzazione
sessuale e la maternità che viene vista come la fonte dell’oppressione femminile, ciò che la
rende fragile, vulnerabile e bisognosa addirittura del dominio maschile.
Il “femminismo di genere” svaluta la differenza sessuale ritenendola una condizione da
eliminare, da combattere, in vista dell’affrancamento della donna dalla supremazia
11
C. Vigna, Sul maschio e sulla femmina umani. Contro la liquefazione del gender:alcune costanti, in Di un
altro genere: etica al femminile, a cura di C. Vigna e P. Ricci Sindoni, Torino, Vita e Pensiero, 2008, p. 65.
In questo suo saggio Vigna reca una serie di argomenti a sostegno dell’impossibilità che maschio e femmina
possano essere ricondotti a fenomeno solo culturali. Il gender è indubbiamente un’elaborazione della cultura
umana, la quale tuttavia costituisce le cifre simboliche del maschile e del femminile sul fondamento di una
differenza sessuale, almeno per certi lati, irriducibile. (cfr. introduzione op. cit., IX).
12
P. Ricci Sindoni, Fra natura e cultura. Note antropologiche ed etiche sulla differenza fra i due sessi, in Di
un altro genere: etica al femminile,cit., p. 40.
14
maschile. L’ipotesi del “costruzionismo sociale”
13
“si fonda sull’idea che l’unico processo
responsabile dell’esistenza dei due generi è la costruzione sociale e che non c’è un prius
biologico di cui rendere conto”
14
Il gender dunque, considerato come costruzione sociale,
può essere de-costruito e ri-costruito, nell’intento di raggiungere un’adeguata soluzione dei
problemi sottesi alla differenza di genere: è necessario destrutturare i processi simbolici,
culturali o linguistici che definiscono il maschile e il femminile. Per questa linea di
pensiero “il termine genere rimanda al ‘rivestimento’ che la società assegna ai due sessi
diversi e che deve essere decostruito per liberare le donne dal discorso sociale loro
attribuito.”
15
In altre parole dunque, la differenza prodotta dalla storia fra i ruoli dell’uomo
(superiore, dominatore) e della donna (inferiore, dominata) è una differenza relativa al
“genere” (ai rapporti sociali, alla “cultura”) e non al “sesso” (alla “natura”). È quindi la
differenza di genere, non di sesso, che le donne devono combattere in vista di una sua
eliminazione, in vista di una società che superi la differenza sessuale e liberi la donna
dall’oppressione patriarcale.
“Teorizzando che il genere è una costruzione radicalmente indipendente dal sesso, il
genere stesso viene ad essere un artificio libero da vincoli; di conseguenza, uomo e
maschile potranno essere riferiti sia ad un corpo maschile che femminile; donna e
femminile, sia ad un corpo femminile che maschile”
16
. La teoria del gender, “cancellando
le differenze, cancella anche la complementarietà fra gli esseri umani. È la differenza che
rende l’uno bisognoso dell’altro e crea le condizioni per alleanze e collaborazioni: se tutti
siamo uguali, nessuno ha bisogno dell’altro.”
17
I legami, che in questa visione sono ritenuti
opprimenti, sono oggetto di rifiuto in favore di una libertà individuale che mette a
repentaglio gli affetti e la famiglia; non è un caso se in queste teorie confluiscono tanto
l’ideologia neomarxista dell’abolizione di differenze di classe quanto il neoliberismo
radicale.
18
13
Il femminismo in questa linea ritiene che siano le azioni e inter-azioni a costruire i significati.
14
S. Piccone Stella, C. Saraceno, a cura di, La costruzione sociale del maschile e del femminile, Il Mulino,
Bologna, 1996, p. 16.
15
G. Rossi, Donna, famiglia e lavoro, in Di un altro genere: etica al femminile, cit., p. 124
16
J. Butler, Scambi di genere. Identità, sesso e desiderio, Sansoni, Firenze, 2004, p. 6.
17
L. Scaraffia, Quale futuro per il pensiero femminile, in Di un altro genere: etica al femminile, cit., p. 229.
18
M. T. Russo, M. T. Russo, Il corpo incorporeo della cultura attuale. Una lettura antropologica, cit. , p. 32
15
2.2 Femminismi e differenza sessuale
Come detto sono solo alcuni femminismi che si appoggiano alle gender theories come
baluardo della lotta all’ineguaglianza fra uomo e donna. Infatti è proprio dal femminismo
che arriva una netta critica alla teoria del gender, accusata di perpetuare la dicotomia
cultura/natura: “che la natura, da un lato e la cultura, dall’altro, siano rette dall’autonomia
delle loro logiche interne, non significa non dover cogliere i loro punti di confluenza, che
ne evidenzino i reciproci snodi, neutralizzando quei processi inquietanti di omologazione e
di insana confusione.”
19
La teoria gender è stata fatta oggetto di molte critiche, e sotto diversi punti di vista: è stata
ritenuta “un’ideologia a sfondo utopistico basata sull’idea, già propria delle ideologie
socio-comuniste, e fallita miseramente, che l’uguaglianza costituisca la via maestra verso
la realizzazione della felicità. Negare che l’umanità è divisa fra maschi e femmine è
sembrato un modo per garantire la più totale e assoluta uguaglianza – e quindi possibilità
di felicità – a tutti gli esseri umani.”
20
Niente di più sbagliato. Già nell’antica Grecia si
affermava il bisogno di identità definite: “senza confini cadono tutte le distinzioni capaci di
trasformare il caos in cosmo e cadono le certezze che ci assicurano …”
21
. Il vero ostacolo
della gender theory, così allettante per la possibilità che sembrava offrire di liberare la
donna dal suo ruolo oppresso, non è stato compreso in prima istanza: non si trattava di una
teoria scientifica, come invece era stato sostenuto dal medico americano Money
22
, ma
19
P. Ricci Sindoni, Fra natura e cultura. Note antropologiche ed etiche fra i due sessi, in Di un altro
genere: etica al femminile, cit., p. 46.
20
L. Scaraffia, contributo al forum Quale futuro per il pensiero femminile, in Di un altro genere: etica al
femminile, cit., p. 225.
21
P. Berrettoni, Il maschio al bivio, Bollati Boringhieri, Torino 2007.
22
Nel 1972 il dott. Money della John Hopkins University sostenne di aver ottenuto la prova scientifica che il
genere era una costruzione sociale, e che non aveva nessun fondamento biologico. A sostegno della sua teoria
portava dati ottenuti dall’osservazione di neonati con malformazioni agli organi genitali, che venivano
operati e cresciuti come bambine. Emblematico il caso di due gemelli, in cui uno dei due piccoli viene
trasformato chirurgicamente, a causa di una patologia, in una bambina, e cresciuto come tale, educato dai
genitori a sentirsi femmina. A dispetto dell’impegno profuso dai genitori e dai medici, il processo di
femminilizzazione è rifiutato categoricamente dal bambino, che una volta cresciuto, sposato, e padre adottivo
di tre bambini, si toglie la vita. Il dott. Money diede dunque alle stampe uno studio dove veniva consigliato di
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semplicemente ci si trovava di fronte ad una ideologia. Gli esseri umani, ci dice Vigna,
reagiscono alla datità naturale, decidono della propria umanità e della maniera di viverla. Il
prodotto delle decisioni è “un essere umano che è maschio o femmina in un modo
determinato. Questo modo determinato si può ben dire che è un prodotto culturale, ma non
aggiungerei che il gender è modificabile a piacere, che si può considerare liquefatto …
L’esser sessuati è infatti ben altro che indossare un vestito.”
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La differenza sessuale è un dato imprescindibile, e fermamente provato a livello scientifico
dall’endocrinologia, dalla genetica, e dalla neurologia, per citare solo alcune discipline.
Perfino a livello filosofico è importante mostrare che la diversità sessuale esiste, è legata al
dato naturale ma non in via esclusiva, ed è costitutiva dell’identità umana. L’affermazione
della diversità sessuale non significa disuguaglianza, né nel senso di subordinazione della
donna nei confronti dell’uomo né nel caso opposto; la diversità sessuale è assolutamente
compatibile con l’uguaglianza, intesa come riconoscimento di pari diritti e dignità. “La
dualità oppositiva sessuale (essere uomo o donna, maschio o femmina), è la condizione di
pensabilità e possibilità dell’identità. Essa è possibile nella differenza: un individuo è
quello che è (in senso positivo) in quanto è distinto da ciò che non è (in senso negativo).
L’identità presuppone la differenza. Se non ci fosse la differenza, non ci sarebbe
l’identità.”
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“Il valore della differenza sta nel costituire dall’interno l’identità di ogni essere umano,
uomo o donna. La differenza sessuale è vista come liberatoria, non più devianza che
esclude ma specificità, variazione, eterogeneità, relazioni di somiglianza e
dissomiglianza.”
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La questione della differenza sessuale (che cosa significhi essere uomini o donne, che cosa
comporti che vi siano uomini e donne) è divenuta una realtà dell’esperienza. Ciò che oggi
porta un uomo o una donna a rimediare ad antichi pensieri sulla differenza sessuale è un
“dono” del femminismo, e anche su questo termine non sono mancate delle dispute.
non insistere su esperimenti del genere, ma piuttosto di aiutare il bambino ad accettare l’eventuale
malformazione, pena il benessere personale.
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C. Vigna, Sul maschio e sulla femmina umani. Contro la liquefazione del gender: alcune costanti, in Di un
altro genere: etica al femminile, cit., p. 66.
24
L. Palazzani, Ideologia gender. Presupposti filosofici ed implicazioni politiche,cit.
25
Diotima, Oltre l’uguaglianza. Le radici dell’autorità femminile, Liguori, Napoli, 1995.
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Tamar Pitch utilizza la locuzione “pensiero femminista”, con un’accezione minimale che
però inscrive la differenza sessuale in modo più libero e vero, sovvertendo potenzialmente
a tutti i livelli il precedente inquadramento della differenza tra essere donna ed esser uomo.
Se la questione filosofica della differenza sessuale s’impone a noi tutti grazie alla presa di
parola compiuta dalle donne per trovare e inventare la loro libertà, allora nel dedicarci a
quella questione non possiamo dimenticare lo squilibrio che nel campo dei pensieri è
portato dal dominio maschile cui quella presa di parola ha risposto e continua a rispondere.
È stato affermato che l’attuale crisi del sistema patriarcale e il femminismo sono le
condizioni di emergenza della questione della differenza sessuale come questione di primo
piano da un punto di vista storico-sociale. Tale differenza sessuale si presenta come il
compito per gli uomini e le donne di dare significato alle loro esperienze.
L’elaborazione dell’esperienza appartiene sempre al soggetto di quell’esperienza; è molto
importante ricordare che la soggettività (l’agire e il pensare libero) non è solo un’apertura
esperienziale, uno sguardo sul mondo, ma è anche libertà esercitata sia da uomini che da
donne ed è attraversata dalla differenza sessuale.
“Nella capacità che la propria differenza sessuale ha d’innescare, risvegliare, dare nuovo
impulso al proprio pensare sta la fondamentalità della differenza sessuale, la ragione più
importante per dire che l’essere donna e l’essere uomo sono determinazioni
fondamentali.”
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Essere uomo o donna ha davvero una priorità o fondamentalità sulle altre determinazioni
che possono caratterizzare qualcuna o qualcuno nel suo rapportarsi al mondo e agli altri?
Tra le determinazioni che caratterizzano qualcosa, sono “fondamentali”, in una diffusa
accezione del termine, quelle che a quel qualcosa appartengono necessariamente o
addirittura essenzialmente.
Dato un essere umano, la sua determinazione sessuale (cioè l’essere uomo o donna) non è
una caratteristica contingente: “La determinazione sessuale è “fondamentale” nel senso che
non è contingente. L’essere necessaria di una determinazione umana non fa sì che essa
abbia già un senso per colui o colei che ne è caratterizzato; il compito di riappropriarsene,
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R. Fanciullacci, S. Zanardo, Donne, Uomini – Il significare della differenza, Vita e Pensiero, Milano,
2010, p. 21.