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Quando si parla di mafia viene subito in mente questo termine, così
come quello di famiglia, sono concetti immateriali ma che, in questo contesto
vengono a configurare manifestazioni di volontà radicali nei confronti di
persone coinvolte a vario titolo, che si allontanano da certe “regole”
comportamentali e morali.
Queste persone possono essere componenti (femminili) della famiglia
di un mafioso, o possono essere i membri di quella famiglia che, considerata
astrattamente sarebbe la ‘ndrangheta.
La prima parte si sofferma in generale sulla geopolitica della mafia, e la
sua modalità di espansione, inquadrando il fenomeno poi, in un contesto
particolare, la Calabria, prestando attenzione alla percezione che hanno i
giovani della mafia del suo territorio, la ‘ndrangheta. Questa vorrebbe
presentarsi, munita di un sostegno ideologico, caratterizzato da un delirante e
paranoico paragone di carattere strutturale fra famiglia come istituzione
domestica e organizzazione mafiosa.
L’importanza attribuita al nucleo familiare, come nucleo particolare, fa
si che venga creata un’immagine speculare che viene prontamente trasposta e
estesa alla struttura di un fenomeno generale presente nella società, la mafia
appunto, che si caratterizza per modalità che non hanno niente a che fare
con la famiglia, anche se da essa ha mutuato un’immagine da spendere
all’esterno.
Si è cercato di capire se il motivo che rende possibile l’esistenza della
stessa risiede nella società, e se uno dei comportamenti che la alimenta è
cosiddetto di familismo amorale, cioè quell’ethos che caratterizzerebbe le
regioni meridionali e rende ragione della particolare importanza attribuita alla
famiglia.
Il familismo, non è un concetto estendibile erga omnes agli abitanti del
sud, ma la sua reale e vivace esistenza è individuabile e riconoscibile
all’interno del modus operandi della ‘ndrangheta.
Lo stesso fa si che si tramandino di generazione in generazione
mentalità che subordinano tutto in nome di un’immagine fittizia della
famiglia.
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La seconda parte è dedicata interamente alla illustrazione di questo caso
significativo, frutto di mentalità e convinzioni sedimentate, promosse da
quelle succursali dell’inferno che divorano dall’interno ogni possibile
cambiamento, quel tessuto tumorale di natura criminale al cui centro ruotano i
cari concetti di famiglia e onore.
PARTE PRIMA
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CAPITOLO I
In tale condizione non è possibile alcuna industria,
perché il suo frutto è incerto, è quindi non c’è
agricoltura, né navigazione, né calcolo, della
superficie terrestre, né calcolo del tempo, né arti, né
lettere, né società, e, quel che è peggio, dominano la
continua paura e il pericolo di una morte violenta, e
la vita dell’uomo è corta, solitaria, povera, sordida
e bestiale.
T. Hobbes
La geopolitica della mafia
In Calabria la mafia è diffusa attorno all’Aspromonte, facile rifugio, in
ogni tempo, per coloro che nelle sue pieghe, nei suoi anfratti, nei suoi boschi,
fuggono la vendetta privata o la legge dello Stato.
Dal reggino, man mano essa si estende a occidente lungo la fascia
costiera del vibonese; e ad oriente, con più o meno densità, arriva ad includere
il crotonese. Non è però da pensare ad un netto confino, bensì ad una
sfumatura, perché la mafia si infiltra anche nella fascia interna meridionale. La
geografia economica indica le zone di maggior densità mafiosa (di cui fanno
parte la piana – ‘a chiana – compresa fra Rosarno, Gioia Tauro e Palmi;
l’altopiano del Poro e il marchesato di Crotone) fra quelle di massima
produzione agricola; e la storia, dal canto suo, ricorda appunto che qui pesò,
dal medioevo in poi, la potenza dei baroni. Ritroviamo, dunque, gli elementi
che determinarono il nascere della mafia in Sicilia: latifondo e feudo da un
lato, miseria dei contadini dall’altro.
Ma mentre in Sicilia la mafia ha sempre goduto dell’attenzione della
pubblicistica, in Calabria nessuno ha mai cercato di documentare le occasioni
del nascere e del progredire del fenomeno godendo dell’ombra proiettata dalla
consorella, di cui è stata da sempre considerata un sottoprodotto.
A tutto questo va aggiunto il malinteso senso “dell’onore regionale” che
ha indotto la classe intellettuale locale a negare l’esistenza di una malavita
organizzata, considerandolo fenomeno di pericolosità relativa, limitata alle
campagne e ai borghi rurali, di zone note alle autorità di pubblica sicurezza e
7
su cui è stata chiamata a giudicare una magistratura troppo frettolosa e
compiacente, per non accennare ai recentissimi fatti di cronaca relativi agli
arresti di alcuni magistrati per connistioni con la malavita organizzata
1
.
L’interesse pubblico è stato rivolto tutto o quasi al “colore” che alla
‘ndrina (diminutivo di malandrina: nel gergo mafioso è sinonimo di astuzia, di
intelligenza volpina; significa saperci fare rischiando di persona,
coraggiosamente. Un malandrino non si vergognerà mai, all’occasione di
autodefinirsi, come un professionista non si vergognerebbe di essere chiamato
come tale) deriva dall’esoterico cerimoniale che apre e chiude le riunioni e di
cui non si aveva la più pallida idea della reale esistenza di questa fantomatica
“società” in cui la parola “onore” era la più ricorrente. Accendeva
l’immaginazione il racconto di misteriose riunioni notturne nei boschi o nelle
vigne o accanto alle fiumare, di battesimi di sangue.
Oggi ci si accorge che la vecchia ‘ndranghitina, in tanti anni di
pubblico disinteresse, ha potuto tranquillamente mutare pelle e, pur non
abbandonando la campagna, si è mossa alla conquista della città.
Quando si iniziò a parlare di ndrangheta, termine oltretutto in uso da
qualche decennio, non ci si accordava neanche sulla definizione
terminologica, e di volta in volta fu chiamata mammasantissima, camorra,
maffia, onorata società, picciotteria, Famiglia Montalbano, fino all’attuale
ndrangheta. Forse, sarebbe più corretto, “dal punto di vista etimologico, dire
‘ndranghita, termine di chiara origine grecanica derivato da andragathos che
indicava proprio l’uomo coraggioso e valoroso”
2
.
Inizialmente, a questo fenomeno fu attribuito un valore positivo, e
traspariva nella misera popolazione un chiaro sentimento di rispetto e
ammirazione per l’onorata società, nonché per l’uomo d’onore.
Successivamente il termine assunse connotazioni peggiorative e non è difficile
comprendere il perchè.
1
Mi riferisco alla notizia diffusasi in questi giorni, di un magistrato, Patrizia Pasquin, presidente della
sezione civile del Tribunale di Vibo Valentia, salita anni fa alla ribalta delle cronache per aver seguito
le indagini sull’omicidio del piccolo Nicholas Green, il bambino assassinato nel ‘94 in una rapina
sull’autostrada, che è stata accusata di corruzione in atti giudiziari, falso e truffa aggravata ai danni
dello Stato, in favore del clan ndranghetista dei Mancuso.
2
CICONTE E., ‘Ndrangheta dall’unità ad oggi, Gius. Laterza & figli, Roma, 1992, p 20.
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La crescente capacità della ‘ndrangheta di infiltrarsi nel processo
produttivo in modo sistematico, speculando sulla produzione olearia e,
assorbendo gran parte del prezzo d’integrazione. Ma la ‘ndrangheta riesce
anche a trarre profitto ai danni di produttori e consumatori, a causa dei prezzi
imposti su frutta e ortaggi, di cui controlla la distribuzione attraverso gli
intercettatori sui posti di produzione.
L’onorata società calabrese da agricola poi, si è trasformata in edilizia,
occasione offertagli dagli appalti per i lavori di costruzione dell’autostrada del
Sole, e in questi ultimi decenni della Salerno-Reggio Calabria.
Dal mito del “rispetto” si è passati quindi all’estorsione razionalizzata,
la “mazzetta” sul non sudato guadagno, presentata sotto forma di protezione
che deve essere pagata, come se si fosse in uno stato di guerra.
Appare tautologico, in questa sede, ripetere la consueta analisi sulla
morfologia e la struttura dell’associazione criminale di tipo mafioso, quasi che
essa facesse ex abrupto la sua comparsa. Esiste in proposito una tale dovizia di
elaborazioni sociologiche e giurisprudenziali (di merito e di legittimità), da
rendere sufficiente il generico richiamo al noto e alle più nette riforme (416
bis c.p.), di cui tracimano gli infiniti incartamenti processuali, confermati
anche dalla cronaca quotidiana.
Un cambiamento però c’è stato, l’organizzazione ‘ndranghetista è
attualmente sottoposta, motu proprio, a un processo “evolutivo di tipo
piramidale” con l’esistenza di un organismo collegiale egemone sui locali di
‘ndrangheta ricadenti nelle diverse zone, e proteso a costituirsi in una
“dimensione regionale”.
Questo mutamento, non consiste in un elegante esercitazione dialettica,
ma tratteggia, in maniera incisiva, un’allarmante realtà mafiosa in fieri,
presumibilmente dovuta alla necessità di un maggiore accentramento, in vista
del raggiungimento di obiettivi tipici dell’associazione mafiosa: in primis
quello di garantire la sopravvivenza e la prosperità dell’<istituzione > stessa.
Probabilmente la propensione al cambiamento è in parte da imputare
alla spontanea, quanto naturale tendenza al confronto fra le cosche della
provincia di Reggio e in parte all’incapacità dei sistemi di controllo formali
che quotidianamente non vedono quel che accade, perché, in fondo sono
9
uomini “comuni”, che rappresentano uno Stato che in Calabria ha ammainato
“bandiera bianca”.
In Calabria ci sono due forme di Stato: quello nominale e quello
mafioso, e non è onesto affermare che sono sempre in lotta tra loro.
C’è un terreno comune tra mafia e Stato e questo è rappresentato
dall’arma Politica. Sicuramente lo Stato è debole, ma alcuni luoghi della
Politica lo sono di più.
C’è da dire che la collusione tra mafia e politica non è una novità, è
sempre stato un continuo groviglio di compromessi tra “pezzi da 90 e classe
dominante”
3
.
Fatti ed eventi recenti hanno reso evidente il carattere risibile sfatando
alcuni miti.
Oggi ad esempio non è più possibile considerare tangentopoli come un
<<attacco allo Stato>> in quanto si è mostrato ampiamente che “parti di e
talora tutte tali organizzazioni criminali attraversano completamente strutture,
uomini e istituzioni, che in teoria dovevano infatti costituire lo Stato, questa
sorta di vuoto contenitore così facilmente riempibile d’ideologia.”
4
. Così i
fatti che dimostrarono in primis la dissoluzione dello Stato sovietico hanno
messo in luce l’enorme equivoco che quello Stato fosse un ente a parte rispetto
alla società. La struttura ideologica Stato vive e muore in perfetta simbiosi con
una certa specificità culturale, una certa tradizione politica – specificità
culturale e tradizione politica che, sia ben chiaro, in certe condizioni storiche
possono giocare un ruolo estremamente importante nel dare forma e ordine
alla società.”
5
.
Le lotte politiche, sia a livello comunale che a livello provinciale,
regionale e nazionale, hanno visto in Calabria, come in Sicilia, in prima fila la
mafia, mobilitata per far convergere verso il partito che andrà al governo, i
voti dei grandi elettori.
3
GAMBINO S., La mafia in Calabria, Battaglie di libertà. A cura di Giuseppe Reale, Edizioni
Parallelo 38, 1975, p. 53.
4
MELOSSI D., Lezioni di sociologia del controllo sociale, Mulino, Bologna, 1996, p. 15.
5
MELOSSI D:, Op. cit. , p. 16.