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stessa non emerge il contenuto e il significato attribuitole dal
sistema giuridico odierno, e ciò permette di accostarla a tutte le
concezioni di famiglia che si sono succedute nel caso della storia.
Numerose, infatti sono state le cause e i cambiamenti, di diversa
natura, che hanno influito sulla struttura e regolamentazione dell’
istituto in questione .
Essa, infatti rappresentando la cellula germinale della società, non
poteva non risentire dei valori fondamentali e delle componenti
culturali, economiche e sociali che hanno caratterizzato le varie
epoche storiche.
Risulta necessaria, prima di entrare nel merito della nostra analisi,
ripercorrere le varie tappe fondamentali che hanno portato all’odierno
concetto di famiglia.
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2. La famiglia italiana prima della codificazione napoleonica.
La storia del moderno diritto di famiglia italiano prende le mosse
dell’emanazione nel 1804 del Codice Civile di Napoleone, che per
qualche anno è stato interamente applicato sul nostro territorio,
andando a sovrapporsi a un complesso di norme diverse ed
eterogenee, che per secoli avevano regolato l’istituto della famiglia.
Da queste, ultime emerge una concessione di famiglia a struttura
patriarcale, detta anche “grande famiglia”. Essa è fondamentalmente
caratterizzata dal domino della autorità del capofamiglia sulla moglie,
figli e nipoti. La moglie infatti deve assecondare la volontà del marito
e non può compiere alcun atto di vita civile senza il consenso di
quest’ultimo, o del padre se non ha ancora contratto il matrimonio.
La patria potestà è esercitata sui figli fino alla morte del capofamiglia.
Nei confronti dei figli maschi non viene meno né con il
raggiungimento della maggiore età, né all’indomani del matrimonio,
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per il quale è indispensabile il consenso del padre. L’unico caso in cui
si verifica l’emancipazione del figlio è l’assunzione dei voti religiosi,
che causa, d’altra parte, la perdita di ogni diritto successorio. Riguardo
le figlie, queste subiscono una limitazione o in determinati casi
un’esclusione dai diritti successori, in quanto si cerca di garantire
l’intero patrimonio ereditario ai soli figli maschi, ricorrendo
all’istituto del fedecommesso o della primogenitura. Inoltre le figlie
sono, in caso di matrimonio, destinatarie di una dote, che, non
dovendo superare determinati limiti, rappresenta un contributo per il
mantenimento della nuova famiglia o se concessa dai fratelli con essa
si mira a far sì che la sorella rinunciasse alla successione.
Altra caratteristica della “grande famiglia” è la tendenza a
mantenere inalterato il patrimonio immobiliare della comunità
familiare, tendenza che si verifica in tutti gli strati sociali. Da ciò
emerge la rigida organizzazione interna dalla struttura della famiglia e
il suo ruolo conservatore dell’ordine sociale e politico, immagine
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questa che rispecchia il regime antidemocratico che non riconosce
alcun diritto ai suoi cittadini, scenario che sarà smantellato
dall’Illuminismo e dalle innovazioni del Codice napoleonico.
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3. Il Codice Napoleonico.
Il Codice Civile emanato da Napoleone nel 1804, segna nell’ambito
del diritto di famiglia una svolta importante; con esso, infatti, si
abbandona la concezione di famiglia che aveva dominato fino allora
lasciando il posto alla “famiglia legittima della società borghese”,
caratterizzata dallo spirito individualistico tipico della classe sociale
che si stava imponendo: la borghesia. Anche se la struttura
verticalistica non è abbandonata, cambiano le sue funzioni e finalità.
L’intero Codice risente delle nuove idee dell’Illuminismo e ciò
porta a considerare l’uomo e i suoi diritti al centro della società. Tra i
diritti notevole importanza è riservata a quello di proprietà, incentivato
e favorito in quanto alla base dei lavori mercantili della borghesia.
Viene cosi abbandonata la tendenza alla conservazione del patrimonio
immobiliare, che avrebbe ostacolato inevitabilmente le nuove
aspirazioni economiche; l’istituto del fedecommesso e della
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primogenitura; minor importanza è riservata alla dote; tra i coniugi si
adotta, salvo scelta contraria, il regime dei mobili e degli acquisti; i
figli, pur rimanendo da un punto di vista personale soggetti alla patria
potestà, sotto il profilo patrimoniale, anche se minori, diventano
capaci di acquistare e possedere in proprio, lasciando al padre, fino al
raggiungimento della maggiore età, l’usufrutto dei beni. Il padre
inoltre deve garantire un’educazione democratica e patriottica alla
prole, per assicurare l’ordine sociale che si fonda sulla dignità,
stabilità e unità della famiglia. Un eventuale non raggiungimento di
questi obiettivi autorizzava lo Stato a sostituirsi alla famiglia con una
disciplina inderogabile. Riguardo ai figli naturali, erano destinatari di
un trattamento fortemente diseguale rispetto ai legittimi, nella
prospettiva di dover tutelare e garantire la stabilità e la dignità della
famiglia legittima.
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La famiglia napoleonica anche se ancora verticalistica appare più
unita rispetto al passato e formata da soggetti titolari di diritti
autonomi.
Per la celebrazione del matrimonio erano previsti due riti: quello
religioso e quello civile, che doveva necessariamente precedere il
primo; il matrimonio non era più considerato come un patto naturale,
ma assume le vesti di un trattato pubblico, la cui dissoluzione era
possibile grazie al ricorso al divorzio.
Da quando riportato finora, emerge che la famiglia è tesa a
perseguire gli ideali democratici e borghesi, dall’altro si prevede in
caso d’insuccesso da parte della famiglia, l’intervento dello Stato al
suo interno per tutelare la struttura alla base della società.
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4. Il Codice italiano del 1865.
Al periodo Illuminista e alla Rivoluzione Francese, su decisione del
Congresso di Vienna si instaura, nella maggior parte dell’Europa, la
Restaurazione, che con riguardo al diritto di famiglia, fa registrare,
anche se con modalità diverse nei vari Stati, un ritorno alla situazione
normativa e sociale tipica dell’ancien régime. Vengono, infatti
reintrodotti il fedecommesso, la primogenitura,la dote, la patria
potestà ritorna ad essere illimitata ed esercitata fino alla morte del
capofamiglia e il matrimonio si spoglia dalle vesti di trattato pubblico,
riconfermandosi unicamente come atto religioso.
In questo clima, attraverso vari tentativi di riforme e brevi periodi
rivoluzionari (1848-49), in Italia prendono il via i lavori preparatori
all’emanazione del primo Codice Civile dopo l’unificazione, che si
concluderà nel 1865; primo esempio, questo, d’unificazione del diritto
per più stati. Durante questi, molta attenzione fu riservata allo studio
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della famiglia di stampo napoleonica, anche se è chiaro l’intreccio tra i
nuovi principi del Code del 1804 e il tradizionalistico dell’ancien
régime su quale si basa l’intera codificazione italiana.
La maggior parte degli istituti relativi alla famiglia è disciplinata nel
libro primo, dedicato alle persone, mentre le successioni e il contratto
di matrimonio nel terzo libro, tra i modi di acquisto della proprietà,
che come nella visione napoleonica assume una posizione cardine
all’interno della codificazione.
Alla famiglia è data un’impostazione laica fondata sul matrimonio
civile e rispondente al principio di separatismo tra Chiesa e Stato
elaborata da Cavour. E’ comunque riconosciuta al cittadino la
possibilità di celebrare, prima o dopo di quello civile, il rito religioso.
Il matrimonio ritorna ad essere indissolubile, infatti, nel codice non è
disciplinato il divorzio, inteso come elemento disgregante del nucleo
familiare e dello stato.
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La struttura della famiglia tuttavia rimane ancorata alla potestà del
capofamiglia; questa però non è più esercitata in modo illimitata, ma
nel rispetto delle leggi e dello Stato; cosi facendo l’autorità del padre
risulta essere uno strumento per far penetrare all’interno del nucleo
familiare l’ordine sociale deciso dal legislatore.
Il marito, inoltre, ha il compito di proteggere la moglie e tenerla con
sé; la donna assume il cognome dello sposo, è obbligata a seguirlo
dovunque egli ritenga opportuno fissare la residenza, non poteva
compiere atti giuridici di un certo livello se non con l’autorizzazione
del marito. Le donne, salvo le nonne e le sorelle nubili, non potevano
assumere le funzioni di tutore. In caso di morte del capofamiglia, la
potestà passava alla moglie, anche se il suo esercizio era affiancato da
un consiglio di famiglia, formato da ascendenti, fratelli, zii di sesso
maschile con funzioni consultive e autorizzatorie
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. Tra i coniugi, dal
punto di vista patrimoniale, si instaura un regime di separazione dei
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G. SALME’ “Evoluzione del diritto di famiglia e ruolo del giudice. Dalla disciplina dei Codici
alle norme della Costituzione”, tratto da www.ergaomnes.it.
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beni, ciononostante l’amministrazione è interamente affidata al
marito, sul quale non ricade alcun obbligo di rendiconto alla moglie,
salvo il caso in cui quest’ultima si opponeva alla gestione. L’adulterio
della donna è considerato reato e legittimo la richiesta di separazione,
quella dell’uomo per avere le stesse conseguenze, deve assumere le
caratteristiche di una relazione adulterina scandalosa.
Appare chiaramente la disuguaglianza che caratterizza il rapporto
coniugale, intesa, però, come strumento per tutelare l’unità della
famiglia.
Per quanto riguarda i figli, la patria potestà è esercitata fino al
raggiungimento della maggiore età, all’emancipazione e al
matrimonio, per il quale non è più richiesto il consenso del
capofamiglia se i figli sono già in età matura (18 anni per gli uomini,
15 per le donne). Pian piano poi si incomincia a riconoscere una certa
tutela verso i figli naturali, purché non adulteri e incestuosi.
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Dal Codice del 1865 emerge una famiglia diversa rispetto al
passato; il legislatore cerca infatti di eliminare i caratteri più aspri
dell’autorità paterna nell’intento di perseguire il rispetto della legge e
dei valori dello Stato.
Nel periodo immediatamente successivo, numerosi sono stati i
progetti di legge presentati, molti dei quali però con esito negativo,
con i quali si cercava di armonizzare al meglio la portata del nuovo
Codice con la reale situazione italiana di quel periodo. Uno dei più
importanti è stato indubbiamente il progetto di Scialoja del 1912,
diventato legge nel 1919 (n.1176). I cambiamenti da esse apportati
sono notevoli, quali l’abolizione dell’autorità maritale e la
concessione alle donne della possibilità di essere ammesse agli
impieghi pubblici, poiché durante la Prima Guerra Mondiale
importante fu il loro contributo alle attività produttive.
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5. Il Codice civile del 1942.
Il succedersi di due Guerre Mondiali e dell’avvento del regime
Fascista portarono numerosi cambiamenti sociali dovuti
indubbiamente ai nuovi valori e principi che in questo periodo
incominciano a diffondersi in Italia. Numerose sono le leggi emanate
che documentano tale evoluzione. Il nuovo regime per incrementare il
numero d’uomini da arruolare nelle Forze Armate introduce la tassa
sui celibi, istituisce privilegi di carriera ed esenzioni d’imposta per gli
ammogliati e per chi aveva una famiglia numerosa ed esclude
l’accesso ai pubblici impieghi per i non coniugati. Una legge del 1938
limita la possibilità d’accesso della donna agli impieghi pubblici, in
quanto il ruolo che le è affidato è principalmente quello della
procreazione.