1
CAPITOLO 1
Prima di cominciare
È necessario fare subito alcune precisazioni. Questo lavoro vuole essere una
analisi della famiglia italiana per come è rappresentata dalla pubblicità nella
particolare forma dello spot audiovisivo. Cercheremo di analizzare l’immagine
diffusa della famiglia e i ruoli ad essa attribuiti. Risulta chiaro, perciò, che non
interessano in questa sede le considerazioni di tipo sociologico o storico
sull’istituzione-famiglia in Italia. E non interessano in realtà neanche alcune
eccessive implicazioni teoriche nei rapporti tra semiotica e pubblicità.
Ciononostante, prima di cominciare ad analizzare gli spot e a fare considerazioni
di tipo semiotico, occorre dare uno sguardo generalizzato a questa famiglia
italiana.
Questo primo capitolo serve proprio a questo scopo. Si cercherà di fornire
alcuni spunti di riflessione e qualche linea di direzione per l’analisi successiva.
Considereremo inoltre alcuni interventi d’autore sul tema della famiglia italiana e
della famiglia in pubblicità.
1.1. LA FAMIGLIA ITALIANA OGGI
Alcuni interessanti spunti di riflessione sul corso evolutivo della famiglia in
Italia ci vengono forniti da Paul Ginsborg
1
. Nel corso del Ventesimo secolo, il
numero medio dei componenti il nucleo familiare ha registrato un costante
declino: da una media di 4.3 membri nel 1936 a 2.8 nel 1991. Nel 2001 è sceso
ulteriormente a 2.6. I tassi di fertilità totali tra le donne italiane sono stati tra i più
bassi del mondo, scendendo ad appena 1.19 figli per donna nel 1998:
La famiglia estesa, un tempo così comune nelle campagne dell’Italia Centrale, è
pressoché scomparsa e lo sono anche le frotte di cugini che un tempo erano parte
integrante dello scenario familiare italiano. Il numero di separazioni e divorzi […]
ha registrato un costante incremento. La modernità sembra aver funzionato bene nel
1
GINSBORG P., Percorsi storici e rappresentazione delle famiglie italiane in La Famiglia
nell’Arte, Roma, De Luca Editori d’Arte, 2002.
2
suo ruolo disgregatore e il trionfo dell’individualismo, che è poi la maggior lezione
impartita dal secolo, trova conferma anche in Italia.
Questo però è solo un lato della medaglia, quello che le statistiche consuete
impongono alla nostra attenzione. Ce n’è un altro, intimamente collegato al
tradizionalismo che ha caratterizzato il passaggio dell’Italia alla modernità. Le
famiglie italiane, benché di dimensioni molto ridotte rispetto al passato, hanno
mantenuto gran parte della coesione che le ha storicamente connotate. La loro
prossimità spaziale ed emotiva resta fonte costante di stupore per gli osservatori
settentrionali. Precisa Paul Ginsborg:
I dati ISTAT relativi al 1988/89 mostravano che il 50.3% dei figli coniugati con
madre ancora in vita vivono ancora nello stesso comune delle loro madri, il 15.2%
nella stessa abitazione o caseggiato materni, solo il 13.2% a più di 50 chilometri di
distanza. Sono dati straordinari rispetto alla maggior parte dell’Europa, per non
parlare delle società caratterizzate da ampi spazi e spostamenti, come l’Australia e
gli Stati Uniti.
Un altro indicatore di coesione, oggetto di frequenti commenti, è il tardivo
distacco dall’abitazione della famiglia dei figli adulti, soprattutto maschi. Spiega
ancora Ginsborg:
Alcune motivazioni […] sono ancora fondamentalmente collegate alla cultura
familiare. Le famiglie italiane hanno sicuramente modificato i rapporti
intrafamiliari, con l’indebolirsi del patriarcato […]. Il prolungarsi della presenza dei
figli all’interno della famiglia originaria è ben accetto da tutte le parti in causa. I
genitori non vogliono lasciarli andare e ai figli adulti è concessa una libertà sessuale
e di orari impensabile una generazione fa. […] Continuità, prossimità, tradizione
vengono così mantenute, bene o male che sia.
Altre interessanti indicazioni riguardo al cambiamento nei rapporti
intrafamiliari ci vengono fornite dai lavori della Aarhus Universitet
2
:
Come primo passo per analizzare la dialettica tra antico e moderno che si ritrova
nella società italiana degli ultimi 40 anni credo [F. Caviglia] che la categoria strict
father sia utile: non è un caso che la commedia all’italiana faccia del padre-padrone
un bersaglio che oggi ci sembra fin troppo facile […]. Forse più difficile è ritrovare
invece figure maschili e paterne come esempi della categoria complementare di
nurturant parent: segno probabilmente di una difficoltà di molti uomini italiani di
ridefinire il proprio ruolo.
In pratica, la strict father morality propone un modello di famiglia nucleare
tradizionale con il padre come capo e la madre che si occupa della casa e dei figli
2
CAVIGLIA F. (a cura di), Valori degli italiani: un percorso intorno alla famiglia,
(Pré)publications 177-178, Romansk Institut, Aarhus Universitet, 2000. Web
http://www.hum.au.dk/romansk/tidsskrift/
3
e appoggia l’autorità del marito. Invece la nurturant parent morality propone un
modello che concepisce la moralità come empatia, e non principalmente come
autorità. Riferendosi alla classica commedia italiana, Caviglia scrive:
Le differenze con la rappresentazione della famiglia in film di uno o due generazioni
fa (o in film contemporanei che raccontano gli anni Cinquanta e Sessanta) sono
clamorose. Eppure, dal confronto, l’importanza della famiglia d’origine nella vita
individuale dell’italiano medio non risulta diminuita, come forse ci si sarebbe potuti
aspettare negli anni Settanta, con il diffondersi di idee e stili di vita più
individualisti, simili a quelli nord-europei.
Caviglia segnala inoltre la funzione della famiglia come “centro di servizi”:
La funzione di centro di servizi materiali, affettivi e educativi ha così mantenuto
centrale il ruolo della famiglia negli stessi anni ’80 e ’90 nei quali, peraltro, gli stili
di consumo si sono sempre più indirizzati verso modelli individualistici: ma a queste
spinte la famiglia lunga italiana ha risposto rafforzando il proprio ruolo di centro di
consumi che, accentrando alcuni servizi (abitazione, cucina, lavanderia, …),
consente in particolare ai membri più giovani uno stile di vita materiale che
altrimenti non potrebbero permettersi. Ma tutto questo disincentiva, ovviamente,
l’autonomia dei giovani dalla famiglia d’origine.
1.2. FAMIGLIA E PUBBLICITÀ
Alberto Abruzzese
3
in un saggio contenuto nel catalogo della mostra La
Famiglia nell’Arte mostra perplessità nell’interpretare con sicurezza la dinamica
dei rapporti tra pubblicità e famiglia:
[…] credo che si debba pensare ai rapporti tra pubblicità e famiglia con più
attenzione e profondità, non considerandole l’una ai confini dell’altra, ma cercando
di verificare quanto e come l’una sia connaturata all’altra.
Emanuele Pirella, uno dei più famosi copywriter italiani, in un articolo
4
recentemente pubblicato su L’Espresso On-Line, condanna l’attuale ricorso a
stereotipi della famiglia anni ’50:
[…] La raccomandazione, da parte di un cliente, che il prodotto venga mostrato in
un consumo familiare può gettare nel lutto un intero reparto creativo. L'estetica
pubblicitaria, in una sua versione primitiva e corrente, richiede che tutto sia
orientato al positivo, all'assenza di dramma. Il consumatore deve riconoscersi negli
spot pubblicitari. Deve vedersi come in uno specchio. E deve piacersi. […]
Certo, la famiglia è cambiata da quando è nata la pubblicità italiana a oggi. È
cambiata, ma non per tutti. L'ideale, per i committenti, è che sia liscia liscia. Segni
particolari: nessuno.
3
ABRUZZESE A., La Famiglia in Vetrina in La Famiglia nell’Arte, cit.
4
PIRELLA E., Carosello in Famiglia. La società cambia ma la pubblicità continua a
proporre stereotipi anni ’50. Fra mamme felici e bimbi vispi., L’Espresso OnLine, Nov 2002.
4
Com’è dunque questa famiglia pubblicitaria secondo Pirella? Il papà è del
genere che appena a casa, saluta con un «ciao, cara». La moglie è la regina
dell'elettrodomestico, dai fornelli alla lavatrice. Però vestita come dovesse uscire
subito. Il bambino è un "frugoletto tutto pepe" e, tanto per aggravare le cose,
magari anche saggio. Specializzato nello storpiare il nome del prodotto, dà
l'occasione a mamma e papà di correggerlo. Così si ripete il nome del prodotto
una, due, tre volte. La bambina è un bonsai della mamma. La imita
maldestramente quando si applica prodotti di bellezza. La interroga sugli
ingredienti, se si tratta di cibi. Attende fiduciosa la fine del ciclo di lavaggio se
siamo sui detersivi. E, soprattutto, niente pieghe sui pigiami. La famiglia tipica
della pubblicità italiana la si vede al momento della sveglia. Dopo nove ore di
sonno, sembra appena andata a letto. I capelli sono a postissimo, i pigiami appena
stirati, gli occhi per niente gonfi.
Emanuele Pirella commenta così questa situazione:
La società è cambiata, la famiglia è cambiata. Possibile che la pubblicità sia rimasta
identica a se stessa, ignorando femminismo e post-femminismo, libertà sessuale e
crisi del maschio, flussi e riflussi, estroversioni e rifugi nel privato, boom e rifiuti
del_globalismo?
[…] Ma la pubblicità può rivolgersi al minimo comune multiplo del consenso e
trattare la famiglia come un'istituzione in lentissimo, impercettibile mutamento. E
mostrarla così come farebbe comodo. Oppure cercare di raggiungere il massimo
comune denominatore e raccontarla così com'è diventata, scherzandoci sopra,
ironizzando, ricercando complicità. […] Per favore, […] stropicciamo un po' i
pigiami ai genitori. Facciamolo per amor di verità e per non morire di noia.
Le considerazioni di Pirella trovano riscontro nel Rapporto Censis
Comunicazione e Cultura del 1998:
Nel 1997 si è assistito ad una esplosione di investimenti pubblicitari, con incrementi
che hanno riguardato tutti i mezzi classici superando anche le già ottimistiche
previsioni. All’esplosione quantitativa si è accompagnato anche il proliferare di stili
diversi di comunicazione. Ma a questo moltiplicarsi di investimenti da un lato e di
linguaggi dall’altro non ha fatto seguito un’evoluzione dei contenuti, rimasti
saldamente ancorati a stereotipi (espressivi, sociali, sessuali, razziali, ecc.) che
vengono comunicati ribadendo immagini già viste. La famiglia perfetta "da
pubblicità" continua a essere proposta come modello principale, senza recepire
stimoli al cambiamento. Si intravede qualcosa di nuovo riguardo alla
rappresentazione delle fasce di giovane età, laddove compaiono ogni tanto i single,
sporadici testimoni delle invece sempre più numerose famiglie mononucleari, cioè
composte da una sola persona (oltre il 20% sul totale delle famiglie italiane già nel
censimento del 1991).
Riguardo al modello unico della "famiglia pubblicitaria", il rapporto Censis
fa notare come i suoi protagonisti adulti siano ormai prigionieri di un processo
5
infinito di ridefinizione di ruoli. L’immagine maschile continua ad addolcirsi
progressivamente, acquistando elementi di fragilità e di giocosità quasi
adolescenziale, mentre l’immagine femminile è rimasta ormai impigliata, e
paralizzata, nell’eterna indecisione tra la versione casalinga e la versione donna in
carriera, divenute entrambe ormai quasi caricaturali. Mentre per quanto riguarda
gli under 18:
I testimonial minorenni sono ampiamente utilizzati nelle pubblicità in genere, sia
televisive, sia su carta stampata, sia nella cartellonistica, anche quando il prodotto
reclamizzato non è espressamente dedicato ad un target giovane (il 33% degli spot
televisivi - percentuale che sale al 45% in prima serata - utilizza i minori per
pubblicizzare prodotti diretti agli adulti). I bambini, però, al contrario degli adulti,
sono costretti in ruoli sessuali di un conformismo d’altri tempi, basati
sull’equazione: piccole donne uguale tulle rosa, bambole, gioielli e trucchi e piccoli
uomini uguale forza, aggressività e competizione. Il figlio perfetto della famiglia
perfetta, infatti, è maschio, ed è a lui che viene affidato il compito di trasmettere
un’immagine di eccellenza: energia, slancio, vitalità, intelligenza, curiosità,
razionalità, responsabilità, nonché maggiore individualità e libertà dai
condizionamenti sociali rispetto alle ragazzine. Le bambine e le adolescenti vengono
usate più di rado come protagoniste e più spesso sono relegate o a ruoli di contorno
o in un mondo fantastico (le donne "sognatrici").
1.3. SEMIOTICA E PUBBLICITÀ
La semiotica ha cominciato ad interessarsi alle applicazioni concrete (né
letterarie né filosofiche) a partire dagli anni Sessanta con le riflessioni di Roland
Barthes in Francia e di Umberto Eco in Italia. In questa sede vale semplicemente
la pena di ricordare l’approccio di Barthes alla pubblicità della pasta Panzani
5
e
l’analisi dei codici pubblicitari svolta da Eco
6
, rimandando ai testi relativi per
ulteriori precisazioni.
Come spiega chiaramente Ugo Volli nel recente volume Semiotica della
Pubblicità
7
, la pubblicità è quella parte dell’attività di comunicazione che
comporta l’uso predominante e programmato di testi. Proprio questo aspetto
eminentemente testuale dell’attività pubblicitaria autorizza l’uso della semiotica
per analizzarne la struttura. Possono essere considerati anche altri punti di vista,
ad esempio le teorie psicologiche o sociologiche, ma la semiotica è
5
BARTHES R., Rhetorique de l’image, in Communications, 4 : 40-51.
6
ECO U., La struttura assente, Milano, Bompiani.
7
VOLLI U., Semiotica della Pubblicità, Roma, Laterza, 2003.
6
particolarmente adatta per il fatto che mantiene la propria attenzione focalizzata
sulla dimensione testuale dell’attività pubblicitaria e inoltre vi applica le proprie
conoscenze e teorie sul funzionamento dei testi in generale. La metodologia di
analisi semiotica della pubblicità proposta da Volli sfrutta lo schema generativo
del senso originariamente esposto da Greimas. In pratica, è uno schema di lavoro
molto simile a quello rielaborato da Giulia Ceriani (2001)
8
. Le considerazioni
semiotiche che possono essere fatte su un testo pubblicitario sono molte e di
svariati tipi, ma possono essere raccolte e guidate sulla base dei livelli del
percorso generativo del senso: livello testuale, livello discorsivo, livello semio-
narrativo (superficiale e profondo)
9
.
Molto ancora è stato detto sui rapporti tra semiotica e pubblicità. Citiamo
soltanto alcuni contributi, che ovviamente non esauriscono le riflessioni
semiotiche svolte finora sul mondo della pubblicità. Andrea Semprini si è
occupato soprattutto dell’analisi della marca
10
: a partire dall’assiologia dei valori
di consumo proposta da Floch
11
, Semprini ha proposto un mapping semiotico
basato sui due assi critico-ludico e utopico-pratico. Floch, da buon bricoleur, ha
poi contribuito con il suo secondo lavoro
12
all’analisi del tema dell’identità, che si
manifesta attraverso un assemblaggio di segni riferiti anzitutto alla percezione
visiva. Ceriani ha infine raccolto il testimone da Floch e ha elaborato una griglia
trasversale per l’analisi e la gestione del senso, applicabile ad ogni supporto del
communication mix.
Occorre adesso chiarire quale sia il metodo adottato per questo lavoro e in
cosa questo si differenzi dall’approccio sociologico.
8
CERIANI G., Marketing Moving: l’approccio semiotico. Analizzare il mix di
comunicazione, gestirne gli effetti di senso, Franco Angeli, Milano, 2001.
9
CERIANI(2001) rielabora questi livelli nei seguenti: manifestazione, discorsività,
narratività, profondità.
10
SEMPRINI A., Marche e mondi possibili. Un approccio semiotico al marketing della
marca, Milano, Franco Angeli, 1993.
11
FLOCH J.M., Sous les signes les stratégies. Sémiotique, marketing, communication, Paris,
PUF, 1990. Trad. It. Semiotica marketing e comunicazione, Milano, Franco Angeli, 1992.
12
FLOCH J.M., Identités visuelles, Paris, PUF, 1995. Trad. it. Identità visive. Costruire
l’identità a partire dai segni, Milano, Franco Angeli, 1997.
7
1.3.1. La famiglia in pubblicità: l’approccio semiotico.
La rapida panoramica di alcuni contributi semiotici all’analisi della
pubblicità svolta nel precedente paragrafo serviva a inquadrare la nostra analisi
all’interno di un ambito disciplinare ben preciso. Come dire, non siamo poi così
originali nell’occuparci di semiotica della pubblicità.
Occorrono ancora alcune precisazioni. Considerati i nostri scopi in questo
lavoro sulla famiglia in pubblicità, non ci soffermeremo tanto sugli aspetti
strategici della pubblicità. Non ci chiederemo qual è il ruolo della marca, il suo
posizionamento, e nemmeno tanto il target di riferimento dei messaggi
pubblicitari. Il focus di questa nostra analisi è la famiglia, come è già stato
sottolineato in precedenza. Questo significa che non è importante svolgere una
analisi di tutti gli aspetti semiotici implicati in uno spot pubblicitario (soprattutto
audiovisivo, come quelli di Barilla che verranno presentati). L’attenzione verterà
piuttosto sulla famiglia, sia dal punto di vista tematico, sia narrativo, sia valoriale.
L’obiettivo non è tanto analizzare il ruolo della marca o capire cosa accade al
consumatore-spettatore, bensì guardare alla famiglia per come è rappresentata
all’interno del testo pubblicitario, che in questo caso sarà prevalentemente in
forma di spot audiovisivo destinato al mezzo tv\cinema.
Pertanto il lavoro seguirà questa linea di esposizione:
Capitolo 2: la storia comunicazionale di Barilla. Analisi della famiglia vista da
Barilla attraverso i suoi spot dagli anni Sessanta fino ad oggi: lavoro
descrittivo a livello testuale e discorsivo, analisi a livello semio-narrativo e
profondo.
Capitolo 3: la famiglia nella pubblicità di oggi. Analisi della famiglia per
come è rappresentata negli spot attuali di varie categorie merceologiche:
lavoro descrittivo a livello testuale e discorsivo, analisi a livello semio-
narrativo e profondo.
Conclusioni: la pubblicità ci mostra una famiglia reale? Si può parlare di
interazione delle costrizioni semiotiche per la famiglia? Il quadrato di
veridizione smaschera il contrasto tra famiglia rappresentata (verso l’esterno)
e famiglia al suo interno?
8
1.3.2. La famiglia: l’approccio sociologico. Differenze dall’approccio
semiotico.
La famiglia è una delle istituzioni più importanti della nostra società,
soprattutto in Italia. Ecco perché numerose discipline si sono interessate a questo
oggetto di analisi. In particolare la sociologia ha approfondito molto questo campo
d’indagine, arrivando addirittura a costituire una branca specializzata, la
Sociologia della Famiglia appunto.
Occorre prendere subito le distanze da questo tipo di studi sociologici, non
perché non siano validi da un punto di vista scientifico, anzi tutt’altro, bensì
perché la metodologia che preferiamo adottare è quella semiotica. Questa è una
precisazione che può apparire superflua ma importante per evitare di incappare in
errate valutazioni.
Molta strada è stata fatta dai tempi di Durkheim
13
. Il recente volume
Lineamenti di sociologia della famiglia
14
offre un quadro abbastanza ampio del
lavoro interpretativo della sociologia sull’istituzione-famiglia. Gli orientamenti
sociologici sono vari e diversi. Secondo gli autori, l’approccio da cui non si può
prescindere è quello di tipo relazionale:
Esso concepisce la famiglia contemporanea come un sistema vivente altamente
complesso, differenziato e a confini variabili, in cui si realizza quell’esperienza
vitale specifica che è fondamentale per la strutturazione dell’individuo come
persona, cioè come individuo in relazione (essere relazionale), nelle sue
determinazioni di genere e di età, quindi nei rapporti fra i sessi e le generazioni. La
presupposizione prima è che la famiglia è e resta una relazione sociale piena
15
.
Risulta subito evidente la differenza rispetto all’approccio semiotico. A noi
interessa la famiglia intesa come attore comunicativo, risultato di un débrayage
attanziale. Ci interessa il ruolo e la funzione svolte dalla famiglia, e i valori
investiti in essa. E soprattutto, ci interessa analizzare tutto questo all’interno del
testo, senza esplorazioni nel contesto sociale. La nostra attenzione è focalizzata
sulla dimensione comunicativa, non su quella socio-culturale.
13
DURKHEIM E., Per una sociologia della famiglia, Roma, Armando Editore, 1999.
14
DONATI P. – DI NICOLA P., Lineamenti di sociologia della famiglia, Roma, Carocci,
2002.
15
DONATI P. – DI NICOLA P., Lineamenti di sociologia della famiglia, cit., pag.16.
9
Nonostante la presa di distanza esposta fin qui, bisogna ammettere che
l’analisi sociologica ci consegna un interessante contributo che riguarda la
classificazione delle strutture e delle funzioni della famiglia contemporanea
16
. In
particolare, la modulazione delle strutture familiari a livello statico
17
è molto
funzionale alla nostra analisi, soprattutto a livello tematico e figurativo:
Famiglia unipersonale
Famiglia di coppia
Famiglia nucleare
Famiglia complessa (multipla o estesa)
Famiglie comunitarie monogamiche e non monogamiche
Forme familiari atipiche: amici, coetanei che vivono insieme nella
stessa unità abitativa.
16
vedi in particolare DONATI P. – DI NICOLA P., Lineamenti di sociologia della famiglia,
cit., pag. 53-78.
17
Per una conoscenza più precisa e approfondita delle forme familiari sopra esposte, si
rinvia a DONATI P. – DI NICOLA P., Lineamenti di sociologia della famiglia, cit., pag. 55-62.
10
CAPITOLO 2
Un caso emblematicamente italiano:
la storia comunicazionale di Barilla.
In realtà il titolo assegnato a questo secondo capitolo è un po’ eccessivo.
Infatti non ci occuperemo di tutta la storia comunicazionale di Barilla, né di tutti
gli spot Barilla (sarebbe un lavoro sterminato). Piuttosto, in accordo agli obiettivi
prefissati, considereremo una significativa selezione degli spot Barilla, ovvero
quelli che hanno al centro la famiglia italiana. Una tavola contenente tutti gli spot
presi in considerazione è disponibile in Appendice 1. A questa tavola faremo
riferimento per velocizzare la nostra analisi. Nella tavola sono riportati anche i
numeri di identificazione dei file presenti sul cd contenente gli spot in formato
.mpeg. Per quanto riguarda il metodo di analisi, già molto è stato detto nel
capitolo precedente. Qui basta ricordare che svolgeremo considerazioni di tipo
semiotico su tutte le campagne per ogni livello del percorso generativo del senso:
testuale (manifestazione), discorsivo, narrativo, profondo (valori).
2.1. COME VARIA LA CONFIGURAZIONE DELLA FAMIGLIA (LIVELLO
TESTUALE E DISCORSIVO)
Il primo lavoro del semiotico, quando affronta l’analisi di un testo, di una figura o di
un qualsiasi altro oggetto di senso […] consiste nel considerare la totalità di questo
oggetto di senso e nel procedere alla sua segmentazione in un certo numero di unità,
dette di manifestazione
18
.
Il consiglio di Floch è davvero utile alla nostra analisi. Iniziamo con una
considerazione basilare: ogni spot mette in scena un duplice discorso. Il primo è
quello legato alla marca, il secondo è quello legato al dramma
19
débrayato. Questo
18
FLOCH J.M., Identités visuelles, cit., trad. it. Identità visive, cit., pag. 33.
19
Per la definizione di dramma nella creazione dei messaggi pubblicitari vedi LOMBARDI
M., Il nuovo manuale di tecniche pubblicitarie, Milano, Franco Angeli, 2002, pag. 192-4.
11
corrisponde a tutto ciò che produce una realtà concreta, materiale e ben ordinata
davanti al ricevente. Invece il primo tipo di discorso, quello della marca, agisce
come una specie di richiamo al fatto che là non c’è che un messaggio
pubblicitario. Del resto:
il primo messaggio trasmesso da un manifesto pubblicitario è proprio che si tratta di
un messaggio pubblicitario
20
.
A noi interessa analizzare il secondo tipo di discorso ovvero la messa in
scena del quadretto familiare.
2.1.1. Dagli spot alla famiglia
Nel 1964 la campagna Vita con Bettina mette in scena graffiti di un’Italia in
via di modernizzazione, in cui il modello familiare è quello di una giovane coppia
della middle class emergente, lei apprendista massaia, lui quadro aziendale. Sono
scenette di vita quotidiana, protagonista è una famiglia urbana emancipata, senza
figli, profondamente diversa dal modello tradizionale (patriarcale e multi-
generazionale), in cui il ruolo della massaia progressivamente evolve,
affrancandosi dalla schiavitù dei fornelli per adeguarsi a ritmi di vita più rapidi e
disinvolti. A livello figurativo, colpiscono la cucina attrezzata all’americana e le
eleganti mises della protagonista che non vengono sacrificate alle incombenze
culinarie. Gli attori sono principalmente due, tematizzati nei due ruoli di massaia
e maritino \ lavoratore aziendale. Lo spazio è sempre quello della cucina (con
qualche esplorazione negli uffici di lavoro), il tempo è quello del pranzo.
Vedremo più avanti che l’ora di pranzo negli anni Sessanta e Settanta era
stabilizzata intorno al Mezzogiorno.
Analoghe considerazioni possono essere fatte sullo spot Nulla sfugge a mio
marito del 1971. Qui i tratti configurazionali delle figure sono ancor più moderni.
La cucina è sempre all’americana, ma lo spazio si allarga e conduce lo spettatore
in luoghi nuovi: il salotto \ sala da pranzo, ampio, luminoso, fresco grazie alle
piante che spuntano da un angolo della sala. Il tempo è molto più vario: è l’ora di
colazione. Perché questo cambio d’orario? È semplice, il prodotto da
20
PENINOU G., Intelligence de la publicité, Laffont, Paris, 1972, pag. 90.
12
pubblicizzare è la fetta biscottata, e non la pasta. Ma in fin dei conti, i due attori
rappresentano la solita coppia della middle class, senza figli. Sempre i soliti ruoli
tematici: casalinga lei, lavoratore in azienda lui, anche se in aggiunta l’uomo è un
attento osservatore.
Con gli anni Ottanta, spuntano anche i figli nel quadretto familiare. La
campagna Sempre al dente, una tradizione di padre in figlio cambia registro
rispetto al passato. La colonna sonora comincia a prendere piede ed in questo caso
il codice sonoro è particolarmente evocativo. Così come evocativo è l’utilizzo di
codici visivi particolarmente attenti ai giochi di chiaroscuro. Lo spazio, dopo un
brevissimo accenno al contesto della casa, passa subito a rappresentare l’interno
della casa, in particolare la sala da pranzo. Le inquadrature sono molte vicine agli
attori della scena (marito, moglie, figlio e figlia). I ruoli sembrano essere meno
rigidi: nessun accenno al lavoro del padre, che sembra essere soprattutto un padre
affettuoso e un marito gentile, mentre la madre è nutrice e moglie amorosa.
Anni 1981-1982: la campagna E ritrovi il gusto del mezzogiorno sposta
ancora più in là i limiti. Non è più sceneggiata una sola famiglia, bensì le tante
famiglie italiane, tutte riunite al momento del pranzo. Le configurazioni sono le
più varie: nel primo spot sono soprattutto attori appartenenti alla bassa borghesia
mentre nel secondo sono legati ad ambienti sociali più borghesizzati. Lo si vede
dalle sale da pranzo delle case: mattonelle da cucina e vestiti da lavoro “contro”
bicchieri di cristallo, tovaglia bianca, quadri alle pareti e vestiti eleganti. I figli
sono parte integrante di questa famiglia che pone il tempo delle ore 12,30 come
punto di riferimento della propria giornata, come tema principale del racconto di
cui è protagonista.
Barilla vi fa sentire sempre al dente: siamo nel 1983 e la famiglia italiana ha
completamente assorbito la modernizzazione. I ritmi di vita frenetici si riflettono
sull’immagine della famiglia: il figlio che torna dalla mamma è stanco, il marito è
stressato dalla sua attività, il padre torna a casa e neanche si toglie l’impermeabile,
si getta sul divano e la figlia accorre in suo aiuto. Tutti sono accomunati da una
caratteristica tematizzata dalla formula non essere al dente. Le figurativizzazioni
sono varie (come anche tempi, spazi e attori), ma il tema comune è: qualcuno non
è al dente.
13
Lo spot Rigatoni di Fellini è un interludio. L’impianto configurazionale
denota un ambiente raffinato e sofisticato, tipico di un ristorante di gran classe. La
famiglia non ricompare ancora ma c’è comunque una coppia composta da un
azzimato gagà e da una femme fatale intenti a tubare.
Nel 1985 inizia la grande saga pubblicitaria sotto il pay off Dove c’è
Barilla, c’è casa. Il primo spot Treno ritrae una famiglia da upper class che
veicola i nuovi simboli del prestigio sociale (la Mercedes, la villa in campagna, la
festa elegante) e propone un modello di domesticità fortemente innovativo: al
centro, non c’è più la classica famiglia parentale dell’Italia cattolica e contadina
né la coppia degli eterni honey mooners della serie Bettina, ma la coppia tout
court, laica, edonista e profondamente erotizzata (il celebre morso alla scatola di
spaghetti ha una chiara allusione sessuale).
La domesticità come protezione, accudimento e accoglimento materno è il
tema principale al centro degli spot Maternità e Gattino, in cui oltretutto si
introduce la componente della tenerezza infantile. Il micetto grondante di pioggia
che trova rifugio in casa Barilla è il prologo ideale per l’ultimo spot della serie, e
forse il più riuscito, Adozione. Il tema di famiglia e domesticità si espande fino a
comprendere al suo interno un membro differente ed estraneo (come accade poi
con Babbo Natale - Paul Newman nel 1991). È interessante da segnalare lo spot
Divorzio: per la prima volta si affaccia la “crisi della famiglia”. Il padre porta la
figlia a pranzo dalla madre, sta per andarsene quando la madre invita a tavola
anche lui, l’ex marito. Forse non sarà un segnale di riapertura coniugale, ma è
certamente un ulteriore esempio di integrazione sviluppato dalla famiglia.
Tutti questi spot hanno figurativizzazioni diverse, attori tempi e spazi
differenti, ma alla base vi è lo stesso concetto, lo stesso tema comune: la ricerca di
serenità e calore all’interno della famiglia. E questa tematizzazione comune è
segnalata e rimarcata anche dal codice sonoro del soundtrack di Vangelis,
incancellabile dalla testa di qualunque spettatore.
La musica cambia – letteralmente - nello spot Festa di matrimonio del 1991:
qui è la riunione familiare, lo stare insieme, ad essere il tema centrale.
Il 1994 è l’anno degli spot Allenatore, in cui l’io narrante passa il testimone
del racconto a personaggi diversi all’interno di una casa che ospita a pranzo