2
ragionevole del processo”
2
. Nel nostro ordinamento al principio della
durata ragionevole del processo è stato dato riconoscimento
costituzionale con la riforma del 1999.
Sotto un profilo generale, si possono individuare almeno tre
modi di intendere la durata ragionevole del processo. Dal punto di
vista dell’accusato essa implica una sofferenza individuale per
l’eccessivo protrarsi di una situazione di incertezza sulla sua sorte.
Tale aspetto è preso specificamente in considerazione dalla
Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Dal punto di vista della
vittima, l’irragionevole durata del processo determina un’aspettativa
di giustizia frustrata, che diventa addirittura denegata quando
interviene la prescrizione del reato. La Convenzione europea, tanto
attenta a garantire i diritti individuali dell’accusato, dimentica del tutto
la posizione della vittima. Quest’ultima è, infatti, presa in
considerazione solo se rivesta anche la qualifica di danneggiato
costituitosi parte civile. In tal caso, però, ad essere in gioco è solo la
sua pretesa civilistica e non più il suo “interesse criminale”. Quindi, il
diritto di esigere una definizione del processo in tempi ragionevoli
2
Per questo, nonostante le disposizioni pattizie siano di rango inferiore a quello delle norme
costituzionali, sono state trattate prima le questioni relative all’art. 6 della Convenzione europea
dei diritti dell’uomo.
3
appare legato, nella Convenzione europea, soltanto alla presenza di
una “parte”.
Infine, dal punto di vista dello Stato, l’eccessiva durata del
processo implica uno spreco di risorse, di uomini, di mezzi che
potrebbero utilmente essere impiegati in altri processi. Un problema di
disfunzione e, in definitiva, di cattiva amministrazione della giustizia
che, anche sotto questo profilo, tocca il suo apice quando interviene la
prescrizione del reato, perché tale epilogo dimostra che, lungi
dall’assolvere alla sua funzione cognitiva, il processo ha girato a
vuoto. Inoltre, sempre dal punto di vista dell’ordinamento, una durata
irragionevole del processo determina, per un verso, un allentamento, e
nel caso di prescrizione addirittura una negazione, delle stesse istanze
di prevenzione generale: la minaccia della sanzione penale si
affievolisce proporzionalmente alla durata dei processi; e, per altro
verso, un intaccamento della stessa funzione della pena, dato che tanto
più ci si allontana dal momento della commissione del fatto, tanto
meno la punizione trova adeguata giustificazione in rapporto ad un
soggetto che il tempo ha cambiato, finché, intervenuta la prescrizione,
l’ordinamento addirittura pone un divieto di punire.
4
Sotto i primi due profili la durata irragionevole è vista come
causa di sofferenze individuali, sotto il terzo profilo, invece,
costituisce un pregiudizio di carattere oggettivo
3
.
All’accusato è, inoltre, riconosciuto il diritto ad un’equa
riparazione per l’eccessiva durata del processo, individuata attraverso
alcuni parametri che si sono consolidati nella giurisprudenza europea
e che ora figurano anche nella legge 24 marzo 2001, n. 89, la
cosiddetta legge Pinto, con cui la competenza a decidere sulla
domanda di equa riparazione è stata trasferita dalla Corte europea alle
nostre Corti d’appello.
In realtà, la legge Pinto più che a snellire le procedure, ha
puntato a sgravare momentaneamente la Corte di Strasburgo
dall’enorme quantità di ricorsi provenienti dall’Italia, senza incidere
realmente sul fenomeno dei tempi processuali. Si è, così, introdotto un
palliativo onde evitare che la Corte europea restasse sepolta sotto
l’impressionante mole dei casi italiani. Da un lato, la legge Pinto ha
ottenuto risultati positivi, se si considera che i ricorsi dell’Italia a
Strasburgo sono sensibilmente diminuiti nel 2002, ma, d’altro lato, ha
3
V. R.E. KOSTORIS, La ragionevole durata del processo nella Convenzione europea dei diritti
dell’uomo e nell’art. 111 Cost., in ID., La ragionevole durata del processo. Garanzie ed efficienza
della giustizia penale, Torino, 2005, p. 3 ss.
5
complicato le cose all’interno del nostro ordinamento, poiché ha finito
con l’ingolfare le Corti d’appello.
Secondo parte della dottrina siamo oggi di fronte ad un
processo penale ingestibile perché vi è stata un’esasperata espansione
delle garanzie formali “all’interno” dello stesso, attraverso tutta una
serie di interventi che hanno di fatto creato un doppio binario nella
velocità del medesimo. Una velocità, purtroppo, direttamente
proporzionale alla qualità dei soggetti coinvolti. Un processo la cui
durata doveva essere ragionevole, durata che, però, vediamo essere
sempre più irragionevole per chi è in grado di utilizzare tutti gli
ostacoli introdotti e che si intendono ancora introdurre nel corso dello
stesso, ed un processo la cui durata, invece, è esasperatamente
ragionevole per gli altri, per coloro che non possono frapporre questi
ostacoli nell’iter processuale. Un processo, dunque, che di “giusto”
finisce con l’avere ben poco perché un processo ipergarantito è un
processo ipercostoso, è un processo a cui possono ambire pochi.
Appare, quindi, evidente che all’interno di questo processo penale si è
creata una serie di norme che lo hanno reso sempre più ingestibile
4
.
4
Cfr. LA TAVOLA ROTONDA, Il processo penale quindici anni dopo la riforma. Tramonto di un
sogno? Motivi di speranza?, in Leg Pen., 2005, p. 217 ss.
6
Bisogna ammettere che oggi il cittadino esige molto, anzi
moltissimo, dalla giustizia penale. Vittima, imputato o condannato che
sia, le sue pretese sono notevolmente cresciute in questi ultimi
decenni, in ragione del maggior spazio che la nostra cultura giuridica
riconosce alla persona umana.
Per assicurare l’efficienza del processo penale e la sua durata
ragionevole, sarebbe necessario un ritorno, da parte del legislatore,
alla serietà, che lo impegni a una sapiente riforma della giustizia
penale e, in particolare, del diritto processuale. In realtà, l’ambito di
un possibile intervento del legislatore per far fronte al problema della
lentezza dei procedimenti era stato prospettato dalla dottrina già nel
1981
5
e le prospettive di riforma allora ipotizzate, risultano
paradossalmente ancora attuali. Erano, così, state poste in luce, prima
di tutto, l’insufficienza delle strutture giudiziarie, da un lato, e
l’enorme dilatazione nella “domanda” di giustizia penale, dovuta
soprattutto ad un eccesso di penalizzazione nel nostro ordinamento,
dall’altro.
Oltre al ricorso a strumenti di diritto penale sostanziale, per
risolvere il problema della limitazione delle pendenze giudiziarie,
5
Cfr. V. GREVI, Il problema della lentezza dei procedimenti penali: cause, rimedi e prospettive di
riforma, in Giust. Pen., 1981, p. 585 ss.
7
appariva necessario un intervento sul piano della regolamentazione
dell’accesso al processo penale, attraverso strumenti di contenimento
della “domanda” di giustizia penale. Così, era prospettata una deroga
al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, previsto dall’art.
112 Cost., per alcune categorie di reati, individuati in ragione della
loro modesta gravità, rispetto ai quali si sarebbe dovuta affidare al
pubblico ministero la valutazione discrezionale circa l’iniziativa
penale. Già allora era sentita l’esigenza di contrastare il fenomeno
dell’abuso del processo ad opera delle parti, tuttora troppo spesso
confermato dalla prassi. Appariva necessario un intervento per inibire
il ricorso alle impugnazioni pretestuose, proposte esclusivamente a
fini dilatori. Il ricorso a tutti i possibili gradi di giudizio costituisce
oggi, infatti, quasi la regola, in ragione del decorso inarrestabile della
prescrizione che, avuto riguardo ai reati meno gravi, mette sovente al
riparo da eventuali condanne definitive. Altrettanto importante era la
prospettiva di differenziazione dei riti e, all’interno di questa, la
tendenza allo sfoltimento dei procedimenti prima dell’inizio del
giudizio. Oggi il ricorso ai riti alternativi risulta ancora insufficiente
per far sì che essi svolgano effettivamente la funzione deflativa cui
sono finalizzati a causa delle incongruenze insite nella relativa
8
disciplina. Queste sono, dunque, le materie nelle quali il legislatore
dovrebbe intervenire, pur non esaurendo l’ambito dei rimedi possibili
per garantire in concreto il principio della durata ragionevole del
processo.
Justice is sweetest when it is freshest.
(Lord Bacon)
PARTE I
La durata ragionevole del processo tra modello
internazionale e modello costituzionale nazionale di
processo penale
10
Capitolo Primo
Equo processo e Convenzione europea dei diritti dell’uomo
1.1 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo
e delle libertà fondamentali
La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali è stata firmata a Roma il 4
novembre 1950 ed è entrata in vigore il 3 settembre 1953
1
.
La Convenzione europea è un trattato multilaterale inseritasi in
un complesso sistema internazionale diretto a garantire la tutela dei
diritti fondamentali della persona che ha inizio con la Dichiarazione
Universale dei diritti dell’uomo, proclamata dall’Assemblea
dell’ONU il 10 dicembre 1948, e mirante a creare un’unione sempre
più stretta tra i membri che compongono il Consiglio d’Europa.
La Convenzione europea rappresenta il primo atto diretto a
dare concreta ed effettiva attuazione ai diritti dell’uomo e trova la sua
origine nel trattato di Londra del 5 maggio 1949 che ha portato alla
creazione del Consiglio d’Europa
2
.
1
La Convenzione europea è stata resa esecutiva con la l. 4 agosto 1955, n. 848 ed è entrata in
vigore in Italia il 26 ottobre 1955.
2
Per un esame delle fasi che hanno portato all’adozione del trattato di Londra si veda A.A.
ALBERGHINA, L’Eccessiva durata dei Processi e l’Equa Riparazione, Napoli, 2003, p. 8 ss.
11
L’articolo 1 dello Statuto del Consiglio d’Europa stabilisce
che lo scopo dell’Organizzazione è quello di «conseguire una più
stretta unione fra i suoi Membri per salvaguardare e promuovere gli
ideali e i principi che costituiscono il loro comune patrimonio e di
favorire il loro progresso economico e sociale».
Gli Stati membri hanno affermato che tale scopo sarà
perseguito soprattutto «con la salvaguardia e l’ulteriore sviluppo dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali».
La Conv. eur. dir. uomo ha una natura particolare in quanto
assicura la giustiziabilità dei diritti in essa riconosciuti attraverso
l’istituzione della Corte europea dei Diritti dell’Uomo
3
.
L’articolo 19 Conv. eur. dir. uomo prevede esplicitamente la
creazione della Corte «per assicurare il rispetto degli impegni
derivanti alle Alte Parti contraenti dalla presente Convenzione e dai
3
Al momento della adozione della Convenzione europea sono stati creati due organi: la
Commissione europea dei diritti dell’uomo (1954), che aveva essenzialmente la funzione di filtrare
i ricorsi, e la Corte europea dei diritti dell’uomo (1959), che si pronunciava sui casi trasmessi dalla
Commissione o dai governi. Il Protocollo n. 11, adottato l’11 maggio 1994 ed entrato in vigore per
l’Italia il 1° novembre 1998, ha istituito una Corte unica permanente al posto delle due istituzioni
precedenti. L’obiettivo della riforma, così come l’hanno stabilito i capi di Stato e di governo degli
Stati membri del Consiglio d’Europa riuniti a Vienna nel 1993, era di rafforzare l’efficacia degli
strumenti di tutela, di ridurre la durata della procedura, di consentire una migliore accessibilità del
meccanismo ai singoli cittadini e di mantenere alto l’attuale livello di tutela dei diritti dell’uomo.
La Corte europea dei diritti dell’uomo è ora direttamente accessibile ai singoli cittadini e la sua
competenza è obbligatoria per tutti gli Stati contraenti. Essa siede in permanenza, si occupa di tutte
le fasi preliminari e pronuncia le sentenze. Per quanto riguarda la struttura di tali organi, così come
risulta dopo le modifiche introdotte dal Protocollo n. 11, si veda P. VAN DIJK, G.J.H. VAN HOOF,
Theory and practice of the European Convention on Human Rights, The Hague, 1998, p. 26 ss.
12
suoi protocolli»
4
. La possibilità di adire direttamente tale organo è
prevista non solo a favore degli Stati; infatti l’articolo 34 Conv. eur.
dir. uomo
5
prevede la possibilità di esperire ricorsi individuali. Tale
articolo riproduce quasi integralmente la formulazione della norma
corrispondente del testo originario della Convenzione, il par. 1
dell’articolo 25. Tali disposizioni presentano, tuttavia, profonde
differenze; infatti nel “vecchio” art. 25
6
per presentare ricorso
individuale, rivolto alla Commissione europea, era necessaria
l’accettazione di una clausola opzionale da parte degli Stati
contraenti
7
. É proprio con riferimento all’art. 25 che la Corte europea
ha sostenuto che questa disposizione costituisce una delle chiavi di
volta del meccanismo di salvaguardia dei diritti e delle libertà
4
«È stato osservato che la giurisprudenza della Corte europea ha contribuito alla formazione di un
vero e proprio diritto costituzionale europeo in materia di diritti fondamentali. La Conv. eur. – ed
il diritto interpretato che da essa scaturisce – tende sempre più ad essere il quadro istituzionale
comune ai differenti ordinamenti giuridici europei.»: così M. DE SALVIA, La Convenzione europea
dei diritti dell’uomo, Napoli, 1999, p. 29.
5
L’art. 34 Conv. eur. dir. uomo dispone che «La Corte può essere investita di un ricorso da parte
di una persona fisica, un’organizzazione non governativa o un gruppo di privati che sostenga
d’essere vittima di una violazione da parte di una delle Alte Parti contraenti dei diritti riconosciuti
nella Convenzione e nei suoi protocolli. Le Alte Parti contraenti si impegnano a non ostacolare con
alcuna misura l’esercizio effettivo di tale diritto».
6
Precedente alle modifiche apportate alla struttura della Corte dal Protocollo n. 11.
7
Il diritto di ricorso individuale non era aperto nei confronti di tutti gli Stati contraenti, ma (in
cauda venenum) era previsto solo a patto che lo Stato prevenuto avesse dichiarato di riconoscere la
competenza della Commissione in tale materia. V. G. RAIMONDI, Commento all’art. art. 34, in S.
BARTOLE, B. CONFORTI, G. RAIMONDI (a cura di), Commentario alla Convenzione europea per la
tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Padova, 2001, p. 569 s., e, per quanto
riguarda il “vecchio” art. 25, cfr. V. ANDRIOLI, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e il
processo giusto, in Temi Rom., 1964, p. 445.
13
enunciati nella Convenzione
8
. Gli Stati contraenti non solo si sono
impegnati a dare concreta attuazione alla Convenzione trasponendola,
o almeno provando a farlo, nel loro ordinamento interno, ma hanno
anche accettato di sottostare alla giurisdizione di tale organo,
rinunciando espressamente a parte della loro sovranità e indipendenza.
Le pronunce della Corte
9
sono vincolanti in quanto, come
prevede l’articolo 46 Conv. eur. dir. uomo, «1. Le Alte Parti
contraenti s’impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della
Corte nelle controversie nelle quali sono parti. 2. La sentenza
definitiva della Corte è trasmessa al Comitato dei Ministri che ne
sorveglia l’esecuzione».
L’importanza dei diritti riconosciuti dalla Convenzione è
affermata anche da altri organismi internazionali; è il caso della Corte
di Giustizia che ha asserito che: «I diritti fondamentali fanno parte
integrante dei principi generali del diritto di cui la Corte di Giustizia
garantisce l’osservanza. Nel garantire la tutela di tali diritti, la Corte è
tenuta ad ispirarsi alle tradizioni costituzionali dei singoli stati
membri…. Nonchè alle indicazioni fornite dai Trattati internazionali
8
Cfr. G. RAIMONDI, Commento all’art. 34, cit., p. 559.
9
A partire dal 1969 la Corte di Giustizia riconosce che i diritti fondamentali, quali risultano dalle
tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e dalla Convenzione europea per la salvaguardia
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, fanno parte dei principi giuridici generali di cui
essa garantisce l’osservanza (sentenza 12 novembre 1969, causa 29/69).
14
in materia di tutela dei diritti dell’uomo ai quali gli stati membri
hanno cooperato e aderito. La Convenzione Europea dei Diritti
dell’Uomo riveste a questo proposito particolare importanza».
10
1.2 L’inserimento della nozione di equo processo nell’articolo 6
della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Cenni storici
L’articolo 6 Conv. eur. dir. uomo
11
consacra il diritto all’equo
processo; l’origine di tale diritto viene ricondotta dalla dottrina
12
alla
10
Sentenza 12 novembre 1969, causa 26/69; sentenza 17 dicembre 1970, causa 11/70.
11
L’art. 6 Conv. eur. dir. uomo dispone che: «1. Ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica
udienza entro un termine ragionevole, davanti un tribunale indipendente e imparziale costituito per
legge, al fine della determinazione sia dei suoi diritti e dei suoi doveri di carattere civile, sia della
fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta. La sentenza deve essere resa
pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico
durante tutto o una parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della
sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la
tutela della vita privata delle parti nel processo, o nella misura giudicata strettamente necessaria
dal tribunale quando, in speciali circostanze, la pubblicità potrebbe pregiudicare gli interessi della
giustizia.
2. Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente sino a quando la sua
colpevolezza non sia stata legalmente accertata.
3. Ogni accusato ha più semplicemente diritto a:
a) essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e
in un modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico;
b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie per preparare la sua difesa;
c) difendersi da sé o avere l’assistenza di un difensore di propria scelta e, se non ha i
mezzi per ricompensare un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio
quando lo esigano gli interessi della giustizia;
d) interrogare o far interrogare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e
l’interrogazione dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico;
e) farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua
impiegata nell’udienza».
Il presente articolo è riportato secondo la traduzione italiana, curata dal Consiglio d’Europa, della
versione ufficiale in lingua francese e in lingua inglese, per quanto concerne il testo originario; per
le successive modifiche o sostituzioni operate dal protocollo n. 11 è stata invece utilizzata la
traduzione italiana non ufficiale pubblicata in appendice alla l. 28 agosto 1997 n. 296, che lo ha
reso esecutivo. V. G. UBERTIS, Principi di procedura penale europea. Le regole del giusto
processo, Milano, 2000, p. 117.
12
V. C. FOCARELLI, Equo processo e Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Padova, 2001, p.
172; G. VASSALLI, Il giusto processo. La genesi e la storia, in Il giusto processo, 2002, n. 1, p.
15
Magna Charta consacrata a Runnymede il 15 giugno 1215 e in
particolare al diritto anglosassone, prima inglese e poi americano, in
cui ha trovato origine l’espressione due process o anche due process
of law. Alla Magna Charta risale il primo, formale riconoscimento del
diritto a una durata ragionevole del processo: «Nulli vendemus, nulli
negabimus aut differemus rectum aut justitiam» («A nessuno
venderemo, a nessuno negheremo o differiremo il diritto e la
giustizia»). Dunque, il differimento della domanda di giustizia viene
equiparato alla sua profanazione, realizzata attraverso la corruzione o
il suo totale diniego
13
. Testuale riferimento al due process of law è
contenuto in una legge inglese del 1335, dell’epoca dunque di
Edoardo III, la quale stabiliva che nessun uomo, di qualsiasi stato o
condizione, avrebbe potuto essere espulso dalle sue terre o dai suoi
possedimenti, né essere detenuto, diseredato o mandato a morte senza
essere prima chiamato a rispondere delle sue azioni nel corso di un
regolare procedimento giudiziario o, addirittura, di processo dovuto o
di processo come si deve, appunto di due process of law.
151, in http://www.ilgiustoprocesso.it; E. AMODIO, La tutela della libertà personale dell’imputato
nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1967, p. 887; M.
GARAVELLI, Il diritto a un processo rapido, in Giust. Pen., 1981, n. 3, p. 437; V. GAROFOLI, Il
mito del «tempo ragionevole» nel processo penale, in Dir. Pen. Proc., 1998, p. 1135.
13
Cfr. P. GAETA, Durata ragionevole del processo e giurisprudenza della Corte costituzionale, in
Quest. Giust., 2003, p. 1130 s.