La disciplina dell’orario di lavoro nel R.D.L. n. 692 del 15-3-1923
calendario
1
. Ad una prima lettura di tale disposizione è possibile rilevare le sue
imprecisioni causate dal fatto che in essa il legislatore, non si è limitato a definire
solo la durata massima normale della giornata lavorativa, ma al contrario, ha
determinato anche i limiti dell’orario settimanale
2
.
Dottrina e giurisprudenza si sono per lungo tempo interrogate sulla questione relativa
all’interpretazione della disgiuntiva “o” posta tra il limite giornaliero e quello
settimanale, dalla risoluzione della quale dipende la definizione dell’orario
“normale” legale quale soglia oltre la quale il lavoro deve essere inteso straordinario
e, in quanto tale, da retribuire con le maggiorazioni relative.
Parte della dottrina
3
, sostenendo un’interpretazione letterale di questa disgiuntiva,
ritiene che essa debba essere letta come un aut (oppure), non negando,
conseguentemente, la possibilità di orari giornalieri superiori alle 8 ore, ma entro le
48 ore settimanali, senza considerare il lavoro aggiuntivo come lavoro straordinario,
e quindi senza maggiorazioni retributive.
Questa è la tesi dell’alternatività tra limite giornaliero e settimanale, ossia quella più
flessibile, che potrebbe trovare una delle basi sulla constatazione che, se i due limiti
dovessero essere intesi come concorrenti, essendo già in vigore nel 1923 il principio
del riposo settimanale
4
, quello delle 48 ore settimanali diverrebbe inutile, non
1
TARTAGLIONE L., La riforma dell’organizzazione dell’orario di lavoro, in Mass. Giur. Lav.,
2003, n. 6, p. 420.
2
ICHINO P., Il tempo della prestazione nel rapporto di lavoro, II, Milano, Giuffrè, 1985, p. 275.
3
A sostegno di tale tesi vedi D’EUFEMIA G., L’orario di lavoro e i riposi, in Trattato di diritto del
lavoro, diretto da BORSI U. e PERGOLESI F., volume III, La disciplina organizzativa del lavoro,
Padova, 1959, p. 207; DE LUCA TAMAJO R., Il tempo di lavoro (Il rapporto individuale di lavoro),
in Il tempo di lavoro, Atti delle giornate di studio dell’A.I.D.La.SS, (Genova 4-5 aprile 1986), Milano
1987, p. 9 ss.; ICHINO P., Il tempo della prestazione nel rapporto di lavoro, II, Milano, 1985, p. 273;
CESTER C., Lavoro e tempo libero nell’esperienza giuridica, in QDLRI n. 17, 1995, p. 9 ss.;
SALIMBENI M.T., Estensione e collocazione temporale del lavoro straordinario nell’ambito di una
nuova concezione dell’orario di lavoro, in Dir. Lav., I, 1988, p. 495; SANDULLI P., Orario di lavoro
I) Rapporto di lavoro privato in Enc. Giur. Treccani, vol. XXI, Roma, 1990, p. 6.
4
Legge n. 489/1907, art. 7.
2
La disciplina dell’orario di lavoro nel R.D.L. n. 692 del 15-3-1923
essendo possibile superare le 48 ore a settimana lavorando solo 8 ore al giorno per 6
giorni
5
. Un’altra parte della dottrina
6
ha sostenuto invece che la “o” deve essere letta
come un vel (e) e che i due limiti dovrebbero essere considerati in modo congiunto,
evidenziando inoltre la necessità di adeguare l’interpretazione dell’art.1 al successivo
dettato costituzionale (art. 36 co. 2). La riserva di legge in tema di fissazione della
durata massima della giornata lavorativa contenuta nella norma costituzionale,
avrebbe, infatti, carattere assoluto e non consentirebbe quindi, la possibilità di
adottare discipline di origine contrattuale che stabiliscano il superamento del limite
legale delle 8 ore giornaliere o di quello globale di 10 ore al giorno, ossia di quello
comprensivo del lavoro straordinario
7
. Tale lettura, secondo i suoi sostenitori, è
confermata anche dal dettato dell’art. 5 dello stesso Decreto n. 692/1923 il quale,
definendo lo straordinario come “l’aggiunta alla giornata normale di lavoro di cui
all’art. 1”di un determinato periodo di tempo, presuppone, di conseguenza, una
durata fissa e non variabile della giornata lavorativa
8
. Integrando, quindi, il disposto
dell’art.1 con quello dell’art. 3, si giungerebbe ad escludere che la giornata lavorativa
5
ICHINO P., Orario di lavoro, in Digesto Disc. Priv., sez. Comm., Torino, 1994, p, 393; ICHINO P.,
Il tempo della prestazione nel rapporto di lavoro, II, Giuffrè, Milano, 1985, p. 278; ICHINO P.,
L’orario di lavoro e i riposi, artt. 2107 e 2109, in Comm. Cod. civ. diretto da P. Schlesinger, Milano,
Giuffrè, 1987, p. 21.
6
Sono invece sostenitori della tesi della concorrenza PERA G., Diritto del lavoro, Padova, Cedam,
1996, pp. 460-461; CASSI V., La durata della prestazione di lavoro, vol. II, Milano, 1956, pp. 34-35;
CORRADO R., Trattato di diritto del lavoro, vol. III, Torino, 1969, pp. 135-136; BALLESTRERO
M. V., Orario di lavoro, in Enc. Giur. Dir., vol. XXX, Milano, Giuffrè, 1980, p. 623; CARABELLI
U., LECCESE V., Orario di lavoro: limiti legali e poteri della contrattazione collettiva, in QDLRI,
1995, n. 17, p. 35; SCARPONI S., Riduzione e gestione flessibile del tempo di lavoro, Milano, 1998,
p. 95 ss.
7
CARABELLI U., LECCESE V., Orario di lavoro: limiti legali e poteri della contrattazione
collettiva, in QDLRI, 1995, n. 17, p. 35; SCARPONI S., Riduzione e gestione flessibile del tempo di
lavoro, Milano, Giuffrè, 1998, p. 95; questa opinione non è invece condivisa da DE LUCA TAMAJO
R., Il tempo nel rapporto di lavoro, in Dir. Lav. Rel. Ind., 1986, n. 31, p. 447, secondo cui “la
genericità del dettato costituzionale non impone vincoli aprioristici e non preclude quindi al
legislatore ordinario di operare all’insegna della flessibilità attraverso la previsione di una durata
massima media nell’ambito della settimana”.
8
ICHINO P., Il tempo della prestazione nel rapporto di lavoro, vol. II, Milano, Giuffrè, 1985, pp.
276-277.
3
La disciplina dell’orario di lavoro nel R.D.L. n. 692 del 15-3-1923
possa eccedere le 8 ore giornaliere alle quali potrebbero essere aggiunte al massimo 2
ore di lavoro straordinario.
Inoltre, neppure sul fronte giurisprudenziale, si è riusciti a tracciare una via certa ed
univoca. Infatti, sia la Suprema Corte che i giudici di merito
9
, per lungo tempo,
hanno oscillato tra le due sponde interpretative. All’inizio degli anni ’80, la
Cassazione, infatti, sebbene avesse già appoggiato la tesi della concorrenza
10
,
sosteneva ancora che la particella “o”, risultante dal disposto dell’art. 1 R.D.L. n.
692/1923, potesse assumere solo un significato disgiuntivo e che pertanto, i limiti
dello 8 ore giornaliere e delle 48 ore settimanali fossero tra di loro alternativi
11
. Tale
panorama interpretativo, è però mutato nel corso degli anni ’90. La Cassazione
infatti, riallacciandosi ad una decisione del 1983, ha sostenuto la tesi della
concorrenza, ritenendo che “ai fini del diritto alla corresponsione della
maggiorazione retributiva per la prestazione di lavoro straordinario, la disposizione
dell’art. 1 del R.D.L. n. 692/1923, debba essere interpretata nel senso che il limite
dell’orario giornaliero normale ivi indicato, sia autonomamente considerato rispetto a
quello settimanale, in considerazione della finalità della normativa e del carattere più
usurante e, in ogni caso, comportante un maggiore costo personale del lavoro
eccedente la prevista durata massima della giornata lavorativa”
12
.
9
A sostegno della tesi della concorrenza si sono espressi: Trib. Firenze 24 giugno 1989, in Riv. It.
Dir. Lav., 1990, II, p. 168 con nota critica di TIRABOSCHI, Brevi riflessioni in tema di dyrata
massima della giornata di lavoro; Pret. Roma 27 aprile 1993, in Giur. Lav. Lazio, 1994, p. 419 con
nota critica di GALGANI B.; In senso contrario invece Pret. Catania 21 novembre 1985, in Dir. Prat.
Lav., 1986, p. 1227; Trib. Cremona 28 aprile 1985, in Riv. It. Dir. Lav., 1995, II, p. 860.
10
Cass. 20 aprile 1983, n. 2729, in Mass. di Giur. Lav., 1984, p. 35 con nota critica di MEUCCI, Sui
limiti legislativi alla durata della prestazione di lavoro; Cass. Civ. sez. lav. 29 gennaio 1985, n. 520,
in Mass. di Giur. Lav., 1985, p. 68; Cass. 15 novembre 1985, n. 5616, in Rep. Foro It., 1985, c. 1687,
n. 1132; Cass. Sez. civ. 2 agosto 1996, n. 6995, in Dir. Prat. Lav., 1997, p. 28.
11
Cass. 17 maggio 1958, n. 1632, in Riv. Giur. Lav., 1958, p. 379; Cass. 22 ottobre 1971, n. 2973, in
Foro It., 1971, I, 1709; Cass. Sez. pen. 2 giugno 1984, n. 5179, in Mass. di Giur. Lav., 1984, p. 520.
12
Cass. Civ. sez. lav., 2 agosto 1996, n. 6995, in Dir. Prat. Lav., 1997, p. 28.
4
La disciplina dell’orario di lavoro nel R.D.L. n. 692 del 15-3-1923
Comunque, nonostante l’ambiguità di questa previsione, si è andata sempre più
affermando la tesi secondo la quale i due limiti debbano ritenersi concorrenti e non
alternativi (nel senso che la settimana lavorativa può avere una durata massima
normale di 48 ore, ripartite su 6 giorni di 8 ore, con il settimo giorno di riposo
13
).
2 L’ambito di applicazione
Per quanto riguarda il campo di applicazione della disciplina limitativa dell’orario, si
deve notare il fatto che il legislatore del 1923 abbia voluto disporre espressamente
l’esclusione da tale normativa dei rapporti di lavoro non subordinato in agricoltura.
Tale comportamento potrebbe farci pensare che l’ambito applicativo del decreto
potesse essere esteso in settori diversi da quello agricolo, anche al di fuori dell’area
del lavoro subordinato.
Interpretando infatti la disgiuntiva come un’alternativa tra requisito della dipendenza
e quello della soggezione al controllo, si potrebbe dedurre che intenzione del
legislatore, sia stata quella di estendere il campo di applicazione anche ai rapporti di
lavoro autonomo, ma sotto il controllo diretto del committente
14
. Tuttavia tale
interpretazione non può ritenersi corretta, poiché la volontà del legislatore di
applicare la disciplina solo al lavoro subordinato, discende in modo inequivocabile
da diverse espressioni del testo legislativo. Ciò è confermato dal fatto che nel 1° co.
dell’art. 1, il termine “lavoro” è accompagnato dagli attributi salariato o stipendiato
che sicuramente non sono riferibili al lavoro autonomo. Il requisito della dipendenza
13
Ciò in conformità con l’art. 36, co. 3°, Cost., secondo il quale “il lavoratore ha diritto al riposo
settimanale…”, ed alla L. 22/02/1934 n. 370, che, in particolare, all’art. 3, co. 1°, stabilisce che “il
riposo di 24 ore consecutive deve essere dato la domenica”, salvo specifiche eccezioni.
14
ICHINO P., Il tempo della prestazione nel rapporto di lavoro, vol. II, Milano, Giuffrè, 1985, p. 302.
5
La disciplina dell’orario di lavoro nel R.D.L. n. 692 del 15-3-1923
quindi non può considerarsi come alternativo rispetto a quello della soggezione al
controllo, ma devono intendersi come coincidenti o concorrenti, interpretando la
disgiuntiva “o” come una congiuntiva “e”
15
. Il R.D.L. del 1923 non può essere quindi
applicato al lavoro autonomo né direttamente né indirettamente. Non c’è nessun
dubbio al riguardo, quando il lavoro autonomo trova le sue basi in un contratto
d’opera in senso stretto, nel quale l’oggetto ha la veste di un opus indivisibile nel
tempo, e nel quale perciò l’estensione temporale della prestazione non arriva ad
assumere alcun rilievo. Delle perplessità invece potrebbero sorgere con riferimento a
quei contratti d’opera nei quali la prestazione lavorativa ha un carattere continuativo,
ma anche in questi casi, a differenza di quanto avviene nei rapporti di lavoro
subordinato, si deve ritenere che non sia riscontrabile l’esigenza di protezione del
lavoratore quale parte debole nei confronti del committente. Per tale motivo la
dottrina
16
ritiene che anche le norme costituzionali in materia di durata giornaliera,
settimanale, annuale di lavoro, siano da riferirsi solo al lavoro subordinato.
Quanto sopra esposto, però, non comporta necessariamente l’estensione della
disciplina limitativa dell’orario di lavoro alla totalità dei lavoratori subordinati,
disciplina che infatti, non può essere attuata in quei rapporti di lavoro nei quali
l’obbligazione sia caratterizzata dalla fungibilità tra estensione temporale e intensità
della prestazione, con ampia discrezionalità del lavoratore.
L’applicazione del limite massimo dell’art. 1 della legge e dell’art. 5, per le
maggiorazioni previste per le prestazioni eccedenti il limite massimo, è configurabile
solo nel momento in cui esista un “vincolo d’orario” all’estensione o alla
15
ICHINO P., Il tempo della prestazione nel rapporto di lavoro, vol. II, Milano, Giuffrè, 1985, p. 303;
D’EUFEMIA G., L’orario di lavoro e i riposi, in Trattato di diritto del lavoro, vol. III, La disciplina
organizzativa del lavoro, Padova, 1959, p. 211.
16
TREU T., Commento all’art. 36, in Comm. Cost., Tomo I, artt. 36-40, Bologna-Roma, 1979, p. 118
nel quale asserisce che dei diritti previsti dall’art. 36 Cost. siano titolari i soli lavoratori subordinati.
6
La disciplina dell’orario di lavoro nel R.D.L. n. 692 del 15-3-1923
collocazione della prestazione, ossia nel caso in cui l’estensione sia l’unico metro
quantitativo della prestazione stessa. Tali argomentazioni inoltre, sono valide anche
per il rapporto che intercorre tra socio e cooperativa di lavoro, tra socio d’opera e
società, e nell’impresa familiare.
Si può poi notare nel 1° articolo del R.D.L. del 1923 che, anche se la limitazione
della durata del lavoro sembri riferibile alla giornata complessiva del lavoratore, in
realtà è da ritenere che l’estensione temporale abbia ad oggetto la prestazione
giornaliera e settimanale nell’ambito di ciascun rapporto di lavoro. Tutto ciò, può
essere dedotto dalla disciplina del lavoro straordinario contenuta nell’art. 5 e,
dall’apparato sanzionatorio degli artt. 8 e 9 dello stesso decreto del 1923, che
possono applicarsi solo al singolo rapporto, e dall’art. 2107 cc. che si riferisce alla
singola prestazione lavorativa. È quindi pacifica e non controversa l’applicabilità del
limite massimo di orario solo al singolo rapporto di lavoro.
La circostanza che la durata massima della giornata e della settimana lavorativa sia
riferita al singolo rapporto e non al singolo lavoratore, anche se è trascurabile quando
la generalità dei lavoratori è impegnata in rapporti a tempo pieno e l’orario normale è
di 48 ore settimanali, può invece comportare dei problemi quando l’orario normale
previsto dai contratti collettivi scenda sotto le 40 ore settimanali, o aumentino i
rapporti a tempo parziale. In questi casi infatti, si lascia largo spazio alle doppie
attività. Il fenomeno del doppio lavoro difatti, può vanificare totalmente la disciplina
limitativa dell’orario senza violarla. Il contenimento del doppio lavoro, che il limite
di durata massima non può assicurare direttamente, può però essere realizzato
indirettamente, cercando di eliminare la necessità del lavoratore di prolungare la
giornata lavorativa oltre il limite normale, attraverso un’adeguata tutela del reddito.
7
La disciplina dell’orario di lavoro nel R.D.L. n. 692 del 15-3-1923
3 La nozione di lavoro effettivo
La durata massima della giornata lavorativa si computa, ai sensi dell’art. 1 del R.D.L.
n. 692/1923, esclusivamente in base alle ore di “lavoro effettivo”, intendendosi per
tale la prestazione lavorativa in senso stretto, che comprende anche i periodi di mera
attesa, o nei quali non sia richiesta al lavoratore un’attività assorbente, bensì soltanto
il tenersi costantemente a disposizione
17
.
L’art. 3 chiarisce che è effettivo il lavoro comportante un’applicazione assidua e
continuativa, cioè, come gli interpreti hanno costantemente sottolineato
18
, una
continuità costante di sforzo.
L’espressione “lavoro effettivo” si trova, pertanto, sia nell’art. 1 che nell’art. 3 del
R.D.L. n. 692/1923, circostanza che ha acceso un animoso dibattito relativo al
significato da attribuire a questa locuzione nelle due diverse norme.
Alcuni hanno ritenuto che nell’art. 1 il lavoro effettivo stia ad indicare “ l’attività
effettivamente e concretamente prestata”, mentre nell’art. 3 le stesse parole si
riferirebbero ad “ogni lavoro che richieda un’applicazione assidua e continuativa”
19
per distinguerlo dalle prestazioni che “richiedono per loro natura o nella specialità
del caso, un lavoro discontinuo o di semplice attesa e custodia”, escluse, come si
vedrà, dalla disciplina limitativa dell’orario. Altra parte della dottrina invece, ritiene
che l’espressione “lavoro effettivo” assuma lo stesso significato in entrambi gli
17
ICHINO P., L’orario di lavoro e i riposi, in Commento agli artt. 2107 e 2109 del codice civile
diretto da P. Schlesinger, Milano, 1987, p. 26.
18
BALLESTRERO M.V., Orario di lavoro, in Enc. Giur. Dir., vol. XXX, Milano, Giuffrè, 1980, pp.
624-626.
19
Per quanto riguarda i sostenitori di questa tesi vedi CASSÌ V., La durata della prestazione di
lavoro, vol. I, Milano 1956, pp. 44 e 45; CORRADO R., Trattato di diritto del lavoro, vol. III, Torino,
1969, p. 137.
8
La disciplina dell’orario di lavoro nel R.D.L. n. 692 del 15-3-1923
articoli e che la definizione di cui all’art. 3 serva solo a specificare meglio il
significato dell’art. 1
20
.
Tuttavia, queste due contrapposte posizioni non sembrano così distanti, dal momento
che la locuzione può essere intesa nello stesso senso nei due articoli, sebbene assolva
a funzioni diverse: mentre l’art. 1 individua il lavoro a cui si applica la disciplina
limitativa dell’orario, all’art. 3 la nozione è usata in senso negativo, per definire il
lavoro discontinuo e i lavori di attesa e custodia, non soggetti a limiti legali
21
. Ai
sensi di queste norme devono quindi essere esclusi dal concetto di “lavoro effettivo”,
i lavori discontinui o di semplice attesa e custodia. Inoltre, ne rimangono al di fuori,
anche i riposi intermedi fruiti dai lavoratori sia all’interno che all’esterno
dell’azienda, a condizione che siano prestabiliti ad ore fisse, ed indicati nell’orario di
lavoro
22
. Sul punto è intervenuta anche la Corte di Cassazione
23
la quale ha ritenuto
che i riposi intermedi vadano esclusi dalla nozione di lavoro effettivo, non solo se
non vi è prestazione di attività, ma anche quando essi comportino per il dipendente la
facoltà di disporre a propria discrezione del tempo libero ancorché con l’obbligo di
restare nell’ambito del posto di lavoro. Al n. 2 dell’art. 5 del R.D. n. 1955/1923 è poi
stabilito che non rientra nella nozione di lavoro effettivo neppure “il tempo
impiegato per recarsi al posto di lavoro”. In quest’ultimo caso, infatti, il tempo
utilizzato per raggiungere il luogo di lavoro, anche se speso durante una trasferta, ed
20
Sono invece sostenitori di questa interpretazione BARASSI L., Il diritto del lavoro, vol. III, Torino
1969, pp. 377-378; RIVA SANSEVERINO L., Disciplina delle attività professionali. Impresa in
generale, in Commentario del codice civile a cura di SCIALOJA A. e BRANCA G., Bologna-Roma,
Zanichelli, 1977, p. 407 ss.; BALLESTRERO M.V., Orario di lavoro, in Enc. Giur. Dir., vol. XXX,
Milano, Giuffrè, 1980, pp. 624-626; PERA G., “Diritto del lavoro”, Padova, 1988, pp. 608-609.
21
MARTONE M., Sulla nozione di lavoro effettivo, in Arg. Dir. Lav., 1998, n. 2, p. 466.
22
Su tale punto è intervenuto anche il legislatore comunitario che all’art. 3 della direttiva n. 104/1993
ha stabilito che il lavoratore, qualora l’orario giornaliero superi le 6 ore, ha diritto ad una pausa, le cui
modalità, la cui durata e condizioni di concessione sono fissate da contratti collettivi o accordi tra le
parti sociali, o, in loro assenza, dalla legislazione nazionale.
23
Cfr. Cass. 19 febbraio 1985, n. 1462, in Or. Giur. Lav., p. 819; Cass. 2 aprile 1986, n. 2268, in Rep.
Foro it., 1986, c. 1172, n. 1132.
9
La disciplina dell’orario di lavoro nel R.D.L. n. 692 del 15-3-1923
indipendentemente dal tipo di trasporto utilizzato dal lavoratore, rimane estraneo
all’attività lavorativa e, pertanto, non può essere computato nel normale orario di
lavoro del quale potrebbe costituire un prolungamento. Tale spazio temporale quindi,
non può essere né qualificato, né retribuito come lavoro straordinario
24
. Questa
regola però viene meno nel caso in cui il tempo del viaggio sia connaturato alle
modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e sia quindi imposto dal tipo di
lavoro effettuato. A conferma di tale orientamento è intervenuta anche la Suprema
Corte
25
che a sua volta, con una serie di sentenze, ha sostenuto che il tempo
impiegato per raggiungere il luogo di svolgimento della prestazione di lavoro, resta
estraneo all’attività lavorativa vera e propria e che, quindi, non si somma al normale
orario di lavoro, ad eccezione del caso in cui il tempo del viaggio risulti essere
funzionale alla prestazione lavorativa. In tal caso, tale tempo non solo rientra a tutti
gli effetti nell’attività lavorativa, ma deve anche essere sommato al normale orario di
lavoro come straordinario.
Sono altresì escluse dall’orario di lavoro effettivo, le operazioni di marcatura del
cartellino segnatempo
26
, nonché quelle necessarie per indossare o dimettere gli
indumenti di lavoro. L’art. 5 del R.D. n. 1955/1923, al n. 3, dispone poi che non
devono essere prese in considerazione, neanche le soste di lavoro di durata non
24
Cfr. Cass. 21 novembre 1985, n. 5745, in Mass. Giur. Lav., 1986, p. 61, secondo la quale va escluso
che spetti, in tal caso, il compenso per lavoro straordinario trattandosi di un disagio extralavorativo
risarcibile a diverso titolo; contra Pret. Milano 12 giugno 1992, in Dir. Prat. Lav., n. 35, 1992, 2409,
secondo il quale lo spostamento da una località all’altra rappresenta una normale modalità di
espletamento della prestazione lavorativa e ove prolunghi l’orario lavorativo ordinario, dà titolo al
compenso per lavoro straordinario.
25
Cass. Sez. lav. 9 dicembre 1999, n. 13804, in Rass. Giur. Civ. annotata, 2000, n. 4, p. 410 nella
quale la Corte, stabilendo che il tempo del viaggio rientri nell’attività lavorativa solo nel caso in cui
esso sia funzionale rispetto alla prestazione, ha voluto precisare che tale carattere sussiste solo quando
il dipendente, obbligato a presentarsi presso la sede aziendale, sia poi di volta in volta inviato in
diverse località per svolgervi la sua prestazione lavorativa; nello stesso senso cfr. Cass. 1 settembre
1997, n. 8275, in Not. Giur. Lav., 1997, 753; Cass. 7 giugno 1996, n. 5323, in Not. Giur. Lav., 1996,
543; per quanto riguarda la giurisprudenza di merito v. Trib. Milano 8 settembre 1993, in Or. Giur.
Lav., 1993, 697.
26
Cass. 25 maggio 1983, n. 3629, in Giust. Civ., 1984, I, pp. 1601 ss.
10
La disciplina dell’orario di lavoro nel R.D.L. n. 692 del 15-3-1923
inferiore a 10 minuti e complessivamente non superiore a due ore, comprese tra
l’inizio e la fine di ogni periodo della giornata di lavoro, durante le quali non sia
richiesta alcuna prestazione. Le soste di lavoro si differenziano dai riposi intermedi o
normali, per la mancanza del requisito formale della loro programmazione, oltre che
per la loro diretta connessione con esigenze di ordine funzionale, connesse con lo
stesso processo produttivo
27
. Il legislatore infatti ha ritenuto, che le soste di durata
inferiore a 10 minuti, data la loro brevità, non permettono al lavoratore di avere la
piena disponibilità del proprio tempo, e possono quindi essere considerate come
semplici pause interne alla prestazione. Fanno invece eccezione le soste, di durata
anche superiore a 15 minuti, che vengono concesse agli operai addetti a lavori molto
faticosi, in quanto dirette a consentire quel minimo recupero di energie, necessario
all’utile espletamento dell’attività.
4 I lavoratori esclusi dai limiti di orario
L’espressione “lavoro effettivo”contenuta nell’art. 3 R.D.L. n. 692/1923, secondo
l’opinione di parte della dottrina
28
, acquista un significato del tutto diverso rispetto a
quello descritto nell’art. 1. Infatti, mentre in quest’articolo, essa si riferisce al periodo
in cui si svolge effettivamente la prestazione lavorativa, ossia il lavoro in senso
stretto, nell’art. 3 la definizione del termine “effettivo”, è data dalla stessa legge che
comprende nel lavoro effettivo, “ogni lavoro che richieda un’applicazione assidua e
continuativa”, escludendo pertanto, tutte le occupazioni che richiedono per la loro
27
SANDULLI P., Orario di lavoro, I, Rapporto di lavoro privato, in Enc. Giur. Treccani, vol. XXI,
Roma, 1990, p. 6.
28
Cfr. sul punto CASSÌ V., La durata della prestazione di lavoro, vol. I, Milano, 1956, pp. 44-45;
CORRADO R., Trattato di diritto del lavoro, vol. III, Torino, 1969, p. 137.
11