PREMESSA
Nel presente lavoro ci occuperemo diffusamente del tema della due diligence fiscale
e di tutti gli aspetti ad essa collegati.
Vedremo come l’attività di tax due diligence sia solo una delle tante aree d’indagine
di cui si compone un intervento di full due diligence; infatti, oltre ad essa,
esamineremo l’analisi dell’ambiente di riferimento dell’azienda target, la due diligence
contabile, la due diligence finanziaria, la due diligence legale e la due diligence
ambientale.
Però la due diligence fiscale riveste sicuramente maggior importanza, soprattutto alla
luce dei recenti mutamenti che da sempre interessano l’intricatissima normativa
tributaria, legale e contabile relativa all’attività societaria nel nostro Paese; tra questi
esamineremo in particolare il D.Lgs. n. 472/97 in materia di sanzioni amministrative e
tributarie, che ha determinato una grande richiesta di interventi di due diligence
fiscale (ma anche contabile), ossia interventi di limited due diligence aventi come
obiettivo quello di verificare l’esistenza di rischi penali e passività potenziali che
potrebbero gravare sul cessionario d’azienda. Senza dubbio, una delle novità più
significative della nuova normativa consiste nella possibilità per il cessionario di
limitare la propria responsabilità attraverso la richiesta delle due tipologie di certificati
da inviare agli uffici finanziari competenti.
Inoltre, la continua ricerca di una più completa protezione per il potenziale acquirente
ha portato alla sempre maggiore inclusione all’interno del contratto di vendita di
idonee garanzie e clausole di indennizzo costituite da garanzie patrimoniali
dell’azienda target (o obiettivo), individuate grazie al processo di buyer due diligence.
Come avremo modo di osservare, non è affatto semplice cercare di fornire una
definizione esaustiva ed univoca dell’intervento; una prima interpretazione che si può
formulare riguarda sicuramente il significato letterale del termine anglosassone “due
dligence review”. Esso riconduce alla diligenza normalmente dovuta da un
consulente che svolge un incarico professionale con ragionevole diligenza ed
attenzione, confidando pienamente sulle proprie precedenti esperienze maturate in
aree simili a quella da verificare. Tale temine è entrato nel linguaggio corrente a
partire dagli anni ’80, anche se l’attività svolta sotto questo nome non è poi così
recente. L’informazione e l’analisi dell’azienda target prima di concludere un contratto
1
di acquisizione sono infatti attività antiche quanto il commercio stesso; ciò che è
nuovo rispetto al passato è sicuramente l’ambito di applicazione di questo intervento,
un tempo utilizzato esclusivamente per definire lo studio di potenziali operazioni di
acquisto, e la maggior specializzazione degli advisors, richiesta appunto dalla
complessità delle nuove normative di riferimento e delle realtà produttive.
L’intervento di tax due diligence identifica l’attività di controllo che viene richiesta al
team fiscale da un potenziale acquirente, al fine di verificare il corretto adempimento
degli obblighi tributari da parte della società target e di evitare così possibili passività
fiscali che potrebbero emergere successivamente all’acquisto. Tale attività si trova in
stretto collegamento con la due diligence contabile; infatti, vedremo che alcune delle
voci analizzate durante quest’ultima riguardano anche l’area fiscale, e ciò determina
un necessario scambio incrociato di informazioni tra i due team incaricati.
L’intervento si presenta particolarmente articolato e complesso, perciò sarà
necessario coinvolgere dei consulenti con esperienza fiscale pluriennale che siano in
grado di evidenziare le irregolarità emerse, le passività fiscali (reali e potenziali)
collegate a tali irregolarità, e di determinare il grado di rischio che si possa o meno
verificare la perdita connessa alla possibile irrogazione di sanzioni da parte
dell’Amministrazione finanziaria.
Infine, prenderemo in esame le due tipologie di certificazione tributaria allo scopo di
distinguerle e di esaminarne i contenuti.
La prima tipologia, come vedremo, è quella effettuata nell’ambito di un intervento di
revisione del bilancio prestando attenzione ai “Principi di revisione tributaria” del
Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti, e finalizzata al rilascio di una
relazione di certificazione.
La seconda riguarda il tanto discusso istituto introdotto nel 1997 e reso operativo a
partire dal periodo d’imposta 1999; si tratta di una procedura volontaria idonea a
fornire un’apparente “tranquillità” fiscale a tutte quelle aziende che hanno deciso di
sottoporsi ad essa. Esamineremo i limiti principali e le lacune legislative che ne
sviliscono l’effetto e impediscono di raggiungere completamente l’obiettivo
originariamente ipotizzato dal legislatore.
In appendice ci occuperemo di esaminare gli effetti dei condoni fiscali previsti dalla
recente legge Finanziaria per il 2003 sui periodi d’imposta ancora aperti e, più in
generale, sui futuri interventi di tax due diligence.
2
CAPITOLO PRIMO
LA RESPONSABILITA’ TRIBUTARIA DEL CESSIONARIO
D’AZIENDA
Il crescente mutamento normativo avvenuto nel nostro paese negli ultimi anni,
soprattutto in materia di sanzioni amministrative e tributarie (D.Lgs. n. 472/1997 e
D.Lgs. n. 47/2000), ha determinato una grande richiesta di interventi di due diligence
1
fiscale aventi come obiettivo quello di verificare l’esistenza di rischi penali e passività
potenziali sempre più facilmente applicabili; quindi vale la pena soffermarci
brevemente sulle disposizioni più rilevanti ed innovative e sulle loro implicazioni
aziendali e fiscali.
Di seguito analizzeremo diffusamente l’art. 14 del sopraccitato D.Lgs. 18 dicembre
1997 n. 472, mediante il quale viene completamente riscritta la disciplina
concernente la responsabilità fiscale del cessionario dell’azienda o del ramo di
azienda. Tale materia era precedentemente regolata dall’art. 19 della L. 7 gennaio
2
1929 n. 4 e nell’art. 66 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602.
1.1. Profili generali della nuova disciplina e confronto con quella
precedente
Ci sembra opportuno, ai fini di una miglior comprensione, esporre il testo dell’art.14
per poi analizzarlo nel dettaglio:
Art. 14 D.Lgs. n. 472/1997 - Cessione d’azienda:
1. Il cessionario è responsabile in solido, fatto salvo il beneficio della preventiva
escussione del cedente ed entro i limiti del valore dell’azienda o del ramo d’azienda,
per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse
nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già
1
Si tratta soprattutto di interventi di limited due diligence, come vedremo meglio nel prossimo
capitolo.
2
Sulla disciplina previgente si rinvia a NAPOLITANO, “La responsabilità tributaria del
cessionario d’azienda”, in Bollettino Tributario, 1984, pag. 1404.
3
irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse
in epoca anteriore.
2. L’obbligazione del cessionario è limitata al debito risultante, alla data del
trasferimento, dagli atti degli uffici dell’amministrazione finanziaria e degli enti
preposti all’accertamento dei tributi di loro competenza.
3. Gli uffici e gli enti indicati nel comma 2 sono tenuti a rilasciare, su richiesta
dell’interessato, un certificato sull’esistenza di contestazioni in corso e su quelle già
definite, per le quali i debiti non sono stati soddisfatti. Il certificato, se negativo, ha
pieno effetto liberatorio del cessionario, del pari liberato ove il certificato non sia stato
rilasciato entro quaranta giorni dalla richiesta.
4. La responsabilità del cessionario non è soggetta alle limitazioni previste nel
presente articolo qualora la cessione sia stata attuata in frode dei crediti tributari,
ancorché essa sia avvenuta con trasferimento frazionato dei singoli beni.
5. La frode si presume, salvo prova contraria, quando il trasferimento sia effettuato
entro sei mesi dalla constatazione di una violazione penalmente rilevante.
Si può notare a prima vista che detta responsabilità agisce su un piano differente
rispetto a quella prevista dall’art. 2560 comma 2 del codice civile, in base al quale
l’acquirente di una azienda commerciale è chiamato a rispondere, assieme
all’alienante, dei debiti iscritti nei libri contabili obbligatori, a nulla valendo, ai fini di
una sua limitazione nei confronti dei terzi, che le parti abbiano eventualmente
convenuto di escludere espressamente il trasferimento di alcuni di essi.
Infatti l’art. 14 copre le ipotesi di cessioni di aziende non commerciali e prescinde
dall’iscrizione dei debiti nelle scritture contabili, ma accolla al cessionario l’onere di
pagamento di debiti tributari futuri o non ancora certi e determinati, qualora l’ente
creditore non fosse in grado di soddisfarsi sul patrimonio del cedente. La disciplina
fiscale e quella civilistica operano in modo concorrente e la prima non impedisce, in
linea teorica, l’operatività della seconda anche per i debiti di natura tributaria.
Le novità che emergono rispetto alla normativa precedente sono molteplici; noi ci
limiteremo ad elencare le più significative per meglio comprenderne la portata.
Il vecchio regime sanzionatorio si applicava alle cessioni di azienda intervenute sino
alla data del 31 marzo 1998 e prevedeva:
a) ai fini delle imposte dirette, l’applicazione delle disposizioni contenute nell’art. 66
del D.P.R. n. 602/1973. Esso disponeva che, per i debiti di imposta (imposte dirette,
4
sanzioni ed interessi) inerenti l’azienda ceduta e relativi all’anno in cui si è
perfezionata la cessione e a quello antecedente la stessa, sussisteva una
responsabilità oggettiva del cessionario nei limiti del valore dei beni oggetto di
cessione. Inoltre, questa norma contemplava sia la possibilità di pignoramento dei
beni e delle merci appartenenti all’azienda ceduta, sia la possibilità per il
cedente/cessionario di richiedere un certificato all’amministrazione finanziaria dal
quale risultasse la quota di reddito riferibile all’azienda ceduta.
b) ai fini dell’I.V.A., le disposizioni contenute nell’art. 19 della L. 7 gennaio 1929 n. 4.
Tale norma disponeva che, per i debiti di imposta inerenti all’azienda ceduta e relativi
all’anno della cessione e ai due anni antecedenti la cessione stessa, esisteva una
3
responsabilità solidale illimitata del cessionario.
Ora è chiaro come la nuova disciplina si ispiri in larga misura al sopra menzionato
art. 19 della legge n. 4/1929 che dispone sull’I.V.A., anche se bisogna sottolineare
che esso si riferisce solo ai tributi dello stato (mentre l’art. 14 si applica anche ai
tributi non erariali). Le differenze più rilevanti si hanno rispetto agli artt. 66 e 80 del
D.P.R. n. 602/1973, dato che la norma attuale prevede la natura solidale della
responsabilità, il beneficio della preventiva escussione del cedente e l’introduzione
della limitazione alla responsabilità del cessionario, il quale potrà essere chiamato a
rispondere “entro il valore dell’azienda ceduta”.
Dall’esame della nuova normativa emergono perciò le seguenti novità:
La responsabilità del cessionario è una responsabilità solidale sia ai fini delle
imposte dirette, sia ai fini dell’I.V.A.;
La responsabilità del cessionario è limitata al valore dei beni dell’azienda
acquisita;
L’esattore potrà rivalersi non solo sui beni oggetto dell’azienda acquisita, ma
anche su tutti gli altri beni del cessionario;
La responsabilità del cessionario sia ai fini delle imposte dirette, sia ai fini delle
imposte indirette (I.V.A.), viene estesa ai debiti tributari del cedente relativi
all’anno di cessione e ai due precedenti;
Viene introdotta una procedura per la richiesta di un apposito certificato che
consente al cessionario di limitare la propria responsabilità.
3
Perciò solo per l’Iva non c’era alcuna limitazione oggettiva al valore dei beni oggetto della
cessione.
5
1.2. La natura della responsabilità fiscale del cessionario d’azienda
La nuova responsabilità del cessionario di azienda è una responsabilità soggettiva in
quanto quest’ultimo risponde personalmente dei debiti tributari insoddisfatti con il suo
intero patrimonio. Si tratta inoltre di una responsabilità solidale sussidiaria, dato che il
cessionario gode del beneficio della preventiva escussione; in pratica l’ente creditore
è legittimato a richiedere l’adempimento all’acquirente solo dopo aver inutilmente
escusso il debitore principale, ossia l’alienante. Per procedere al recupero dei debiti
fiscali in capo al cessionario servirà dare dimostrazione del fallito tentativo di
escutere il debitore principale. In particolare è stato ritenuto che al mancato esito
dell’azione esecutiva possa essere equiparata la dimostrazione dell’insufficienza del
patrimonio del debitore principale a soddisfare il creditore o la verosimile inutilità
4
dell’esperimento dell’azione esecutiva. Non basta la dichiarazione di fallimento del
debitore principale per dar prova dell’insufficienza del patrimonio, ma è necessario
che il creditore provi di non potersi soddisfare sullo stesso mediante la procedura
concorsuale, producendo gli stati attivo e passivo del debitore risultanti
5
dall’accertamento del giudice fallimentare.
Inoltre va detto che il creditore (per esso si intende l’ente o ufficio impositore), in
attesa di esperire le procedure di recupero nei confronti del debitore principale, può
cautelarsi anche nei confronti dell’acquirente attraverso il ricorso all’ipoteca e al
sequestro conservativo. Questo avviene in quanto la responsabilità solidale del
cessionario rientra nella cosiddetta “responsabilità dipendente (o anche
“responsabilità di imposta”) che coinvolge un soggetto il quale non ha realizzato il
fatto-indice di capacità contributiva, ma che è collegato al fatto imponibile o al
contribuente (ovviamente nel nostro caso il collegamento è dato dal trasferimento
dell’azienda).
1.3. I limiti della responsabilità del cessionario d’azienda
L’art. 14 pone delle precise limitazioni alla responsabilità fiscale del cessionario di
azienda. Innanzitutto il cessionario risponde nei limiti del valore dell’azienda o del
6
ramo d’azienda acquistato. Secondo il Ministero delle Finanze il valore da assumere
come limite alla responsabilità solidale dell’acquirente è quello accertato dal
4
Cass. 8 luglio 1983, n. 4606; Tribunale di Bologna 4 ottobre 1983.
5
Cass. 13 marzo 1987, n. 2647.
6
Circolare n. 180/E del 10 luglio 1998.
6
competente ufficio delle entrate o del registro, oppure quello dichiarato dalle parti, in
mancanza di accertamento.
Occorre anche sottolineare l’affermazione ministeriale secondo cui per configurarsi la
responsabilità del cessionario non è indispensabile che il trasferimento dell’azienda
risulti da apposito atto materiale, essendo invece sufficiente che si renda applicabile
7
l’imposta di registro per presunzione di cessione desunta dalla continuazione della
stessa attività nel medesimo locale o in parte di esso, da cambiamenti nella ditta,
nell’insegna o nella titolarità dell’esercizio ovvero da altre presunzioni gravi, precise e
concordanti.
Bisogna altresì ricordare che l’art. 14 parla di responsabilità del cessionario per il
pagamento di imposte e sanzioni, senza menzionare le tasse e gli interessi. Il chiaro
ed inequivocabile riferimento legislativo alla categoria delle imposte sembra
escludere che la norma in oggetto possa essere utilizzata per legittimare il recupero
in capo al cessionario di eventuali tasse (e relativi interessi e sanzioni) non pagate
dal cedente. Invece la mancata menzione degli interessi, considerata la loro
accessorietà rispetto al debito d’imposta, non risulta decisiva, in quanto si propende
per la tesi di includerli nel debito complessivo di cui il cessionario potrebbe essere
chiamato a rispondere.
Altra importante limitazione alla responsabilità del cessionario è rappresentata dal
fatto che questi risponde per il pagamento delle imposte e delle sanzioni (oltre agli
interessi) riferibili a:
1) violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuto il trasferimento e nei due anni
precedenti, anche se non contestate o irrogate alla data della cessione;
2) violazioni già contestate e sanzioni già irrogate nello stesso periodo, anche se
commesse in epoca anteriore.
Con riferimento alle violazioni del punto (2, la contestazione risulta dai provvedimenti
emessi dai competenti uffici (si pensi all’avviso di accertamento, avviso di rettifica e
avviso di liquidazione) che sono idonei ad attualizzare la pretesa tributaria e risultano
ordinariamente impugnabili avanti gli organi di giurisdizione tributaria. Tra essi non
rientra il processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza, in
quanto spetta solo a detti uffici il potere di contestare formalmente l’omesso
8
pagamento di imposte o la commissione di una determinata violazione.
7
Ai sensi dell’art. 15, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 131/1986.
8
Sul punto si veda il successivo paragrafo 1.7.2.
7
Si può notare facilmente come la nuova disciplina sia peggiorativa rispetto a quella
contenuta nell’art. 19 della L. n. 4/1929, visto che questa circoscriveva la
responsabilità del cessionario alle violazioni commesse nell’anno del trasferimento e
nei due precedenti.
1.4. Il concetto di “cessione d’azienda”
In ordine alle fattispecie idonee a dar luogo alla responsabilità in oggetto, oltre alla
cessione di azienda a titolo oneroso, sono da includere, data la loro equiparazione
9
sotto il profilo giuridico, anche il conferimento, la permuta e la datio in solutum. Nella
fusine, la società incorporante o risultante dall’operazione, subentra in tutte le
situazioni giuridiche tributarie che facevano capo alla società incorporata o fusa.
Nella scissione, invece, le posizioni soggettive della scissa sono attribuite alla/e
beneficiaria/e in proporzione alla quota di patrimonio netto contabile ricevuto
all’interno del progetto di scissione.
Per quel che concerne il conferimento occorre approfondire meglio la questione; va
subito rilevato che il legislatore ha rubricato l’art. 14 “cessione di azienda” senza far
alcun riferimento specifico alla fattispecie della responsabilità che sorge in seguito ad
un conferimento di azienda e in particolare alla possibilità di configurare una
responsabilità solidale della società conferitaria per le passività fiscali gravanti
sull’azienda stessa. Da un punto di vista civilistico, il conferimento sociale che ha ad
oggetto un’azienda è praticamente assimilato alla cessione dell’azienda stessa, con
10
la conseguente applicazione della disciplina dettata per quest’ultimo istituto. Tale
conclusione è per lo più motivata dal fatto che il conferimento relativo ad un’azienda
origina una vicenda traslativa degli elementi materiali ed immateriali organizzati nel
complesso aziendale, la cui titolarità è appunto trasferita in capo alla società
conferitaria. Sotto un profilo fiscale, va anzitutto rilevato che anche la disciplina
previgente non conteneva alcuna espressa indicazione alla diversa fattispecie del
conferimento; tuttavia l’opinione dominante privilegiava una lettura estensiva, per cui
tali disposizioni erano ritenute pacificamente applicabili al conferimento, trattandosi di
fattispecie similari in cui si verifica il mutamento della titolarità del complesso di beni
9
Cass. 10 marzo 1990, n. 1963; Circolare Direzione regionale delle entrate del Piemonte n.
6/1998, nella quale viene fornita, come vedremo, un’interpretazione fin troppo rigida del dato
letterale della norma.
10
A proposito, si veda STESURI A., “Cessione e conferimento d’azienda: responsabilità
dell’acquirente” , in Corriere Tributario n. 46/1998, pag. 3405.
8
costituenti l’azienda. Venendo ora alla disciplina da ultimo entrata in vigore, subito si
nota che il legislatore non si è discostato dalla normativa previgente e non ha
introdotto alcuna espressa menzione dell’istituto del conferimento d’azienda,
continuando a riferirsi solo alla cessione. Pertanto, a panorama legislativo invariato,
gli orientamenti di cui ora si è detto conservano immutato il proprio valore, rilevato
anche che il legislatore non ha sentito alcun bisogno di dettare regole distintive sulla
responsabilità dell’ente conferitario. Tale linea di assimilazione dei due istituti è poi
confermata anche dall’art. 9, comma 5 del Testo Unico delle imposte sui redditi, che
menziona espressamente i conferimenti accanto alle cessioni d’azienda, e li assimila
“ai fini delle imposte sui redditi”. In sintesi il dato che emerge è quello di un’analogia
di disciplina delle fattispecie del conferimento e della cessione d’azienda, che porta a
ritenere sussistente un’identica responsabilità sussidiaria del cessionario e del
conferitario per le passività inerenti l’azienda trasferita. Tuttavia tale conclusione è
stata recentemente disattesa dalla direzione regionale delle entrate del Piemonte,
chiamata da un contribuente a pronunciarsi in merito alle ipotesi di coobbligazione
solidale con il cedente; la direzione ha affermato che in caso di conferimento di
azienda non sussiste alcuna responsabilità solidale del conferitario con il conferente,
in base alla considerazione che l’art. 14 non fa alcun riferimento al conferimento.
Comunque, alla luce dei rilievi svolti, la soluzione prospettata dalla direzione
regionale entrate del Piemonte non appare condivisibile in quanto non supportata da
alcun riferimento normativo. Infatti, proprio la circostanza che nell’ambito civilistico il
conferimento è quasi del tutto assimilato alla cessione, insieme al rilievo che manca
nella normativa fiscale una previsione espressa che differenzi la disciplina dettata per
i due istituti, rende preferibile la conclusione dell’identità di regime del conferimento e
della cessione anche sotto il profilo fiscale.
Pare invece doversi escludere l’applicazione della disciplina sulla cessione d’azienda
ai trasferimenti non negoziali (come l’usucapione), compresa la vendita
1112
fallimentare, ed a quelli mortis causa. Le donazioni e i trasferimenti gratuiti tra
11
Si veda RIVOLTA, “L’affitto e la vendita dell’azienda nel fallimento”, Milano, 1973, e
COLOMBO in AA.VV., “L’azienda ed il mercato”, vol. III del “Trattato di diritto commerciale e
di diritto pubblico dell’economia”, Padova, 1979.
12
In tale caso l’interpretazione è coerente con il dettato dell’art. 8, che prevede
l’intrasmissibilità delle sanzioni agli eredi, ferma restando comunque la loro responsabilità
per i tributi non versati, secondo gli ordinari principi civilistici in materia di successioni.
9
13
vivi sono inclusi nel campo applicativo delle norme sulla cessione d’azienda. Ne
14
sono infine esclusi l’affitto di azienda o ramo di azienda e l’usufrutto.
1.5. La cessione del ramo di azienda
Ci si pone a questo punto il problema di stabilire come operi la responsabilità nel
caso che oggetto del trasferimento non sia un’azienda bensì un suo ramo. Si tratta di
determinati settori o aree d’affari dell’azienda che si ritiene conveniente cedere in
modo da razionalizzare o riorganizzare l’insieme di attività svolte. La dottrina ritiene
che il trasferimento di un ramo d’azienda vada qualificato come trasferimento
d’azienda, anche se non vi è accordo sui limiti di applicabilità della normativa. In
ambito civilistico (art. 2560 codice civile) la responsabilità del cessionario si fonda
sull’afferenza del debito al ramo aziendale acquistato, quindi essa non opera per
quelle obbligazioni pecuniarie che siano riconducibili ad un ramo rimasto di proprietà
15
del cedente. Dall’ art. 14 il principio dell’afferenza non è chiaramente rinvenibile,
anche se si ritiene che esso sia applicabile in ambito tributario sulla base di
un’interpretazione logico-sistematica della norma. La vera questione è che spesso è
molto difficile ascrivere un debito tributario ad un ramo d’azienda piuttosto che ad un
altro; spetterà quindi al cessionario farsi carico dell’onere di dimostrare la non
afferenza (o la limitata afferenza) del debito al ramo aziendale acquistato.
1.6. Responsabilità non estesa alle imposte sulla plusvalenza
realizzata dal cedente
Alla luce della nuova disciplina di cui all’art. 14, si pone la questione se la
responsabilità del cessionario d’azienda possa estendersi anche alle imposte dirette
eventualmente dovute dal cedente sulla plusvalenza realizzata, qualora quest’ultimo
16
ometta di indicarla nella propria dichiarazione annuale dei redditi. Decisiva, ai fini
del problema in esame, si presenta l’individuazione del periodo temporale entro cui
opera la responsabilità del cessionario; in proposito, appare evidente il diverso
ambito di applicazione dell’art. 14 rispetto alla disciplina precedente. Infatti la nuova
disciplina ha introdotto un ampliamento “all’indietro” delle annualità per le quali opera
13
Cass. 23 febbraio 1948, n. 284; Cass. 28 maggio 1957, n. 1266.
14
Cass. 3 luglio 1958, n. 2386.
15
Si veda COLOMBO, “L’azienda ed il mercato”, pagg. 151-152.
16
Si veda CATTELLAN G., PROVITO A., “Cessionario d’azienda: la responsabilità non si
estende alle imposte sulla plusvalenza”, in Corriere Tributario n. 2/2000.
10