Abstract
Baldwin. Particularly they saw the United States as asleep to reach the point
of tolerating Fidel Castro in Cuba, to agree with the USSR at the expense of
half of Europe, drawing up military and commercial treatises with it and
enduring without reacting to communism in Africa, in addition to a great
part of Asia. The same critics consider Kennedy’s 1960-1963 foreign policy
through the same concepts and arguments of the young Kennedy, pointing
out in this transaction obvious contradictions.
A more detailed approach, though, goes beyond this superficial
approach, and puts the main points of the question in the right light. One
must not forget that this work was written by an immature Kennedy, who
was conditioned by the events of his time (the spreading in all of Europe of
the terrifying Teutonic war machine), and by the strong personality of F. D.
Roosevelt, who wanted at all costs his war even though one can find detailed
reasoning of genuine sincerity in the book.
Vice versa, the world conditions in which the mature Kennedy had
to voice his decisions as president were completely different. He already
knew the worst end of the conventionalist war, first in the South Pacific with
his crew and then during his trip in the summer of 1945 as a journalist
through the ruins of the war devastated Europe, and one can also venture
that in this context the warlike ideas of the young Kennedy were already
evolving into a more well pondered orientation.
4
Abstract
What was very different was the threat of an atomic hecatomb. The
weight of a nuclear war could not be calculated with the same unit of
measurement and could not have created a solution for international
controversies, as it had been for conventional wars.
One of the most continuous worries of Kennedy was knowing about
his overwhelming responsibility, the acme of the long period characterized
by the cold war, to govern in a world in which the United States and its main
rival could destroy each other in a few minutes. Since a total solution was
not possible, he wished to simply suffocate the cold war, seeing it
extinguishing itself, and reacting in a natural and pacific way to the old
forces of liberty and truth.
Now, one can fully interpret the new meaning of a mature
Kennedy’s political theory compared to his unripe ideas expressed in his
book and it represents a natural evolution that, from being an unknown
recent graduate saw him becoming president of the richest and powerful
country in the world.
Only then, in his full maturity, Kennedy highlighted what were his
instruments for a stable and lasting peace in the world. For example, he
took the presidential coat of arms that decorated the carpet of his office,
where the eagle’s head faced an olive branch. He used an olive branch to
5
Abstract
dedicate his own efforts to disarmament, to the United Nations, to space
research and to help less fortunate populations.
On the older coat of arms on the ceiling, on the other hand, the eagle
faced the arrows, a symbol of war, and Kennedy, though have peace as his
objective, did not think twice to supply himself with such weapons,
believing that arming the United States was necessary to give it a bargaining
tool and a support in view of the disarmament summits and of diplomatic
initiatives. On this trail, he adopted fundamental changes on questions
regarding rocketry differences and of nuclear deterrent, on the resumption of
nuclear testing, on the field of civil control and on the strengthening of
conventional and non conventional forces.
From a wise combination of these two elements descends the gist of
Kennedy’s politics, mould by a new wave of basic premises: the extinction
of the cold war, rather than its victory and its inadmissibility, not the
inevitability, of a nuclear war.
These rooted beliefs, together with solid programs regarding racial
integration, reduction of taxes in periods of deficit and the war against
poverty in periods of prosperity, constituted a new peace strategy, an
authentic heritage that Kennedy left to the nation and to the entire world.
6
INTRODUZIONE
Allorché nel 1940 il ventitreenne John Fitzgerald Kennedy era
laureando alla scuola di governo presso l’università di Harvard, presentò una
tesi dal titolo Compromesso a Monaco, poi pubblicata con il nome Why
England slept. In quei tempi durissimi della seconda guerra mondiale,
sembra che egli avesse idee diametralmente opposte a quelle che poi
manifestò nel breve periodo di permanenza alla Casa Bianca.
Certamente F. D. Roosevelt aveva impegnato tutto se stesso nello
sforzo per trascinare gli Stati Uniti nel conflitto, a fianco dell’Inghilterra. Il
partito democratico ed il suo capo chiedevano ai loro propagandisti ed
attivisti l’impegno per creare nell’intera Confederazione l’atmosfera
bellicista di cui avevano bisogno, e proprio per questo John, giovanissimo
uomo politico in cerca di un avvenire, diede come contributo la
pubblicazione della sua tesi.
Nel presentarlo ai lettori, Henry R. Luce
1
si augurò che molti
americani leggessero Why England slept, perché nelle sue pagine avrebbero
trovato l’incitamento ad armarsi e combattere, e in una seconda prefazione
dell’agosto 1961, con l’Autore già presidente degli Stati Uniti, immaginava
John nell’atto di confrontare le sue decisioni con quelle prese da Baldwin
2
e
1
Giornalista statunitense fondatore del Time, creatore del giornalismo illustrato moderno.
2
Primo Ministro del Regno Unito per la terza volta dal 7 giugno 1935 al 28 maggio 1937.
7
Introduzione
da Chamberlain
3
a Londra, durante gli anni che precedettero la seconda
guerra mondiale.
Sarebbe riduttivo però considerare l’opera un mero strumento
propagandistico: essa rappresenta infatti una lucida analisi degli errori della
politica britannica nei confronti di Adolf Hitler, considerata come un
“grande sonno”
4
che spinse gli inglesi ad abbandonare mezzo mondo libero
nelle mani dei nazisti, a non riarmarsi e ad affrontare impreparati la crisi del
1939, e questa analisi costituì lo spunto per una dissertazione più generale
sul significato dei termini democrazia e regime totalitario, sui loro punti di
forza e debolezza, sul confronto dei loro vantaggi e svantaggi in quegli anni
cruciali.
C’è da chiedersi allora come è possibile che il combattivo Kennedy
del 1940, che considerava la distensione come continuazione dello spirito di
Monaco e come mancanza di fermezza, che annotava con malcelata
avversione la frase scritta nel 1932 sulle mura della sede del movimento
pacifista Unione di Oxford (QUESTA CASA NON MORIRÀ PER LA PATRIA E PER
IL RE)
5
, che concepiva una sorta di democrazia armata a salvaguardia della
propria preservazione, divenisse, nel 1960, un presidente pacifista, molto
3
Primo Ministro del Regno Unito dal 28 maggio 1937 al 10 maggio 1940.
4
J. F. Kennedy, Perché l’Inghilterra dormì, Le Edizioni del Borghese, Milano, 1964, p. 2.
5
A. Meier Schlesinger Jr., Kennedy, Edizioni di Comunità, Milano, 1960, p. 17.
8
Introduzione
cauto nella sua politica estera, propugnatore convinto della distensione, in
una parola fautore di una nuova “strategia di pace”
6
.
Gli studi più critici sulla materia accusano Kennedy di aver
semplicemente rinnegato le idee espresse nel 1940, e lo incolpano di avere
affrontato i problemi della sua epoca con lo stesso atteggiamento
dell’appeasement di Chamberlain e Baldwin.
In particolare, essi hanno visto gli Stati Uniti addormentati fino al
punto di tollerare Fidel Castro a Cuba, di accordarsi con l’URSS alle spalle
di mezza Europa, stipulando con essa trattati militari e commerciali, di
subire senza reagire la comunistizzazione dell’Africa, oltre che di buona
parte dell’Asia. Gli stessi critici giungono perfino a valutare la politica
estera kennediana del 1960-63 attraverso gli stessi concetti e le stesse
argomentazioni del giovane Kennedy, rilevando in questa operazione
un’evidente contraddizione.
Un’analisi più approfondita, però, va oltre questo approccio
superficiale, e mette ogni termine della questione nella giusta luce. Non
dimentichiamo, infatti, che l’opera fu scritta da un Kennedy ancora
immaturo, condizionato dagli eventi del tempo (lo spiegamento in atto in
tutta Europa della terrificante macchina bellica teutonica), e “dalla forte
6
T. C. Sorensen, Kennedy, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1966, p. 961.
9
Introduzione
personalità di F. Roosevelt, che voleva ad ogni costo la sua guerra”
7
,
quantunque si possano ritrovare nel libro ragionamenti dettati da una
genuina sincerità.
Viceversa, le condizioni del mondo entro cui il Kennedy maturo
dovette esprimere le sue decisioni da presidente furono completamente
differenti. Egli aveva già conosciuto il lato peggiore della guerra
convenzionale, prima nel Pacifico meridionale con il suo equipaggio (come
comandante del PT-109, il motosilurante spezzato in due nel 1943 da un
cacciatorpediniere giapponese), poi durante il viaggio dell’estate 1945
attraverso le rovine di un’Europa devastata dalla guerra, come
corrispondente del gruppo Hearst (le relative annotazioni, sotto forma di
appunti di viaggio, furono poi pubblicate con il titolo L’alba della nuova
Europa), e si può senz’altro azzardare che in questo contesto le idee
bellicose del giovane Kennedy stessero già evolvendosi in un orientamento
più ponderato.
Cosa ben diversa era la minaccia di un’ecatombe atomica. Il peso di
una guerra nucleare, infatti, “non avrebbe potuto essere calcolato con le
stesse unità di misura, né avrebbe potuto costituire una soluzione per le
controversie internazionali”
8
, come era stato fino ad allora per le guerre
7
P. Cordaro, Kennedy, Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta – Roma, 1961, p. 37.
8
T. C. Sorensen, Kennedy, cit., p. 687.
10
Introduzione
convenzionali. Egli affermò chiaramente: “Una guerra, oggi, … qualora
sfociasse in un conflitto nucleare, non somiglierebbe a nessun’altra guerra
della storia. uno scambio su vasta portata di colpi nucleari, della durata di
meno di sessanta minuti, … spazzerebbe via più di trecento milioni di
americani, di europei e di russi … I superstiti … invidierebbero i morti,
poiché erediterebbero un mondo così devastato dal fuoco e dai veleni che
oggi non siamo neppure in grado di concepirne gli orrori”
9
.
Nel breve periodo che lo vide presidente, una delle sue
preoccupazioni forse più assillanti fu la consapevolezza della schiacciante
responsabilità, all’acme del lungo periodo caratterizzato dalla guerra
fredda
10
, di governare in un mondo in cui gli Stati Uniti e il suo avversario
principale avrebbero potuto distruggersi a vicenda in pochi minuti.
Le sue idee in proposito, pur drammatiche, erano estremamente
chiare:
1. né l’Unione Sovietica né gli Stati Uniti avrebbero potuto vincere
una guerra nucleare nel senso razionale del termine;
2. a meno di non doversi opporre ad un improvviso attacco
sovietico, la minaccia di rappresaglie massicce a ogni manovra
9
J. F. Kennedy, Messaggio radiotelevisivo al popolo dalla Casa Bianca, Washington, D.C., 26 luglio 1963,
tratto da Il peso della gloria, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1964, p. 96.
10
Termine introdotto nel 1947 dal consigliere presidenziale Bernard Baruch (vedi nota a pag. 36) e dal
giornalista Walter Lippmann per descrivere l'emergere delle tensioni tra i due alleati della seconda guerra
mondiale, USA ed URSS.
11
Introduzione
comunista non era più credibile, potendo provocare la stessa
distruzione della nazione americana;
3. una politica basata sull’attaccare per primi o su una guerra
preventiva non era più permessa a nessuna delle due parti, poiché
anche un attacco missilistico a sorpresa avrebbe scatenato una
rovinosa rappresaglia.
In definitiva, “non aveva più alcuna importanza chi avesse attaccato
per primo o chi fosse stato annientato per ultimo: non ci sarebbero stati
vincitori”
11
.
Una parola ricorrente nel frasario kennediano fu miscalculation
(errore di calcolo)
12
, di cui chiarì il significato in un discorso rivolto alla
nazione nel periodo della crisi di Berlino: “tre volte nella mia vita il nostro
paese e l’Europa sono stati coinvolti in grandi conflitti. In ogni caso
entrambe le parti calcolarono male le intenzioni del rispettivo avversario,
provocando immani distruzioni. Adesso, nell’era termonucleare, ogni errore
di calcolo di uno dei due contendenti sulle intenzioni dell’altro potrebbe
11
J. F. Kennedy, Strategia di pace, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1960, p. 157.
12
E’ interessante notare che il presidente del Consiglio sovietico Krusciov, nei colloqui che ebbe con
Kennedy, non volle mai riconoscere il rischio di un “miscalculation”, termine che puntualmente provocava
in lui un’incontrollabile irritazione.
12